Deduzioni istruttorieFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 183
14 Luglio 2023
Inquadramento
Una delle più rilevanti modifiche apportate al rito processualcivilistico di primo grado da parte del D.Lgs. n. 149/2022, cd. riforma Cartabia, è certamente quella della riparametrazione delle modalità e dei termini di formulazione delle deduzioni istruttorie. Come noto, il sistema, articolato in una struttura processuale per fasi che non ammette la regressione del procedimento salva l'eccezione di cui all'articolo 153 c.p.c., era da anni assestato sulla disciplina codificata dall'articolo 183 comma 6 c.p.c., che prevedeva, all'esito della prima udienza di comparizione davanti al giudice e con decorrenza dall'udienza stessa, la concessione di tre termini istruttori perentori, indicati dalla norma con i numeri 1, 2 e 3, rispettivamente di trenta, trenta e venti giorni. in particolare, il primo di tali tre termini era deputato alla “precisazione o modificazione delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte”; il secondo era finalizzato sia a “replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime”, sia alla “indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali”; il terzo era relativo alle “indicazioni di prova contraria”. La riforma abroga, ex aliis, l'articolo 183 comma 6 c.p.c., ed introduce l'articolo 171 ter c.p.c., il quale dispone che, dopo il deposito degli atti introduttivi e dopo che il giudice abbia proceduto alle verifiche preliminari di cui all'articolo 171 bis c.p.c. (ora svolte in assenza di contraddittorio con le parti) ed a confermare o differire l'udienza di comparizione fissata in citazione, le parti stesse possano depositare tre memorie istruttorie rispettivamente almeno quaranta, venti e dieci giorni prima dell'udienza di comparizione. Essendo il previgente meccanismo della concessione dei termini ex articolo 183 comma 6 c.p.c. da anni perfettamente ‘metabolizzato' da tutti gli addetti ai lavori, l'analisi del nuovo assetto può essere effettuata muovendo dalla situazione pregressa e verificando quali sono le novità introdotte, quali le problematiche nuove che sorgono, quali i princìpi che vanno ribaditi. Sono fondamentalmente tre le novità introdotte in tema di deduzioni istruttorie: una strutturale, relativa alla modalità di concessione dei nuovi tre termini; una procedurale, relativa alla loro obbligatorietà; una sostanziale, relativa al contenuto delle memorie. Sotto il primo profilo, che possiamo chiamare strutturale, viene abbandonato il sistema precedente (in realtà molto più ragionevole, ad avviso di chi scrive) della concessione dei tre termini istruttori nel contraddittorio con le parti, all'esito della prima udienza e con decorrenza dall'udienza stessa; prevedendo invece la concessione dei termini in assenza di contraddittorio, prima della comparizione delle parti davanti al giudice e calcolati a ritroso rispetto alla successiva udienza di prima comparizione, così anticipando rispetto alla prima udienza sia le attività dell'Ufficio relative alle verifiche preliminari, sia la definizione del thema decidendum e del thema probandum ad opera delle parti, sulla falsariga di quanto prevedeva l'abrogato e mai rimpianto rito societario. Pertanto: mentre nel previgente sistema il giudice, dopo il primo incontro con le parti, concedeva in udienza i termini di trenta, più trenta e più venti, per redigere le memorie ex articolo 183 comma 6 c.p.c. numero 1, 2 e 3, rinviando per ammissione a udienza successiva; ora invece, prima ancora di incontrare le parti, sono concessi i termini fino a quaranta, venti e dieci giorni anteriormente all'udienza di comparizione. Sotto il secondo profilo, che possiamo chiamare procedurale, non è ora più revocabile in dubbio che la concessione dei termini sia obbligatoria e senza necessità di istanza delle parti, attesa l'inequivoca dizione dell'articolo 171-bis comma 2 c.p.c., a tenore del quale dalla udienza di comparizione indicata in citazione o modificata dal giudice, “decorrono i termini indicati dall'articolo 171-ter c.p.c.” a ritroso. Deve pertanto intendersi superato il precedente orientamento di legittimità, che in relazione all'abrogato articolo 183 comma 6 c.p.c., valorizzando la previsione dell'articolo 80-bis disp. att. c.p.c. in ordine alla possibilità di fissare precisazione delle conclusioni sin dalla prima udienza, aveva ritenuto la concessione dei termini istruttori non obbligatoria, pur a seguito di