Tributario

Quando la «trasferta» non è straordinario

27 Marzo 2025

È corretta la qualificazione da parte del datore di lavoro (sostituto d'imposta) delle somme erogate ai propri dipendenti come “trasferta” e non come compensi “da lavoro straordinario” – con la conseguente non applicazione delle ritenute fiscali e previdenziali – laddove la trasferta, tenuto conto delle peculiarità dell'attività esercitata, ha natura di evento ordinario, e non eventuale, quale fattore produttivo “reale, obiettivo, certo ed essenziale”.  Così si è pronunciata la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia con la sentenza n. 628 del 4 marzo 2025.

Una società eroga ai propri dipendenti somme che qualifica come “Trasferta Italia” anziché come “compensi per lavoro straordinario” e, di conseguenza, non conteggia, trattiene e versa all'Erario le relative ritenute previdenziali e fiscali a carico di ciascun dipendente amministrato. L'Agenzia delle Entrate, recependo i rilievi verbalizzati dai verificatori della GdF, riqualificava dette somme in “compensi per lavoro straordinario” e notificava alla contribuente alcuni avvisi di accertamento per infedele dichiarazione ed omessa effettuazione delle ritenute fiscali obbligatorie. Dall'analisi della documentazione contabile (buste paga e cedolini annuali), i verificatori rilevavano come l'impresa non avesse erogato indennità afferenti a ore di lavoro straordinario, sostituite dalla voce “Trasferta Italia”. La ripresa fiscale si fondava, in particolare, su dichiarazioni rese da alcuni dipendenti della società in cui si dava atto che, mentre nelle rispettive buste paga non vi erano riferimenti al lavoro straordinario, ciascun dipendente aveva indicato in propri manoscritti inviati alla società il prospetto delle ore lavorate, che poi apparivano in alcuni file excel redatti dal personale in cui erano analiticamente riportate le ore di straordinario svolte dai dipendenti con indicazione della relativa retribuzione. La società impugnava gli accertamenti ed eccepiva che l'Ufficio aveva svolto solo un'indagine parziale sia per il numero dei dipendenti controllati sia per i periodi analizzati: i verificatori si erano, infatti, limitati ad un campione di soli quattro dipendenti con riferimento ad una sola mensilità. Ciò, secondo la tesi difensiva della società, non poteva essere una valida presunzione a sostegno delle ragioni erariali. La contribuente faceva, altresì, presente di avere come sede fisica solo quella in cui si trovavano gli uffici e che esercitava esclusivamente le attività di manutenzione, installazione, riparazione, ristrutturazione di beni strumentali, mobili e/o immobili esclusivamente presso stabilimenti e/o cantieri di soggetti terzi, enti collettivi pubblici e/o privati o persone fisiche. Sottolineava, infine, che la trasferta dei dipendenti costituiva un fattore “produttivo reale, obiettivo, certo, essenziale”.

La trasferta quale “evento ordinario” e non “eventuale”

I giudici, nel decidere di accogliere il ricorso, hanno ritenuto che, tenuto conto dell'attività esercitata dall'impresa, la trasferta dei dipendenti appariva essere un “fattore produttivo reale, obiettivo, certo, essenziale”, con natura di evento ordinario e non eventuale. La Corte ha, altresì, osservato che le persone che avevano reso le dichiarazioni, invocate dall'Ufficio a sostegno della presunzione - erano solo pochi dipendenti (di cui alcuni di essi non più in carico alla società) e con riferimento ad un solo mese di attività - i quali, peraltro, avevano sempre confermato che il lavoro che l'impresa fa svolgere ai propri dipendenti è deciso giorno per giorno e sempre fuori sede (e, quindi, in “trasferta”). Inoltre, dalle dichiarazioni di alcuni dipendenti risultava che spesso, nel corso della medesima giornata i dipendenti si muovevano presso i vari cantieri secondo le necessità dei vari appalti, disseminati su tutto il territorio lombardo; tale circostanza risultava, peraltro, confermata dalle dichiarazioni riportate dallo stesso Ufficio nelle quali si affermava “che di giorno in giorno veniva comunicato il luogo di lavoro”. A riprova delle anzidette circostanze erano state prodotte dalla società: le spese per il carburante o le fatture Telepass; il numero di mezzi impiegati; i chilometri percorsi; i luoghi di residenza; i luoghi di lavoro; gli ordini di servizio; le richieste dei committenti e la varietà degli interventi da cui dedursi il tempo e la durata di impiego di un singolo o di un gruppo di dipendenti. Sulla base delle suddette argomentazioni, la Corte ha ritenuto che le conclusioni cui erano giunti GdF ed AE non integrassero in alcun modo quei requisiti di gravità, precisione e concordanza necessari per sostenere una errata qualificazione degli importi erogati ai dipendenti.

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