La riforma dell'autotutela tra nuove opportunità e aspetti controversi
Vincenzo Busa
23 Dicembre 2024
Il contributo analizza nel dettaglio la disciplina dell'autotutela tributaria in seguito alle modifiche che sono intervenute con il d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219.
Premessa
La recente riforma dell'autotutela tributaria, attuata con il d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, rappresenta l'ennesimo tentativo di conciliare l'interesse generale al buon andamento della funzione impositiva con la tutela delle ragioni del contribuente.
La sorte del nuovo assetto dell'autotutela, che negli intendimenti del legislatore dovrebbe da un lato potenziare le competenze dell'amministrazione e dall'altro rafforzare la tutela giurisdizionale del contribuente, dipende dalla capacità di risposta degli apparati, oltre che da una mirata revisione delle norme di riferimento.
Mai come in questo caso, l'introduzione di nuove norme, ove si prescinda dalla valutazione d'impatto sulle fattispecie concrete e sulle strutture operative chiamate ad applicarle, è destinata a immettere nel sistema tributario, già ai limiti del collasso, ulteriori elementi di complessità e disorientamento.
L'assetto della tutela ante riforma
Nel sistema delle norme tributarie l'autotutela ha fatto ingresso con il d.p.r. n. 287/1992, in seguito sostituito dal d.lgs. n. 546/1992, affermandosi come espressione di un potere pubblico discrezionale che consente all'amministrazione finanziaria di annullare o revocare i propri atti che appaiano illegittimi o infondati. Benché nel settore tributario l'azione amministrativa di norma sia vincolata dalla legge (principio di legalità) e il contribuente versi in situazioni di diritto soggettivo, nella gestione dell'autotutela l'amministrazione è chiamata a valutare autonomamente la sussistenza dell'interessepubblicogenerale a eliminare in tutto o in parte i propri atti. Secondo l'orientamento consolidato della Corte di cassazione, confermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 181/2017, il carattere discrezionale dell'autoannullamento tributario consegue alla valutazione ponderata non solo dell'interesse – convergente con quello del contribuente – a rimuovere i vizi di legittimità e fondatezza dell'atto, ma anche di altri interessi generali e, tra essi, quello alla stabilità dei rapporti di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall'annullamento dell'atto non più impugnabile. È noto, infatti, che il procedimento di autotutela - quale procedimento di secondo grado rispetto a quello finalizzato all'emanazione dell'atto – di norma è avviato su iniziativa del contribuente, dopo che l'atto si è reso definitivo per decorrenza del termine di impugnazione.
È da escludere che l'autotutela abbia natura giudiziale o giustiziale, ossia che costituisca un mezzo di tutela del contribuente ispirato al principio della giusta imposizione (Cass. n. 7318/2022). L'interesse del contribuente all'annullamento dell'atto in autotutela, infatti, attiene pur sempre a un interesse individuale e non alla tutela dell'interesse generale che travalica quello del contribuente (cfr. Cass. n. 8385/2023).
Il nucleo della riforma
Il nucleo centrale della riforma, attuata con l'inserimento degli articoli 10-quater e 10-quinquiesnello Statuto del contribuente, approvato con legge n. 212/2000, si rinviene nella disciplina differenziata dell'autotutela obbligatoria e dell'autotutela facoltativa nonché nella inclusione tra gli atti impugnabili del rifiuto opposto dall'amministrazione a esercitare l'autotutela.
La positivizzazione dell'autotutela obbligatoria e del connesso diritto di azione riconosciuto al contribuente rappresenta l'aspetto innovativo della riforma.
Autotutela obbligatoria (art. 10-quater l. n. 212/2000)
L'Amministrazione è tenuta ad annullare l'atto impositivo nei seguenti casi di «manifesta illegittimità» dell'atto impositivo, tassativamente indicati dalla norma: «a) errore di persona; b) errore di calcolo; c) errore sull'individuazione del tributo; d) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'amministrazione finanziaria; e) errore sul presupposto d'imposta; f) mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti; g) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza».