richiesta delle parti, appalesandosi la concessione come inutile appendice laddove si debba decidere su questioni pregiudiziali quali, tra le altre ed a mero titolo esemplificativo, il difetto di giurisdizione, il difetto di competenza, l'improcedibilità della domanda, la sua inammissibilità per tardività et similia (cfr. Cass. civ., Sez. VI-I, ord. 30 marzo 2017 n. 8287; Cass. civ., Sez. I, 23 marzo 2017 n. 7474; Cass. civ., Sez. III, 11 marzo 2016 n. 4767). Sotto il terzo profilo, che possiamo chiamare sostanziale, può ritenersi che il primo dei nuovi tre termini sia di contenuto più ampio rispetto al precedente termine ex articolo 183 comma 6 n. 1 c.p.c., atteso che in tale nuovo primo termine la parte dovrà non solo “precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte” (così come in precedenza); ma anche “proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo”, e, nel caso dell'attore, “chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l'esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta” (ciò che prima doveva invece, a pena di decadenza, essere fatto in precedenza e già all'udienza di prima comparizione, ai sensi dell'articolo 183 comma 5 c.p.c. ratione temporis vigente). Pertanto, la chiamata del terzo ad opera dell'attore e la reconventio reconventionis, che andavano formulate in udienza di comparizione e quindi antecedentemente alla concessione dei termini istruttori, ora vanno formulate nella prima memoria istruttoria; e ciò rende di fatto irrilevante l'annosa distinzione tra mutatio ed emendatio libelli, particolarmente complessa e delicata essendo a sua volta parametrata sulla distinzione tra diritti autodeterminati ed eterodeterminati, in base alla quale la giurisprudenza individuava il termine ultimo per la rimodulazione delle domande a verbale d'udienza ex articolo 183 comma 5 c.p.c. o nella prima memoria ex articolo 183 comma 6 c.p.c. del vecchio rito. Vi è invece sostanziale coincidenza tra il nuovo secondo termine ed il vecchio secondo termine, essendo la memoria rivolta a “replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove da queste formulate nella memoria di cui al numero uno, nonché indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali”. Parimenti sostanzialmente invariata è la funzione del terzo termine, grazie al quale è possibile “replicare alle eccezioni nuove e indicare la prova contraria”. Il sistema processuale di nuovo conio si presenta come appesantito già con riferimento alle cause più lineari: basta infatti pensare al fatto che, mentre prima della riforma l'udienza di prima comparizione era a (almeno) novanta giorni dalla notifica e le parti al momento della comparizione avevano depositato un atto ciascuno, e cioè citazione e comparsa di risposta; dopo la riforma l'udienza di prima comparizione è a (almeno) centoventi giorni dalla notifica ed al momento della comparizione sul tavolo del giudice ci sono già ben otto atti processuali, cioè i due introduttivi e le tre memorie per ciascuna parte. Il sistema diviene poi quasi ingovernabile nel caso di autorizzazione alla chiamata in causa del terzo ad opera dell'attore, evento certamente non frequente ma invero neppure remoto. In precedenza, infatti, la chiamata doveva essere autorizzata dal giudice prima della concessione dei termini istruttori e nell'ambito della udienza di comparizione ai sensi dell'articolo 183 comma 5 c.p.c. ratione temporis vigente, con la ragionevole conseguenza che, solo dopo la costituzione del terzo ed una volta instaurato il contraddittorio con tutte le parti processuali, venivano concessi i termini istruttori decorrenti dal medesimo momento per tutte le parti costituite. Ora invece, essendo la prima udienza antecedente alla concessione dei termini istruttori, dovendo l'attore formulare istanza di chiamata del terzo nella prima memoria ex articolo 171-ter c.p.c. e dovendo il giudice decidere sulla istanza alla prima udienza dopo il deposito di tutte le memorie istruttorie ed a valle delle stesse, e non già a monte delle stesse come nel caso di chiamata del terzo ad opera del convenuto in comparsa di risposta, laddove la chiamata sia autorizzata ex articolo 183 comma 2 c.p.c., non solo il giudice dovrà differire l'udienza di (almeno) altri centoventi giorni per consentire la costituzione del terzo; ma il terzo depositerà le memorie istruttorie in un momento successivo al loro deposito ad opera delle parti originarie, con la conseguenza che dette memorie saranno