Riconoscimento di scrittura privata

Mauro Di Marzio
04 Settembre 2017

Mentre l'art. 214 c.p.c. disciplina il disconoscimento di scrittura privata, il cui scopo sta nel privare la scrittura dell'efficacia probatoria che gli è propria in forza dell'art. 2702 c.c., secondo cui essa, se riconosciuta, fa piena prova fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, il successivo art. 215 c.p.c. individua le modalità del riconoscimento tacito, il quale ha luogo se la parte alla quale la scrittura è attribuita o contro la quale è prodotta è contumace; se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione.
Inquadramento

Mentre l'art. 214 c.p.c. disciplina il disconoscimento di scrittura privata (v. Bussola disconoscimento di scrittura privata), il cui scopo sta nel privare la scrittura dell'efficacia probatoria che gli è propria in forza dell'art. 2702 c.c., secondo cui essa, se riconosciuta, fa piena prova fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, il successivo art. 215 c.p.c. individua le modalità del riconoscimento tacito, il quale ha luogo: i) se la parte alla quale la scrittura è attribuita o contro la quale è prodotta è contumace; ii) se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione.

Attraverso il riconoscimento, dunque, si concretizza l'efficacia probatoria prevista dal citato art. 2702, la quale, beninteso, è circoscritta alla provenienza della scrittura, mentre la verità intrinseca dei fatti rappresentati in essa, ivi compresa la sua data, non è assistita da efficacia probatoria privilegiata e può essere accertata (e dunque anche esclusa) con ogni mezzo di prova.

In tal senso si afferma in giurisprudenza che il riconoscimento, anche tacito, della scrittura privata, ex art. 215 c.p.c., così come la stessa verificazione di cui al successivo art. 216 (v. Verificazione di scrittura privata), attribuiscono alla scrittura la caratteristica e la efficacia di probatio plena, fino a querela di falso, ex art. 2702 c.c., esclusivamente in ordine alla provenienza del documento dal suo sottoscrittore, ma non anche in relazione al contenuto intrinseco, ivi compresa la data, con la conseguenza che il mancato disconoscimento di tale scrittura, ai sensi e per gli effetti di cui al ricordato art. 215 c.p.c., non osta a che il sottoscrittore possa dedurre e dimostrare, con ogni mezzo di prova e senza limitazioni di sorta, la non corrispondenza della data apposta sul documento in contestazione rispetto a quella del suo effettivo rilascio (Cass. 2 gennaio 1998, n.5; Cass. 17 luglio 1993, n.7944). Pertanto, il mancato disconoscimento della scrittura privata, ai sensi e per gli effetti dell'art. 215 c.p.c., non osta a che il sottoscrittore possa dedurre e dimostrare con ogni mezzo di prova legalmente previsto, la non rispondenza delle dichiarazioni alla verità (Cass. 7 ottobre 1998, n.9912; da ult., nello stesso senso, Cass. 30 giugno 2015, n. 13321, che ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di merito, giunto alla conclusione della falsità delle dichiarazioni del convenuto, pur contenute in un documento recante la sua sottoscrizione, risultata autentica all'esito della querela di falso, sulla base della constatazione che il documento era stato redatto su un foglio di macchina fotocopiatrice già utilizzato, che esso era tagliato nella parte superiore e non in quella inferiore, come normalmente avviene quando si vuole eliminare lo spazio bianco rimanente, che veniva speso il nome di una società per un debito personale e garantito con beni personali, e che vi era un documento coevo avente lo stesso oggetto).

