Disconoscimento di scrittura privata

Mauro Di Marzio
18 Settembre 2017

Gli artt. 214-220 c.p.c. sono dedicati al disconoscimento, riconoscimento e verificazione della scrittura privata, la quale, ai sensi dell'art. 2702 c.c. fa fede sino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta la riconosce, ovvero se è legalmente considerata come riconosciuta.
Inquadramento

Gli artt. 214-220 c.p.c. sono dedicati al disconoscimento, riconoscimento e verificazione della scrittura privata, la quale, ai sensi dell'art. 2702 c.c. fa fede sino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta la riconosce, ovvero se è legalmente considerata come riconosciuta. Poiché quest'ultima disposizione regola l'efficacia probatoria della scrittura privata, ma non la definisce, mentre l'art. 2699 c.c. definisce l'atto pubblico, è stato detto che la nozione di scrittura privata può essere desunta in negativo da quella di atto pubblico, sicché «scrittura privata è ogni documento scritto, la cui formazione non abbia costituito esercizio di una pubblica funzione» (Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 2007, 333), e che si connota per il rilievo della sottoscrizione, dal momento che «chi sottoscrive approva l'intero documento e ne assume la paternità» (op. loc. cit.). Requisiti essenziali della scrittura privata sono così «la provenienza da soggetti privati, la corporalità della cosa su cui è impressa la scrittura, la sottoscrizione» (Verde, Prova documentale, (dir. proc. civ.), in Enc. Giur., XXV, Roma, 1991, 2), sottoscrizione che — si rammenta — non è pregiudicata dall'illeggibilità della firma, qualora il relativo segno grafico contenga un minimo di individualità, sì da non consentirne l'automatica riproducibilità ad opera di chiunque, e da evidenziare la volontà di un certo soggetto di rendersene autore (Cass., Sez. Un., 11 settembre 1979, n. 4746; Cass. 22 gennaio 2002, n.696).

L'efficacia probatoria della scrittura privata, ai sensi del citato art. 2702 c.c., non concerne in sé la veridicità delle dichiarazioni in essa contenute, ma solo la provenienza delle stesse da chi ha apposto la sottoscrizione. La scrittura privata possiede dunque un'efficacia probatoria minore dell'atto pubblico, che fa piena prova anche della data e di tutto quanto il pubblico ufficiale attesta essere avvenuto in sua presenza o da lui compiuto, ex art. 2700 c.c.. Scopo del disconoscimento di scrittura privata è recidere il collegamento tra sottoscrizione e dichiarazione (v. infra per il disconoscimento della «propria scrittura», cui pure si riferisce l'art. 214 c.p.c.), così da escludere che quest'ultima venga attribuita a colui il quale risulti averla apparentemente sottoscritta: va tuttavia subito precisato che, non estendendosi l'efficacia probatoria della scrittura privata alla veridicità intrinseca delle dichiarazioni ivi contenute, essa può essere contrastata con ogni mezzo di prova, indipendentemente dal disconoscimento (Liebman, op. cit., 334).

In tal senso si ripete anche in giurisprudenza che l'efficacia probatoria della scrittura privata riconosciuta ex art. 2702 c.c. concerne la provenienza della medesima da colui che ne risulta sottoscrittore, ma non il suo contenuto e la veridicità delle dichiarazioni in essa rappresentate, che il giudice è libero di valutare secondo il suo prudente apprezzamento in concorso con gli altri elementi probatori acquisiti al processo (Cass. 30 maggio 2007, n. 12695; Cass. 18 marzo 1999, n.2473), entro i limiti di ammissibilità propri di ciascun mezzo di prova (Cass. 12 maggio 2008, n. 11674; Cass. 30 giugno 2015, n.13321).

Disconoscimento della scrittura e della sottoscizione

L'art. 214 c.p.c. stabilisce che chi intende effettuare il disconoscimento è tenuto a «negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione».

La norma sembra così riferirsi non solo alla scrittura recante la sottoscrizione, ma anche quella olografa mancante di sottoscrizione. Tuttavia, occorre considerare che la scrittura priva di sottoscrizione non può essere considerata quale scrittura privata ai sensi dell'art. 2702 c.c., e che neppure «integra una scrittura privata l'atto che il soggetto abbia riempito di suo pugno e che abbia omesso di sottoscrivere» (Verde, op. cit., 8), la quale è dunque, secondo l'opinione prevalente, priva della relativa efficacia probatoria, potendo essere liberamente apprezzata dal giudice (Comoglio, Le prove civili, Torino, 2010, 473).

