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Screening della Violenza nella Mediazione Familiare: Il MASIC-4, uno Strumento tradotto e adattato in italiano (MEDIATOR’S ASSESSMENT OF SAFETY ISSUES AND CONCERNS)

21 Febbraio 2025

Il presente articolo esplora l’importanza della rilevazione della violenza del partner intimo (IPV/A) in mediazione familiare, evidenziando le criticità legate alla mancata valutazione sistematica del fenomeno e alle conseguenze sulla sicurezza delle vittime. La mediazione familiare, basata sull’autodeterminazione dei mediandi, può risultare inadeguata in contesti di violenza, compromettendo i requisiti di plenipotenziarietà e volontarietà. Viene analizzato il ruolo dello strumento MASIC-4, progettato per individuare comportamenti violenti o di abuso. La somministrazione multidimensionale consente una valutazione approfondita della gravità e dell’attualità della violenza, promuovendo decisioni sicure e informate. Il MASIC, ora disponibile in italiano, rappresenta un supporto essenziale per garantire setting di mediazione sicuri, contribuendo a sensibilizzare il contesto italiano verso la prevenzione della violenza di genere, nel rispetto delle normative sulla mediazione familiare introdotte dalla c.d. Riforma del processo civile.

Introduzione e definizioni

È necessaria una precisazione sulla terminologia utilizzata nel presente scritto. Si farà riferimento alla terminologia in lingua inglese di intimate partner violence (d’ora in avanti IPV) o alla relativa traduzione di violenza del partner. La locuzione con il corrispondente acronimo, è richiamata nella letteratura internazionale e sostituisce quella di domestic violence o violenza domestica, utilizzata anche in Italia. Negli studi internazionali, con IPV si descrive il fenomeno in modo più accurato perché permette di discriminare la violenza del partner da altre forme di violenza che possono verificarsi nell’ambito domestico, come ad esempio la violenza o i maltrattamenti sui minori o sugli anziani (Nicolaidis, C., & Paranjape, A. (2009). Defining intimate partner violence: Controversies and implications. Intimate partner violence: A health-based perspective, 19-29). Talvolta si potrà fare anche riferimento al termine ‘abuso’, perché spesso gli autori internazionali, di cui si riporteranno le dissertazioni, fanno menzione alla categoria delle violenze psicologiche o abuso emotivo o psicologico: nel qual caso la locuzione diventa intimate partner violence/abuse - acronimo IPV/A - o generalmente ‘abusi’. Tali termini non verranno utilizzati con valenza giuridica o con rimando ai reati.

Il problema dello screening per ipv nei vari contesti

L’ambito di riferimento che si vuole esplorare è quello psicogiuridico, con focus specifico sulla mediazione familiare; occorre tuttavia considerare che l’IPV è riconosciuto come un problema emergenziale di salute pubblica, poiché contribuisce significativamente al carico dei problemi di salute mentale, reca conseguenze “catastrofiche su individui, famiglie e comunità” (pag. 489, traduzione non autorizzata ad opera dell’autrice) ed “è la forma di violenza più comunemente sperimentata dalle donne a livello globale”.

Il problema riguarda quindi tutte le discipline e gli ambiti e, più in generale, riguarda la cultura che normalizza e rende accettabile la violenza basata sulla differenza di genere. In quanto culturalmente radicato, il problema richiama anche a una responsabilità in termini di culture professionali, che a vario titolo si occupano del diritto di famiglia nel momento in cui i partner si dividono: “Norme e atteggiamenti stereotipati di genere sostengono la violenza nella cultura popolare, nella comunicazione di massa e nelle istituzioni… Norme stereotipate di genere sono anche all'interno della psichiatria e della psicologia. Discipline come la psichiatria e la psicologia non sono immuni da disuguaglianze strutturali e non hanno sempre esaminato le proprie pratiche, come dimostra la storia della psichiatria…” (Oram, S., Fisher, H. L., Minnis, H., Seedat, S., Walby, S., Hegarty, K., ... & Howard, L. M. (2022). The Lancet Psychiatry Commission on intimate partner violence and mental health: advancing mental health services, research, and policy. The Lancet Psychiatry, 9(6), 487-524. Pag. 512.) (pag. 512). (La traduzione non autorizzata è ad opera dell’autrice).

Come è documentato da indagini statunitensi svolte negli anni ’90, nonostante la diffusa prevalenza della violenza del partner, i professionisti di ambito medico dimostravano scarsa attenzione nei confronti di questo problema. Tali ricerche concludevano sull’importanza di fornire ai professionisti di area medica una formazione specifica per riconoscere e valutare gli abusi subiti dalle pazienti ( Hamberger, L. K., Saunders, D. G., & Hovey, M. (1992). Prevalence of domestic violence in community practice and rate of physician inquiry. Family medicine, 24(4), 283-287). 

