Crisi d'impresa
IlFallimentarista

Quando la cessione del contratto di leasing integra una condotta distrattiva

21 Febbraio 2025

Lo scritto annota, approfondendo la tematica, una pronuncia della Corte di cassazione che, valutando come pregiudizievole la cessione di un contratto di leasing ad opera di una società poi fallita, attribuisce a tale atto una valenza distrattiva, non rilevando il fatto che, ottenuta la risoluzione per inadempimento dal curatore, questa avesse poi potuto esercitare il riscatto.

Massima

Il carattere pregiudizievole o meno della cessione di un contratto di leasing deve essere valutato soprattutto tenendo conto che, per effetto del trasferimento del rapporto contrattuale, la società fallita perde la possibilità di esercitare il diritto di riscatto alla scadenza del termine finale di efficacia del contratto di leasing; a nulla rilevando che la società fallita, ottenendo giudizialmente la risoluzione per inadempimento, abbia poi potuto esercitare il riscatto, essendo tale risultato conseguenza dell'esercizio delle iniziative adottate dalla curatela ai fini del recupero di quanto sottratto.

Il caso

La Corte territoriale di Brescia, in parziale riforma della sentenza emessa dai Giudici di primo grado, confermava la condanna dell’imputato per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per aver distratto delle attrezzature ed il complesso aziendale condotto in locazione finanziaria in virtù di un contratto di leasing, cedendolo a società terza, nonché del reato tentato di furto.

Avverso detta sentenza, l’imputato ricorreva per Cassazione articolando sei motivi di ricorso, con i quali deduceva la violazione di legge nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Per quanto di interesse nel presente commento, con il secondo motivo il ricorrente si doleva del fatto che i Giudici di secondo grado avessero ritenuto ab origine distrattivo il contratto di cessione del leasing, sebbene dallo stesso derivasse un vantaggio per la fallita, anche nel caso di mancato pagamento del prezzo.

Richiamando la giurisprudenza di legittimità, i ricorrente evidenzia che poter affermare la natura distrattiva della cessione di un contratto di leasing occorre che il rapporto obbligatorio rappresenti un vantaggio per la fallita e non un onere, e che, nel caso di specie, il contratto risultava vantaggioso per la fallita, avendo determinato un risparmio per la stessa.

A dire dell’imputato, la Corte bresciana non aveva tenuto adeguatamente conto del fatto che il prezzo della cessione del contratto di leasing era ben superiore all’importo totale dei canoni corrisposti dalla fallita, sicché lo stesso, in realtà, era finalizzato a sostenere finanziariamente la predetta. Sosteneva, ancora, il ricorrente che il contratto di cessione del leasing era risultato, pertanto, conveniente per la fallita, la quale aveva comunque conservato la disponibilità dei beni oggetto dello stesso, evitando al contempo il pagamento dei canoni di leasing, ben superiori rispetto ai canoni di sublocazione versati alla cessionaria.

Da ultimo, il ricorrente rilevava che la curatela aveva poi potuto accrescere il vantaggio economico, riscattando il bene ad un prezzo minore rispetto a quello inizialmente concordato con il contratto di leasing.

La questione

Le questioni giuridiche di cui vengono investiti i Giudici del Supremo Consesso sono molteplici, ma quelle meritevoli di interesse, in questa sede, attengono al se e quando una operazione di cessione del contratto di leasing può assumere valenza distrattiva e se il recupero del bene, ad opera del curatore fallimentare, può incidere sulla sussistenza del delitto di bancarotta o meno.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte dichiarava nel complesso infondato il secondo motivo di ricorso, trattato per primo in quanto ritenuto assorbente rispetto agli altri.

Partendo dalla considerazione, fatta propria dalla Corte territoriale e condivisa dai Giudici di legittimità, che la pattuizione del prezzo di cessione del contratto fosse simulata e che sin dalla cessione le parti intendessero escludere il versamento del prezzo, la Corte di Cassazione rilevava che i Giudici del merito avevano correttamente ritenuto la cessione palesemente distrattiva.

Ciò in quanto la citata cessione privava la cedente, poi fallita, della possibilità di conseguire l’acquisto della proprietà del compendio oggetto del contratto di locazione finanziaria e, al contempo, la obbligava a corrispondere alla cessionaria i canoni di sublocazione per conservare il godimento del compendio oggetto del leasing.

Proprio questa circostanza, ad avviso dei Giudici, disvelava il carattere pregiudizievole della cessione, non rilevando il fatto che la società fallita, ottenendo giudizialmente la risoluzione per inadempimento, aveva poi potuto esercitare il predetto riscatto.

La Corte, invero, riteneva estensibile il principio secondo cui il recupero del bene distratto a seguito di azione revocatoria non spiega alcun rilievo sulla sussistenza dell’elemento materiale del reato di bancarotta, all’ipotesi in cui il recupero del bene distratto avvenga a seguito di azione di risoluzione per inadempimento esercitata dal curatore fallimentare.