Parimenti, secondo la Cassazione, le scritture prive della sottoscrizione non possono rientrare nel novero delle scritture private aventi valore giuridico formale e produrre, quindi, effetti sostanziali e probatori, neppure quando non ne sia stata impugnata la provenienza dalla parte cui vengono opposte. Ne consegue che la parte contro la quale esse siano state prodotte non ha l'onere di disconoscerne l'autenticità ai sensi dell'art. 215 c.p.c., norma che si riferisce al solo riconoscimento della sottoscrizione, questa essendo, ai sensi dell'art. 2702 c.c., il solo elemento grafico in virtù del quale — salvi i casi diversamente regolati (artt. 2705, 2707, 2708 e 2709 c.c.) — la scrittura diviene riferibile al soggetto dal quale proviene e può produrre effetti a suo carico (Cass. 14 febbraio 2013, n.3730). L'art. 214, comma 1, c.p.c., mutua insomma il concetto e la definizione di scrittura privata dall'art. 2702 c.c., che ne considera requisito essenziale la sottoscrizione (Cass. 7 gennaio 1997, n.34).

Peraltro, è stato detto, con riguardo al rito del lavoro — ma il principio deve ritenersi applicabile anche al rito ordinario, avuto riguardo al principio, ivi operante, di non contestazione —, che «la produzione di una scrittura non sottoscritta, quale un tabulato o altro documento contabile, e l'attribuzione di essa alla controparte nel ricorso introduttivo del giudizio, determina nel convenuto l'onere ex art. 416 c.p.c. di una specifica contestazione. In mancanza di questa, che può avvenire in forma diretta od essere implicita nelle difese in fatto dell'altra parte, il fatto diviene pacifico e su di esso non vi è necessità di prova e non può esservi contestazione nei successivi gradi del giudizio (Cass. 16 agosto 2004, n. 15949).

Secondo una diversa opinione dottrinale, «l'art. 214, comma 1, distinguendo il diniego della propria scrittura dal diniego della propria sottoscrizione, fa riferimento all'ipotesi in cui l'efficacia probatoria si riconnette ad una scrittura non sottoscritta: in altri termini all'ipotesi del “documento olografo non sottoscritto”» (Denti, La verificazione delle prove documentali, Torino, 1957, 275), dal momento lo scritto olografo non sottoscritto può avere efficacia probatoria contro colui che lo ha redatto, come nelle ipotesi disciplinate dagli artt. 2707 c.c. (carte e registri domestici) e 2708 c.c. (annotazione in calce, a margine o a tergo di un documento).

Per l'ipotesi in cui sia la parte stessa ad aver prodotto il documento in giudizio, la giurisprudenza afferma che tale produzione equivale alla sottoscrizione mancante (Cass. 23 maggio 2006, n. 12118; Cass. 12 giugno 2006, n. 13548; Cass. 16 maggio 2006, n. 11409). Con riguardo alle scritture contenenti un accordo negoziale, la SC ha cioè in più occasioni ribadito che la mancata sottoscrizione di una scrittura privata è supplita dalla produzione in giudizio del documento stesso da parte del contraente non firmatario che intende avvalersene (Cass. 5 giugno 2014, n. 12711 ove si precisa che, per il perfezionamento dell'accordo è necessario non solo che la produzione in giudizio del contratto avvenga su iniziativa del contraente che non l'ha sottoscritto, ma anche che l'atto sia prodotto per invocare l'adempimento delle obbligazioni da esso scaturenti; Cass. 17 ottobre 2006, n. 22223; Cass. 5 giugno 2003, n. 8983; Cass. 1° luglio 2002, n. 9543; Cass. 11 marzo 2000, n. 2826; Cass. 19 febbraio 1999, n. 1414; Cass. 15 maggio 1998, n. 4905; Cass. 7 maggio 1997, n. 3970; Cass. 23 gennaio 1995, n. 738; Cass. 24 aprile 1994, n. 5868, ove si precisa che il principio non trova applicazione allorché il giudizio sia instaurato non nei confronti del sottoscrittore, bensì dei suoi eredi; Cass. 28 novembre 1992, n. 12781; Cass. 7 agosto 1992, n. 9374; Cass. 24 aprile 1990, n. 3440; Cass. 7 luglio 1988, n. 4471; Cass. 11 settembre 1986, n. 5552, che ammette il principio solo quando il contraente invochi in proprio favore il contratto ed intenda farne propri gli effetti, e non quando la produzione in giudizio del documento esprima essa stessa la volontà contraria ad alcuni suoi contenuti, come quando sia effettuata al fine di dimostrare con la mancata sottoscrizione del documento la non avvenuta conclusione del contratto contenutovi; Cass. 18 gennaio 1983, n. 469; Cass. 8 novembre 1982, n. 5869; Cass. 22 aprile 1981, n. 2415; Cass. 8 gennaio 1979, n. 78). In generale, il ragionamento posto a sostegno di tale indirizzo si riassume in ciò, che la produzione in giudizio da parte del contraente che non ha sottoscritto la scrittura realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto, perfezionamento che non può verificarsi se non ex nunc, e non ex tunc, tant'è che il congegno non opera se l'altra parte abbia medio tempore revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l'atto incompleto non sia più in vita nel momento della produzione, perché la morte determina di regola l'estinzione automatica della proposta (v. art. 1329 c.c.) rendendola non più impegnativa per gli eredi (in senso diverso sembra rinvenirsi soltanto Cass. 29 aprile 1982, n. 2707, secondo cui la produzione in giudizio del documento sottoscritto da una sola parte non determina la costituzione del rapporto ex nunc, ma supplisce alla mancanza di sottoscrizione con effetti retroagenti al momento della stipulazione).