Analogamente, anche nei contesti di assistenza primaria, veniva indicata la necessità di opportuna formazione degli operatori ( Elliott, B. A., & Johnson, M. M. (1995). Domestic violence in a primary care setting. Patterns and prevalence. Archives of Family Medicine, 4(2), 113-119.). La raccomandazione riguardava lo screening per le violenze o abusi del partner e per la depressione, quale conseguenza sulla salute delle vittime (Bauer, H. M., Rodríguez, M. A., & Pérez-Stable, E. J. (2000). Prevalence and determinants of intimate partner abuse among public hospital primary care patients. Journal of general internal medicine, 15, 811-817).

Studi più recenti dimostrano che gli operatori raramente rilevano la violenza anche tra le donne a più alto rischio, dimostrando che il problema della consapevolezza sulla violenza e sulle connesse implicazioni per la salute non è risolto, né nei contesti di assistenza medica primaria, né in quelli della salute mentale (Klap, R., Tang, L., Wells, K., Starks, S. L., & Rodriguez, M. (2007). Screening for domestic violence among adult women in the United States. Journal of general internal medicine, 22, 579-584).

In quest’ultimo ambito, in particolare tra i terapeuti specializzati nella coppia, veniva riportato il medesimo problema e la conseguente necessità di formazione in tema di violenza subita dalle pazienti vittime, anche nei servizi non esclusivamente dedicati alle vittime di violenza (Harway, M., Hansen, M., & Cervantes, N. N. (1997). Therapist awareness of appropriate intervention in treatment of domestic violence: A review. Journal of aggression, maltreatment & trauma, 1(1), 27-40).

Fin dagli anni ’90, l’incidenza della violenza relazionale veniva riferita come una crescente preoccupazione, e le teorie della terapia familiare sono state esposte a critiche per l’enfasi data alla responsabilità condivisa di entrambi i partner nell’innesco delle escalation, oscurando la gravità della violenza subita dalla vittima. Ad esempio, una ricerca condotta su un campione ampio di terapeuti della famiglia, aveva documentato come i professionisti intervistati non tenevano conto della gravità della violenza anche nei casi in cui avevano notato la presenza di violenza, non riuscendo quindi ad affrontare la necessità di protezione della vittima ( Hansen, M., Harway, M., & Cervantes, N. (1991). Therapists’ perceptions of severity in cases of family violence. Violence and Victims, 6(3), 225-235.).

Più recentemente, vent’anni dopo, uno studio analogo documenta che i terapeuti di coppia e familiaristi con formazione certificata, sono in grado di riconoscere la probabilità di violenza domestica nei casi di studio e a rispondere in maniera appropriata aumentando la sicurezza dei partecipanti (Rappleyea, D. L., Harris, S. M., & Dersch, C. A. (2009). Therapist response to intimate partner violence: A qualitative content analysis. Journal of Couple & Relationship Therapy, 8(1), 34-51).

Questi studi sembrano incoraggianti sul fatto che la formazione specialistica aiuti a compiere dei progressi.

Analogamente a quanto accade per i professionisti di ambito sanitario e della terapia di coppia, anche i mediatori familiari che non utilizzano metodi di screening sistematici possono non essere in grado di rilevare IPV/A  tra  le  famiglie  che  accedono  alla  mediazione (Holtzworth‐Munroe, A., Beck, C. J., & Applegate, A. G. (2010). The mediator's assessment of safety issues and concerns (MASIC): A screening interview for intimate partner violence and abuse available in the public domain. Family Court Review, 48(4), 646-662).

Il tema specifico risulta ampiamente trattato dagli studi internazionali, ma altrettanto non si può dire per quanto riguarda le pratiche professionali di ambito psicogiuridico o di mediazione familiare italiane. Di contro, in Italia si sono registrate attività delle istituzioni, anche sovranazionali, i cui esiti si sono successivamente imposti all’attenzione degli operatori e ricercatori delle diverse discipline, e hanno aperto la strada per un adeguamento delle normative alla necessaria sensibilità sul tema della violenza.

Con la ratifica da parte dell’Italia della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, siglata a Istanbul in data 11 maggio 2011, la protezione dalla violenza diviene norma legge (L. 27 giugno 2013, n. 77). Nel 2019 l’Italia viene richiamata con uno specifico rilievo sulla vittimizzazione secondaria, come si evince nel rapporto GREVIO (Group of Expert on Action against Violence against Women and Domestic Violence, consultabile in https://www.coe.int/en/web/istanbul-convention/italy), redatto a seguito dell’esito dell’attività di verifica dell’applicazione da parte dei paesi firmatari della Convenzione stessa.