L'autotutela obbligatoria è inibita qualora sia intervenuta una «sentenza passata in giudicato favorevole all'amministrazione» ovvero sia «decorso un anno dalla definitività dell'atto viziato per mancata impugnazione».
Autotutela facoltativa (art. 10-quinquies l. n. 212/2000)
«Al di fuori dei casi» che rendono doverosa l'autotutela, l'Ufficio «può comunque procedere all'annullamento» di un atto che si ritenga «illegittimo o infondato», sulla base di una valutazione discrezionale degli interessi pubblici coinvolti, in conformità ai principi elaborati dalla giurisprudenza formatasi nel vigore della previgente disciplina. Di primo acchito, si direbbe che detti principi non trovino applicazione, invece, nei casi di autotutela obbligatoria.
Impugnazione del rifiuto (art. 19, lettere g-bis e g-ter del d.lgs. 546/1992)
Nell'elenco degli atti impugnabili avanti le Corti di Giustizia tributaria è stato aggiunto «il rifiuto espresso o tacito» sull'istanza di autotutela obbligatoria nonché «il rifiuto espresso» sull'istanza di autotutela facoltativa.
L'omessa inclusione nell'elenco dell'art. 19 del rifiuto tacito sugli atti di autotutela facoltativa conferma il carattere discrezionale di quest'ultima che, a differenza dell'autotutela obbligatoria – secondo la Cassazione – non presuppone un procedimento di parte da concludere con un provvedimento espresso (Cass., sez. un., n. 7511/2016). Da qui l'inammissibilità del ricorso volto a contestare il silenzio dell'Amministrazione sull'istanza del contribuente.
Disposizioni di completamento
La disciplina dell'autotutela è completata dalle seguenti disposizioni che fanno da corollario al nucleo normativo prima illustrato:
i) la responsabilità dei funzionari per danno erariale causato nella gestione dell'autotutela (obbligatoria e facoltativa) è limitata alle “ipotesi di dolo” (artt. 10-quater e 10-quinquies della legge n. 212/2000);
ii) in assenza di disposizioni speciali, deve ritenersi che il ricorso avverso il rifiuto “espresso” sull'istanza di autotutela (obbligatoria e facoltativa) debba essere presentato entro 60 giorni dalla data di notificazione del provvedimento, in analogia con quanto previsto per l'impugnazione del diniego dei rimborsi (art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992). Il ricorso avverso il rifiuto “tacito” (sull'istanza di autotutela obbligatoria) può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla presentazione dell'istanza e fino al compimento del termine di prescrizione ordinaria (art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992);
iii) è fatto obbligo all'amministrazione finanziaria di indicare nei propri atti “l'organo o l'autorità amministrativa” presso i quali è possibile promuovere il riesame in sede di autotutela (art. 7, comma 2, lett. b) della legge n. 212/2000);
iv) in caso di autotutela parziale in pendenza di giudizio, è ammessa la definizione agevolata delle sanzioni (art. 17-bis del d.lgs. n. 472/1997).
Riflessioni e notazioni critiche
La nuova disciplina dell'autotutela evidenzia diversi limiti e incongruenze, solo in parte superabili mediante indicazioni di prassi amministrativa ispirate da un'interpretazione funzionale delle norme di riferimento.
Il perimetro ristretto e indeterminato dell'autotutela obbligatoria
L'elencazione tassativa e di stretta interpretazione delle fattispecie di «manifesta illegittimità» ammesse all'autotutela obbligatoria comporta una ingiustificata restrizione degli ambiti di doverosa applicazione dell'istituto rispetto alle più dettagliate ed ampie previsioni dell'abrogato D.M. 11 febbraio 1997, n. 37. All'inconveniente ha inteso porre parziale rimedio l'Agenzia delle entrate con la circolare n. 21 del 7 novembre 2024, laddove si invitano gli uffici a ricomprendere tra gli errori sul «presupposto d'imposta» e, pertanto, ammissibili all'autotutela obbligatoria, altre fattispecie già contemplate dal menzionato D.M. n. 37/1997 e, precisamente «l'evidente errore logico», «la doppia imposizione» e «la sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati», sempreché incidano sulla corretta definizione del presupposto d'imposta.
