La querela incidentale di falso della scrittura privata verificata: un chiarimento dalla Cassazione
18 Febbraio 2025
Massima Se l'autografia della sottoscrizione, accertata con la verificazione della scrittura privata, è passata in giudicato, è inammissibile la querela incidentale di falso nel corso dello stesso giudizio (inteso nell'interezza delle sue fasi) tutte le volte in cui l'oggetto del giudizio coincida con quello del primo, conformemente all'art. 221, comma 1, c.p.c. e all'art. 2909 c.c. Il caso Un istituto di credito aveva ottenuto - dal Tribunale di Roma - un decreto ingiuntivo nei confronti di tre correntisti, di cui due (L.M. e G.S.) anche nella qualità di fideiussori del primo correntista (N. s.a.s.), per il pagamento del saldo dei conti correnti di cui erano rispettivamente titolari. Tutti i tre ingiunti avevano proposto opposizione contestando la legittimità dei tassi degli interessi passivi, nonché l'applicazione della capitalizzazione trimestrale e delle commissioni di massimo scoperto. I due fideiussori avevano, inoltre, disconosciuto le sottoscrizioni apposte in calce alle fideiussioni. All'esito della consulenza grafologica, disposta su istanza di verificazione della banca, consulenza che aveva accertato l'autenticità delle sottoscrizioni apposte sulle fideiussioni, e della c.t.u. contabile, uno dei due fideiussori proponeva querela di falso deducendo l'abusivo riempimento dei contratti fideiussori e la falsità delle firme apposte sugli stessi, querela che il Tribunale di Roma respingeva in quanto inammissibile. Con sentenza non definitiva il Tribunale dichiarava l'illegittimità della capitalizzazione trimestrale e rimetteva la causa sul ruolo per un'ulteriore consulenza contabile, all'esito della quale il medesimo fideiussore proponeva una seconda querela di falso, deducendo l'abusivo riempimento dei contratti fideiussori e la falsità delle firme apposte sugli stessi. Anche questa istanza di accertamento del falso veniva dichiarata inammissibile dal Tribunale che, con sentenza (definitiva), condannava gli opponenti al pagamento di 191.281,43 euro in solido tra tutti i tre correntisti; di 5.607,55 euro a carico di L.M.; di 51.290,03 euro a carico di G.S. A fronte del gravame del (solo) G.S., la Corte d'appello di Roma ha rigettato, con una sentenza non definitiva, la censura concernente la declaratoria d'inammissibilità della seconda querela di falso relativa ai contratti fideiussori rilasciati in favore della banca ed ha accolto il motivo di appello concernente l'applicazione della capitalizzazione annuale degli interessi passivi dovuti. Rimessa la causa sul ruolo per l'espletamento di c.t.u. onde rideterminare le somme dovute da G.S. alla banca, il Giudice d'appello ha condannato G.S., in solido con N. s.a.s. e con L.M., a pagare la somma di 232.515,19 euro per il saldo del conto della società e di 68.144,98 euro quale saldo del conto corrente e del finanziamento personale. Per ottenere la riforma delle due decisioni della Corte d'appello, G.S. ha proposto ricorso in Cassazione, affidandosi a diversi motivi. La questione Con particolare riferimento alla questione che qui interessa (vale a dire la proponibilità della querela di falso) il ricorrente ha lamentato la violazione degli artt. 2702 c.c. e 214, 216 e 221 c.p.c.rispetto all'art. 360 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza non definitiva (n. 1483/2019) ― respingendo il relativo motivo d'appello ― escluso l'ammissibilità della seconda querela di falso presentata da G.S. il 5 febbraio 1998 ― e per avere, la sentenza definitiva (n. 6926/2019), dichiarato la questione, ivi riproposta, già decisa dalla sentenza parziale. Per il ricorrente ― invece ― con la seconda querela di falso, oltre a dedurre il fatto nuovo dell'abusivo riempimento delle due fideiussioni, era stata riproposta la questione dell'apocrifia delle due sottoscrizioni, oggetto del precedente disconoscimento e del relativo procedimento di verificazione, sulla base di nuove prove, emerse nel giudizio penale (e consistenti nel fatto che L.M. aveva ivi ammesso di aver firmato in luogo di G.S. le fideiussioni in questione, ammissione che il ricorrente nel giudizio d'appello aveva chiesto di confermare con giuramento decisorio e con prova per interpello e testimoni). Al contempo è stato sostenuto che la proponibilità della querela non fosse impedita dal fatto di aver in precedenza intrapreso la strada del disconoscimento, essendo la querela sempre ammessa in qualsiasi fase e stato del processo. Con altro motivo, il ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 2697 c.c. e 112-132 c.p.c. in relazione all'art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c. perché con la sentenza non definitiva n. 1483/2019 la Corte d'appello ha concluso per la