Anche per la dottrina la produzione in giudizio equivale a dichiarazione di volontà di chi non l'ha sottoscritta (Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1956, 141).

Il congegno del disconoscimento non trova invece applicazione in ipotesi che la produzione del documento sia stata effettuata dall'apparente sottoscrittore dalla stessa. Difatti, la parte che produce in giudizio una scrittura privata (nella specie, un bonifico bancario) da lei apparentemente sottoscritta e della quale contesta l'autenticità deve fornire la prova, con gli ordinari mezzi, della falsità della sottoscrizione, non sussistendo un onere della controparte di chiederne la verificazione. Invero, non trovano applicazione al riguardo gli artt. 214 e 215 c.p.c., che presuppongono che il documento del quale si deduca la falsità della firma sia stato prodotto in giudizio dall'altra parte, e non dall'apparente sottoscrittore (Cass. 1° dicembre 2016, n.24539). Nell'ipotesi in cui il documento non sia riconosciuto — e, dunque, non sia necessario esperire querela di falso — la parte può agire in via principale per far accertare la non autenticità della firma, secondo le ordinarie regole probatorie ex art. 2697 c.c., senza necessità di dare corso alla speciale procedura di verificazione di cui agli artt. 214 e ss c.c. (Cass. 12 ottobre 2001, n.12471; Cass. 18 gennaio 2008, n.974; Cass. 23 luglio 2014, n.16777).

Scritture provenienti da terzi

L'efficacia probatoria della scrittura, così come disciplinata dall'art. 2702 c.c., sussiste non per le scritture provenienti da terzi, bensì soltanto per quelle provenienti dalle parti e, in particolare, dalla parte contro cui essa è prodotta (Mandrioli, Diritto processuale civile, II, Torino, 2002, 209).

Anche la SC afferma che l'onere di disconoscimento della scrittura privata previsto dagli artt. 214 e 215 c.p.c. presuppone che il documento prodotto contro una parte del processo provenga dalla parte stessa, mentre non opera nel diverso caso della scrittura proveniente da un terzo, non producendosi in tal caso l'effetto di inutilizzabilità della scrittura che — disconosciuta — non sia stata fatta oggetto di verificazione ex art. 216 c.p.c.. Ne consegue che, se la scrittura proveniente da un terzo sia stata disconosciuta dalla parte contro cui è prodotta in giudizio, la stessa va valutata, con valore indiziario, nel contesto degli altri elementi circostanziali, ai fini della decisione (Cass. 31 ottobre 2014, n.23155, relativa al disconoscimento della sottoscrizione apposta da un terzo sull'avviso di ricevimento della raccomandata recante disdetta di un contratto di locazione, disconoscimento riguardo al quale la corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che, in difetto di istanza di verificazione da parte del locatore, il documento non fosse utilizzabile, sicché la disdetta non poteva ritenersi pervenuta alla società conduttrice, con conseguente rinnovazione tacita del contratto), considerando che la parte che della scrittura intende avvalersi è tenuta a provarne la veridicità formale, senza di che essa, in mancanza di altri concordanti elementi indiziari, non assume alcun rilievo probatorio (Cass. 27 maggio 1987, n. 4719; Cass. 16 ottobre 2001, n.12598; Cass. 30 ottobre 2003, n.16362).