Ciò in quanto il delitto di bancarotta per distrazione – perfezionato al momento del distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore – viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero della res rappresenta solo un posterius, avendo il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con la conseguenza che è tutelata anche la mera possibilità di danno per i creditori.

Osservazioni e conclusioni

La cessione del contratto di leasing come condotta distrattiva

La prima questione su cui viene chiamato ad esprimersi il Supremo Consesso attiene alla configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale nell'ipotesi di cessione, da parte della società poi fallita, del contratto di leasing.

Trattandosi di leasing traslativo, la Corte affermava senza esitazioni che la sua cessione privava la cedente della possibilità di conseguire l'acquisto della proprietà del bene oggetto del contratto di locazione finanziaria e ne rilevava, pertanto, l'illiceità.

A ben vedere, il quesito risolto, con modesto sforzo argomentativo, dalla Corte di Cassazione si presenta decisamente più complesso e lascia nell'ombra il vero nodo interpretativo della questione.

Per comprendere appieno la portata del principio espresso dalla Corte di Cassazione appare opportuno premettere che, in linea generale, il contratto di leasing, o locazione finanziaria, è il negozio atipico col quale una parte denominata concedente, dietro corrispettivo di un canone periodico, concede ad un'altra parte (utilizzatore) il godimento di un bene, con facoltà di restituirlo al termine prefissato ovvero di "riscattarlo" dietro pagamento di una specificata somma residua.

Cosicché, ricostruito in questi termini il sinallagma contrattuale, deve osservarsi che nel caso di cessione del contratto ad altro utilizzatore, il nocumento per la massa dei creditori è soltanto eventuale, in quanto si realizza unicamente se possa affermarsi che la prosecuzione del rapporto da parte del curatore avrebbe recato in concreto una risorsa economica positiva e non un onere.

Sotto tale profilo, ciò che rileva è, pertanto, la funzione economica sottesa alla regolamentazione contrattuale ed il concreto assetto degli interessi che ne emerge.

In altre parole, se il leasing è orientato alla produzione di un effetto traslativo, come nel caso all'esame della Corte, la durata del contratto non è commisurata alla vita economica del bene e il bene stesso, alla scadenza del contratto, conservando comunque una sua utilità economica, avrà un valore maggiore rispetto al prezzo pattuito per l'opzione di acquisto.

In questi casi, quando non vi è corrispettività tra l'ammontare del canone e l'utilità che ne deriva al conduttore, i canoni non costituiscono soltanto il corrispettivo del godimento, ma scontano, anche se parzialmente, il prezzo della res.

Questo perché il leasing traslativo viene pattuito con riferimento a beni durevoli, atti a conservare, alla scadenza del contratto, un valore residuo superiore all'importo convenuto per l'esercizio del diritto di opzione, al fine dell'acquisizione in proprietà.

Viceversa, nelle ipotesi in cui la finalità traslativa assume valenza marginale, essendo il leasing finalizzato prevalentemente a permettere il godimento del bene, i canoni pagati tendono a remunerare il concedente del valore economico consumato dal concessionario e il prezzo per l'opzione di acquisto finale sarà sostanzialmente congruente con il valore residuo del bene, con sostanziale corrispettività tra le prestazioni delle parti durante lo svolgimento del rapporto.

Invero il leasing di godimento viene pattuito con funzione essenziale di finanziamento rispetto a beni soggetti a rapida obsolescenza economica ed inidonei, quindi, a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto.

Pertanto, solo nella prima ipotesi la cessione (gratuita) del contratto potrà avere valenza concretamente distrattiva, in quanto permette al cessionario di godere (gratuitamente) del parziale pagamento della res (il cui prezzo è, di fatto, incorporato nelle singole rate) da parte dell'originario contraente.

Nella seconda ipotesi, invece, la sostanziale corrispettività tra le prestazioni delle parti durante lo svolgimento del rapporto esclude, intrinsecamente, tale possibilità, essendo le rate modulate in funzione del solo godimento e commisurate alla progressiva svalutazione del bene. Cosicché quanto pagato dal cedente e quanto gravante sul cessionario sarà sostanzialmente corrispondente ai rispettivi periodi di godimento del bene stesso.

In sintesi, quindi, il leasing sarà di godimento se l'insieme dei canoni è significativamente inferiore alla remunerazione del capitale investito nell'operazione di acquisto e concessione in locazione del bene e lascia non coperta una parte rilevante di questo capitale.

Diversamente, avrà funzione traslativa se l'insieme dei canoni remunera interamente il capitale impiegato e il prevedibile valore del bene alla scadenza del contratto sopravanza in modo non indifferente il prezzo di opzione.

Tale ultima circostanza è emersa con certezza nel caso esaminato dai giudici di legittimità, che hanno ritenuto la natura distrattiva della cessione del leasing, evidenziando l'indebito vantaggio goduto dalla cessionaria, la quale, accollatasi solo il pagamento delle rate mensili residue e il (solo eventuale) costo del riscatto, avrebbe beneficiato dei precedenti esborsi effettuati dalla fallita.

