La colpa del datore incide sul superamento del periodo di comporto in caso di assenza
10 Marzo 2025
Le assenze del lavoratore dovute a infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell'art. 2110 c.c., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto; infatti, affinché l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un'origine professionale, ossia connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore a sensi dell'art. 2087 c.c. Pertanto, non sarebbe sufficiente la riconduzione eziologica dell'infortunio o della malattia a fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni o comunque presenti nell'ambiente di lavoro, ma occorre provare che il datore sia responsabile di tale situazione dannosa, per essere egli inadempiente all'obbligazione contrattuale avente fonte nell'art. 2087 c.c. Tale ultima disposizione impone l'adozione delle misure necessarie, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, per la tutela dell'integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, atteso che in tali ipotesi l'impossibilità della prestazione lavorativa è imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata. Ne consegue, in sintesi, che, ai fini dello scomputo dei giorni di assenza dal periodo di comporto, non è configurabile una responsabilità oggettiva del datore. Cfr.: Cass., sez. lav., 29/01/2025, n. 2071. Bussole di inquadramento |