inammissibilità della seconda querela di falso proposta da G.S. richiamando l'esito della consulenza grafologica che affermava l'autenticità delle sottoscrizioni, ritenendo irrilevante la nuova prova invocata e concludendo che l'appellante (poi ricorrente), pur con nuove motivazioni o causali a fondamento della querela di falso, riproponeva lo stesso thema decidendum costituito dalla falsità di alcune firme di cui era già stata affermata l'autografia «di mano certa». Segnatamente, per il ricorrente la sentenza impugnata nulla ha statuito rispetto alle censure mosse da lui sollevate rispetto alla c.t.u. grafologica svolta nel corso del procedimento di verificazione, in violazione degli artt. 2697 c.c. e 112 c.p.c., dovendo invece essere esaminata e valutata quale mezzo istruttorio di ausilio del giudice nel contesto probatorio in cui si inseriva; sicché in difetto di motivazione la Corte d'appello sarebbe anche incorsa nella omessa considerazione di un fatto decisivo della causa rilevante ex art. 360, n. 5, c.p.c. Infine, con altro motivo è stata denunciata violazione degli artt. 2697 c.c. e 112-132 c.p.c. in relazione all'art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c. perché con la sentenza non definitiva n. 1483/2019 la Corte di Roma ha concluso per la inammissibilità della seconda querela di falso proposta da G.S. in considerazione dell'autenticità delle sottoscrizioni espressa in termini di certezza dalla CTU grafologica, e dell'irrilevanza delle dichiarazioni contenute nella querela penale per truffa proposta L.M nei confronti di G.S., senza considerare le altre prove pure offerte da G.S., sia presuntive sia orali. Tale omessa motivazione ― relativamente a prove destinate a chiarire le modalità di formazione delle sottoscrizioni in contestazione ― atterrebbe ad un fatto decisivo della causa, e quindi rileverebbe sia sotto il profilo della violazione degli artt. 132 e 112 c.p.c. e artt. 2697, 2727, 2729 c.c. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., sia sotto il profilo della violazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. A ben guardare, tutti i motivi finora illustrati hanno ad oggetto la sentenza non definitiva della Corte d'appello nella parte in cui ha respinto l'appello in relazione all'inammissibilità della seconda querela di falso. Con la precisazione che, seppure le doglianze di cui al secondo motivo riguardano sia la sentenza non definitiva sia quella definitiva, quest'ultima si limita a statuire che sulla inammissibilità della seconda querela di falso la Corte di merito aveva già deciso con la sentenza non definitiva. Le soluzioni giuridiche Il Supremo Collegio ha ritenuto inammissibile il ricorso e, in linea, con un pregresso orientamento della giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2020, n. 3891; Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4728), ha ribadito il principio per cui la querela non può proporsi quando - all'interno dello stesso processo - sia già stato utilizzato il disconoscimento, cui sia seguita la verificazione; ciò in quanto «la querela che fosse ammessa per impugnare la riferibilità (già) verificata del documento a chi appare esserne autore potrebbe produrre insanabili contraddizioni all'interno dello stesso giudizio, nel quale al risultato della verificazione si opporrebbe quello derivato dall'esito della querela, eventualmente di segno contrario, sullo stesso oggetto della controversia». Al contempo, la decisione in commento consente alla Cassazione di specificarne meglio la portata, individuando – in caso di concorso con la verificazione della scrittura privata - un limite per la proposizione della querela di falso e vagliando la compatibilità di detto limite con l'art. 221 c.p.c. in forza del quale «la querela di falso può essere proposta in qualsiasi stato e grado del giudizio». Ed infatti, per la Corte, se l'autografia della sottoscrizione è passata in giudicato - per assenza di impugnazione sul punto ― la querela incidentale nel corso dello stesso giudizio (inteso nell'interezza delle sue fasi) resta preclusa tutte le volte in cui l'oggetto del giudizio coincida con quello del primo, conformemente all'art. 221, comma 1, c.p.c. e all'art. 2909 c.c. Osservazioni La soluzione fornita dalla Cassazione ci sembra vada condivisa. Sul punto va segnalato che la Corte, consapevole del contrasto apertosi con Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2021, n. 2152, ha ritenuto che «non via siano ragioni per prendere posizione e discostarsi, dunque, in diritto dall'orientamento consolidato di legittimità già riferito» (su cui v. meglio Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2020, n. 3891; Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4728) risolvendo la questione e, quindi, rigettando il ricorso