La pronuncia della sentenza nel processo del lavoro: dalle problematiche tradizionali al Correttivo

23 Dicembre 2024

Come ha inciso il recente Correttivo Cartabia sulle norme che disciplinano l’emissione della sentenza che definisce un procedimento di lavoro e previdenza?

Premessa

Il processo del lavoro impone non solo decisioni rese in tempi celeri, ma anche decisioni che siano contestualmente rese all’esito della discussione della causa e che siano di immediata comprensibilità non solo ai procuratori delle parti, ma anche a queste ultime.

Come deve avvenire la pronuncia della sentenza di un giudizio di lavoro? Quali sono le questioni che ha affrontato la giurisprudenza di legittimità? E il recente Correttivo Cartabia come ha inciso sulle norme che disciplinano l’emissione della sentenza che definisce un procedimento di lavoro e previdenza?

Il presente contributo cercherà di dare una risposta a questi quesiti.

Gli articoli 429, 430 e 431 c.p.c.

L'art. 429 c.p.c. prevede che «Nell'udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza. Se il giudice lo ritiene necessario, su richiesta delle parti, concede alle stesse un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine suddetto, per la discussione e la pronuncia della sentenza. Il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto» mentre l'art. 430 c.p.c. stabilisce che «Quando la sentenza è depositata fuori udienza, il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti».

L'art. 431 c.p.c. prevede, invece, che «Le sentenze che pronunciano condanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di cui all'articolo 409 sono provvisoriamente esecutive. All'esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo, in pendenza del termine per il deposito della sentenza. Il giudice di appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa quando dalla stessa possa derivare all'altra parte gravissimo danno. La sospensione disposta a norma del comma precedente può essere anche parziale e, in ogni caso, l'esecuzione provvisoria resta autorizzata fino alla somma di euro 258,23. Le sentenze che pronunciano condanna a favore del datore di lavoro sono provvisoriamente esecutive e sono soggette alla disciplina degli articoli 282 e 283. Il giudice di appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa in tutto o in parte quando ricorrono gravi motivi. Se l'istanza per la sospensione di cui al terzo ed al sesto comma è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L'ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio».

L'art. 429, comma 1 c.p.c. prevede che il giudice, esaurita la discussione orale, pronunci sentenza con lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. E' la cosiddetta “sentenza contestuale”, che viene letta subito dopo la discussione e all'esito della camera di consiglio. La pronuncia della sentenza contestuale avviene in udienza pubblica (art. 128 c.p.c.) e vi possono, quindi, partecipare sia le parti del giudizio che terzi. Nel verbale di udienza deve essere fatta menzione della lettura del dispositivo e della motivazione all'esito della camera di consiglio successiva alla discussione. All'art. 429, comma 2 c.p.c. viene previsto che le parti possono richiedere al giudice del lavoro l'assegnazione di un termine per note difensive con rinvio, quindi, della discussione della causa e della pronuncia della sentenza. Il giudice assegnerà alle parti il termine per il deposito di note difensive solo se «lo ritiene necessario», per cui non vi è un diritto delle parti alle note conclusionali. Di conseguenza sarà il giudice del lavoro a valutare se, per la complessità della causa e l'istruttoria svolta, sia necessario che le parti “riepiloghino” i fatti di causa.

Il Giudice all'esito della discussione orale potrà leggere, in udienza, esclusivamente il dispositivo riservando il deposito della motivazione nel termine di 60 giorni (o in un più breve termine stabilito dal giudice stesso). La lettura del solo dispositivo, in assenza di un termine espresso indicato per il deposito della motivazione, impone al giudice di depositare la motivazione “al più presto” in quanto non vi è più un termine massimo per il deposito in assenza di indicazione da parte del giudice decidente.