Il tacito riconoscimento, inoltre, produce effetti solo nel processo in cui ha avuto luogo e non al di fuori di esso: perciò il riconoscimento tacito della scrittura privata non può costituire, di per se stesso, titolo idoneo alla trascrizione ai sensi dell'art. 2657 c.c., essendo all'uopo necessario, invece, che la sottoscrizione non contestata sia accertata e dichiarata in una sentenza (Cass. 21 maggio 1956, n. 1749). D'altro canto, ove il giudice abbia pronunciato sul punto, il giudicato formatosi sull'autenticità di una scrittura privata non disconosciuta ha effetto tra le parti, precludendo a colui che l'ha sottoscritta di contestarla, ma non rispetto al terzo che, pertanto, ove intenda negarla, siccome pregiudicato dalla trascrizione di detto documento, ha l'onere di chiedere e dimostrare la non autenticità di quest'ultimo ovvero la falsità della sottoscrizione ivi apposta in calce (Cass. 15 dicembre 2016, n. 25881).

Occorre ancora aggiungere che le disposizioni di cui agli artt. 214 e segg. c.p.c., sul riconoscimento e la verificazione della scrittura privata, non sono applicabili nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, tenuto conto del carattere sommario e camerale che tale procedimento ha conservato anche dopo la riforma della legge fallimentare e degli ampi poteri istruttori officiosi che spettano al giudice: ne consegue che il tribunale può accertare la genuinità della scrittura privata anche d'ufficio e con ogni mezzo (Cass. 23 maggio 2014, n. 11494).

Il riconoscimento dipendente da contumacia

La scrittura privata prodotta da una parte si ha per riconosciuta, ai sensi dell'art. 215 c.p.c., anzitutto se la parte che risulti apparentemente averla sottoscritta sia rimasta contumace nel giudizio in corso del quale è avvenuta la produzione. A tal fine occorre tuttavia che il contumace sia consapevole della produzione effettuata. In proposito occorre distinguere tra le scritture prodotte unitamente all'atto introduttivo del giudizio, per le quali opera il precetto dettato dal n. 5 dell'art. 163, comma 3, c.p.c., secondo cui l'atto di citazione deve contenere l'indicazione dei documenti offerti in comunicazione, sicché la consapevolezza della produzione discende dal fatto stesso della notificazione della citazione, e le scritture prodotte invece successivamente: riguardo a queste ultime si deve rammentare l'intervento del Giudice delle leggi che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 292, comma 1, c.p.c., in relazione all'art. 215, n. 1, dello stesso codice, nella parte in cui non prevede la notificazione al contumace del verbale in cui si dà atto della produzione della scrittura privata non indicata in atti notificati in precedenza (Corte cost. 6 giugno 1989, n. 317; Corte cost.28 novembre 1986, n. 250). Ne discende che nel caso di contumacia del convenuto, affinché la scrittura privata prodotta dall'attore a sostegno della domanda possa considerarsi riconosciuta ai sensi dell'art. 215, n. 1,c.p.c., è necessario che la scrittura sia indicata nell'atto di citazione e prodotta contestualmente alla costituzione in giudizio dell'attore, ovvero, se prodotta successivamente, sia notificato al contumace il verbale contenente la menzione della produzione della scrittura (Cass. 25 luglio 1997, n. 6980; viceversa, secondo Cass. 3 luglio 1999, n.6882, sarebbe irrilevante che la scrittura, benché indicata in precedenti atti, non sia stata in concreto effettivamente ed immediatamente prodotta nel processo).

Naturalmente, l'onere di notificare al contumace i verbali in cui si dà atto della produzione di una scrittura privata non indicata in atti notificati in precedenza, non si estende ai documenti inidonei ad assumere l'efficacia probatoria derivante dal riconoscimento tacito, ai sensi dell'art. 215, n. 1 citato (Cass. 18 marzo 1994, n. 2602, concernente un «conteggio» della indennità di liquidazione prodotto in corso di causa dal curatore fallimentare ai fini della dimostrazione del quantum dovuto dal convenuto al fallimento).

