Legame affettivo di coppia, cessazione della convivenza di fatto e obbligazioni naturali
29 Gennaio 2025
Massima Le unioni di fatto sono un diffuso fenomeno sociale, che trova tutela nell'art. 2 Cost., e sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell'altro, che possono concretizzarsi in attività di assistenza materiale e di contribuzione economica prestata non solo nel corso del rapporto di convivenza, ma anche nel periodo successivo alla cessazione dello stesso e che possono configurarsi, avuto riguardo alla specificità del caso concreto, come adempimento di un'obbligazione naturale ai sensi dell'art. 2034 c.c., ove siano ricorrenti pure gli ulteriori requisiti della proporzionalità, spontaneità ed adeguatezza. Il vincolo solidaristico e affettivo che trae origine dalla pregressa unione di fatto trova rispondenza nel mutato contesto valoriale di riferimento e si pone in lineare rapporto con la valutazione corrente nella società, stante l'affermazione, progressivamente sempre più estesa, di una concezione pluralistica della famiglia. Il caso Nella fattispecie decisa dalla sentenza in epigrafe, a seguito della cessazione della relazione affettiva, la convivente more uxorio, in ragione del lungo e comune percorso di vita precedentemente intrapreso (da cui era nato anche un figlio), aveva provveduto a far fronte ai bisogni alimentari e alle necessità di assistenza (anche mediante la messa a disposizione di una casa) dell'altro, che evidentemente versava in stato di bisogno e difficoltà di salute; e, a sua volta, anche il figlio, quando la madre non era più in grado di sostenere l'ex compagno, aveva continuato a mantenere personalmente il padre. Ebbene, a fronte della domanda del figlio di ottenere dal fratello consanguineo il rimborso delle spese sostenute, la Corte di Appello di Milano stabiliva l'irripetibilità (derivante dalla natura dell'obbligazione, ricondotta nell'alveo dell'art. 2034 c.c.) di quelle corrisposte dalla madre (peraltro già beneficiaria di una donazione da parte dell'allora convivente) e il diritto alla restituzione pro quota delle restanti versate dall'istante, seppure con riferimento alle sole prestazioni relative ai contratti di spedalità (stante l'assenza di prova in ordine agli altri pagamenti). La questione La Corte di Cassazione, per quanto di interesse in questa sede, affronta due questioni, di cui la prima rappresenta l'inevitabile antecedente logico per risolvere la vera problematica oggetto del giudizio. Ed allora, il collegio giudicante si domanda preliminarmente: i doveri di natura morale e sociale caratterizzano anche le unioni di fatto, quali formazioni sociali che presentano significative analogie con la famiglia tradizionalmente intesa? E, in particolare, gli esborsi in costanza della convivenza di fatto possono configurare l'adempimento di una obbligazione naturale? Nel caso di specie, tuttavia, il fondamentale quesito da risolvere attiene alle attribuzioni economiche effettuate non nel corso della convivenza, bensì nella successiva fase della cessazione del rapporto familiare; ed allora la Corte, preso atto che nella giurisprudenza di legittimità non constano specifiche pronunce sul punto, affronta con estrema eleganza e mediante una sintetica ma dettagliata ricostruzione degli istituti giuridici e del sottostante contesto sociale, una questione del tutto nuova: il vincolo solidaristico e affettivo che trae origine dalla pregressa unione di fatto può (ed eventualmente entro quali limiti) concretizzarsi, anche una volta terminata la convivenza, in attività di assistenza materiale e di contribuzione economica che assumono i caratteri di un'obbligazione naturale ai sensi dell'art. 2034 c.c. ? Le soluzioni giuridiche La pronuncia in commento, innanzitutto, conferma come le unioni di fatto – presentando «significative analogie con la famiglia formatasi nell'ambito di un legame matrimoniale» – sono caratterizzate e permeate, durante la convivenza, da doveri di natura morale e sociale (Cass., sez. I, 13 giugno 2023, n. 16864), tali da poter assumere un carattere ben più cogente rispetto alla mera contribuzione legata al menage quotidiano (Cass., sez. I, 22 gennaio 2014, n. 1277). Ed invero, già da tempo, si riconosce come eventuali contribuzioni di un convivente all'altro debbano essere intese