Lesione del diritto e nascere sani (danni da)
26 Luglio 2016
Inquadramento La questione relativa al danno da lesione del diritto a nascere sani si colloca all'interno del più ampio ambito del danno da nascita indesiderata e riguarda la legittimazione attiva del nato malformato a richiedere il risarcimento del danno subito iure proprio a causa della errata informazione del medico che ha impedito alla madre di esercitare il diritto all'aborto. Per quanto riguarda i presupposti del danno da nascita indesiderata dai quali discende il diritto dei soggetti legittimati a richiedere il risarcimento del danno, si rinvia a Il danno da nascita indesiderata in Ri.Da.Re., limitandosi nella presente trattazione a dare per scontata la presenza dei requisiti che la L. n. 194/1978 e la giurisprudenza prevedono per ritenere fondata l'ipotesi di nascita indesiderata, analizzando invece la specifica questione se il nato malformato abbia o meno legittimazione a richiedere il risarcimento del danno subito iure proprio. Tradizionalmente la giurisprudenza esclude il diritto del nato malformato a richiedere il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata informazione data alla madre sulle sue condizioni di salute, poiché il nostro ordinamento non contempla il diritto a nascere se non sani (principio per la prima volta affermato da Trib. Roma, 13 dicembre 1994, in Dir. famiglia, 1995, pag. 662 e successivamente ribadito da Cass. 14488/2004 e da Cass. 16123/2006). Il diritto a non nascere, che coinvolge anche questioni di certo valore etico, morale e religioso, non esiste in quanto si ritiene essere adespota, cioè senza titolare, poiché, ai sensi dell'art. 1 c.c., i diritti si acquisiscono solo dopo la nascita e quello di non nascere non può essere certamente esercitato da un soggetto che non è ancora venuto al mondo mentre una volta nato, tale diritto ormai è venuto meno. Tra l'altro si conviene sul fatto che il venire al mondo non può essere considerato un danno in sé, qualunque sia la qualità dell'esistenza. Si ritiene infatti che non sia concepibile, per la contraddizione che non lo consente, l'esistenza di un diritto che non ha già un titolare prima della sua lesione e che, per essere acquisito dal titolare, deve essere prima necessariamente violato. Tra l'altro si rileva che il medico non può interrompere di sua iniziativa la gravidanza per evitare di ledere il diritto a non nascere del feto e pertanto non si concepisce un danno provocato da un soggetto che non potrebbe evitarlo. Si è anche detto che il diritto a non nascere è assolutamente incompatibile con i doveri di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. nonché con i limiti posti all'aborto dalla legge 194/78 (M. Rossetti, Danno da nascita indesiderata: la Suprema corte mette i paletti, in Dir. e giust., 2004, 33, 8).
Il precedente francese Aveva destato molto scalpore quanto avvenuto in Francia, dove nel 2001, la Cour de Cassation, nel celebre arret Perruche (Court de Cassation Assemblée Plenière – 17 dicembre 2000, in Resp. civ. e prev., 2001, 497) aveva riconosciuto al nato malformato il diritto di dolersi coi medici che avevano omesso di informare la madre sulla pres1enza delle sue malformazioni non mettendola in condizione di abortire. In pratica, l'assemblea plenaria francese aveva riconosciuto il diritto all'aborto eugenetico, ossia selettivo, cioè praticabile solo in considerazione dell'anomalie del feto e quindi attribuito al nato malformato un diritto di dolersi della vita ingiusta e, in pratica, di essere nato. Fu il legislatore francese a dover stroncare sul nascere il pericoloso precedente promulgando la L. 4 marzo 2002, n. 303 nota con il nome “Loi Kouchner”, secondo la quale «nulla può essere richiesto dall'handicappato per il solo fatto della nascita quando l'handicap non è stato provocato, aggravato o evitato da errore medico», creando all'uopo un fondo di solidarietà. Il contrapposto orientamento adottato da Cass. 9700/11 e da Cass. 16754/12 Le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza italiana sembravano del tutto pacifiche ma nel 2011 la Cassazione con un obiter dictum (Cass. 9700/2011) ha fornito un assist ad una successiva pronuncia (Cass. 16754/2012), che ha mutato orientamento, aprendo così le porte alla domanda risarcitoria del nato malformato. Nel maggio del 2011, la Terza Sezione della Corte di Cassazione in una considerazione accessoria ad una diversa fattispecie che riguardava il diritto al risarcimento del danno del nato senza padre perché ucciso prima che venisse al mondo, ha ritenuto corretta la diversa costruzione in base alla quale si esclude l'esigenza di ravvisare una capacità giuridica del concepito, riconoscendosi al nato malformato il diritto al risarcimento del danno nei confronti del medico, non dovuto alla nascita ma al proprio stato di infermità «che sarebbe mancato se egli non fosse nato» estendendo gli effetti protettivi del contratto concluso tra madre e medico non solo al padre ma anche al nato (Cass. 9700/2011). Seppur tale affermazione restava limitata all'obiter della decisione citata, la dottrina non ha tardato a muovere delle critiche rilevando come tale affermazione andasse a scardinare tutti i principi costituzionali fin a quel momento richiamati e rendesse possibile, teoricamente, anche l'azione del nato malformato nei confronti della madre, nel