In tale prospettiva, il rappresentato, nella sua veste di terzo, non è sottoposto all'onere del disconoscimento della firma del rappresentante (Cass. 8 luglio 1985, n. 4077; Cass. 30 maggio 1991, n. 6134), salvo, ovviamente, non si tratti di rappresentanza organica, nel qual caso vale la regola secondo cui, ad esempio, l'onere del disconoscimento del verbale assembleare sottoscritto dal legale rappresentante della società, che contenga un'attestazione di riferibilità del suo contenuto alla società proprio in ragione del rapporto organico in base al quale il soggetto che ivi vi figura può impegnare la responsabilità dell'ente, non viene meno ove si affermi che l'assemblea non si è tenuta ed il verbale non è stato stilato (Cass. 27 febbraio 2017, n.4992). Il legale rappresentante di una società, contro la quale sia prodotta in giudizio una scrittura privata, rilevante per il suo valore negoziale, al fine di contestarne l'autenticità della sottoscrizione, non è in altri termini tenuto a proporre querela di falso ai sensi dell'art. 221 c.p.c., ma può disconoscere la sottoscrizione stessa a norma dell'art. 214, c.p.c., anche nel caso in cui la sottoscrizione sia attribuita ad altra persona fisica, già investita della rappresentanza legale della società (Cass. 30 gennaio 2014, n.2095).

Disconoscimento dell'originale e disconoscimento di conformità della copia

Il disconoscimento di scrittura privata non va confuso con il disconoscimento della conformità della copia all'originale, di cui all'art. 2719 c.c.. Quest'ultima è diretta a privare di valore probatorio la sola copia, ma non incide in alcun modo sull'originale, e, d'altro canto, non preclude al giudice di valutare la conformità della copia all'originale, quantunque disconosciuta.

L'efficacia probatoria delle copie fotostatiche — assimilabili alle copie fotografiche espressamente menzionate dalla legge — è subordinata al mancato disconoscimento da parte dell'interessato. Tale disconoscimento, a differenza di quello previsto dagli artt. 214 e 215 c.p.c., non pone una preclusione formale al riconoscimento e alla utilizzazione della scrittura, ma è diretto unicamente a impedire la conferma della rispondenza all'originale, così da non consentire l'utilizzazione della copia come mezzo di prova. Ne consegue che, mentre la preclusione derivante dal disconoscimento formale della scrittura privata è superabile solo attraverso l'esperimento positivo della procedura di verificazione prevista dall'art. 216 c.p.c., quella derivante dall'art. 2719 c.c. per le copie delle scritture non esclude, invece, la possibilità di desumere altrimenti la dimostrazione ricorrendo ad altri mezzi di prova ed anche a presunzioni semplici (Cass. 15 maggio 1987, n.4479; Cass. 5 febbraio 1996, n. 940; Cass. 12 maggio 2000, n. 6090; Cass. 16 ottobre 2001, n.12598; Cass. 4 marzo 2004, n.4395).

Di conseguenza, a fronte della produzione di un documento in copia fotografica o fotostatica, qualora la parte contro cui è avvenuta la produzione disconosca espressamente ed in modo formale sia la conformità della copia all'originale, sia il contenuto e la autenticità della sottoscrizione, il giudice, mentre non resta vincolato alla contestazione della conformità all'originale, potendo ricorrere ad altri elementi di prova, anche presuntivi, per accertare la rispondenza della copia all'originale ai fini della idoneità come mezzo di prova ex art. 2709 c.c., nel caso di disconoscimento del contenuto o della sottoscrizione è vincolato, anche solo a tale fine, all'esito della procedura prevista dagli artt. 216 e ss., c.p.c., della cui instaurazione è onerato colui che intenda far valere in giudizio il documento (Cass. 20 agosto 2015, n.16998).

La contestazione della conformità all'originale di un documento prodotto in copia non solo non può avvenire con clausole di stile e generiche, ma va operata in modo chiaro e circostanziato, attraverso l'indicazione degli aspetti per i quali si assume differisca dall'originale (Cass. 3 aprile 2014, n.7775). Il disconoscimento di conformità della copia deve insomma contenere specifico riferimento al documento prodotto in copia ed al profilo di esso che venga contestato (Cass. 19 agosto 2004, n.16232).