come adempimenti che la coscienza sociale ritiene doverosi nell'ambito di un consolidato rapporto affettivo il quale, quindi, non può non implicare manifestazioni di assistenza morale e materiale; la solidarietà fra persone unite da un legame intenso e duraturo, del resto, si esprime non di rado – oltre che nelle forme della «collaborazione domestica», di «aiuto occasionale al lavoro» e di «mutua assistenza» (cfr. Cass., sez. I, 25 gennaio 2016, n. 1266) – anche in rapporti di natura patrimoniale, in attribuzioni finanziarie, in dazioni di denaro o altri beni. Ne deriva che lo spontaneo adempimento di tali prestazioni configura una obbligazione naturale a cui consegue l'effetto della soluti retentio, così come previsto dall'art. 2034 c.c.; come noto, tuttavia, nell'esaminare la ricorrenza o meno di un adempimento effettuato in virtù di doveri sociali e morali, non può comunque prescindersi dal rapporto di proporzionalità fra i mezzi di cui l'adempiente dispone e l'interesse da soddisfare, dall'ambiente socio economico cui appartengono le parti, nonché da un esame della concreta situazione in cui le attribuzioni risultano effettuate (Cass., sez. II, 13 marzo 2003, n. 3713). Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, «il riferimento ad esigenze di tipo solidaristico non è di per sé sufficiente a prefigurare una giusta causa dello spostamento patrimoniale, giacché ai fini dell'art. 2034 c.c., comma 1, occorre allegare e dimostrare non solo l'esistenza di un dovere morale o sociale in rapporto alla valutazione corrente nella società, ma anche che tale dovere sia stato spontaneamente adempiuto con una prestazione avente carattere di proporzionalità e adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso» (Cass., sez. III, 15 maggio 2009, n. 11330; Cass., sez. II, 30 settembre 2016, n. 19578; Cass., sez. VI, 01 luglio 2021, n. 18721; Trib. Roma, sez. XVII, 04 gennaio 2021, n. 59; Trib. Milano, sez. V, 25 gennaio 2019, n. 759). Viceversa, laddove emergano prestazioni da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell'altro che esulano dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza o che travalicano i limiti di proporzionalità e di adeguatezza, si configurerebbe un ingiustificato arricchimento con possibilità di proporre il relativo rimedio giudiziale (Cass., sez. III, 15 maggio 2009, n. 11330; Cass., sez. III, 22 settembre 2015, n. 18632; Cass., sez. VI, 15 febbraio 2019, n. 4659; Cass., sez. III, 03 febbraio 2020, n. 2392). Così impostato il discorso, il fondamentale tema di indagine riguarda, come anticipato, le attribuzioni e pagamenti avvenuti – per molto tempo (circa tre lustri) – non già in costanza della convivenza di fatto, ma nella successiva fase cui il rapporto era ormai cessato. Ci si deve pertanto domandare se – avuto riguardo alla specificità del caso concreto (vale a dire attraverso un attento esame di tutti gli elementi fattuali), osservato «in rapporto alla valutazione corrente nella società» – possa dirsi sussistente e meritevole di tutela, anche nel periodo successivo alla cessazione della convivenza more uxorio, un dovere sociale o morale di solidarietà di un individuo nei confronti dell'altro (Cass., sez. I, 2 gennaio 2025, n. 28). Ebbene, come noto, l'attuale realtà sociale restituisce l'immagine di una «pluralità di modelli familiari socialmente tipizzati e giuridicamente tutelati»: M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, Padova, 2023, p. 6), tra cui rientrano senz'altro le convivenze di fatto, quali «formazioni sociali di cui all'art. 2 Cost., all'interno delle quali l'individuo afferma e sviluppa la propria personalità» (Corte Cost., 25 luglio 2024, n. 148; Corte Cost., 27 dicembre 2022, n. 269; Corte Cost., 11 giugno 2014, n. 170; Corte Cost., 15 aprile 2010, n. 138). Ed invero, alla famiglia fondata sul matrimonio, radicata nella tradizione, si affiancano da sempre forme variamente denominate di convivenza. Eppure, nel tempo, si è assistito ad un ulteriore e lento cambiamento, ad un passaggio dall'unico modello familiare – quello codicistico fondato sul matrimonio, e di cui è certamente espressione anche l'art. 29 Cost. (Corte Cost., 22 aprile 2024, n. 66) – al riconoscimento della molteplicità degli stessi (E. Gabrielli, Diritto privato, Torino, 2020, p. 157), reso