Non esiste il “diritto a non nascere” se non sani
14 Febbraio 2025
I genitori di una bambina disabile, in rappresentanza della stessa allora minorenne, convenivano in giudizio l'ASL di Brindisi e le eredi del medico Caio, nonché UNIPOLSAI Assicurazioni spa con funzione di manleva, chiedendo la condanna (delle eredi) del dottore al risarcimento dei danni derivati da inadeguata e negligente prestazione professionale durante la gravidanza della madre, poiché il professionista, non avvedendosi delle gravi malformazioni congenite che la nascitura presentava, non consentiva alla madre, ove opportunamente informata, di valutare se procedere o meno all'interruzione della gravidanza, cagionando alla bambina quindi il danno per la sua nascita indesiderata e la lesione del diritto a nascere sana. Il Tribunale di Brindisi, pur riconoscendo la censurabilità dell'operato del sanitario e la sua responsabilità nei confronti dei genitori del nato, rigettava la domanda ravvisando un difetto di legittimazione dell'attore ad agire, non potendosi configurare in capo al figlio un danno da nascita indesiderata. I genitori appellavano la sentenza, ma la Corte territoriale confermava integralmente la decisione resa in prime cure. La figlia dei due, divenuta maggiorenne, impugnava in Cassazione. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso in quanto inammissibile, poiché da consolidato orientamento giurisprudenziale è esclusa la possibilità di riconoscere un pregiudizio biologico e relazionale in capo al figlio, essendo per lui l'alternativa quella di non nascere, inconfigurabile come diritto in sé, neppure sotto il profilo dell'interesse ad avere un ambiente familiare preparato ad accoglierlo (Cass. civ., sez. un., 22 dicembre 2015, n. 25767). Infatti, il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno consistente nella sua stessa condizione, giacché l'ordinamento non conosce il «diritto a non nascere se non sano», né la vita del nato può integrare un danno-conseguenza dell'illecito del medico (Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2020, n. 26426). Ancora, la Cassazione, in sentenza, ha richiamato Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2017 n. 9251 ha sostenuto che «la ragione di danno da valutare sotto il profilo dell'inserimento del nato in un ambiente familiare nella migliore delle ipotesi non preparato ad accoglierlo» rivela sostanzialmente quale mero «mimetismo verbale del c.d. diritto a non nascere se non sani», andando pertanto «incontro alla... obiezione dell'incomparabilità della sofferenza, anche da mancanza di amore familiare, con l'unica alternativa ipotizzabile, rappresentata dall'interruzione della gravidanza», non essendo d'altro canto possibile stabilire un "nesso causale" tra la condotta colposa del medico e le «sofferenze psicofisiche cui il figlio è destinato nel corso della sua vita» (cfr. Cass. civ. sez. un., 22 dicembre 2015, n. 25767 cit.). Dopo aver dato atto, dunque, dell'unanime orientamento giurisprudenziale, la Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile e ha condannato la ricorrente alle spese. |