Di riflesso la Commissione parlamentare sul femminicidio e sulla vittimizzazione secondaria (RELAZIONE SULLA VITTIMIZZAZIONE SECONDARIADELLE DONNE CHE SUBISCONO VIOLENZA E DEI LOROFIGLI NEI PROCEDIMENTI CHE DISCIPLINANO L’AFFIDAMENTO E LA RESPONSABILITÀ GENITORIALE approvata dalla Commissione nella seduta del 20 aprile 2022, Atti Parlamentari, Senato Della Repubblica consultabile presso https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/372013.pdf) ha messo in luce il problema della sicurezza delle vittime del partner in ambito di procedimenti di diritto di famiglia, ove siano coinvolte figure psicogiuridiche come il consulente tecnico d’ufficio.

Si tratta di un tema che riguarda anche la mediazione familiare, come riporta la letteratura: la maggior parte delle vittime ha subito una vittimizzazione secondaria durante la mediazione, che ha avuto un impatto negativo sulla loro disponibilità a ricorrere nuovamente al sistema della giustizia (Rivera, E. A., Sullivan, C. M., & Zeoli, A. M. (2012). Secondary victimization of abused mothers by family court mediators. Feminist criminology, 7(3), 234-252).

Con la Legge n. 206 del 26.11.2021 (c.d. Riforma del processo civile) viene prioritariamente tutelata la sicurezza delle vittime, onerando il mediatore familiare della massima attenzione nel contemplare le allegazioni di violenza, sia in fase iniziale, dove il Giudice può invitare le parti a frequentare sessioni informative sulla mediazione familiare, sia in caso di mediazioni familiari già avviate, laddove il mediatore familiare sia raggiunto da notizia riguardante violenza o abuso. A garanzia dell’efficacia del sistema così regolamentato, la legge provvede a istituire registri di mediatori specificamente formati presso ogni tribunale, e la formazione specifica contempla espressamente la materia della violenza intrafamiliare e del partner, a cui si fa riferimento con le locuzioni di: “violenza domestica” o “di genere” o di “violenza contro le donne”.

Autodeterminazione/volontarietà in mediazione familiare e ipv

Da molti anni le prassi internazionali sono regolate da standard deontologici e di pratica. La mediazione è caratterizzata come "un processo in cui un mediatore, una terza parte imparziale, facilita la risoluzione delle dispute familiari promuovendo l'accordo volontario dei partecipanti" (Symposium on Standards of Practice, 2001, p. 127). (Schepard, A. (2001). An introduction to the model standards of practice for family and divorce mediation. Fam. LQ, 35, 1; Schepard, A. (2004). The model standards of practice for family and divorce mediation. In J. Folberg, A. L. Milne, & P. Salem (Eds.), Divorce and family mediation: Models, techniques, and applications (pp. 516–543). Guilford Publications).

"L’autodeterminazione è il principio fondamentale della mediazione familiare. Il processo di mediazione si basa sulla capacità dei partecipanti di prendere le proprie decisioni volontarie e informate."

(Schepard, A. (2001). An introduction to the model standards of practice for family and divorce mediation. Fam. LQ, 35, 1. Pag. 3, traduzione a cura dell’autrice).

La presenza di violenza o abuso compromette sia il principio cardine della mediazione sia la sicurezza del setting della mediazione familiare, in quanto espone le parti offese a secondarismi nella vittimizzazione, ovvero il rischio che la parte venga rivittimizzata dal contesto stesso divenuto iatrogeno a causa del medesimo problema di violenza.

Gli standard di pratica della mediazione familiare (Model Standards of Practice for Family and Divorce Mediation Association of Family and Conciliation Courts (2000). Pag. 8-9. Traduzione libera a cura dell’autrice. Consultabili alla pagina https://www.afccnet.org/Portals/0/PDF/ModelStandardsOfPracticeForFamilyAndDivorceMediation.pdf?ver=98FZzpKau_RcPMWnL0KkRQ%3d%3d)  di Association of Family and Conciliation Courts (AFCC), stabiliscono: “Standard X: C. Alcuni casi non sono adatti per la mediazione a causa di problemi legati alla sicurezza, al controllo o all'intimidazione. Un mediatore dovrebbe dedicare adeguata applicazione per individuare la sussistenza di abusi domestici prima di avviare un percorso di mediazione. Il mediatore dovrebbe continuare a valutare la presenza di abusi domestici durante l'intero processo di mediazione. D. Se risulta l’evidenza di abusi domestici, il mediatore dovrebbe valutare l'adozione di misure per garantire la sicurezza dei partecipanti e del mediatore, tra le altre: 1. stabilire adeguate disposizioni di sicurezza; 2. condurre sessioni separate con i partecipanti anche in assenza di accordo di tutti i partecipanti; 3. consentire a un fiduciario, rappresentante, difensore, consulente o avvocato di partecipare alle sessioni di mediazione; 4. incoraggiare i partecipanti a farsi rappresentare da un avvocato, consulente o difensore durante l'intero processo di mediazione; 5. indirizzare i partecipanti alle risorse comunitarie appropriate; 6. sospendere o interrompere le sessioni di mediazione, con adeguate misure per proteggere la sicurezza dei partecipanti”.