concesse in tempi sfalsati per le singole parti processuali. E d'altronde, una volta autorizzata la chiamata del terzo e differita l'udienza, a seguito della costituzione del terzo e per la tutela del contraddittorio, è doveroso intendere la concessione dei nuovi termini istruttori come a favore di tutte le parti processuali e quindi anche del convenuto, non solo del terzo e dell'attore, con la conseguenza che per le parti originarie il processo non avanza ma retrocede; dovendo però tenere presente che tra attore e convenuto le preclusioni maturate a seguito della prima concessione dei tre termini istruttori non possono essere scardinate, e la seconda concessione dei termini istruttori gioverà alle parti originarie solo con riferimento ai rapporti processuali col terzo. Quindi, nel caso di autorizzazione alla chiamata del terzo da parte dell'attore, si avrà la seguente situazione: la prima udienza a (almeno) centoventi giorni dalla citazione sarà di mero rinvio, pur se prima della stessa risulteranno già depositati otto atti processuali; la seconda udienza sarà a (almeno) centoventi giorni dalla prima, quindi duecentoquaranta dalla citazione, di fatto ragionevolmente nove-dieci mesi tenendo conto di prudenziali tempi di notifica; in tale seconda udienza saranno già stati depositati un totale di diciannove atti (gli otto iniziali, la citazione del terzo e la costituzione del terzo, tre memorie istruttorie per ciascuna delle tre parti processuali), ed il giudice dovrà altresì tenere conto che il contenuto delle ultime nove memorie istruttorie sarà diverso ed a geometria variabile, nel senso che le parti originarie nei rapporti tra di loro non potranno superare le preclusioni già maturate, mentre il terzo chiamato non incontrerà preclusioni anteriormente alla concessione dei termini a suo favore. Nel caso poi di richiesta del terzo di evocare a sua volta in giudizio un'altra parte processuale, evento anch'esso ben possibile essendo note le cause con cd. chiamate a catena, ad esempio in tema di appalti o sinistri stradali, davvero il sistema sfuggirebbe dal controllo: il doppio salto d'udienza porterà infatti ad una prima comparizione distante ben oltre l'anno dalla notifica della citazione originaria, con trentatre atti processuali già depositati al momento dell'interrogatorio libero delle parti (oltre ai precedenti diciannove già indicati, una nuova citazione, una nuova comparsa di costituzione, tre memorie istruttorie per ciascuna delle quattro parti processuali) e con la necessità di tenere conto che le memorie istruttorie hanno diverso contenuto, funzioni e preclusioni, per le diverse parti processuali ed in relazione al loro momento di ingresso nel processo. L'unica possibilità di porre un quantomeno parziale rimedio a tale ginepraio inestricabile è quella, certamente non agevole sotto il profilo dell'esegesi del dato normativo ma altrettanto certamente di buon senso, di un provvedimento del giudice che arresti lo scambio delle memorie nel caso di istanza di chiamata del terzo da parte dell'attore nella prima memoria, per poi provvedere sull'istanza e, in ipotesi di autorizzazione, fissare subito una nuova udienza sulla quale parametrare la costituzione del terzo e il deposito delle memorie integrative. Detto delle tre modifiche sopra indicate e dei problemi derivanti dalla chiamata del terzo da parte dell'attore, si ritiene che per il resto, pur a seguito della modifica normativa, vadano confermati gli approdi interpretativi cui già era giunta la giurisprudenza in tema di deduzioni istruttorie. Pertanto e da una prima angolazione, fermo restando che l'unico mezzo istruttorio nella disponibilità delle parti che sfugge al regime delle preclusioni è il giuramento decisorio ex art. 233 c.p.c., potendo esso essere deferito “in qualunque stato della causa”, va ribadito che non vi sono preclusioni già in un momento precedente alla decorrenza dei termini istruttori, nonostante gli artt. 163 n. 5 e 167 c.p.c. prevedano come contenuto necessario della citazione e della comparsa di risposta l'indicazione specifica dei mezzi di prova. In realtà, poiché i citati articoli non individuano alcuna sanzione in caso di violazione del precetto, con la conseguenza che la funzione dell'obbligo deve ritenersi meramente conformativa e comminare una decadenza istruttoria comporterebbe quindi una inammissibile introduzione di una preclusione non prevista dalla legge; e poiché nel rito ordinario la scelta normativa è