Abuso del diritto in caso di istanza di accesso civico di carattere “massivo”

Redazione Scientifica Processo amministrativo
31 Gennaio 2025

È legittimo il diniego su una istanza di accesso civico contenente un numero elevato e indefinito di atti eterogenei, che non indichi l'intervallo temporale entro cui collocarli, ostando il principio generale del divieto di abuso del diritto che rende un'istanza di accesso di carattere “massivo”, non proporzionato, manifestamente irragionevole e, dunque, abusiva.

Il Consiglio di Stato con la sentenza in esame ha  affrontato il tema dell'abuso del diritto con riferimento ai limiti all'esercizio del diritto di accesso agli atti amministrativi.

La vicenda origina dall' impugnazione della sentenza del T.a.r. per la Lombardia da parte di una società operante nel settore dei servizi ambientali, che confermava la legittimità del diniego opposto da una società in house della regione Lombardia, attiva nel medesimo settore ambientale, all'ostensione di un cospicuo numero di documenti richiesti ai sensi della legge n. 241 del 1990 sull'accesso documentale, che del d.lgs. n. 33 del 2013 sull'accesso civico, nonché del d.lgs. n. 195 del 2005 sull'accesso alle informazioni in materia ambientale.

In applicazione del criterio della ragione più liquida, il Collegio ha preliminarmente inquadrato la questione nell'ambito della teoria dell'abuso del diritto e ha richiamato il principio di diritto enunciato dall'Adunanza plenaria n. 10/2020,  che qualifica l'abuso del diritto come un limite interno all'esercizio del diritto soggettivo e alle situazioni giuridiche di vantaggio riconosciute dall'ordinamento, nonché, con riferimento all'accesso civico documentale, un limite all'accoglimento delle istanze ostensive. In tal caso, alla luce di quanto affermato dall'Adunza Plenaria citata, è possibile e doveroso respingere le richieste manifestamente onerose o sproporzionate, che comportano un carico irragionevole di lavoro e che interferiscono con il buon andamento della pubblica amministrazione, ovvero di richieste massive uniche recanti un numero consistente di documenti, o richieste massive plurime, inviate entro un limitato arco temporale dallo stesso istante o da più istanti riconducibili ad uno stesso centro di interessi.

Alla luce delle coordinate delineate dall'Adunanza Plenaria il Collegio ha esteso il predetto principio di diritto a tutte le forme di accesso, configurando l'abuso del diritto come limite generale all'esercizio di qualsiasi forma di accesso agli atti amministrativi.

Invero, il Collegio ha osservato che l'abuso del diritto, teorizzato ed applicato nell'ambito dei rapporti tra privati, costituisce una figura trasversale nell'ordinamento, avendo assunto la funzione di arginare l'esercizio “formalmente ineccepibile” e “sostanzialmente distorto” della situazione di vantaggio. In particolare, sulla base di quanto affermato dalla giurisprudenza in materia, l'abuso del diritto costituisce una declinazione del principio di buona fede, che, a sua volta, è attuazione del principio di solidarietà politica, economica e sociale enunciato dall'art. 2 Cost., che impone di non “piegare” l'ordinamento alle pretese sproporzionate e manifestamente irragionevoli.  In questa prospettiva, il Collegio ha qualificato l'abuso del diritto come strumento correttivo dello strictum ius, volto a impedire il riconoscimento giuridico di pretese che, pur formalmente legittime, risultino assiologicamente non giustificate nel quadro ordinamentale complessivo e azionate facendosi scudo di una norma giuridica interpretata in modo rigidamente letterale e senza considerarne i limiti sistematici.

Nel caso specifico, il Collegio ha confermato la qualificazione di richiesta "massiva" operata dal T.a.r., in quanto presentava un carattere manifestamente irragionevole, per questo abusiva; ciascuno degli undici punti in cui veniva articolata l'istanza comprendeva un numero elevatissimo e indefinito di atti, senza specificare alcun intervallo temporale, dal contenuto estremamente generico, perciò, particolarmente emulativo. Pertanto, ad avviso del Collegio la genericità e l'ampiezza della richiesta sono da considerarsi elementi qualificanti di un esercizio abusivo del diritto di accesso.

Il Collegio ha inoltre affermato la mancanza dei presupposti specifici per ciascuna tipologia di accesso invocata: per l'accesso documentale ex l. 241/1990 è stata rilevata l'assenza di attualità e concretezza dell'interesse, fondato su un mero potenziale futuro accrescimento delle attività in house; per l'accesso alle informazioni ambientali ex d.lgs. 195/2005 è stata evidenziata l'insufficiente specificità della richiesta in relazione alle matrici ambientali coinvolte, oltre alla natura sostanzialmente diversa dell'interesse sotteso.

In conclusione, il Collegio, richiamando il più ampio dibattito giurisprudenziale sul bilanciamento tra diritto alla trasparenza amministrativa e principi di buon andamento e proporzionalità dell'azione amministrativa, ha sottolineato come il diritto di accesso, pur nella sua rilevanza costituzionale e nelle sue diverse declinazioni normative, non può trasformarsi in uno strumento di controllo generalizzato sull'attività amministrativa o in un mezzo per acquisire dati sensibili di natura commerciale al di fuori delle finalità proprie dell'istituto.

Il Consiglio di Stato ha respinto l'appello e per l'effetto ha confermato la sentenza di primo grado con diversa motivazione.

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