Presupposto esplicito dell'obbligo di autotutela è la «manifesta illegittimità» dell'atto, tale da escludere ogni dubbio, configurabile «anche per l'esistenza di contrasti giurisprudenziali» (cfr. Relazione illustrativa del d.lgs. n. 219/2023, di seguito Relazione). Tale affermazione sembra corrispondere ad un auspicio più che alla reale conformazione delle fattispecie normate. Invero, tutta la casistica indicata dalla norma è caratterizzata da errori di fatto macroscopici ed eclatanti, facilmente rilevabili ictu oculi ancorché assai poco ricorrenti, fatta eccezione per l'errore sul presupposto d'imposta. A differenza degli altri, quest'ultimo si presenta così ampio e indeterminato da prefigurare obiettive difficoltà di riscontro. Superfluo evidenziare che l'errore sul presupposto investe il fatto economico ossia un elemento strutturale del tributo, differenziato a seconda del tipo di prelievo, comunque suscettibile di vario e differenziato apprezzamento: «La genericità dell'espressione, del resto, è idonea a ricomprendere in sé tendenzialmente ogni ipotesi di illegittimità dell'imposizione» (Cass., sez. un., 21 novembre 2024, n. 30051).
Se si aggiunge che l'esercizio dell'autotutela doverosa si ricollega pressoché esclusivamente all'interesse del contribuente a eliminare proprio gli errori sul presupposto, è dato pensare che la strada dell'autotutela obbligatoria indicata dal legislatore sia lastricata di difficoltà e, comunque, percorribile in casi assai limitati.
La formulazione equivoca della norma in tema di autotutela obbligatoria potrebbe ridurne ulteriormente l'ambito di applicazione. Non è chiaro, in particolare, se il requisito della manifesta illegittimità che rende doverosa l'autotutela costituisca un quid pluris che debba essere riscontrato volta per volta al fine di corroborare e qualificare le diverse fattispecie di errore elencate all'art. 10-quater oppure se sia immanente a ciascuna di esse. La prima soluzione è da preferire quanto meno con riguardo all'errore sul presupposto, la cui ampiezza non può prescindere dalla valutazione, caso per caso, del livello di evidenza dell'errore. Ove si consideri che la qualificazione manifesta della illegittimità è operata dall'amministrazione, si può ben comprendere come un dubbio anche minimo circa la sussistenza del profilo di illegittimità dell'atto, possa comportare l'affievolimento dell'autotutela da obbligatoria a facoltativa, con tutte le conseguenze rilevanti anche sul piano della tutela giurisdizionale, peraltro esclusa in ipotesi di rifiuto tacito dell'autotutela facoltativa. In tal caso, la natura discrezionale dell'autotutela potrebbe «rientrare dalla finestra» proprio con riguardo all'unica fattispecie – quella dell'errore sul presupposto – che nelle aspettative di contribuenti dovrebbe estendere e potenziare l'area dell'autotutela obbligatoria.
Indeterminatezza della preclusione indotta dal giudicato
La norma che preclude l'esercizio dell'autotutela obbligatoria «in caso di sentenza passata in giudicato favorevole all'amministrazione» (art. 10-quater, comma 2), appare più restrittiva della analoga previsione recata dall'abrogato D.M. n. 37/1997, che ammetteva l'autotutela anche in presenza di un giudicato formale o fondato su motivi diversi da quelli scrutinati dal giudice.
All'inconveniente ha posto rimedio la Relazione con la precisazione – fatta propria dall'Agenzia delle Entrate – che «non è ostativo all'autotutela né un giudicato meramente processuale, né un giudicato sostanziale basato su motivi div ersi da quelli che giustificano l'autotutela». Si ripropone in tal modo il disposto del menzionato D.M. 37/1997.
