Risarcimento del danno da straining
27 Febbraio 2025
Massima Anche ove non sia configurabile una condotta di “mobbing”, per l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare la pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli, è ravvisabile la violazione dell'art. 2087 c.c. quando il datore di lavoro consenta il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori. Il caso I primi due gradi di giudizio hanno accertato il danno subito da una lavoratrice a causa di un ambiente lavorativo conflittuale e hanno condannato l’amministrazione datrice di lavoro a corrispondere il relativo risarcimento. Per quanto la scelta organizzativa datoriale risulti motivata e non irragionevole, l’amministrazione viene riconosciuta responsabile di straining, quale forma attenuata di mobbing per comportamenti stressogeni, e ciò anche in mancanza di una pluralità di azioni vessatorie, purché siano stati prodotti effetti dannosi nei confronti della dipendente interessata. All’esito del giudizio, la Corte d’appello ha complessivamente quantificato il danno in € 12.679 per danno non patrimoniale ed € 4.152 per danno patrimoniale. La sentenza è stata impugnata con ricorso principale dall’amministrazione soccombente e con ricorso incidentale dalla lavoratrice. La questione Il “cuore” della pronuncia concerne l’individuazione della condotta datoriale che configura il c.d. straining e del perimetro delle responsabilità sottese a tale comportamento. Si tratta di un tema ampio e particolarmente delicato, come dimostrano il ventennale contenzioso sul mobbing, la copiosa riflessione dottrinale e la rapida e continua evoluzione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Le soluzioni giuridiche La Corte di cassazione, nella sentenza in esame, inserendosi nel solco già tracciato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 7 giugno 2024, n. 15957; Cass. 12 febbraio 2024, n. 3822; Cass. 21 febbraio 2024, n. 4664 del 21.2.2024; Cass. 19 ottobre 2023, n. 29101), individua lo straining come la condotta del datore di lavoro che “consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori”. Tale comportamento è riconducibile ad una violazione dell'art 2087 c.c., norma cardine del sistema di prevenzione e protezione della salute e sicurezza sul lavoro. Il datore di lavoro è, infatti, tenuto ad adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Un ambiente lavorativo stressogeno è configurabile come fatto ingiusto e l'amministrazione datrice di lavoro avrebbe potuto evitare la situazione, attuando iniziative volte a ridurre disagi e stress. La pronuncia in commento, quindi, valorizza il carattere onnicomprensivo dell'art. 2087 c.c. e la responsabilità contrattuale del datore di lavoro che permette un “ambiente di lavoro stressogeno”. Al riguardo, è irrilevante che la consulenza tecnica abbia accertato un'eccessiva reazione allo stress da parte della lavoratrice, in quanto, come sottolinea la Suprema Corte, “l'art. 2087 c.c. trova applicazione a protezione dei lavoratori in ogni caso, e ciò anche verso i lavoratori più deboli, sicché la maggiore fragilità del lavoratore incrementa e non attenua gli obblighi datoriali di protezione da fattori morbigeni o stressogeni dell'ambiente lavorativo”. Osservazioni In tema di responsabilità del datore di lavoro per danni alla salute del dipendente, la Cassazione distingue il fenomeno dello straining dal più noto mobbing. Il mobbing è configurabile in presenza di un elemento oggettivo, ossia la pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli nei confronti del lavoratore, e da un elemento soggettivo rappresentato dall'intento persecutorio nei confronti della vittima. Lo straining è, invece, ravvisabile anche laddove i comportamenti posti in essere dal datore di lavoro si manifestino isolatamente o in maniera episodica, purché siano in grado di procurare disagi o stress. Inoltre, non è necessaria la sussistenza di un intento persecutorio alla base dei comportamenti pregiudizievoli. Il riconoscimento dello straining non è soltanto una nuova sfumatura aggiunta al variegato panorama delle lesioni dell'integrità psicofisica del prestatore di lavoro, ma, come sottolinea la pronuncia in commento, è un significativo passo avanti nella “tutela del diritto fondamentale della persona del lavoratore”, che “trova fonte direttamente nella lettura, costituzionalmente orientata, dell'art. 2087 c.c.”. Riferimenti H. Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing e da straining, Giuffrè, 2019; G. Danise, Il risarcimento del danno nel rapporto di lavoro, Giuffrè, 2024; AA.VV. Memento Pratico. Salute e sicurezza sul lavoro, Giuffrè, 2024; AA.VV. Memento Pratico. Lavoro, Giuffrè, 2025. |