Il DM 151/2023 definisce la professione del mediatore familiare come la “figura professionale terza e imparziale, con una formazione specifica, che interviene nei casi di cessazione o di oggettive difficoltà relazionali di un rapporto di coppia, prima, durante o dopo l'evento separativo. Il mediatore opera al fine di facilitare i soggetti coinvolti nell'elaborazione di un percorso di riorganizzazione di una relazione, anche mediante il raggiungimento di un accordo direttamente e responsabilmente negoziato e con riferimento alla salvaguardia dei rapporti familiari e della relazione genitoriale, ove presente”.

Si può notare che la definizione del DM citato fa riferimento alla responsabilizzazione dei mediandi nella negoziazione di un eventuale accordo, quindi pone l’accento sugli aspetti relazionali della coppia, ma non fa alcun riferimento alla volontarietà del percorso mediativo, requisito fondamentale per le definizioni di mediazione familiare validamente considerate a livello internazionale, nei paesi dove la mediazione è nata e si è evoluta come pratica sicura per tutti i membri della famiglia, come richiesto dagli standard di pratica internazionali già riportati.

Inoltre, si può osservare che, nell’articolato del citato DM, il lemma ‘violenza’ ricorra una sola volta a proposito dei doveri formativi del mediatore; inoltre la formazione sui temi della violenza è posizionata come ultimo punto del programma formativo della professione non regolamentata di mediatore familiare. Il lemma ‘abusi’ ricorre anch’esso una sola volta, nell’art. 8, che stabilisce che “Il mediatore familiare segnali alle autorità competenti eventuali abusi nell'ambito dell'esercizio della mediazione familiare”, dove “il dovere di segnalazione”( Come dichiarato in introduzione, il presente approfondimento è limitato all’IPV/A, non alle violenze o abusi sui minori o su altri soggetti che appartengono alla sfera familiare) non riguarda, peraltro, il tema della violenza. Nel citato art. 43 della riforma, tuttavia, è previsto che il mediatore interrompa immediatamente il percorso di mediazione familiare intrapreso se, nel corso di esso, emerge “notizia” di violenze, così come è fatto divieto di intraprendere il percorso in caso di allegazioni di violenze, nonché ove ricorrano fattispecie giuridiche precisate dal predetto articolo. Uno dei principi ispiratori della riforma (SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE ATTUAZIONE DELLA LEGGE 26 NOVEMBRE 2021, N. 206 RECANTE DELEGA AL GOVERNO PER L'EFFICIENZA DEL PROCESSO CIVILE E PER LA REVISIONE DELLA DISCIPLINA DEGLI STRUMENTI DI RISOLUZIONE ALTERNATIVA DELLE CONTROVERSIE E MISURE URGENTI DI RAZIONALIZZAZIONE DEI PROCEDIMENTI IN MATERIA DI DIRITTI DELLE PERSONE E DELLE FAMIGLIE NONCHÉ IN MATERIA DI ESECUZIONE FORZATA. RELAZIONE ILLUSTRATIVA Consultabile al https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/419074.pdf), la Convenzione di Istanbul, non sembra avere ugualmente ispirato anche il DM 151/2023, volto a disciplinare le attività professionali e la deontologia del mediatore familiare. Pur essendo scaturito dalla riforma - Art. 12-sexies -, il citato non riporta tra i doveri professionali del mediatore alcuna precisazione sull’attività di rilevazione e identificazione della violenza/abuso che sostanzino o forniscano informazioni circa le ‘notizie’ e le ‘allegazioni’, in ordine alle quali è previsto il dovere di interruzione del percorso di mediazione o il divieto ad intraprenderlo in forza dell’Art. 473-bis.43.

La mediazione familiare è un processo volontario, indipendente e autonomo, dove l’autonomia presuppone la capacità delle parti di partecipare alla mediazione ( Beck, C. J., & Frost, L. E. (2006). Defining a threshold for client competence to participate in divorce mediation. Psychology, Public Policy, and Law12(1), 1), che può essere pregiudicata dalla sussistenza di forme di violenza nella relazione, anche ove si tratti di violenze psicologiche che non rivestano rilevanza in ambito penale o giuridico.

In presenza di violenze o abusi, gli accordi conseguiti in mediazione risultano di dubbia validità. Anche a fronte dell’integrità delle capacità di comprendere ed esaminare le conseguenze delle proprie scelte, le decisioni assunte potrebbero essere dissonanti rispetto ai valori personali e alle priorità della parte che, avendo subito violenza, si trova in uno stato emotivo di timore, paura, costrizione, tanto da non essere in grado di tutelare gli interessi propri o dei figli (Beck, C. J., & Frost, L. E. (2006). Defining a threshold for client competence to participate in divorce mediation. Psychology, Public Policy, and Law, 12(1), 1; Saccuzzo, D. P., Johnson, N. E., & Koen, W. J. (2003). Mandatory Custody Mediation: Empirical evidence of increased risk for domestic violence victims and their children. San Diego State University).

