La revoca dell’amministratore di nomina pubblica
19 Marzo 2025
Massima L'art. 2449 c.c. semplicemente delinea un processo di formazione della volontà sociale alternativo a quello fondato sulla delibera dell'assemblea, che ad esso, come detto, si sostituisce. In quanto imputabile alla società e al contempo espressivo della volontà sociale, l'atto di revoca degli amministratori e dei sindaci genera, dunque, nel caso di sua illiceità, conseguenze risarcitorie di cui deve rispondere la sola società partecipata. L'atto di revoca è, in ultima analisi, atto privatistico da riferire a questa come lo è l'atto di revoca deciso in assemblea secondo il comune schema deliberativo di formazione della volontà sociale. Di esso il socio pubblico non risponde, così come un qualsiasi socio di società per azioni non risponde personalmente del voto espresso in assemblea in funzione dell'assunzione di una delibera di analogo contenuto. In tema di società per azioni, l'atto di revoca dell'amministratore da parte dello Stato o dell'ente pubblico che abbia nominato il detto amministratore, previsto dall'art. 2449, comma 2, c.c., è atto di diritto privato imputato alla società partecipata, sicché dell'illegittimità della revoca (adottata, nella specie, senza giusta causa) deve rispondere la società stessa, non già lo Stato o l'ente che abbiano la partecipazione in essa. Il caso La Corte d'Appello di Roma adita respingeva i gravami proposti (da un amministratore di società a partecipazione pubblica destinatario di una decisione di revoca) avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Roma, in base alla quale “ l'amministratore espleta il proprio incarico sulla base di un rapporto di natura contrattuale con la società e prescindere dai soci che nel corso dell'assemblea abbiano votato; che una simile conclusione valeva anche per gli amministratori di società per azioni controllate dallo Stato o da enti pubblici; che in tali società l' art. 2449 c.c. consente allo statuto di conferire al socio pubblico la facoltà di nominare un numero di amministratori e sindaci proporzionale alla partecipazione al capitale sociale, senza che con ciò sia esclusa l'instaurazione di un rapporto di natura contrattuale tra gli amministratori e la società di riferimento”. L'amministratore revocato proponeva ricorso per la cassazione della sentenza sostenendo, con riguardo alla natura della revoca e alla responsabilità dalla stessa revoca derivante in capo alla società, che il potere di nomina o revoca dell'amministratore in capo all'ente pubblico non è trasferito, per effetto dell'accettazione della carica, alla società partecipata, ma resta nelle mani del socio pubblico; "con la conseguenza che non è la società a valutare e a ponderare la sussistenza di una giusta causa in quanto è nell'ambito del rapporto amministratore-socio (..) che tale profilo resta confinato e circoscritto" e che, dunque, l'atto di revoca debba essere imputato non alla società bensì al socio pubblico. Le questioni La natura della revoca dell'amministratore di nomina pubblica e la competenza giurisidzionale La disciplina relativa alla nomina e alla revoca di amministratori di società partecipate dallo Stato e dagli enti pubblici è contenuta nell'art. 2449 c.c. e nell'art. 11 del testo unico delle società a partecipazione pubblica (d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175). L'art. 2449 c.c. (in deroga all'art. 2383 c.c., che attribuisce all'assemblea il potere di nomina e di revoca degli amministratori sociali) stabilisce che, nell'esercizio del diritto particolare previsto statutariamente dallo stesso art. 2449 c.c., il socio pubblico possa adottare una determinazione in conformità alle regole interne al proprio ordinamento istituzionale con effetti estesi alla società partecipata, specificando altresì che agli amministratori e ai sindaci di nomina pubblica spettano i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall'assemblea della società partecipata stessa (si veda R. Ranucci, La nomina e la revoca degli amministratori tra volontà pubblica e diritto societario, in Rivistacdc, Fasc. 5/2022, www.corteconti.it; M. Cossu, Le società “pubbliche”, in V. Donativi (diretto da), Trattato delle società, t. IV, Torino, Utet, 2022, 703 ss.; C. Pecoraro, Gestione delle partecipazioni ed esercizio dei diritti sociali, in G. D'Attorre et al., Società di diritto speciale, Milano, Giuffrè, 2022, 291; F. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. a dieci anni dalla riforma del 2003, Torino, Utet, 2013, 14; M.L. Montagnani, Nomina e revoca degli amministratori, in P. Marchetti et al. (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Milano, Egea, 2005, 145 ss.). L'amministratore nominato dall'ente pubblico svolge, così, una funzione privata, e nell'espletamento del suo incarico compie atti regolati dalla disciplina di diritto comune, avendo l'obbligo di perseguire l'oggetto sociale della società partecipata, anche eventualmente a svantaggio del socio che lo ha nominato, non sussistendo necessariamente una coincidenza tra l'interesse extra-sociale del socio pubblico e l'interesse sociale della società partecipata. Dunque, la revoca dell'amministratore di nomina pubblica rappresenta l'esercizio di un potere di natura privatistica, trattandosi di un atto che, pur perseguendo un fine pubblico, rimane un atto societario-privato. La facoltà (di nomina e) di revoca attribuita all'ente pubblico “è, quindi, sostitutiva della generale competenza dell'assemblea ordinaria, trovando la sua giustificazione nella peculiarità di quella tipologia di soci, e deve essere qualificata estrinsecazione non di un potere pubblico, ma essenzialmente di una potestà di diritto privato, in quanto espressiva di una potestà attinente ad una situazione giuridica societaria, restando esclusa qualsiasi sua valenza amministrativa” (si veda Cass. SS.UU. 15 aprile 2005, n. 7799 in www.dejure.it e Società, 2006, 870). Ne consegue, pertanto, che devono essere attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi per oggetto le vicende concernenti la revoca degli amministratori di società di capitali (anche qualora lo Stato o un ente pubblico sia unico socio – si veda, a riguardo, Cass. SS.UU. 23 gennaio 2015, n. 1237 in www.dejure.it), costituendo l'atto (di revoca) impugnato non già l'espressione di una potestà amministrativa, bensì la manifestazione di una volontà essenzialmente privatistica rappresentata da un potere attribuito dalla legge al socio pubblico e trasfuso nello statuto della società partecipata (si veda Cass. SS.UU. 15 aprile 2005, n. 7799cit.; Cass. SS.UU. 23 gennaio 2015, n. 1237, cit; Cass. SS.UU. 14 settembre 2017, n. 21299 in www.dejure.it; Cass. SS.UU. 19 febbraio 2024, n. 4413 in www.dejure.it). Ogni dubbio, peraltro, deve ritenersi risolto dal principio stabilito nell'art. 1, comma 3 del D. Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, in base al quale “per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato” (si veda in tale senso anche Cass. SS.UU. 14 settembre 2017, n. 21299, cit.), risultando qui altresì interessante segnalare quanto già riportato nella Relazione al Codice Civile del 1942, la quale “nell'illustrare la disciplina delle società partecipate dallo Stato, affermava: ".... in questi casi, è lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge della società per azioni, per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici; la disciplina comune della società per azioni deve, pertanto, applicarsi anche alle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici, senza eccezioni, in quanto norme speciali non dispongano diversamente" (n. 998)” (si veda Cass. SS.UU. 23 gennaio 2015, n. 1237, cit.). Imputazione della revoca alla società e onere risarcitorio Alla luce dell'inquadramento privatistico anzidetto, per il quale il riconoscimento della facoltà (di nomina e) di revoca in capo all'ente pubblico si sostituisce alla generale competenza dell'assemblea ordinaria, deriva quale corollario l'imputazione di tali atti (di nomina e di revoca) in capo alla società e non al socio pubblico. La Giurisprudenza di legittimità ha, infatti, sottolineato che quando il socio pubblico nomina o revoca gli amministratori “non esercita un potere a titolo proprio ma esercita l'ordinario potere dell'assemblea, ad essa surrogandosi, quale organo della società, per autorizzazione della legge o dello statuto” (si veda Cass. SS.UU. 19 febbraio 2024, n. 4413, cit.); ciò “in quanto la facoltà attribuita all'ente si qualifica come "sostitutiva della generale competenza dell'assemblea ordinaria, trovando la sua giustificazione nella peculiarità di quella tipologia di soci, e deve essere qualificata estrinsecazione non di un potere pubblico, ma essenzialmente di una potestà di diritto privato, in quanto espressiva di una potestà attinente ad una situazione giuridica societaria, restando esclusa qualsiasi sua valenza amministrativa" (Cass., Sez. un., ordinanza 23 gennaio 2015, n. 1237)” (si veda Cass. SS.UU. 19 febbraio 2024, n. 4413, cit.). Ne consegue che l'amministratore revocato potrà far valere l'eventuale tutela risarcitoria soltanto nei confronti della società amministrata e non verso il socio pubblico, essendo espressamente riconosciuti agli amministratori di nomina pubblica i medesimi diritti e obblighi degli amministratori nominati dall'assemblea (si veda l'art. 2449 c.c.). Dovendosi sottolineare altresì che proprio in funzione di tale equiparazione in seno agli amministratori della società partecipata dal socio pubblico, agli amministratori di nomina pubblica non spetta la tutela “reale” (corrispondente alla reintegrazione