Il labile confine tra obbligo e facoltà
Il termine di un anno «dalla definitività dell'atto viziato per mancata impugnazione» entro il quale il contribuente può richiedere l'intervento obbligatorio in autotutela, appare restrittivo e penalizzante. L'effetto preclusivo non dovrebbe tuttavia operare qualora il contribuente, che abbia intrapreso la via giudiziaria per far valere un profilo di manifesta illegittimità o infondatezza dell'atto, si veda opporre in via definitiva l'inammissibilità del ricorso per motivi formali. In tal caso, non essendo di ostacolo l'effetto preclusivo del giudicato, il contribuente dovrebbe poter richiedere un intervento in via di autotutela obbligatoria.
L'autotutela facoltativa è percorribile «fuori dei casi» che fanno obbligo all'Amministrazione di intervenire. L'interpretazione testuale della norma porterebbe a ritenere che gli stessi vizi dell'atto impositivo emendabili in via di autotutela obbligatoria, una volta spirato il termine di decadenza annuale, non possano essere invocati nel procedimento di autotutela facoltativa. Anche in questo caso la circolare n. 21/E, aprendo all'interpretazione sistematica, corregge il dato normativo fino ad ammettere che «il potere di autotutela “può” essere esercitato anche in presenza di vizi dell'atto “non riconducibili ad alcuna delle fattispecie elencate dal comma 1 dell'art. 10-quater» e, in particolare, quando sia decorso il termine «di un anno dalla definitività dell'atto viziato per mancata impugnazione».
Il doppio binario dell'agire in autotutela (obbligatoria e facoltativa) è reso vieppiù problematico dall'obbligo, introdotto all'art. 10-quater, di emendare i vizi di manifesta illegittimità dell'atto, così da confondere il contenuto del provvedimento terminale del procedimento di autotutela (annullamento obbligatorio nei soli casi di manifesta illegittimità dell'atto, discrezionale negli altri) con l'obbligo di avviare lo stesso procedimento innescato dall'istanza del contribuente (da estendere anche all'autotutela facoltativa in quanto immanente nel sistema ispirato ai principi della buona amministrazione e della giusta imposizione). La frammentazione dell'istituto introdotta dalla riforma potrebbe distogliere l'attenzione nei confronti delle residue fattispecie sottratte all'autotutela doverosa, al punto da svalutare l'obbligo di riscontrare le istanze di autotutela facoltativa e favorire prassi amministrative volte a limitare gli interventi in autotutela ai pochi casi di manifesta erroneità dell'atto.
A differenza dell'autotutela obbligatoria, esercitabile in presenza di tassative ipotesi di manifesta illegittimità, quella facoltativa è contemplata dalla norma senza alcuna specificazione che non sia la «presenza di una illegittimità o infondatezza dell'atto o dell'imposizione». Al riguardo è opinabile che il discrimine tra le due forme di autotutela sia dato dalla connotazione “manifesta” della illegittimità dell'atto, secondo la circolare n. 21/2024 rilevante come presupposto dell'autotutela obbligatoria e non anche di quella facoltativa. Riesce tuttavia difficile pensare che l'annullamento, invocato anche in sede di autotutela facoltativa, possa prescindere dal riscontro di un errore evidente, che non dia adito a dubbi. Più che altro, a segnare la differenza tra i due percorsi è la casistica, presente solo nella fattispecie obbligatoria, mentre il presupposto della palese illegittimità dell'atto dovrebbe ritenersi comune ad entrambi.
Mancata previsione della sospensione in pendenza di autotutela
Nel contesto della riforma non è stata riproposta la norma già contemplata all'art. 2-quater dell'abrogato d.l. n. 564/1994, che consentiva all'amministrazione di disporre la sospensione dell'atto in pendenza del procedimento di autotutela. Anche in questo caso la Relazione è venuta in soccorso del legislatore, riaffermando la possibilità di sospendere l'atto che «appaia illegittimo o infondato» (così testualmente il citato art. 2-quater). Per definizione, la sospensione non è automatica, ancorché sembri difficile motivarne il diniegodal momento che – come accade nell'autotutela obbligatoria – la manifesta illegittimità dell'atto soddisfa appieno il requisito del fumus boni iuris .