caso in cui, debitamente informata, avesse coscientemente deciso di non interrompere la gravidanza (R. Berti, Se passa il diritto a non nascere possibile l'azione di risarcimento contro la madre, in Guida al dir., 2011, 37, 102). Inoltre si è osservato che, se così fosse, il diritto della madre all'aborto diverrebbe un obbligo in ogni caso di conoscenza di malformazioni fetali, onde evitare a quest'ultima l'esposizione ad azioni di responsabilità e a pretese risarcitorie avanzate dal figlio venuto al mondo malformato (In questi termini si esprimeva già prima della sentenza Cass. 9700/11, Lubelli, Brevi note sul diritto a non nascere, in commento a Cass. civ., 14 luglio 2006, n. 16123, in Giur. it., 2007, 1921). In sostanza, si è contestato che un'eventuale richiesta di risarcimento può essere avanzata dal nato malformato solo se le malformazioni sono conseguenza dalla condotta negligente del medico, perché in mancanza di nesso causale tra le condotta professionale e il verificarsi delle patologie del nascituro, il minore non può dolersi del fatto di essere nato. Nonostante il parere contrario di parte della dottrina, la Terza Sezione della Cassazione (Cass. 16754/12) con una motivazione di 76 pagine, sul solco di quanto precedentemente affermato dalla sentenza Cass., n. 9700/2011, ha chiaramente riconosciuto il diritto del nato malformato a richiedere il risarcimento del danno subito iure proprio. Il caso riguardava un neonato colpito dalla sindrome di Down in cui la madre, prima della sua nascita, aveva espressamente richiesto al sanitario di effettuare tutti gli accertamenti diagnostici necessari per escludere patologie gravi del feto manifestando espressamente la volontà di abortire in caso di presenza di malformazioni. Il medico aveva errato nel prescriverle unicamente il Triteste che è un accertamento non sufficiente ad individuare tutte le possibili patologie, quando avrebbe dovuto prescriverle l'amniocentesi che avrebbe invece permesso di scoprire la sindrome cui è risultato poi affetto il neonato. La Cassazione ha concluso che il neonato è un soggetto giuridicamente capace che diviene titolare dei diritti non dalla nascita ma dal concepimento essendo durante la gestazione comunque centro di interessi e, pertanto, gli ha riconosciuto per la prima volta il diritto a chiedere il risarcimento del danno per essere nato “malformato”. Secondo la Corte, la legittimazione del neonato a promuovere una domanda risarcitoria iure proprio deriva dall'omissione colpevole del sanitario che non ha debitamente informato la madre delle sue malformazioni, cui consegue non il danno nella sua esistenza né quello della malformazione di per sé sola considerata ma la sua esistenza diversamente abile, che appunto discende dalla possibilità legale dell'aborto riconosciuta alla madre in una relazione con il feto non di rappresentante rappresentato ma di includente incluso. Si argomenta che il vulnus, lamentato da parte del minore, non è la malformazione in sé, che essendo congenita non dipende da errore medico, ma lo stato funzionale di infermità che lo pone di fronte ad un futuro di vita handicappata ed il riconoscimento di un danno iure proprio consentirebbe di alleviare tale condizione di vita, destinata ad una non del tutto libera estrinsecazione secondo gli auspici del Costituente poiché il mancato riconoscimento di un suo diritto violerebbe gli artt. 2, 3, 29, 30, 32 Cost. Sulla delicata questione relativa al nesso causale, che fin a quel momento si riteneva non sussistere sia tra l'omessa diagnosi e la nascita, attesa l'inconfigurabilità di quest'ultima in termini di evento dannoso, che tra la condotta omissiva e l'handicap in sé considerato, attesa la sua natura genetica, la Corte ha superato il problema identificando l'evento di danno nella nascita malformata nei termini sopra menzionati (esistenza diversamente abile), affermando che tale evento appare senz'altro riconducibile, secondo un giudizio prognostico ex post, all'omissione sulla base del fatto che una corretta diagnosi ed informazione avrebbe consentito alla gestante di esercitare l'aborto. In sostanza la Corte afferma, con un ragionamento che sotto il profilo giuridico è apparso un po' forzato o quanto meno troppo semplicistico rispetto al tenore complessivo della motivazione, che l'evento di danno, rappresentato dall'esistenza diversamente abile (e non dalla nascita malformata in sè) che comporta la violazione dei richiamati principi Costituzionali, deriva dalla omissione del medico che non ha messo la madre in condizioni di esercitare l'aborto. Pertanto sia nel caso in cui il medico abbia cagionato la lesione con il suo comportamento colposo sia quando abbia omesso di informare la gestante sulle condizioni del feto, in presenza di un danno, nel primo caso rappresentato dal danno biologico, nel secondo quello da vita handicappata, il medico è chiamato a risarcire il danno subito iure proprio dal minore. Contestando le critiche di chi provocatoriamente sosteneva che, in tal caso, il nato malformato avrebbe avuto il diritto di agire contro la madre che lo ha messo al mondo pur potendo abortire, la Suprema Corte ha spiegato che l'evento di danno rappresentato dalla vita handicappata non sarebbe risarcibile per mancanza di colpa da parte della madre che ha semplicemente esercitato una scelta lei riconosciuta dalla legge.