Tale rischio è vieppiù presente se la relazione è soggetta al controllo e alla coercizione, forme psicologiche che integrano una condizione di non-libertà della vittima che si sente soggiogata o intrappolata (Stark, E., & Hester, M. (2019). Coercive Control: Update and Review. Violence Against Women25(1), 81-104; Tanha, M., Beck, C. J., Figueredo, A. J., & Raghavan, C. (2010). Sex differences in intimate partner violence and the use of coercive control as a motivational factor for intimate partner violence. Journal of interpersonal violence25(10), 1836-1854).

Atteggiamenti dei professionisti e rilevazione del rischio di ipv

Sebbene alcuni studi dimostrino che le vittime possono accettare accordi in mediazione che non soddisfano la loro sicurezza o quella dei loro figli (Putz, J. W., Ballard, R. H., Arany, J. G., Applegate, A. G., & Holtzworth‐Munroe, A. (2012). Comparing the mediation agreements of families with and without a history of intimate partner violence. Family Court Review, 50(3), 413-428; Johnson, N. E., Saccuzzo, D. P., & Koen, W. J. (2005). Child custody mediation in cases of domestic violence: Empirical evidence of a failure to protect. Violence against women11(8), 1022-1053.), i sostenitori più determinati della mediazione ritengono sia un errore privare le famiglie dei vantaggi che possono derivare dal percorso mediativo quale alternativa al contenzioso in giudizio (Pokman, V., Rossi, F. S., Holtzworth-Munroe, A., Applegate, A. G., Beck, C. J., & D’Onofrio, B. M. (2014). Mediator’s Assessment of Safety Issues and Concerns (MASIC) reliability and validity of a new intimate partner violence screen. Assessment21(5), 529-542). Secondo questi commentatori, la pratica della mediazione è avanzata a tal punto che anche a persone con gravi problemi di violenza domestica, utilizzo di sostanze e salute mentale, dovrebbe essere data l’opportunità di partecipare alla mediazione in alternativa al contenzioso (Edwards, H. L., Baron, S., & Ferrick, G. (2008). A comment on William J. Howe and Hugh McIsaac's article “Finding the Balance” published in the January 2008 issue of Family Court Review. Family Court Review, 46(4), 586-591).

In alcuni studi, le impostazioni degli autori che ritengono la mediazione un processo non sicuro per le donne vittime di violenza, sono state indagate e verificate sperimentalmente. Gli studi scientifici confrontazionali non hanno trovato evidenze che le donne vittime di violenza o abusi abbiano maggiori probabilità rispetto alle donne non vittime di essere esposte a violenza fisica e/o abuso emotivo, sia durante che dopo la loro partecipazione alla mediazione. Parimenti, non sono state individuate evidenze che le donne vittime di violenza o abusi che partecipano alla mediazione abbiano maggiori probabilità di essere vittime di violenza da parte di ex partner maschi, rispetto alla stessa categoria di vittime che, non avendo scelto la mediazione, si siano costituite parti in procedimenti giudiziali o che abbiano partecipato a negoziazioni forensi ( Ellis, D., & Stuckless, N. (2006). Domestic violence, DOVE, and divorce mediation. Family Court Review, 44(4), 658-671).

Nel dibattito sulla sicurezza, oltre alle posizioni a favore e contro la mediazione familiare come percorso accessibile alle vittime senza rischi, trova spazio una sottocategoria di coloro che sono cauti, le cui critiche propositive verso la mediazione comprendono suggerimenti per valutare e gestire in modo più efficace il rischio connesso alla violenza durante e dopo la mediazione. Ovviamente, prima di essere gestito, il problema deve essere individuato con precisione e sistematicità.

Gli studi condotti sugli atteggiamenti dei mediatori familiari segnalano che i mediatori non reputano necessario eseguire screening sistematici volti a rilevare la presenza di IPV/A sui casi in accesso al percorso mediativo e come tale atteggiamento sia fonte di preoccupazione, perché in campo clinico all’assenza di screening segue una sottostima dell’IPV/A. Tale fenomeno, riscontrato nella clinica generale, riguarda anche la mediazione familiare (Holtzworth‐Munroe, A., Beck, C. J., & Applegate, A. G. (2010). Op. Cit.).

La maggior parte dei mediatori familiari ritiene che l'IPV/A sia un fattore rilevante per la pratica della mediazione familiare, ma molti mediatori ritengono che l'IPV/A non sia un problema frequente tra le coppie a cui le loro prestazioni di mediazione familiare sono rivolte (Holtzworth‐Munroe, A., Beck, C. J., & Applegate, A. G. (2010). Op.Cit.; Ballard, R. H., Holtzworth-Munroe, A., Applegate, A. G., & Beck, C. J. (2011). Detecting intimate partner violence in family and divorce mediation: A randomized trial of intimate partner violence screening. Psychology, Public Policy, and Law, 17(2), 241).