L'art. 430 c.p.c. prevede infatti che «Quando la sentenza è depositata fuori udienza, il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti». Quindi, nel caso in cui il deposito della motivazione della sentenza non sia contestuale all'udienza di discussione la motivazione debba essere comunicata alle parti dalla cancelleria. Le sentenze che pronunciano una condanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di cui all'art. 409 c.p.c. sono tutte provvisoriamente esecutive (art. 431, comma 1, c.p.c.). La formula di carattere generale dell'art. 431, comma 1 c.p.c., in tema di esecutorietà della sentenza nelle controversie di lavoro, ricomprende i crediti relativi a tutte le obbligazioni che trovano il loro titolo in uno dei rapporti di cui all'art. 409 c.p.c.  e, quindi, anche quelli di fare o di non fare (vedasi, sul punto, quanto stabilito da Cass. civ., sez. lav., 26 luglio 1984, n. 4424).

L'art. 431, comma 2 c.p.c. consente al solo lavoratore di valersi del dispositivo come titolo esecutivo. Gli ulteriori commi dell'art. 431 c.p.c. disciplinano, invece, le ipotesi di sospensione della sentenza da parte del giudice d'appello.

Il Correttivo Cartabia e le questioni maggiormente dibattute in giurisprudenza

Il d.lgs. n. 164/2024 ha reso compatibile il modello decisorio ex art. 429 c.p.c. con la sostituzione dell'udienza con note scritte (art. 127-ter c.p.c.) e con la lettura del dispositivo in udienza all'esito della discussione ex art. 429 c.p.c.

In particolare l'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 164/2024  ha aggiunto al quinto comma dell'art. 127-ter c.p.c. il seguente periodo: «Il provvedimento depositato entro il giorno successivo alla scadenza del termine si considera letto in udienza».

Nella Relazione illustrativa si è infatti affermato, sul punto, che con la disposizione anzidetta si è inteso risolvere «l'inconciliabilità pratica della sostituzione ex art. 127-ter c.p.c. dell'udienza di discussione, nel caso in cui questa richiede la lettura del dispositivo in udienza, con la possibilità delle parti di depositare note scritte fino al termine di quello stesso giorno».  La disposizione rende compatibile il modello decisorio ex art. 127-ter, ult. comma c.p.c. con il processo del lavoro e, in particolare, come detto, con l'art. 429 c.p.c.

La norma ha posto fine, una volta per tutte, alla questione, molto dibattuta nella giurisprudenza di legittimità, delle conseguenze derivanti dalla mancata coincidenza tra la data indicata nella sentenza come quella dell'udienza di discussione e quella effettiva del deposito telematico del dispositivo.

Nella decisione Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2024, n. 15993 la Suprema Corte ha stabilito che «Difatti, la norma di legge de qua, certamente consentiva che - pure in casi come quello in esame - la trattazione scritta sostituisse l'udienza pubblica di discussione, non potendo dubitarsi che anche quella ex art. 437 c.p.c. rientrasse tra le "udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti", alle quali fa riferimento la disposizione introdotta per consentire lo svolgimento delle attività giurisdizionali minimizzando i rischi connessi alla diffusione della pandemia da "Covid 19". Nondimeno, la stessa disposizione, nello stabilire la necessità della "successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice", comportava, per i giudizi assoggettati al c.d. "rito lavoristico", che la prescritta lettura del dispositivo - la quale integra certamente quel "provvedimento del giudice" ricollegato alla non ordinaria tenuta dell'udienza, al quale fa, nuovamente riferimento, la disposizione legislativa suddetta - dovesse avvenire illico et immediate e, dunque, o mediante deposito in cancelleria (se non vigente il telematico) oppure tramite deposito telematico».