La soluzione delle Sezioni Unite della Cassazione Il contrasto formatosi all'interno della terza sezione della Cassazione tra l'orientamento tradizionale (Cass. 14488/2004; Cass. 16123/2006; Cass.10741/2009) e quello successivo (Cass. 9700/2011 e Cass. 16754/2012), ha reso opportuna la rimessione della questione alle Sezioni Unite che hanno definitivamente escluso la legittimazione attiva del nato malformato (Cass., Sez. Un., n. 25767/2015). Le Sezioni Unite affermano che l'esclusione del diritto del nato disabile, non deriva tanto dall'assenza di soggettività giudica, che tradizionalmente si acquisisce con la nascita ex art. 1 c.c., poiché la giurisprudenza da tempo ammette il diritto del nato a dolersi per danni subiti durante il parto, quando quindi non era ancora in vita, riconoscendo la possibilità che il diritto tragga origine da un fatto anteriore alla nascita, divenuto attuale e azionabile dopo di essa (Cass. 11503/1993). Il limite a tale riconoscimento non è quindi ravvisabile nella mancanza di soggettività giuridica ben potendo il feto essere comunque considerato oggetto di tutela. Il diritto del nato malformato deve essere invece escluso perché si porrebbe in contrasto con il principio del danno-conseguenza, consacrato dall'art. 1223 c.c. e con quello del danno ingiusto sancito invece dalla clausola generale di cui all'art. 2043 c.c.. Sotto il primo profilo infatti le Sezioni Unite rilevano che il danno sarebbe legato alla stessa vita del bambino e l'assenza del pregiudizio alla sua morte. Vi sarebbe quindi una contraddizione insuperabile dal momento che nella comparazione tra le due situazioni alternative, prima e dopo l'illecito, il secondo termine di paragone sarebbe rappresentato dalla non vita. In altri termini la conseguenza dell'evento dannoso sarebbe la vita stessa mentre in assenza della condotta colposa imputata vi sarebbe la non vita: tali termini di paragone, necessari per determinare il danno conseguenza, sono assolutamente inconciliabili. Da tale logica considerazione viene meno il concetto di ingiustizia del danno perché quest'ultimo coinciderebbe con la vita handicappata, bene che, se paragonato con la situazione alternativa della non vita, comunque non potrebbe mai essere connotato dal carattere dell'ingiustizia. Nemmeno ricorrendo alla teoria degli effetti protettivi del contratto, che la SC ha adottato per estendere la legittimazione attiva anche al padre ed ai germani, si può superare l'ostacolo dell'inesistenza del danno-conseguenza per effetto della mancata interruzione della gravidanza. Per la Corte infatti solo per tali soggetti, oltre ovviamente alla madre, è possibile individuare un danno conseguenza, apprezzabile tramite la comparazione fra la qualità della vita prima e dopo la nascita del bambino handicappato. Per concludere quindi, secondo le SSUU non si può parlare di un diritto a non nascere e la legittimazione attiva del nato malformato è ravvisabile solo quanto il medico abbia direttamente causato il pregiudizio e non quando questo sia ascrivibile a fattori estranei alla sua condotta e la negligenza sia consistita solamente nel non aver messo la donna nelle condizioni di abortire.
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