mediante il cd. giudicato interno. Per comodità del lettore si riporta di seguito l'articolato principio di diritto della decisione del 2021: «Nell'ambito di uno stesso processo, qualora sia già stato utilizzato il disconoscimento, cui sia seguita la verificazione, la querela di falso è inammissibile ove ricorrano entrambe le seguenti condizioni: a) il risultato della verificata autenticità della sottoscrizione è passato in giudicato; b) la querela è proposta al solo scopo di neutralizzare detto risultato. La querela è, per converso, ammissibile ove ricorra almeno una delle seguenti condizioni: a) l'accertamento operato in sede di verificazione non è passato in giudicato; b) pur essendosi formato il giudicato sull'accertata autenticità della sottoscrizione, la querela è finalizzata a contestare (solo o anche) la verità del contenuto del documento. Ove, nonostante ricorrano le dette condizioni di inammissibilità, la querela di falso sia ugualmente, di fatto, ammessa ed esiti nell'accertamento della falsità della sottoscrizione, passato in giudicato, nel conflitto dei giudicati va data prevalenza a quello formatosi — anteriormente alla proposizione della querela — all'esito del giudizio di verificazione, sull'autenticità della sottoscrizione». Ed infatti, nel caso affrontato dalla decisione in commento, il ricorrente non ha impugnato la sentenza di primo grado in punto di accertamento dell'autenticità delle sottoscrizioni all'esito del procedimento di verificazione, limitandosi ad impugnare soltanto la (statuizione di) inammissibilità della seconda querela di falso. Per vero, a noi pare che al di là del caso di specie in cui si era effettivamente formato il giudicato interno, la Corte restituisce nuova linfa al precedente orientamento per cui il precetto contenuto nell'art. 221 c.p.c. non può, dunque, essere usato in maniera distorta dalla parte per neutralizzare l'accertata veridicità della scrittura nel giudizio in corso con un'azione di falso incidentale, senza alcun ampliamento dell'oggetto. Se così è - e cioè tutte le volte in cui vi è assoluta coincidenza dell'oggetto e dei soggetti delle diverse azioni – è irragionevole affermare che la parte possa accedere prima ad un determinato rimedio (verificazione) e poi secundum eventum (e, dunque, in caso di esito negativo) ad altro rimedio (querela) per ottenere i medesimi risultati (l'accertamento della falsità della sola scrittura o della sola sottoscrizione) in nome di non meglio specificati effetti più ampi del giudicato sul falso. In definitiva, electa una via (e cioè la verificazione), non datur recursus ad alteram (la querela), a meno che con tale rimedio si invochi effettivamente ed in concreto un accertamento diverso e più ampio da quello già compiuto. Le corrette (a nostro parere) conclusioni raggiunte dalla Cassazione riposano sull'assunto che il giudizio di verificazione, ex art. 216 c.p.c., «accerta» l'autenticità del documento privato; «accerta» cioè che la scrittura sia stata effettivamente apposta dalla (mano della) parte che l'ha negata e, pertanto, che la dichiarazione sia a questa imputabile. Se così è, anche il giudizio di verificazione, come la querela, presenta natura di accertamento costitutivo: la sentenza che dichiara l'autenticità della scrittura e, dunque, l'imputabilità del documento alla parte produce, ex lege, l'effetto di renderlo utilizzabile come prova ed è, come detto, idonea al giudicato ai sensi dell'art. 2909 c.c. Sicché il concorso tra i due rimedi consentiti alle parti per l'impugnazione della prova documentale (e cioè verificazione e querela) non può prescindere dai seguenti elementi:
Alla luce di tali precisazioni ci pare corretta, oltre che rispettosa del diritto di difesa della parte, la decisione in commento nella parte in cui esclude la sovrapposizione dei rispettivi ambiti di operatività dei due rimedi, risultando la scrittura verificata (pur passata in giudicato), impugnabile con l'azione di falso solo se i motivi della querela concernono - nello specifico ed in concreto - profili diversi da quelli interessati dal precedente accertamento. Sia consentita ancora un'ultima, ma non trascurabile, considerazione. Sviluppando il ragionamento seguito dalla Corte si deve altresì ritenere che la genuinità della scrittura se passata in giudicato preclude non solo (e non tanto) la querela incidentale, nel corso dello stesso processo, come riconosciuto dalla decisione in commento, ma anche quella proposta in via principale tutte le volte in cui l'oggetto del giudizio coincida integralmente con quello del primo, considerato che «la verità del documento» intesa quale genuinità della sottoscrizione o del testo del documento è già presidiata dal giudicato conformemente all'art. 221, comma 1, c.p.c. e all'art. 2909 c.c. Riferimenti
|