Il meccanismo del riconoscimento tacito viene meno se il contumace si costituisce ed effettua il disconoscimento. Ciò discende dalla previsione dell'art. 293 c.p.c., secondo cui il contumace che si costituisce può disconoscere, nella prima udienza o nel termine assegnatogli dal giudice, le scritture contro di lui prodotte. Il disconoscimento, secondo la costante giurisprudenza della SC, può essere effettuato anche in appello: la parte rimasta contumace nel giudizio di primo grado può cioè disconoscere con l'atto di appello la scrittura privata contro di lui prodotta nella precedente fase di giudizio ed utilizzata dalla sentenza impugnata ai fini della decisione (Cass. 29 marzo 1999, n.2965). L'appellante, in particolare, può compiere il disconoscimento con l'atto di impugnazione, primo atto successivo alla sentenza che menziona la scrittura, ed a tal fine ha l'onere di «negare formalmente» la scrittura o la sottoscrizione che le sono attribuite, mediante un'impugnazione specifica e determinata, che esprima la volontà di negare l'autenticità e quindi la provenienza di esse, senza che possa considerarsi sufficiente l'affermazione dell'inesistenza del fatto costitutivo contenuto nella scrittura (Cass. 22 giugno 2005, n.13384).

Per converso, in caso di avvenuta produzione di scrittura privata in giudizio nei confronti di parte rimasta contumace, l'avvenuta costituzione di quest'ultima senza il disconoscimento della scrittura privata a sua firma (con riferimento sia all'ipotesi in cui il documento sia stato offerto in comunicazione con la notificazione dell'atto di citazione, che all'ipotesi in cui alla relativa produzione si sia proceduto successivamente, senza che, in conformità del disposto di cui all'art. 292 c.p.c., alla stregua della sua lettura derivante per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 317/1989, risulti notificato al contumace il verbale dell'avvenuta produzione) comporta che il documento, ai sensi dell'art. 293 c.p.c., resta a buon diritto acquisito al processo, con l'effetto che l'eventuale originaria irritualità della sua produzione è da ritenersi superata ed assorbita dal successivo omesso disconoscimento della parte interessata che ne ha avuto contezza, sicché del documento medesimo il giudice deve indubbiamente tener conto (Cass., Sez.Un., 29 gennaio 2007, n.1820, che ha respinto il motivo dedotto dalla parte ricorrente con il quale era stato prospettato che, una volta dichiarata la nullità di tutti gli atti compiuti prima della sua costituzione in giudizio, il giudice d'appello non avrebbe dovuto basare la sua decisione sul valore di ricognizione di debito della missiva prodotta anteriormente in giudizio, poiché il documento stesso era stato acquisito in difetto di contraddittorio per la nullità della notificazione dell'atto di citazione originario).

Il riconoscimento della parte costituita

Oltre che per effetto della contumacia il riconoscimento tacito della scrittura privata si produce anche in mancanza di tempestivo disconoscimento della parte costituita contro cui la scrittura è prodotta: tale mancanza determina dunque il legale riconoscimento della scrittura, senza che alla parte che non ha provveduto al suo rituale disconoscimento sia dato di procedervi attraverso l'instaurazione di un nuovo e successivo giudizio (Cass. 17 ottobre 1992, n.11406).