nella carica di amministratore, che conseguirebbe al sindacato sulla legittimità del provvedimento di revoca nell'ipotesi in cui si dovesse considerare tale atto alla stregua di un atto amministrativo), bensì soltanto la cd. “monetizzazione della funzione”, dovendo il Giudice ordinario limitarsi alla tutela risarcitoria ai sensi dell'art. 2383, comma 3 c.c. nell'ipotesi di revoca priva di giusta causa (si veda Cass. SS.UU. 23 gennaio 2015, n. 1237, cit.; Cass. SS.UU. 19 febbraio 2024, n. 4413, cit.; M. Cossu, Le società “pubbliche”, cit., 773). Occorre, infine, segnalare che nella propria attività di gestione l'amministratore di nomina pubblica non è assoggettato alle direttive del socio pubblico. Conseguentemente non può costituire giusta causa di revoca la mancata attuazione da parte dell'amministratore delle eventuali direttive ricevute dall'ente che lo ha nominato, né può costituire giusta causa il mutamento della maggioranza politica di tale ente, essendo tenuti gli amministratori di nomina pubblica a perseguire gli interessi sociali della società dagli stessi gestita alla stessa stregua degli amministratori di nomina assembleare (si veda in tal senso Cass. 15 ottobre 2013, n. 23381. Osservazioni È utile osservare che la disciplina prevista dall'art. 2449 c.c. deve ritenersi applicabile anche nelle società a responsabilità limitata. La Corte di Cassazione ha, infatti, precisato che la differente disciplina delle società per azioni e a responsabilità limitata non impedisce l'estensione a queste ultime dei principi dettati per le società per azioni a partecipazione pubblica, giacché la norma dell'art. 2468, comma 3 c.c. sull'attribuzione ai soci di diritti particolari riguardanti l'amministrazione della società conduce all'ammissibilità di previsioni statutarie in applicazione della disciplina prevista dall'art. 2449 c.c. in materia di nomina e revoca degli amministratori di nomina pubblica (si veda Cass. SS.UU. 19 febbraio 2024, n. 4413, cit.). Al ragionamento estensivo suddetto induce, inoltre, anche l'art. 11, comma 5 del D. Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, il quale prevede espressamente la possibilità che la società a controllo pubblico sia costituita anche nella forma della società a responsabilità limitata. Conclusioni Quanto agli aspetti relativi alla giurisdizione sulle controversie inerenti la nomina e la revoca degli amministratori di nomina pubblica, è interessante sottolineare che la Giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che “spettano alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto l'attività unilaterale "prodromica" alla vicenda societaria, considerata dal legislatore di natura pubblicistica, con cui un ente pubblico delibera di costituire una società (provvedendo anche alla scelta del socio), o di parteciparvi, o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima, o di interferire, nei casi previsti dalla legge, nella vita della stessa società, mentre sono attribuite alla giurisdizione del Giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto gli atti societari "a valle" della scelta di fondo di utilizzazione del modello societario, le quali restano interamente soggette alle regole del diritto commerciale proprie del modello recepito, dal contratto di costituzione della società alla successiva attività della compagine societaria partecipata con cui l'ente esercita, dal punto di vista soggettivo e oggettivo, le facoltà proprie del socio (azionista), fino al suo scioglimento; - che, nell'ambito di quest'ultima categoria, rientrano le controversie volte ad accertare l'intero spettro delle patologie e inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto sociale, ovvero estranee e/o alla stessa sopravvenute e derivanti da irregolarità-illegittimità del procedimento amministrativo "a monte", perciò comprendenti le fattispecie sia di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne inficino singoli atti), sia di successiva mancanza legale provocata dall'annullamento del provvedimento di aggiudicazione, ivi compresi i profili di illegittimità degli atti consequenziali compiuti dalla società già istituita, i quali costituiscono espressione non di potestà amministrativa, bensì del sistema della invalidità-inefficacia del contratto sociale che postula una verifica, da parte del giudice ordinario, di conformità alla normativa positiva delle regole in base alle quali l'atto negoziale è sorto ovvero è destinato a produrre i suoi effetti tipici (sentenza n. 30167 del 2011; in senso conforme, l'ordinanza 21588 del 2013; cfr. anche, in senso sostanzialmente conforme, la sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 3 giugno 2011, n. 10)” (si veda Cass. SS.UU. 23 gennaio 2015, n. 1237, cit.; in tal senso anche Cass. SS.UU. 19 febbraio 2024, n. 4413, cit.). |