Con la modifica introdotta dal “Correttivo” la lettura del dispositivo in udienza si “allunga” al giorno successivo e, di conseguenza, si considera letto in udienza. In tal modo, poi, si evita, in caso di pubblicazione del dispositivo il giorno successivo, l'applicazione del principio secondo cui l'omessa lettura del dispositivo all'udienza di discussione determina, ai sensi dell'art. 156, comma 2, c.p.c., la nullità insanabile della sentenza per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell'atto, in quanto si tradurrebbe nel difetto di un requisito correlato alle esigenze di concentrazione del giudizio che connotano il rito lavoristico e di immutabilità della decisione rispetto alla successiva stesura della motivazione (in termini, ancora di recente, Cass. civ., sez. VI, 6 dicembre 2021, n. 38521; conf. Cass. civ., sez. VI, 28 novembre 2014, n. 25305; Cass. civ., sez. lav., 3 febbraio 2015, n. 1906; Cass. civ., sez. II, 4 gennaio 2018, n. 72; Cass. civ., sez. III, 23 maggio 2019, n. 13963), salvo il caso in cui, per espressa previsione del rito speciale di cui all'art. 1, commi 47 e ss., l. n. 92/2012, sia escluso l'obbligo di lettura del dispositivo in udienza (tra altre, Cass. civ., sez. lav., 16 agosto 2018, n. 20749). Di conseguenza, deve ritenersi che sia compatibile la disciplina dell'art. 127-ter c.p.c. anche con il processo del lavoro e il suo modello decisorio tipico previsto dall'art. 429 c.p.c.

Una delle questioni più dibattute in giurisprudenza è quella delle conseguenze derivanti dal contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione. Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione fa conseguire la nullità della sentenza, da far valere con i normali mezzi di gravame. Sul punto la Cassazione, con la decisione Cass. civ., sez. lav., 22 agosto 2019, n. 21618, ha affermato che «Va rammentato in proposito che nel rito speciale del lavoro, in caso di contrasto tra motivazione e dispositivo, deve attribuirsi prevalenza a quest'ultimo che, acquistando pubblicità con la lettura in udienza, cristallizza stabilmente la decisione assunta nella fattispecie concreta, mentre le enunciazioni della motivazione incompatibili con il dispositivo devono considerarsi come non apposte ed inidonee a costituire giudicato (cfr. Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2002 n. 8912Cass. civ., sez. lav., 7 luglio 2003, n. 10653, Cass. civ., sez. lav., 18 giugno 2004, n. 11432). Tale insanabilità deve tuttavia escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda, inoltre, sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga; in tal caso è configurabile l'ipotesi legale del mero errore materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l'esperimento del relativo procedimento di correzione e, dall'altro, deve qualificarsi come inammissibile l'eventuale impugnazione diretta a far valere la nullità della sentenza asseritamente dipendente dal contrasto tra dispositivo e motivazione (cfr. Cass. civ., sez. lav., 18 giugno 2004, n. 11432 cit. e Cass. civ., sez. lav., 27 agosto 2007, n. 18090)».

Secondo un altro orientamento giurisprudenziale la divergenza tra dispositivo e motivazione fa conseguire la nullità della sentenza soltanto quando manca del tutto la coerenza tra il dispositivo e la motivazione e, in particolare, quando il dispositivo non sia in alcun modo interpretabile alla luce della motivazione depositata.

Altra questione dibattuta è quella del dispositivo che non contiene la liquidazione delle spese legali mentre in motivazione il giudice da conto del principio della soccombenza di una delle parti.

Secondo un primo orientamento la mancata liquidazione nel dispositivo costituirebbe, comunque, un motivo di impugnazione della sentenza, mentre secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità vi sarebbe un caso di errore materiale correggibile con il procedimento ex art. 287 ss. c.p.c. (vedasi, tra le tante, Cass. civ., sez. trib., 19 maggio 2021, n. 13584).

Conclusioni

La pronuncia della sentenza del processo del lavoro ha una sua “solennità” derivante dai principi di oralità e pubblicità.

Questi principi devono ritenersi attenuati, quantomeno per la decisione, quando il giudice decide di discutere la causa con le note difensive in sostituzione dell’udienza. L’immediatezza della lettura del dispositivo deve ritenersi, pur consapevole di un diverso orientamento giurisprudenziale e dottrinale, l’unico principio davvero inderogabile del processo del lavoro in quanto le parti hanno bisogno subito di conoscere l’esito del loro procedimento.

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