quella di una chiara distinzione tra fase preparatoria ed istruttoria; consegue che non può imporsi alle parti, come nel rito del lavoro ove invece vi è coincidenza tra le due fasi, di fissare il thema probandum prima che sia fissato il thema decidendum. Discende che, nei limiti di quanto tempestivamente dedotto prima dello spirare delle preclusioni assertive di cui alla prima memoria, la parte nella seconda memoria istruttoria può formulare prove relative a qualsiasi circostanza, senza che sia necessario avere proposto richieste istruttorie sin dall'atto introduttivo e senza che l'esigenza della prova derivi da difese avversarie successive all'atto introduttivo (giurisprudenza consolidata sin da Cass. civ., Sez. III, 27 novembre 2003, n. 18150). Da una seconda angolazione poi, va data continuità all'orientamento per cui i termini istruttori valgono non solo per le prove testimoniali, ma anche per i documenti, non essendovi spazio per un trattamento differenziato tra prove costituende e prove costitute, soggiacendo entrambe alle medesime preclusioni temporali in ragione dell'inequivoco dato letterale normativo (per la pacifica giurisprudenza, cfr. la datata ma mai disattesa Cass. civ., Sez. III, 19 novembre 2009, n. 24422, che conferma l'insegnamento della precedente Cass. civ., Sez. I, 19 marzo 2004, n. 5539; cfr. altresì Corte cost., 28 luglio 2000 n. 401, che ha dichiarato non illegittima la scelta legislativa di considerare inammissibile la produzione di documenti dopo la concessione dei termini istruttori); e ciò è coerente anche con la disciplina dell'appello, atteso che il vigente articolo 345 comma 3 c.p.c., al di là della possibilità di rimessione in termini, preclude la possibilità sia di ammettere nuovi mezzi di prova, sia di produrre documenti, di talché è ora concentrata nell'ambito del giudizio di primo grado, entro i relativi termini preclusivi, l'acquisizione di tutte le risultanze probatorie rilevanti. Alla luce di ciò, l'unica differenza di disciplina che residua tra prove costituende e prove precostituite, è che solo per le prime si ha un giudizio di ammissibilità e rilevanza ai fini della loro ammissione; i documenti, invece, potranno trovare comunque ingresso nel fascicolo, se prodotti ritualmente ex artt. 74 o 87 disp. att. c.p.c., fatta però salva ogni valutazione da parte del giudice ai fini della loro inutilizzabilità per la non tempestiva produzione, ma senza possibilità di espunzione o di divieto di produzione. Solo nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo è ammesso il deposito dei documenti allegati al ricorso monitorio anche dopo lo spirare dei termini assegnati dal giudice per le produzioni documentali, ma ciò perché tali documenti, essendo già esposti al contraddittorio delle parti, non possono essere qualificati come ‘nuovi' nei successivi sviluppi del processo (cfr. Cass.,Sez. Un.,10 luglio 2015, n. 14475; Cass. civ., Sez. II, 4 aprile 2017, n. 8693; Cass. civ., Sez. VI-I, 31 luglio 2019, n. 20584).
Da una terza angolazione, deve confermarsi che l'espressione “prova contraria” utilizzata per il terzo termine si riferisce a qualunque prova, costituenda o costituita che sia: conseguentemente, è possibile fornire detta prova sia con testimoni sia con documenti, e la prova contraria può essere richiesta con riferimento a tutte le prove ex adverso in precedenza richieste, e non solo a quelle formulate nella precedente memoria istruttoria (così già Cass. civ., Sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2656). Ovviamente poi, è ben possibile instare tanto per la prova contraria diretta, cd. controprova, avente cioè un contenuto specularmene opposto alla prova indicata da controparte e relativa agli stessi fatti ex adverso indicati, normalmente consistente nell'indicazione, anche sui capi avversari, dei propri testi dedotti in prova diretta; quanto per la prova contraria indiretta, avente cioè ad oggetto fatti diversi pur se incompatibili con i fatti dedotti da controparte, e finalizzata quindi a negare in tal modo gli assunti avversari provando circostanze logicamente contrarie. Infine, e da una quarta angolazione, va riaffermata la tesi per cui, nel caso di richiesta di prova testimoniale, i termini istruttori riguardano non solo la formulazione del capitolo di prova, ma anche l'indicazione del teste da escutere. Infatti, nessun elemento letterale della norma codicistica autorizza l'illazione che vi possa essere una scissione tra il momento temporale