Autotutela parziale in pendenza di giudizio
L'art. 17-bis del d.lgs. n. 472/1997, introdotto dal d.lgs. di riforma delle sanzioni n. 87/2024, ha riproposto la norma (già contemplata all'art. 2-quater del d.l. n. 564/1994) che, in caso di annullamento parziale dell'atto, consente al contribuente di «avvalersi degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni … alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell'atto purché rinunci al ricorso e l'atto non risulti definitivo». La ratio della norma è quella di porre rimedio ai ritardi accumulati nella trattazione delle istanze di autotutela, che possano aver indotto il contribuente a impugnare integralmente l'accertamento anche nella parte non interessata dal procedimento di autotutela tuttora pendente, in tal modo privandosi della possibilità di ridurre le sanzioni a un terzo previa rinuncia al contenzioso, ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 218/1977 (c.d. acquiescenza all'accertamento). Il presupposto implicito è che, in ipotesi di annullamento parziale dell'atto, eventualmente disposto in via di autotutela prima della scadenza del termine di impugnazione, il contribuente avrebbe omesso di proporre gravame avverso la residua parte dell'atto non interessata dall'autotutela. Ebbene, la norma intende riconoscere lo stesso beneficio qualora l'autotutela parziale venga esercitata in pendenza di giudizio, in ogni caso a condizione che il contribuente rinunci al contenzioso.
I limiti della responsabilità amministrativa
Con l'intento di rimuovere ogni preoccupazione che spesso accompagna l'assunzione delle responsabilità amministrative e, quindi, imprimere maggiore speditezza ed efficacia all'attività degli uffici nella gestione dei procedimenti, si è inteso estendere alla trattazione dell'autotutela gli stessi limiti di responsabilità già previsti, per l'accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale, dall'art. 29, comma 7, del d.l. n. 78/2010. Allo stesso modo, le responsabilità amministrative connesse con la gestione dell'autotutela sono «limitate alle ipotesi di dolo», sia pure con la specificazione non trascurabile, dovuta verosimilmente ad un refuso, che l'anzidetto limite di responsabilità opera «con riguardo alle valutazioni di fatto» effettuate dall'amministrazione finanziaria. Nella gestione degli altri istituti prima menzionati, invece, si risponde solo a titolo di dolo «con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto». Resta sullo sfondo, affidata alla illuminata interpretazione della Corte dei conti, l'individuazione delle fattispecie di dolo, anche nella forma di dolo indiretto o eventuale, che possano dar luogo a responsabilità amministrative degli impiegati addetti all'autotutela.
Impatto della riforma sull'assetto tradizionale dell'autotutela
Come anticipato, l'autotutela si risolve in un procedimento di secondo grado volto al riesame dell'atto che appaia illegittimo o infondato, al fine di provvedere al suo annullamento. Tuttavia, l'azione dell'amministrazione è caratterizzata da discrezionalità quanto all'esercizio concreto del potere di autotutela che è subordinato alla sussistenza di un interesse generale alla revisione dell'atto.
La recente riforma, prevedendo casi di autotutela obbligatoria, ne ha temperato la connotazione discrezionale, rendendo doverosa, per le ipotesi ivi considerate, l'attivazione del procedimento di revisione dell'atto illegittimo. Nelle ipotesi di autotutela obbligatoria il bilanciamento degli interessi preordinato alla revisione dell'atto è effettuato dal legislatore che ha ritenuto preminente, rispetto all'interesse generale, l'interesse del contribuente alla giusta imposizione, con conseguente esautoramento della discrezionalità e del ruolo dell'amministrazione, in quei casi obbligata alla revisione dell'atto.
Si direbbe che la riforma abbiamodificato l'assetto dell'autotutela centrato sulla discrezionalità dell'amministrazione. È fondato ritenere, invece, che il tradizionale assetto dell'autotutela tributaria trovi sostanziale conferma nella riforma attuata con il d.lgs. n. 119/2023, posto che – come si dirà in seguito – l'obbligo dell'amministrazione di provvedere in via di autotutela perde di significato dal momento che il sistema delle tutele giudiziarie non prevede rimedi contro l'inottemperanza dell'amministrazione.