In Italia, sebbene non siano state condotte ricerche specifiche sugli atteggiamenti e le credenze dei mediatori familiari, non è infrequente imbattersi, nei convegni o nelle occasioni pubbliche delle associazioni, in mediatori familiari scettici sulla reale sussistenza del problema, ritenuto come un problema di accuse false o strumentali, volte a ottenere vantaggi nelle negoziazioni o risarcimenti di tipo psicologico e/o economico oppure finalizzate a sottrarsi al confronto con l’altra parte e, strategicamente, ottenere maggior potere decisionale. Secondo queste aneddotiche, sottrarsi alla mediazione familiare andrebbe a detrimento dei figli e della bigenitorialità, motivo per il quale taluni mediatori familiari italiani si sono sentiti confortati quando la Gazzetta Ufficiale (Reperibile al link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2017/11/28/278/sg/pdf) ha riportato una migliore traduzione (Bonessa M., Valladè S., Conflittualità genitoriale e violenza familiare: dialogo tra diritto e clinica, in IUS Famiglie, 15 dicembre 2021) dell’articolo della Convenzione di Istanbul per cui, in presenza di violenza domestica, non è vietato l’accesso alla mediazione familiare, ma è vietato ricorrere alla mediazione familiare obbligatoria. Sebbene il campo di applicazione del divieto dell’articolo 48 della citata Convenzione sia ora più ristretto, è necessario considerare il riformato art. 473 bis 40 c.p.c. e seguenti, dove il veto riguarda le allegazioni di violenza, in presenza delle quali non può essere fatto obbligo giudiziale di accedere alla sessione informativa sulla mediazione familiare, e dove è previsto il dovere del mediatore familiare di interrompere la mediazione al sopraggiungere di notizia di violenza. Dunque, indipendentemente dagli atteggiamenti dei mediatori familiari, sarebbe utile poter disporre di uno strumento che possa supportare nella rilevazione della “notizia di violenza o abuso” novellata nell’articolo citato.

Anche ove sia assente una rilevanza penale delle manifestazioni, la violenza potrebbe essere rilevante in altri aspetti, dal punto di vista civile (Il legislatore delegato nella consapevolezza che il contrasto alla violenza domestica non si realizza soltanto con le norme penali, ma anche, e forse soprattutto, nell’ambito dei procedimenti civili e minorili, ha dettato specifici criteri di delega…della legge n. 206/2021 per garantire piena tutela alle vittime.” Relazione Illustratuva, Op. Cit., Pag. 79-80) o ancor più dal punto di vista psicologico, a partire dalla competenza o capacità di stare in mediazione o in altre ADR con la piena volontarietà e plenipotenziarietà di ambedue i mediandi posti su un piano di perfetta parità (Beck, C. J., & Frost, L. E. (2006). Defining a threshold for client competence to participate in divorce mediation. Psychology, Public Policy, and Law, 12(1), 1.).

Al di là degli obblighi che discendono al mediatore familiare dalla riforma del processo civile, l’attenzione alla tutela dei partecipanti potrebbe essere una priorità condivisa da ogni operatore di ambito, anziché essere vissuta dai mediatori familiari come un ostacolo a pacificare le relazioni familiari, perché eticamente - anche per il mediatore - dovrebbe prevalere il principio della protezione dei partecipanti e della sicurezza del setting di mediazione, liberamente e volontariamente adito. Tale aspetto emerge chiaramente dalle esperienze internazionali, che riferiscono la collaborazione tra le organizzazioni in difesa delle donne vittime e la categoria professionale dei mediatori familiari, con l’obiettivo di comprendere come gestire in modo appropriato i casi con anamnesi di violenza del partner intimo (Putz, J. W., Ballard, R. H., Arany, J. G., Applegate, A. G., & Holtzworth‐Munroe, A. (2012). Comparing the mediation agreements of families with and without a history of intimate partner violence. Family Court Review50(3), 413-428)

