La convivenza come presupposto per il riconoscimento e la quantificazione dell’assegno divorzile in favore del coniuge/partner “debole”
Claudia Ricagno
21 Marzo 2025
Le note sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 35385/2023 e n. 35969/2023, nel risolvere una “questione di particolare importanza” rimessa a loro dalla Prima Sezione civile della Corte stessa, hanno chiarito come e in che misura rilevano i periodi di convivenza prematrimoniale e pre unione civile nel riconoscimento (an) e nella quantificazione (quantum) dell’assegno divorzile.
L'Autore, tenendo il focus sulla normativa vigente in tema di assegno divorzile e richiamando i precedenti filoni giurisprudenziali, analizza i presupposti che fondano la richiesta, da parte del soggetto della coppia cosiddetto debole, di percepire un assegno periodico.
Il quadro normativo
In tema di divorzio, la normativa di riferimento è sicuramente la Legge n. 898/1979 e successive modifiche.
È al comma 6, dell'art. 5 di tale Legge che si rinvengono i presupposti di cui il Tribunale deve tenere conto nel momento in cui sia chiamato a prevedere e quantificare un assegno divorzile in favore del coniuge cosiddetto debole.
L'autorità giudiziaria, infatti, per stabilire il diritto di uno dei due coniugi a percepire l'assegno divorzile non può non attenersi a precisi indicatori, che, nonostante siano stati (e siano tuttora) oggetto di accesi dibattiti interpretativi, sono i seguenti: le condizioni dei coniugi, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi. Presupposti tutti che devono essere rapportati alla durata del matrimonio.
All'esito di un pregevole approfondimento di tali indici, il Giudice, nel caso in cui il coniuge debole non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive, disporrà l'obbligo per l'altro di versare periodicamente un contributo.
Ulteriore articolo che viene in rilievo in tale sede, è l'art. 9, l. 898/1970, che, al comma 2, fa riferimento al diritto dell'ex coniuge superstite a percepire la pensione di reversibilità (o una quota di essa) nel caso in cui fosse già percettore di un assegno divorzile.
Il comma 3 del medesimo articolo, invece, si sofferma sulla circostanza in cui siano ancora in vita sia l'ex coniuge percettore di assegno divorzile, sia il coniuge superstite: al primo potrà essere attribuita una quota della pensione di reversibilità, tenuto conto, nella quantificazione della quota, della “durata del rapporto”.
Pressoché speculare alla legge sul divorzio, è la Legge n. 76/2016 (cosiddetta Legge Cirinnà), nella quale trovano la loro regolamentazione le unioni civili tra due persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto.
L'entrata in vigore di quest'ultima legge ha dato voce e forma alle unioni di due persone dello stesso sesso, con la previsione di diritti e doveri equiparabili (seppure non del tutto, ad esempio per gli uniti civilmente non è previsto l'obbligo di fedeltà) a quelli esistenti tra i coniugi.
L'art. 1 , comma 1 della l. 76/2016 recita, infatti: “La presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto”.
Un'unione civile si costituisce quando “due persone maggiorenni dello stesso sesso” rendono una “dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni”.
Anche alle unioni civili, dunque, si applicano, laddove compatibili, le norme contenute nella Legge sul divorzio, come agevolmente si rinviene al comma 25, dell'art. 1, l. 76/2016: “Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 5, primo, quinto, sesto, settimo, ottavo, decimo e undicesimo comma, 9 secondo comma […]”.
I presupposti necessari per il riconoscimento dell'assegno divorzile: precedenti giurisprudenziali
In tema di assegno divorzile, sono molteplici i dibattiti che si sono susseguiti in dottrina e in giurisprudenza, sia con riferimento ai criteri per la valutazione dell'esistenza del diritto a percepire una somma mensile, sia in relazione - una volta appurato l'andebeatur- alle modalità di quantificazione dell'assegno stesso.
Dirimente in tal senso è stata la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, n. 18287 dell'11 luglio 2018, la quale non si è solo limitata a riaffermare quei principi che, in tema di assegno divorzile, erano stati scardinati dalla precedente sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017, ma ha anche acceso i riflettori sull'evoluzione della società, nella quale è sempre più frequente la formazione di diverse e plurime tipologie di nucleo familiare, diverse da quella classica fondata sul matrimonio.
Se la Suprema Corte, con la citata pronuncia del 2017, aveva affermato che il Tribunale, nel prevedere il diritto di un coniuge a percepire l'assegno divorzile, avrebbe dovuto basarsi sul principio di “auto responsabilità” - principio secondo il quale una persona possiede mezzi economici adeguati se questi consentono l'autosufficienza indipendentemente dal tenore di vita goduto durante il matrimonio -, con la sentenza a Sezioni Unite del 2018, la stessa Corte, modificando il proprio orientamento, ha ridimensionato la centralità dell'auto responsabilità, prevedendo che quest'ultima debba riferirsi alla vita matrimoniale in tutta la sua interezza e non solo al momento della sua fine, quando si decide sulla debenza, o meno, dell'assegno divorzile.