I limiti della tutela giurisdizionale
La trama delle nuove norme in tema di autotutela non offre soluzioni univoche che possano alterare la natura e gli effetti delle pronunce giudiziali in materia, siccome enucleati dalla giurisprudenza. Ne consegue che la reviviscenza dei limiti del sindacato giurisdizionale tracciati dalla Corte di cassazione rendono problematico il doppio binario dell'autotutela obbligatoria e facoltativa.
La discrezionalità che caratterizza l'autotutela si riflette sull'ampiezza della giurisdizionale, al punto che il giudice tributario, a seguito di impugnazione del rifiuto dell'autotutela, non può annullare o revocare l'atto sostituendosi all'amministrazione, ma può soltanto pronunciarsi sulla liceità del rifiuto, da valutare in relazione a ragioni di interesse generale che giustifichino l'esercizio di tale potere (Cass., sez. trib., 22 marzo 2023, n. 8211).
Come insegna la Suprema Corte, le pronunce giudiziali devono limitarsi a dichiarare la legittimità o meno del rifiuto dell'autotutela: non possono obbligare l'amministrazione ad agire in via di autotutela né sostituirsi all'amministrazione nella trattazione del merito, come avviene nel giudizio di impugnazione dell'atto. La tutela giurisdizionale delle ragioni del contribuente risente dei limiti intrinseci alla vicenda giudiziaria dell'autotutela, stante la difficoltà di accreditare, nelle controversie relative al rifiuto opposto dall'amministrazione, pronunce di annullamento del tutto speculari a quelle emesse in accoglimento del ricorso avverso l'atto. Diversamente, l'impugnazione nel merito del rifiuto consentirebbe di aggirare facilmente il termine di impugnazione dell'atto.
Il sindacato giurisdizionale sull'esercizio dell'autotutela è autonomo da quello afferente all'atto impositivo, sul quale non può giammai interferire: il giudice adito avverso il diniego di autotutela, non potrebbe emettere verdetto sulla fondatezza della specifica pretesa tributaria poiché ciò comporterebbe «la sostituzione del giudice all'amministrazione in valutazioni discrezionali» in violazione dei limiti posti dalla l. n. 2248/1865, art. 4, all. E, ovvero «un superamento dei limiti esterni della giurisdizione attribuita alle commissioni tributarie» (Cass., sez. trib., 12 novembre 2014, n. 24058).
In sintesi, la Suprema Corte è orientata a escludere l'ammissibilità di pronunce giudiziali di annullamento degli atti che, censurando il rifiuto dell'amministrazione sull'istanza di autotutela, di fatto comportino la sostituzione del giudice all'amministrazione nell'esercizio di potestà rispetto alle quali non è configurabile un diritto soggettivo del contribuente, analogo a quello esercitabile mediante la tempestiva impugnazione dell'atto impositivo. In altre parole, non è lecito ritenere, senza confliggere con i principi costituzionali sulla ripartizione dei poteri, che la positivizzazione dell'obbligo di autoannullamento dell'atto possa innovare le prerogative della giurisdizione tributaria.
Nell'ambito di un processo di impugnazione-merito come quello tributario, volto a tutelare il contribuente mediante pronunce di annullamento dell'atto impositivo o di condanna al rimborso dei tributi indebitamente assolti, non sembra esservi spazio per altre soluzioni che, in ipotesi, possano obbligare l'Amministrazione ad agire in via di autotutela. Lo stesso giudizio di ottemperanza, funzionale all'esigenza di affermare coattivamente l'effettività delle pronunce giudiziali di condanna alla restituzione di somme non dovute, non è un rimedio esperibile contro l'inerzia dell'amministrazione nella trattazione delle istanze di autotutela. Anche sotto questo aspetto la riforma dell'autotutela rischia di restare sulla carta, relegata nelle buone intenzioni del legislatore.