Occorre in proposito anzitutto evidenziare che l'onere di disconoscimento intanto diviene operativo, in quanto la scrittura privata sia stata ritualmente prodotta: il che non si verifica quando — è stato detto in una pronuncia ormai remota — la scrittura privata sia, ad esempio, inserita nel fascicolo di parte dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado, poiché tale udienza esaurisce la fase dell'istruzione probatoria e segna il tema definitivo della lite: in tal caso, ove lo stesso documento sia ritualmente prodotto nel giudizio di appello, deve essere considerato tempestivo e rituale il disconoscimento della sottoscrizione effettuato dalla controparte nel primo atto successivo in tale grado (Cass. 7 agosto 1990, n.7961; Cass. 5 gennaio 1966, n. 101: il principio ha naturalmente da essere riletto ed adattato in considerazione dell'attuale assetto del giudizio di primo grado, che non consente l'effettuazione di produzioni documentali dopo lo spirare dell'apposito termine di cui all'art. 183 c.p.c.). Per la verifica della ritualità della produzione, tale da far scattare l'onere di disconoscimento, si deve far riferimento all'osservanza delle formalità previste dagli artt 74 e 87 disp. att. c.p.c. (Cass. 5 luglio 1974, n. 1955). Ed infatti, perché possa ritenersi operante la disposizione dell'art. 215, comma 1, n. 2 c.p.c. è necessario che la scrittura sia stata ritualmente prodotta: di conseguenza, poiché la disposizione dell'ultima parte dell'art. 87 disp. att. c.p.c., riguardo ai documenti offerti in comunicazione mediante produzione in udienza, va interpretata nel senso che essi si intendono prodotti allorché sono posti nella reale disponibilità dell'ufficio per essere inseriti nel fascicolo di parte e per essere utilizzati come fonti di prova della domanda o dell'eccezione, la predetta norma dell'art. 215 non può operare riguardo ad una scrittura privata non registrata che, prodotta in udienza ed inserita nel fascicolo di parte, sia stata successivamente ritirata (nella specie, a seguito dell'opposizione del convenuto che rilevava l'infrazione al divieto di cui all'art. 106 della legge di registro) e sostituita da una copia conforme, priva della sottoscrizione delle parti (Cass. 8 luglio 1974, n. 1989).

Il disconoscimento deve aver luogo con il primo atto successivo alla produzione. Suscita perplessità l'affermazione in un'occasione compiuta dalla SC secondo cui per «prima risposta» dovrebbe intendersi «un atto processualmente rilevante compiuto alla presenza di entrambe le parti della controversia, al fine di una immediata conoscenza del disconoscimento da parte del soggetto destinatario dello stesso», sicché il deposito di note difensive non potrebbe «pertanto ritenersi "prima risposta", proprio perché effettuato in assenza di controparte» (Cass. 13 marzo 2009, n. 6187): non riesce difatti ad intendersi quali sia la base normativa dell'assunto secondo cui non avrebbero rilievo, quale prima risposta, note difensive ritualmente depositate, ovviamente previa autorizzazione del giudice. Viceversa, deve convenirsi che, in tema di disconoscimento della scrittura privata, la disposizione dell'art. 215, comma 1, n. 2), c.p.c., secondo cui la scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta se la parte comparsa non la disconosce «nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione», deve intendersi in senso strettamente cronologico, senza che assuma alcun rilievo il fatto che in detta udienza non sia stata espletata alcuna attività processuale (Cass. 22 dicembre 2008, n. 29909; Cass. 15 giugno 2016, n. 12303, ove si precisa, con riguardo ad udienza in cui le parti si erano limitate a chiedere rinvio per trattative, che detto rinvio «non si pone in contrasto con la possibilità di immediata presa di posizione sull'autenticità del documento prodotto»). Nell'ambito di un procedimento a contraddittorio differito quale quello che si origina da un decreto ingiuntivo, il disconoscimento, da parte dell'ingiunto, della scrittura privata contro di lui prodotta in sede monitoria deve avvenire, a pena di decadenza, con l'atto stesso di opposizione, che rappresenta infatti la «prima risposta successiva alla produzione» di cui all'art. 215 c.p.c. (Trib. Modena 29 marzo 2012, iusexplorer.it).

Il convenuto che si costituisce in cancelleria anteriormente alla prima udienza di trattazione ha l'onere di disconoscere la scrittura privata, che sia stata prodotta dall'attore, con la comparsa di risposta; se si costituisce, invece alla prima udienza, ha l'onere di farlo con la comparsa di risposta o con apposita deduzione nel verbale di causa. Qualora la scrittura privata sia stata prodotta alla prima udienza o in altra udienza di trattazione, il convenuto ha l'onere di disconoscere la scrittura stessa nella prima scrittura difensiva o nella prima udienza successiva a quella in cui è stato esibito il documento (Cass. 2 luglio 2001, n.8920; Cass. 19 gennaio 1967, n. 177).