in cui deve essere indicato il capitolo di prova e quello in cui deve essere indicato il nominativo del teste; ed anzi, l'avvenuta abrogazione sin dalla legge n. 353/1990 del terzo comma dell'art. 244 c.p.c., che consentiva al giudice la possibilità di assegnare un termine alle parti per formulare o integrare l'indicazione delle persone da interrogare, evidenzia inequivocabilmente la voluntas legis di non rendere possibile un'indicazione dei testimoni successiva allo spirare delle preclusioni istruttorie (giurisprudenza consolidata sin da Cass. civ., Sez. III, 16 giugno 2005, n. 12959; più di recente, cfr. Cass. civ., Sez. III, 9 giugno 2016, n. 11790). Peraltro, la regola che prescrive l'indicazione nominativa va coordinata con il principio della nullità a rilevanza variabile posto dall'art. 156 comma 3 c.p.c., di talché non può essere pronunciata la nullità, stante il raggiungimento dello scopo, se il teste, pur se indicato con dati erronei od incompleti, è comunque identificabile (Cass. civ., Sez. II, 20 novembre 2013, n. 26058). Le conclusioni sopra tracciate in ordine alla necessaria indicazione dei nominativi dei testimoni prima dello spirare delle preclusioni istruttorie, non sono seguite dalla giurisprudenza con riferimento al rito del lavoro, ove si ritiene possibile l'indicazione dei nominativi anche dopo le preclusioni poste per gli atti introduttivi dagli articoli 414 n. 5 e 416 comma 3 c.p.c. In particolare, risolvendo il contrasto sul punto, già Cass. civ., Sez. Un., 13 gennaio 1997, n. 262, aveva statuito che, in caso di deduzione nel ricorso introduttivo dei capi di prova testimoniale senza l'indicazione dei testi, essi possono essere successivamente indicati ex art. 421 comma 1 c.p.c. nei termini indicati dal giudice per sanare l'irregolarità, termini perentori che se violati comportano la decadenza dal diritto di assumere la prova; e la posizione è stata seguita dalla quasi totalità della giurisprudenza successiva (più di recente, cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 25 giugno 2020, n. 12573). Una delle pochissime pronunce di segno contrario, ad avviso di chi scrive condivisibile, è quella di Cass. civ., Sez. III, 14 marzo 2014, n. 5950, in fattispecie in cui s'applicava il rito del lavoroex art. 447-bis c.p.c. in materia non lavoristica, che ha ritenuto come pure nel rito del lavoro l'indicazione dei testimoni vada fatta prima dello spirare delle preclusioni istruttorie. Il presupposto della ricostruzione seguita dalla tesi largamente maggioritaria, è infatti che il ‘mezzo di prova' di cui agli articoli 414 n. 5 e 416 comma 3 c.p.c. sia identificato solo sotto il profilo oggettivo della formulazione del capitolo, mentre l'indicazione del testimone non integra un profilo costitutivo della nozione di ‘mezzo di prova', ma è un elemento ad essa esterno, che ha la mera funzione di consentire al giudice di ridurre le liste sovrabbondanti, di porre in condizione la controparte di eccepire eventuali incapacità, di concedere ai testi la possibilità di venire a sapere su quali circostanze saranno chiamati a rispondere; con la conseguenza che la mancata indicazione del teste sarebbe una mera irregolarità, come tale sanabile. In realtà, può ribattersi che è proprio il presupposto logico alla base di tale conclusione ad essere inappagante, atteso che appare preferibile intendere la nozione di ‘mezzo di prova' come integrata sia da un requisito oggettivo (il capitolo), sia da un requisito soggettivo (il teste chiamato alla conferma), così come discende dalla lettura dell'art. 244 c.p.c., a tenore del quale “la prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata”; con la conseguenza che, così opinando, il capitolo privo dell'indicazione del teste, risulterebbe un ‘mezzo di prova' non già solo incompleto e quindi irregolare, ma addirittura inesistente, e quindi non sanabile. In ogni caso, pur prescindendo da ogni valutazione circa la condivisibilità o meno della soluzione prescelta dalla Suprema Corte, non può che essere evidenziato il fatto che la possibilità della tardiva indicazione dei testi è stata rinvenuta in una norma tutta interna al rito del lavoro, quale l'art. 421 c.p.c., ed estranea quindi al rito ordinario: corollario di tale assunto è che non appare comunque possibile applicare in via analogica al rito ordinario il percorso logico seguito dalla Cassazione nell'ambito del rito del lavoro.
Riferimenti
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