Autotutela sostitutiva
Dell'autotutela sostitutiva in malam partem, che attiene alla possibilità di sostituire l'atto viziato sotto il profilo sostanziale con l'accertamento di un maggior imponibile, si è occupata di recente l'Agenzia delle entrate nella menzionata circolare n. 21 del 7 novembre 2024, pervenendo alla conclusione che detta facoltà di sostituzione debba essere contemperata con il divieto di bis in idem introdotto dal decreto di riforma all'art. 9-bis della legge n. 212/2000, volto ad affermare il diritto del contribuente «a che l'amministrazione finanziaria eserciti l'azione amministrativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d'imposta… salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l'emendabilità di vizi formali e procedurali ».
A parere dell'Agenzia, l'amministrazione avrebbe sempre la possibilità di emendare i «vizi formali e procedurali dell'atto», mentre la più ampia potestà di integrare in aumento l'imponibile sarebbe ammessa solo se ricorrono le condizioni previste nelle “specifiche disposizioni” fatte salve dal citato art. 9-bis (si pensi, in particolare, alle disposizioni in tema di accertamento integrativo e accertamento parziale).
Non è questa la sede per soffermarci sull'ampiezza delle deroghe al principio di unicità dell'accertamento contemplate all'art. 41-bis del d.p.r. n. 600/1973, che consente di intervenire più volte e senza limitazioni sul medesimo periodo d'imposta, mediante “accertamenti parziali” basati non solo su segnalazioni dell'anagrafe tributaria ma anche sugli esiti di accessi, ispezioni e verifiche riportati in apposito processo verbale di constatazione, ossia su attività istruttorie comuni alla maggior parte dei procedimenti di accertamento. In tema di autotutela sostitutiva, preme qui evidenziare l'orientamento - opposto a quello dell'Agenzia delle entrate - espresso dalla Cassazione nella sentenza resa a Sezioni Unite del 21 novembre 2024, n. 30051 (a pochi giorni di distanza dalla emanazione della circolare n. 21/E). In applicazione del principio di perennità, che afferma la persistenza della potestà amministrativa anche dopo il suo esercizio, al fine di «assicurare la continua e puntuale aderenza dell'azione amministrativa all'interesse pubblico», le Sezioni Unite hanno definitivamente statuito che «l'autotutela, benché orientata di norma alla trattazione delle ipotesi di illegittimità dell'atto in danno del contribuente, può realizzarsi anche nelle situazioni in cui l'illegittimità determini un pregiudizio per l'erario, in tal caso risolvendosi nella revisione in malam partem dell'atto che si ritenga affetto da vizi sia formali che sostanziali».
Tale conclusione si afferma, secondo la Cassazione, anche dopo l'entrata in vigore del menzionato art. 9-bis della l. n. 212 del 2000. Questa norma, infatti, essendo «mirata prioritariamente ad evitare i rischi della doppia imposizione per il medesimo presupposto impositivo, … [secondo la Cassazione] è in realtà estranea ai meccanismi dell'autotutela». Tant'è che «in sede di autotutela non viene esercitata una nuova azione accertativa, che resta sempre e soltanto quella originaria, ancorata agli elementi di fatto e ai presupposti esistenti al momento del primo atto… né si può assistere alla contemporanea esistenza di una duplicità di atti atteso il necessario, preventivo o contestuale, annullamento del primo ove ne venga emesso un secondo in sostituzione».
In breve, l'amministrazione, dopo aver provveduto all'annullamento dell'atto impositivo erroneo, emetterà un nuovo atto che potrà essere, a seconda dei casi, più favorevole o meno favorevole al contribuente.
Il confine con l'accertamento integrativo
Una situazione analoga all'autotutela sostitutiva si realizza con l'accertamento integrativo che, ai sensi dell'art. 43 del d.p.r. n. 600/1973, consente di integrare l'atto impositivo sulla base di nuovi elementi sopravvenuti, non conosciuti al momento del primo accertamento. In tal caso, tuttavia, la maggior pretesa dell'amministrazione trae motivo da nuovi elementi che non erano conosciuti né conoscibili al momento del primo accertamento, i quali debbono essere specificamente indicati nel nuovo avviso. Nell'autotutela sostitutiva, al contrario, la revisione avviene con esclusivo riferimento agli elementi di fatto e diritto in base ai quali era stato emanato l'accertamento originario che si ritengano errati, in ogni caso senza alcuna integrazione.