Gli studi riportano come necessario che i mediatori familiari siano in grado di riconoscere e distinguere le tipologie e l’entità di IPV/A che alcune parti coinvolte nella mediazione possano avere subito. Pertanto, gli esperti riconoscono l'importanza di un'attenta valutazione dell'IPV/A specifica e dimensionale (Ellis, D. (2008). Divorce and the family court: What can be done about domestic violence?. Family Court Review46(3), 531-536). A tal fine, i mediatori dovrebbero poter utilizzare strumenti di rilevazione, possibilmente già validati nella clinica, nella ricerca o nella pratica degli operatori che, a vario titolo, si occupano di sicurezza in materia di IPV/A. Tuttavia, tali strumenti non sempre sono accessibili o di pratico utilizzo per il mediatore familiare, per vari motivi: per ragione di specificità univoca degli strumenti esistenti, sicché il mediatore dovrebbe poter utilizzare in forma combinata molteplici test, dato che alcuni rilevano le tattiche di conflitto ma non il rischio di letalità; altri non rilevano le varie categorie di violenza e abuso o il controllo coercitivo. Inoltre, alcuni strumenti richiedono una formazione specifica per la somministrazione, o sono eccessivamente laboriosi e richiedono risorse temporali ingenti, oppure non sono liberamente disponibili e richiedono risorse economiche per l’acquisto. Nel caso italiano dobbiamo aggiungere anche l’assenza di strumenti tradotti e validati cross culturalmente anche nella clinica. Solo recentemente in Italia è stata validata una versione della CTS (Signorelli, M. S., Arcidiacono, E., Musumeci, G., Di Nuovo, S., & Aguglia, E. (2014). Detecting domestic violence: Italian validation of revised Conflict Tactics Scale (CTS-2). Journal of Family Violence, 29, 361-369). Inoltre, altri strumenti che hanno dimostrato valide proprietà, disponibili in italiano come ad esempio il SARA  (Pauncz, A., & Cutini, S. LA VIOLENZA DI GENERE: GLI STRUMENTI DI RISK ASSESTEMENT; SARA (2006). Spousal Assault Risk Assessment, Roma. Reperito on line il 25/06/2016: http://www.sara-cesvis.org/;http://www.differenzadonna.org) non sono specifici per l’ambito di riferimento della separazione tra partner, e nemmeno per la sicurezza in mediazione familiare).

Il mediator’s assessment of safety issues and concerns

Per far fronte al problema è stato sviluppato uno strumento di screening sistematico per l’IPV/A, specifico per l’individuazione dei problemi di sicurezza dettati da IPV/A in mediazione familiare: il MEDIATOR’S ASSESSMENT OF SAFETY ISSUES AND CONCERNS (MASIC). Si tratta di uno strumento di rilevazione dei comportamenti, specifico per la mediazione, che valuta varie tipologie di violenza tra partner e abuso, come ad esempio il controllo coercitivo, lo stalking, la violenza fisica, occorsi in diversi momenti pregressi: fin dall’inizio della relazione tra partner e nel corso dell'ultimo anno, in grado di rilevare anche il rischio di letalità. La somministrazione avviene in forma di intervista generalmente preferita dai mediatori (sebbene si presti anche alla somministrazione in forma di questionario). Lo strumento inoltre fornisce al mediatore indicazioni facoltative, eventualmente anche volte a impostare modifiche procedurali nel setting di mediazione, al fine di garantirne la sicurezza.

Ai fini delle conoscenze del mediatore, inoltre, rileva che il fenomeno dell’IPV/A è multidimensionale. Infatti, un numero crescente di ricerche empiriche ha dimostrato che la violenza da parte del partner non è un fenomeno unitario e che le tipologie di violenza possono essere differenziate in ordine alle dinamiche del partner, al contesto e alle conseguenze (Kelly, J. B., & Johnson, M. P. (2008). Differentiation among types of intimate partner violence: Research update and implications for interventions. Family court review46(3), 476-499).

La raccomandazione a individuare la violenza e le sue sfaccettature viene posta frequentemente anche in relazione alle conseguenze della rilevazione, per la ragione che i mediatori sono chiamati a mettere in atto percorsi sicuri di risoluzioni dei conflitti, ad esempio: mediazione con sessioni singole, mediazione tramite videoconferenza o indicazione a non procedere con la mediazione come percorso appropriato (Tanha, M., Beck, C. J., Figueredo, A. J., & Raghavan, C. (2010). Sex differences in intimate partner violence and the use of coercive control as a motivational factor for intimate partner violence. Journal of interpersonal violence, 25(10), 1836-1854.Tanha, M., Beck, C. J., Figueredo, A. J., & Raghavan, C. (2010). Sex differences in intimate partner violence and the use of coercive control as a motivational factor for intimate partner violence. Journal of interpersonal violence, 25(10), 1836-1854), per le coppie con IPV/A, analogamente a quanto è richiesto ai clinici. Anche questi ultimi, infatti, sono chiamati a condurre valutazioni di IPV/A, al fine di fornire trattamenti ai partner in separazione. È indispensabile che gli strumenti di screening siano in grado di individuare l'intensità, la frequenza, l’attualità, la gravità, chi agisce violenza, i modelli di controllo, abuso emotivo e intimidazioni, il contesto degli episodi, l’entità delle lesioni, precedenti penali, valutazione della paura e del livello di rischio (Kelly J 2008).