Il termine entro il quale deve essere effettuato il disconoscimento della scrittura privata ex art. 215, avendo carattere intrinsecamente perentorio non è prorogabile (Cass. 24 giugno 2002, n. 9159; v. pure Cass. 1° febbraio 2000, n. 1089; Cass. 27 marzo 1998, n. 3275). È stato al riguardo espressamente detto che, una volta ritenuto che il disconoscimento della scrittura privata costituisce un onere per la parte contro cui detta scrittura viene prodotta e che l'effetto del mancato adempimento di questo onere è il riconoscimento tacito della scrittura e l'impossibilità di un successivo disconoscimento, il termine entro cui il disconoscimento può essere effettuato, ha carattere intrinsecamente perentorio, per cui esso non è prorogabile da parte del giudice (Cass. 24 giugno 2002, n. 9159, cit., ove si chiarisce che i due termini (prima udienza o prima risposta), non sono alternativamente rimessi alla volontà della parte che ha l'onere del disconoscimento, ma operano nel senso che il sopraggiungere del primo evita che possa successivamente essere fatto il disconoscimento entro il secondo termine). Il disconoscimento è dunque tardivo se avvenuto non nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione, bensì in udienza posteriore, stante l'inosservanza del termine decadenziale di cui all'art. 215, n. 2,c.p.c. (Cass. 8 agosto 2000, n.10423).

Peraltro, è importante notare che, secondo l'orientamento della SC, la tardività del disconoscimento non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte che ha prodotto il documento (Cass. 9 maggio 2011, n.10147; Cass. 1° febbraio 2002, n.1300; Cass. 27 gennaio 1978, n. 388). Ed infatti, secondo la SC, il riconoscimento tacito della scrittura privata comporta una decadenza di natura sostanziale dalla facoltà di disconoscere la scrittura stessa, e come tale non opera d'ufficio, ma è rilevabile solo ad istanza di parte, non essendo posto in modo esplicito a tutela di un interesse generale, né essendo detto interesse desumibile dal sistema, con l'ulteriore conseguenza che il riconoscimento non segue in modo automatico al mancato disconoscimento della scrittura privata alla prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione (Cass. 27 marzo 2006, n.6968). Ne discende inoltre, secondo il giudice di legittimità, che, una volta che la parte interessata abbia dato corso al procedimento di verificazione, con ciò rinunciando alla proposizione dell'eccezione di tardività del disconoscimento, la parte stessa non può poi ritornare sulle proprie decisioni sollevando detta eccezione successivamente, atteso che, se il tardivo disconoscimento determina un riconoscimento presunto della scrittura, non potrebbe ammettersi tale effetto quando è ormai acquisita, per il negativo espletamento del procedimento di verificazione, la prova della falsità della scrittura stessa (Cass. 24 giugno 2003, n.9994).