Onere e rischio di doppia imposizione
Avendo presente il termine di 90 giorni per impugnare il rifiuto-tacito dell'autotutela obbligatoria, con la circolare n. 21/2024 l'Agenzia delle entrate invita i propri uffici «a rispondere all'istanza di autotutela entro il termine di 90 giorni dalla sua ricezione». La tempistica di lavorazione assegnata agli uffici non sembra compatibile con l'obiettivo dichiarato di rendere funzionale l'autotutela alla riduzione del contenzioso. Considerato, infatti, che la vicenda dell'autotutela non interferisce con il termine di 60 giorni (decorrenti dalla notifica dell'atto) per presentare ricorso, è verosimile che entro quest'ultimo termine il contribuente non venga in possesso della risposta e che, per cautelarsi, si veda costretto a ricorrere in giudizio. Non è escluso neppure che presenti ulteriore gravame avverso l'eventuale rifiuto espresso o tacito dell'autotutela, quanto meno per ottenere una sentenza di condanna “rafforzata” dell'amministrazione al pagamento delle spese di lite, stante la manifesta illegittimità dell'atto oggetto di autotutela e di contenzioso. In breve, sussiste il rischio concreto che il nuovo assetto dell'autotutela possa comportare un incremento anziché la riduzione del contenzioso.
Efficacia della soluzione alternativa al reclamo-mediazione
La finalità perseguita dalla riforma di superare la riluttanza degli uffici a correggere autonomamente i propri errori, assoggettando limitate fattispecie di errori manifesti all'obbligo di autoannullamento, si ispira a una visione poco aderente alla realtà operativa dell'amministrazione finanziaria né consapevole della intrinseca natura discrezionale dell'autotutela. Il mito della certezza dei rapporti tributari che sottende il progetto di riforma è destinato a infrangersi nella difficoltà pratica di rendere effettivo l'obbligo di autotutela, peraltro sfornito di tutela giurisdizionale.
Destinata a restare frustrata è altresì la connessa aspettativa di deflazionare il contenzioso puntando sul potenziamento dell'autotutela come soluzione alternativa al reclamo-mediazione di cui al soppresso art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992. Ciò senza considerare le prerogative e il diverso ambito operativo dei due istituti. Ancorché finalizzati entrambi alla revisione autonoma degli atti impositivi illegittimi o infondati, diversi nei due casi sono i presupposti dell'autotutela: a differenza dell'autotutela doverosa, motivata dalla connotazione manifesta di limitati errori emendabili, la revisione degli atti in sede di reclamo-mediazione era strettamente ancorata agli orientamenti della giurisprudenza e al giudizio prognostico circa l'esito della potenziale controversia, i cui termini erano cristallizzati nel ricorso notificato, rilevante come sostanziale istanza di autotutela. L'ufficio procedeva alla revisione degli atti non per obbligo di legge, ma «avuto riguardo all'eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell'azione amministrativa»; gli errori, non necessariamente eclatanti e manifesti, venivano rimossi in attuazione di piani di lavoro che misuravano la performance degli uffici in base agli indici di vittoria in giudizio, nettamente migliorati grazie alla gestione responsabile dell'istituto.
È singolare come l'esperienza del reclamo-mediazione sia stata accantonata nonostante abbia corrisposto ad una esigenza operativa avvertita e rappresentata dall'amministrazione finanziaria. Esigenza direttamente collegata al miglioramento dei rapporti con i contribuenti, che ha avuto obiettivo riscontro nella drastica riduzione del contenzioso registrata nel decennio di gestione dell'istituto.
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Sommario
L'assetto della tutela ante riforma
Autotutela obbligatoria (art. 10-quater l. n. 212/2000)
Autotutela facoltativa (art. 10-quinquies l. n. 212/2000)
Impugnazione del rifiuto (art. 19, lettere g-bis e g-ter del d.lgs. 546/1992)
Il perimetro ristretto e indeterminato dell'autotutela obbligatoria
Il labile confine tra obbligo e facoltà
I limiti della responsabilità amministrativa
Impatto della riforma sull'assetto tradizionale dell'autotutela