Quanto alla tempestività del disconoscimento della conformità della copia all'originale, da lungo tempo la SC ripete che detto disconoscimento è sottoposto ai medesimi adempimenti formali dettati per il disconoscimento di scrittura privata: si deve cioè ritenere, pur in assenza di espresse indicazioni, che in entrambi i casi la procedura sia soggetta alla disciplina di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c., sicché la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, ove la parte comparsa non la disconosca in modo specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione, mentre il disconoscimento onera la parte della produzione dell'originale, fatta salva la facoltà del giudice di accertare tale conformità anche aliunde (Cass. 13 giugno 2014, n.13425).

Formalità del disconoscimento

Vale anzitutto ricordare che l'effettuazione del disconoscimento non occorre un'apposita procura, sicché esso può essere effettuato dal difensore: ed infatti il disconoscimento è atto di natura processuale e non sostanziale, che non implica disposizione del diritto in contesa, ma concerne l'utilizzabilità del documento come mezzo di prova (Cass. 1° febbraio 2010, n. 2318; Cass. 6 dicembre 2000, n. 15502).

Ai fini del disconoscimento, la parte contro cui la scrittura privata è prodotta deve «negare formalmente» la scrittura o la sottoscrizione. Con riguardo al significato dell'espressione «negare formalmente», la SC ripete che, pur non occorrendo alcuna formula sacramentale, è necessaria un'impugnazione specifica e determinata, da compiersi con un atto del processo (Cass. 19 marzo 1996, n. 2290; Cass. 3 aprile 1998, n. 3431; Cass. 6 febbraio 2002, n. 1591; Cass. 1° luglio 2002, n. 9543; Cass. 9 luglio 2004, n. 13357; Cass. 19 luglio 2012, n. 12448). Poiché il disconoscimento è atto del processo, non può valere allo scopo la negazione della scrittura o della sottoscrizione effettuata al di fuori del processo, come, ad esempio, in una lettera inviata alla controparte (Cass. 5 dicembre 1985, n. 6108, ove si chiarisce che il disconoscimento della scrittura privata a norma dell'art. 214 c.p.c., può essere effettuato solo dopo la produzione in giudizio della scrittura e soltanto da tale momento colui contro il quale questa è prodotta ha l'onere di specificare chiaramente e in modo inequivoco la volontà di negare autenticità alla scrittura stessa o alla sua sottoscrizione, sicché qualsiasi contestazione della veridicità della scrittura, fatta anteriormente alla sua produzione in giudizio dalla persona contro la quale la stessa sia stata successivamente esibita, non comporta il disconoscimento della scrittura). Resta da dire che il convincimento del giudice di merito circa l'idoneità di una determinata deduzione o condotta difensiva ad integrare gli estremi del disconoscimento costituisce giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 6 febbraio 2002, n. 1591).

Quando il disconoscimento ha ad oggetto una scrittura attribuita al dante causa della parte contro cui essa è prodotta, l'erede può limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione dell'autore. Altrettanto può fare l'avente causa, cui pure si riferisce l'art. 214 c.p.c., con la precisazione che la formula ivi contenuta, secondo cui «gli eredi o aventi causa possono limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del loro autore», postula un significato dell'espressione «avente causa» contrapposta a quella di «erede» e designa colui che succede in forza di un atto a titolo particolare, ad esempio contratto o legato (Cass. 18 luglio 2008, n. 19925).

Querela di falso in luogo di disconoscimento

La parte nei cui confronti venga prodotta una scrittura privata può optare tra la facoltà di disconoscerla e la possibilità di proporre querela di falso, essendo diversi gli effetti legati ai due mezzi di tutela: la rimozione del valore del documento limitatamente alla controparte o erga omnes. Nell'ambito di uno stesso processo, qualora sia già stato utilizzato il disconoscimento, cui sia seguita la verificazione, la querela di falso è inammissibile se proposta al solo scopo di neutralizzare il risultato della verificata autenticità della sottoscrizione, mentre è ammissibile se finalizzata a contestare la verità del contenuto del documento (Cass. 28 febbraio 2007, n.4728, concernente querela di falso in relazione alla apocrifia delle firme di atti di fieiussione già oggetto di verificazione).

Riferimenti
  • Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1956;
  • Comoglio, Le prove civili, Torino, 2010;
  • Denti, La verificazione delle prove documentali, Torino, 1957;
  • Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 2007;
  • Mandrioli, Diritto processuale civile, II, Torino, 2002;
  • Verde, Prova documentale, (dir. proc. civ.), in Enc. Giur., XXV, Roma, 1991
Sommario