Sempre la sentenza del 2018, si è, inoltre, soffermata sul criterio della durata del matrimonio, definito quale il “filtro” attraverso cui vagliare gli ulteriori presupposti previsti sempre dall'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970.
In tal senso, il criterio della durata del matrimonio, secondo la Suprema Corte, rileva non solo ai fini della quantificazione dell'assegno (assegno che ha tre funzioni: assistenziale, perequativa e compensativa), ma anche ai fini dell'accertamento del relativo diritto a percepire un contributo divorzile.
Si è detto che la citata sentenza della Corte di cassazione del 2018 è stata dirimente: ebbene, si è posta come apripista di quel dibattito giurisprudenziale che ha portato alla nuova interpretazione del criterio della “durata del matrimonio” previsto dall'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970.
Infatti, l'interpretazione degli indicatori da tenere in considerazione per l'accertamento dell'an e del quantum dell'assegno divorzile (cfr. art. 5, comma 6, l. n. 898/1970), al di là del loro semplice senso letterale, ha sempre dato luogo ad accesi dibattiti: tra gli altri, cosa si intende per “durata del rapporto”? Solo il periodo da quando si è contratto il matrimonio in poi (dato formale) o vi rientra anche il periodo della convivenza di fatto, che è poi sfociata nel matrimonio?
Fino al 2018, l'orientamento prevalente è stato quello per cui la mera convivenza prima del matrimonio non fosse da computare nell'ambito della durata del rapporto: la Suprema Corte affermava, infatti, che il criterio della durata del matrimonio poteva addirittura implicare l'azzeramento totale dell'assegno in casi di brevissima durata del matrimonio (cfr. Cass. sent. n. 7295 del 22 marzo 2013).
Tuttavia, a partire dalla citata pronuncia del 2018, si è assistito a una diversa e più ampia interpretazione del criterio della durata del matrimonio e si è iniziato a prendere in considerazione anche il periodo della convivenza prematrimoniale.
Ne è un primo esempio la sentenza n. 32198/2021, anche se non si è trattato di una piena apertura, in quanto la situazione di convivenza non era ancora vista come pienamente assimilabile al matrimonio, tanto che la Suprema Corte aveva ribadito come si trattasse di due istituti (convivenza e matrimonio) del tutto diversi, tanto da seguire anche discipline differenti.
Pertanto, per giungere a una vera e propria considerazione del periodo della convivenza di fatto (prima del matrimonio) nell'accertamento dell'an e del quantum dell'assegno divorzile, si dovranno attendere le due pronunce delle Sezioni Unite n. 35385/2023 (con riferimento al matrimonio) e n. 35969/2023 (con riferimento alle unioni civili), i cui dettagli saranno analizzati nell'apposito paragrafo sottostante
Le sentenze della cassazione a sezioni unite n. 35385/2023 e n. 35969/2023
In questo panorama giuridico, come sopra accennato, è intervenuta la Suprema Corte a Sezioni Unite con due pronunce, enunciando i seguenti principi di diritto:
ai fini dell'attribuzione e della quantificazione dell'assegno divorzile, nel caso specifico in cui il matrimonio sia stato preceduto da una convivenza prematrimoniale avente i caratteri della “stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune” e laddove esista una “relazione di continuità tra la fase di fatto di quella medesima unione e la fase giuridica del vincolo matrimoniale”, va preso in considerazione anche il periodo della convivenza prematrimoniale (Cass. SS.UU. sent. n. 35385/2023);
in caso di scioglimento dell'unione civile, la durata del rapporto di cui all'art. 5, comma 6, l. 898/1970, richiamato dall'art. 1, comma 25, l. 76/2016, come “criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all'assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli, si estende anche al rapporto di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell'unione, ancorché lo stesso si sia svolto in tutto o in parte in epoca anteriore all'entrata in vigore della l. 76/2016” (Cass. SS.UU. sent. n. 35969/2023).
Con la prima pronuncia, la Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo del ricorso, con il quale la ricorrente sosteneva che la Corte d'Appello, nel ridurre il quantum dell'assegno divorzile, non avesse considerato il contributo della ex moglie al ménage familiare attraverso il “lavoro” di madre e casalinga nel periodo di sette anni di convivenza prematrimoniale.
La Suprema Corte, nel ragionamento logico-giuridico che l'ha condotta alla formulazione del principio di diritto sopra indicato, ha affermato che, nei casi in cui il matrimonio si ricolleghi, in ragione di un progetto di vita comune, a una convivenza prematrimoniale della coppia, tale da ritenersi fasi di un'unica storia dello stesso nucleo familiare, il periodo della convivenza prematrimoniale viene computato ai fini dell'assegno divorzile.