Gli studi preliminari del MASIC hanno anche eseguito dei confronti con due strumenti di rilevazione dell’IPV/A: una versione del RBRS-R ( Tanha, M., Beck, C. J., Figueredo, A. J., & Raghavan, C. (2010). Sex differences in intimate partner violence and the use of coercive control as a motivational factor for intimate partner violence. Journal of interpersonal violence, 25(10), 1836-1854; Beck, C. J., Menke, J. M., & Figueredo, A. J. (2013). Validation of a measure of intimate partner abuse (Relationship Behavior Rating Scale–Revised) using item response theory analysis. Journal of Divorce & Remarriage, 54(1), 58-77) e il DOVE (Ellis, D., & Stuckless, N. (2006). Domestic violence, DOVE, and divorce mediation. Family Court Review, 44(4), 658-671; Ellis, D., & Stuckless, N. (2006). Separation, domestic violence, and divorce mediation. Conflict Resolution Quarterly, 23(4), 461-485.), ambedue somministrati a entrambe le parti in mediazione ad opera dei mediatori familiari esperti, la cui conclusione mostrava come nessuna delle misure impiegate fosse esente da limiti o difficoltà intrinseche (Holtzworth‐Munroe, A., Beck, C. J., & Applegate, A. G. (2010).). Per ovviare a queste difficoltà, gli stessi autori hanno ideato un nuovo strumento non coperto da diritti e per il quale non è necessaria una specifica formazione per la somministrazione, che potesse essere divulgato gratuitamente e che quindi potesse essere ampiamente disponibile per tutti gli operatori in mediazione familiare (Holtzworth‐Munroe, A., Beck, C. J., & Applegate, A. G. (2010).

Il MASIC è specifico per il contesto della mediazione familiare e, sebbene non siano riportate contrindicazioni per la somministrazione come questionario, è somministrabile nella forma dell’intervista sicché, seguendo le preferenze dei mediatori familiari coinvolti negli studi preliminari, il professionista sia supportato nella creazione di una relazione di lavoro con le parti e nella comprensione approfondita dell’IPV segnalata.

Lo strumento è progettato per rilevare la violenza subita ad opera dell’altro partner, il che significa che non richiede ammissioni di eventuali reati o agiti di violenza. L’intervista si compone di una serie di domande riguardanti i descrittori comportamentali, e non si basa su etichette quali, ad esempio, aggressione, abuso o violenza, ritenute dagli autori meno appropriate per consentire le segnalazioni di comportamenti specifici.

Si tratta di uno strumento multidimensionale che valuta diverse tipologie di IPV: l’abuso psicologico, il controllo coercitivo, la violenza fisica, la violenza fisica grave, l'aggressione/abuso sessuale, lo stalking e la paura della vittima.

Il MASIC, inoltre, valuta se le tipologie di IPV/A si siano verificate in due periodi temporali: dall’inizio della relazione e nell’ultimo anno, mettendo in luce l’eventuale rischio di IPV/A ancora attuale, e quindi anche il rischio che la vittima permanga in condizioni di paura o soggezione nei confronti del partner precedentemente violento, ma che ancora possa essere condizionata e non totalmente libera di intraprendere un percorso di mediazione familiare.

Prevede, inoltre, che siano indicate specifiche frequenze di manifestazioni di ciascuna tipologia di IPV/A, fornendo chiaramente un grado di rischio e di gravità dei comportamenti ad oggetto dell’indagine.

Gli autori degli studi internazionali ritengono fondamentale rilevare la recency o attualità di determinati comportamenti, in quanto il verificarsi di un comportamento nel presente costituisce il migliore ‘predittore’ del rischio connesso al ripetersi del comportamento nel futuro, laddove l’eventuale separazione della coppia non abbia portato miglioramenti nella sicurezza.

Il MASIC fornisce altresì domande direttamente correlate ai livelli di rischio di letalità, quali le pregresse minacce suicidarie e l’accessibilità alle armi, fornendo anche indicatori di letalità del femminicidio basati sulla ricerca su cui gli autori si sono orientati nella progettazione dello strumento. Infine, fornisce uno spazio per il mediatore per formulare le proprie valutazioni e per indicare la motivazione per cui il professionista sia pervenuto a controindicare la mediazione familiare per lo specifico caso.

Le informazioni ricavate sono reperite in forma riservata e anche ove la mediazione familiare non sia adatta alla coppia per questioni di IPV/A, la relativa motivazione non sarà ostesa. Nel caso di ammissione alla mediazione ove siano necessarie delle cautele, il MASIC prevede una sezione in cui possano essere formulate le indicazioni per la sicurezza, comprese le modifiche al setting della mediazione, come ad esempio la mediazione ‘navetta’ condotta in sessioni separate o via videoconferenza o alla presenza di terze figure di supporto per le vittime.

Conclusioni

Per le ragioni indicate, il MASIC potrebbe essere di grande supporto anche per il mediatore familiare italiano e contribuirebbe concretamente all’operazione culturale volta a eradicare la violenza di genere, impegno culturale imprescindibile anche per le professioni con rilevante funzione sociale, tra cui la mediazione familiare.

Il MASIC è ora tradotto anche in italiano (la traduzione non è stata eseguita dagli autori dello screening, ma è avvenuta con il loro preliminare permesso) ed è gratuitamente disponibile a tutti gli operatori nello spirito di liberalità che ha animato gli autori stessi nella progettazione dello strumento. Può essere consultato e scaricato gratuitamente.

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