L'orientamento della SC sulla non rilevabilità d'ufficio della tardività del disconoscimento solleva dubbi. Sé è accennato che il meccanismo del riconoscimento tacito della scrittura privata si pone, sul piano processuale, come riflesso della disciplina sostanziale posta dagli artt. 2699 ss. c.c.. In particolare, mentre l'atto pubblico ha un'efficacia probatoria sua propria, che discende dalle particolari formalità attraverso le quali viene formato, la scrittura privata, ai sensi dell'art. 2702 c.c., fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta soltanto se vi è stato riconoscimento, espresso o tacito. Val quanto dire che, una volta riconosciuta (o non disconosciuta), la scrittura privata finisce per equivalersi, quanto ad efficacia probatoria, all'atto pubblico, sicché, per infirmare tale efficacia, non resta che il ricorso allo strumento della querela di falso. Per quanto attiene in particolare al riconoscimento tacito, esso dà luogo ad un congegno di conversione ex lege dell'efficacia probatoria della scrittura privata, congegno implicitamente sancito dal citato art. 2702 c.c., laddove si riferisce alla scrittura «legalmente considerata come riconosciuta». È da ritenere, cioè, che il riconoscimento della scrittura sia un effetto legale del mancato tempestivo disconoscimento entro il termine decadenziale stabilito dalla legge. Ed invece, la soluzione che vede come necessaria l'eccezione di tardività del disconoscimento finisce per far dipendere l'operatività del meccanismo descritto non dalla legge, ma dalla volontà della parte interessata, ben oltre il limite entro il quale la stessa legge consente che essa sia manifestata efficacemente. Ciò, sembrerebbe, con conseguenze non accettabili, giacché, aderendo all'indirizzo che si è menzionato, la scrittura privata, nel periodo successivo alla scadenza del termine di cui all'art. 215, comma 1, n. 2, c.p.c., dovrebbe essere collocata in una sorta di limbo, in cui essa non è più scrittura privata ancora da disconoscere, ma non è ancora scrittura privata riconosciuta. D'altro canto, se il termine per il disconoscimento è, secondo quanto afferma la stessa SC, perentorio, esso non può essere prorogato neppure sull'accordo delle parti, ai sensi dell'art. 153, comma 1, c.p.c.: ma, rimettere l'eccezione di tardività del disconoscimento alla volontà della parte che ha effettuato la produzione significa aggirare la perentorietà del termine, e cioè attribuire rilievo ad un disconoscimento effettuato a termine perentorio ormai scaduto, cosa che non è invece evidentemente consentita. In conclusione, ammessa la perentorietà del termine per il disconoscimento, sembra preferibile escludere che il rilievo del disconoscimento tardivo sia assoggettato ad eccezione di parte, sia perché la scrittura privata contro cui esso è rivolto ha ormai cessato di possedere l'efficacia probatoria suscettibile di essere contraddetta dal disconoscimento, sia perché si tratterebbe di un disconoscimento effettuato dopo lo spirare di detto termine, in violazione della sua perentorietà.

Le copie

Ai sensi del comma 2 dell'art. 215 c.p.c., se la scrittura viene prodotta in copia autentica, la parte onerata del disconoscimento può chiedere al giudice un termine ulteriore per deliberare se riconoscere o no il documento. Al riguardo la SC osserva che la parte costituita, contro la quale la scrittura privata è prodotta (anche se in copia fotostatica), ha l'onere, onde evitarne il riconoscimento tacito di disconoscerla o di dichiarare di non conoscerla (se la sottoscrizione proviene dagli autori della parte) nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione, salvo il caso che la produzione avvenga in copia autentica non essendo la parte tenuta all'immediata dichiarazione di disconoscimento o di non conoscenza, ma potendo chiedere un congruo spatium deliberandi (Cass. 28 dicembre 1993, n. 12856, concernente sentenza, confermata dalla SC, che aveva ritenuto che la parte avesse implicitamente riconosciuto la scrittura, avendo dichiarato non di non averla sottoscritta, ma di non averne compreso l'esatto contenuto per le sue limitate facoltà cognitive).

Se la copia prodotta non è autentica, la parte, al fine di impedire che la copia acquisti l'efficacia della scrittura riconosciuta, deve negare la conformità della copia all'originale, per poi disconoscere l'originale qualora venga successivamente prodotto (Cass. 11 aprile 2002, n. 5189; Cass. 6 agosto 2015, n.16551).

Per il disconoscimento di conformità della copia si rinvia alla Bussola disconoscimento di scrittura privata.

Riferimenti

Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1956;

Comoglio, Le prove civili, Torino, 2010; Denti, La verificazione delle prove documentali, Torino, 1957;

Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 2007;

Mandrioli, Diritto processuale civile, II, Torino, 2002; Verde, Prova documentale, (dir. proc. civ.), in Enc. Giur., XXV, Roma, 1991