Gli effetti del recupero postumo del bene distratto ad opera del curatore

La seconda interessante questione giuridica attiene al recupero postumo del bene oggetto di distrazione e la sua eventuale integrazione di una fattispecie di reato.

A tale quesito, il Supremo Consesso ha risposto negativamente, escludendo che il recupero del bene, sia in seguito ad azione revocatoria, sia in seguito ad azione di risoluzione promossa dal curatore fallimentare, possa incidere sulla configurazione del reato, che si ritiene già consumato e perfezionato.

L'interpretazione della Corte di legittimità poggia le sua fondamenta sul principio secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l'elemento oggettivo del reato è costituito, nelle plurime fattispecie previste dall'art.216 Legge fallimentare, dal distacco, in qualsiasi forma e con qualunque modalità, del bene dal patrimonio dell'imprenditore, con conseguente depauperamento o possibilità di depauperamento patrimoniale in danno dei creditori.

Logico corollario di tale principio è la circostanza secondo cui sull'elemento oggettivo e su quello soggettivo non ha incidenza né la natura dell'atto formale, con il quale il distacco viene operato - atto pubblico, scrittura privata, a titolo gratuito o oneroso, cessione, traditio - né il recupero o la possibilità di recupero del bene, attraverso specifiche azioni esperibili.

Questo si spiega in quanto la norma incriminatrice punisce, in analogia alla disciplina dei reati che offendono comunque il patrimonio, il fatto oggettivo del distacco, che si traduce in ogni ingiustificato atto non destinato alla realizzazione delle finalità dell'impresa.

Il fondamento della responsabilità trova la sua origine nella previsione contenuta nell'art. 2740 c.c., che impone all'imprenditore limiti alla libertà di disposizione dei propri beni che, a garanzia della integrità del patrimonio sul quale deve aprirsi il concorso dei creditori, sono destinati, ex lege, all'adempimento delle obbligazioni.

La fattispecie di cui all'art. 216 l. fall. si perfeziona, quindi, al momento del distacco del bene dal patrimonio, anche se il reato viene ad esistenza giuridica con la dichiarazione di fallimento, che non è l'evento del reato, e prescinde dalla validità, opponibilità e dagli effetti civili del trasferimento e dalle eventuali azioni esperibili per l'acquisizione del bene.

Il recupero della res, reale o soltanto potenziale, è un "posterius" che non ha, dunque, alcuna incidenza giuridica sulla fattispecie ormai perfetta, essendo del tutto equiparabile alla restituzione della refurtiva, operata dalla polizia, nei reati contro il patrimonio.

Né si può obiettare che gli artt. 64 – 67 l. fall., che indicano il limite del biennio anteriore al fallimento per far valere la inefficacia di tutti gli atti a titolo gratuito e di molti atti a titolo oneroso compiuti dal fallito, si pongono in contrasto con il principio sopra espresso.

Difatti, tali norme riguardano soltanto la tutela accordata, sul piano privatistico, da una parte, alla massa dei creditori e, dall'altra parte, ai terzi che abbiano avuto, in buona fede, rapporti giuridici con l'imprenditore commerciale. Queste norme, tuttavia, non essendo richiamate, né espressamente né implicitamente da quelle incriminatrici, non possono essere invocate sul piano penalistico per escludere o attenuare il reato.

Gli atti di disposizione dei beni, di per sé non illeciti, infatti, sono suscettibili di apprezzamento penale, dopo il fallimento, in qualsiasi momento siano stati compiuti.

Tale situazione si distingue nettamente da quella che viene, invece, comunemente detta “bancarotta riparata”, che si configura, determinando, questa volta sì, l'insussistenza dell'elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori.

Alla sentenza dichiarativa di fallimento è stato, peraltro, equiparato il decreto di ammissione di una società al concordato preventivo, in quanto provvedimento che presuppone anch'esso l'accertamento giudiziale dello stato di insolvenza della società; con la conseguenza che l'uscita non autorizzata di somme dalle disponibilità di una società ammessa al concordato preventivo, è sostanzialmente assimilabile alle condotte che oggettivamente integrano la fattispecie della bancarotta fraudolenta patrimoniale post-fallimentare.

Pertanto, anche in questo caso il rientro della somma distratta determina l'insussistenza della materialità del reato di bancarotta fraudolenta solo in quanto intervenuto precedentemente alla soglia cronologica identificata dalla pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento.

Può quindi concludersi che il discrimen tra la condotta di reintegro del patrimonio della fallita che integra la bancarotta riparata e quella, invece, che costituisce un posterius inidoneo ad incidere sulla sussistenza della bancarotta per distrazione, è la soglia cronologica, costituita dalla dichiarazione di fallimento, entro cui la condotta viene posta in essere.

Lo spartiacque è rappresentato infatti dal momento in cui il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisce effettiva concretezza, momento che si verifica con la declaratoria di fallimento.

Pertanto, allorquando la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno, la bancarotta si considera riparata.

Mentre sussistono gli estremi della bancarotta per distrazione qualora l'attività restitutoria o riparatoria sia posta in essere in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento, per iniziativa del curatore.  

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