possibile proprio dalla svolta giunta con l'avvento della Costituzione e, specialmente, dalla previsione e protezione offerta alle varie formazioni sociali. Punto cardine e ruolo fondamentale di questa evoluzione, riflesso dello sviluppo socio-culturale dell'ordinamento (come sembrerebbe evincersi dalla terminologia di volta in volta utilizzata, che altro non rappresenta se non una evoluzione di valori: concubinato, convivenza more uxorio e famiglia di fatto), è rappresentato sul piano del diritto interno dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, della Corte di Cassazione e della Corte EDU, ai cui impulsi ha fatto seguito, come noto, la legge 20 maggio 2016, n. 76 (M. Dogliotti, Dal concubinato alle unioni civili e alle convivenze (o famiglie?) di fatto, in Fam. dir., n. 10/2016, p. 868), la quale ha introdotto l'unione civile tra persone dello stesso sesso e, per quanto di interesse in questa sede, dettato regole in materia di convivenza di fatto. Allo stato, dunque, «la convivenza more uxorio costituisce un rapporto ormai entrato nell'uso ed è comunemente accettato, accanto a quello fondato sul vincolo coniugale» ed anzi risulta la «moltiplicazione delle unioni libere, che ormai sopravanzano, in numero, le famiglie fondate sul matrimonio» (Corte Cost., 25 luglio 2024, n. 148). Ecco che, pur essendo sempre ribadita (anche in ragione del distinto fondamento costituzionale) «la diversità tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio» e, conseguentemente, il «differente trattamento normativo tra i due casi», ciononostante si possono riscontrare «caratteristiche tanto comuni da rendere necessaria una identità di disciplina» (Corte Cost., 25 luglio 2024, n. 148), come dimostrato per un verso da taluni specifici e settoriali interventi normativi e per altro verso dal giudice delle leggi e dalla giurisprudenza di merito e di legittimità. La convivenza di fatto, basata, tra l'altro, su «legami affettivi di coppia» (cfr. art. 1, comma 36, legge 20 maggio 2016, n. 76), si sostanzia del resto nella «formazione di un nuovo progetto di vita» (Cass., sez. un., 5 novembre 2021, n. 32198), caratterizzato da facoltà già riconosciute ai conviventi (per i rapporti personali, cfr. art. 1, commi 38, 39, 40, 41, 47 e 48; per i rapporti patrimoniali, cfr. art, 1, commi 44, 45 e 49) ovvero da particolari forme di tutela (quali il diritto del convivente di continuare ad abitare, per un periodo comunque non superiore ai cinque anni nella casa di comune residenza e di proprietà dell'altro dopo la sua morte, ed il diritto agli alimenti in caso di cessazione della convivenza, rispettivamente previsti dall'art. 1, comma 42 e comma 65). Al riguardo, si è poi detto che – nell'attuale sistema normativo – restano affidati alla spontaneità dei comportamenti tutti quegli aspetti che caratterizzano la gestione delle esigenze della coppia, quali la coabitazione, la collaborazione, la contribuzione ai bisogni comuni, l'assistenza morale e materiale, la determinazione dell'indirizzo familiare e la fedeltà, nonché la durata della relazione. Si tratta, in definitiva, di un progetto di vita dal quale possono derivare, finché permanga la convivenza, «contribuzioni economiche che non rilevano più per l'ordinamento solo quale adempimento di un'obbligazione naturale, ma costituiscono … anche l'adempimento di un reciproco e garantito dovere di assistenza morale e materiale» (Cass., sez. un., 5 novembre 2021, n. 32198); un progetto di vita, ancora, che rispondendo alle esigenze di realizzazione dei fondamentali bisogni affettivi della persona – così come innestati nell'attuale contesto valoriale – si pone come fonte di obblighi di solidarietà morale e materiale anche a seguito della cessazione della convivenza. Al fine di poter giungere ad una corretta qualificazione di tali doveri come obbligazioni naturali, il giurista, però, non può prescindere né dagli altri requisiti normativamente richiesti dall'art. 2034 c.c. (vale a dire spontaneità, adeguatezza e proporzionalità) né da una valutazione della specificità del caso concreto. Da quest'ultimo angolo visuale la pronuncia ha cura di sottolineare come i conviventi fossero legati da «un lungo percorso di vita insieme» e che nonostante la cessazione del convivenza more uxorio, non era venuto meno il « legame di affetto », come dimostrato – pure in assenza di un qualsiasi obbligo giuridico – dalla messa a disposizione di una casa e dal pagamento di talune spese di cui, tra l'altro, non sarebbe mai stato chiesto il rimborso; tale circostanza fattuale, in particolare, avrebbe denotato, da parte del solvens, «la volontà e la consapevolezza di adempiere ad un obbligo morale» verso una persona con cui «vi era stata condivisione di anni di vita comune, cementata dalla nascita di un figlio» e che aveva avuto sicuramente «un ruolo importante nella sua vita» (Cass., sez. I, 2 gennaio 2025, n. 28). Il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, allora, merita una particolare attenzione in quanto fotografa compiutamente un peculiare aspetto delle relazioni familiari, fornendo una adeguata chiave di lettura ad una questione che si presenta in termini del tutto nuovi: «Le unioni di fatto sono un diffuso fenomeno sociale, che trova tutela nell'art. 2 Cost., e sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell'altro, che possono concretizzarsi in attività di assistenza materiale e di contribuzione economica prestata non solo nel corso del rapporto di convivenza, ma anche nel periodo successivo alla cessazione dello stesso e che possono configurarsi, avuto riguardo alla specificità del caso concreto, come adempimento di un'obbligazione naturale ai sensi dell'art. 2034 c.c., ove siano ricorrenti pure gli ulteriori requisiti della proporzionalità, spontaneità ed adeguatezza. Il vincolo solidaristico e affettivo che trae origine dalla pregressa unione di fatto trova rispondenza nel mutato contesto valoriale di riferimento e si pone in lineare rapporto con la valutazione corrente nella società, stante l'affermazione, progressivamente sempre più estesa, di una concezione pluralistica della famiglia» (Cass., sez. I, 2 gennaio 2025, n. 28). Osservazioni La principale tematica affrontata dalla decisione in commento sembrerebbe trovare – mutatis mutandis – una seppur labile conferma in una risalente pronuncia in un cui si sostenne che «nelle attribuzioni patrimoniali fatte dall'uomo alla donna in occasione della cessazione di un rapporto amoroso su base affettiva può ravvisarsi l'adempimento di un'obbligazione naturale» (Cass., sez. III, 20 gennaio 1989, n. 285). Con un ulteriore balzo nel passato, il giurista è poi chiamato a confrontarsi con quanti, pur con la peculiare cultura, stile argomentativo e linguaggio tipico del tempo, ritenevano che è «conforme all'ordine morale» che dalla instaurazione di un legame sentimentale (non matrimoniale) «scaturisca un dovere di coscienza, il quale comporta che, per lo meno nella sfera economica e materiale, l'uomo sia tenuto a non venir meno all'impegno assunto, e, qualora si sia determinato a rompere la relazione, debba pur sempre provvedere all'avvenire della donna, assicurandole adeguati mezzi di sussistenza» (Cass., sez. I, 15 gennaio 1969, n. 60). Il tema di indagine, in altre pronunce, si faceva ancor più delicato, in quanto toccava e si intrecciava – sempre avuto riguardo al momento storico in cui le fattispecie erano ambientate e venivano decise – con «un affidamento di tranquillità economica» della donna generato dalla relazione extraconiugale, onde si affermava che «non sembra … potersi contestare, secondo i principi etici che formano la coscienza comune, che sussista come obbligo morale il dovere di riparare il danno derivante alla donna dalla convivenza more uxorio» (Cass., sez. II, 17 gennaio 1958, n. 84). Per concludere, allora, deve osservarsi come, rispetto al sentire dell'epoca, nel mutato contesto valoriale di riferimento, si assiste alla affermazione di una concezione pluralistica della famiglia e alla tutela dell'unione di fatto, a cui non potrebbe che corrispondere – in forza di un «vincolo solidaristico e affettivo» (Cass., sez. I, 2 gennaio 2025, n. 28) identificabile nella «communio omnis vitae attraverso l'affectio nella sua oggettiva evidenziazione» (A. Falzea, Problemi attuali della famiglia di fatto, in Aa.Vv., Una legislazione per la famiglia di fatto, Napoli, 1988, p. 51 ss) – l'emersione dei doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell'altro, tanto nella fase del rapporto quanto in quella successiva ed eventuale del suo scioglimento. Potrebbe interessarti |