Secondo la Corte di Cassazione, le caratteristiche che dovrebbe riportare la convivenza prematrimoniale affinché sia ricollegabile al successivo periodo di coniugio, sono le seguenti:
possibile sovrapposizione, nella sostanza, del rapporto di convivenza a quello matrimoniale;
un indirizzo comune già concordato durante la convivenza;
dimostrazione della volontà delle parti di voler dare continuità alla vita familiare pregressa, inglobandone l'organizzazione all'interno delle condizioni di vita del matrimonio o dell'unione civile.
La Corte di Cassazione ha anche specificato che, per poter tenere in considerazione la convivenza prematrimoniale ai fini della previsione di un assegno di divorzio, la prova deve essere rigorosa, ovvero:
la convivenza deve aver avuto i caratteri della stabilità e continuità con la necessaria esistenza di un progetto di vita comune dal quale derivino anche reciproche contribuzioni economiche;
l'assegno divorzile presuppone un rigoroso accertamento del nesso causale tra la sperequazione reddituale dei coniugi e la formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno, con sacrificio delle proprie aspettative professionali;
la verifica dell'effettivo nesso causale tra le scelte compiute nella fase di convivenza prematrimoniale e quelle compiute nel matrimonio.
Con la seconda pronuncia (sent. n. 35969/2023), la Suprema Corte si è occupata, nello specifico, del diritto al mantenimento di uno dei due soggetti uniti civilmente.
Nel caso di specie, la ricorrente, con il secondo motivo (che è stato accolto), ha lamentato il fatto che la Corte d'Appello non avesse tenuto in considerazione, ai fini del riconoscimento dell'assegno, gli eventi verificatisi in epoca anteriore all'entrata in vigore della Legge n. 76/2016.
Con il terzo motivo, parimenti accolto, la ricorrente ha sottolineato come la sentenza impugnata non avesse dato valore al fatto che, prima dell'entrata in vigore della Legge n. 76/2016, fosse preclusa alle coppie dello stesso sesso la possibilità di costituire un'unione civile con effetti legali.
I giudici di legittimità, nel giungere a enucleare il sopra riportato principio di diritto, si è soffermata sul fatto che la giurisprudenza di legittimità ha preso in considerazione, già da tempo, la possibilità di tenere conto della divergenza tra la durata legale del vincolo coniugale e quella della convivenza effettiva. E ciò lo ha fatto ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato e quello superstite.
Infatti, a seguito delle pronunce della Corte Costituzionale n. 419/2000 e n. 491/2000, la Corte di Cassazione ha ammesso la possibilità di tenere in considerazione ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'assegno di divorzio, tra cui il periodo di convivenza prematrimoniale coevo al periodo di separazione che precede il divorzio.
I giudici di legittimità, con la sentenza n. 35969/2023, sono, dunque, giunti alla conclusione che anche il periodo di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell'unione, ancorché lo stesso si sia svolto in epoca anteriore all'entrata in vigore della l. 76/2016, debba essere computato per la valutazione del riconoscimento (o meno) di un assegno di mantenimento.
Ciò anche in forza della giurisprudenza della Corte EDU, la quale, dopo aver chiarito che la nozione di “famiglia” ex art. 8 della CEDU non è limitata alle sole relazioni fondate sul matrimonio, estendendosi anche ai legami familiari di fatto (cfr. sent. Van der Heijden c. Paesi Bassi del 3 aprile 2012), ha affermato che, in tale nozione, deve ritenersi inclusa anche una coppia omosessuale che vive una relazione stabile, la quale si trova in una situazione analoga a quella di una coppia eterosessuale, per quanto riguarda la necessità di un riconoscimento formale e di una tutela della relazione (cfr. sent. Fedo-tova e altri c. Russia del13 luglio 2021).
In conclusione
Alla luce dell’attuale normativa in tema di divorzio e di unioni civili, nonché delle ultime pronunce giurisprudenziali, è evidente la direzione in cui ci stiamo muovendo per quanto riguarda il tema del riconoscimento e della quantificazione dell’assegno divorzile/del contributo al mantenimento in favore della parte debole della coppia coniugata/unita civilmente.
L’evoluzione della società è sotto gli occhi di tutti, non esiste più un unico modello di famiglia, ovvero quello tradizionale fondato sul matrimonio, ma sono sempre più frequenti sia le convivenze di fatto pluriennali (che precedono il matrimonio) tra coppie eterosessuali, sia le convivenze di fatto tra persone dello stesso sesso (che precedono l’unione civile): le sentenze più recenti dei giudici di legittimità sono la conferma di tale evoluzione, a partire da quelle ivi analizzate, emesse dalle Sezioni Unite della Suprema Corte in tema di convivenza prematrimoniale e assegno divorzile.
Riferimenti
Cosco, L’incidenza delle funzioni dell’assegno post-matrimoniale. Estinzione e disponibilità del diritto, in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc. 3, 1/9/2024, pag. 1138.