Insolvenza transfrontalieraFonte: Reg. 20 maggio 2015 n. 848
19 Maggio 2016
Inquadramento
Tutte le volte in cui l'insolvenza presenti elementi di estraneità rispetto ad un ordinamento giuridico di riferimento, per essere taluni elementi della massa attiva o passiva riferibili ad un ordinamento diverso, si può parlare di insolvenza transfrontaliera. Per diverso tempo sottratto a qualunque forma di regolamentazione sovranazionale (in ambito europeo, a parte il successo della Nordic Bankruptcy Convention del 1933, tra Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia, gli altri esempi di trattati multilaterali, quali la Convenzione di Istanbul del 1990 e quella di Bruxelles del 1995, non sono infatti mai entrati in vigore per insufficienza di numero di ratifiche), il fenomeno in esame trova oggi, seppur solo per determinati aspetti, disciplina uniforme nello spazio giuridico dell'Unione europea con il nuovo Reg. (UE) 848/2015 (che sostituisce il precedente Reg. (CE) 1346/2000), soggiacendo invece alle diverse normative nazionali (dettate ad hoc, come quella svizzera, o generali, come quella italiana), qualora l'insolvenza abbia carattere (totalmente o parzialmente) extra-comunitario, e ricevendo in ogni caso crescente attenzione da parte di organismi internazionali, come l'UNCITRAL, mediante l'elaborazione di strumenti di soft law. Tradizionalmente, i due modelli cui tendono ad ispirarsi le discipline, tanto nazionali quanto sovranazionali, relative all'insolvenza transfrontaliera sono:
I sistemi fallimentari nazionali prediligono frequentemente il modello territorialistico per negare rilievo alle procedure concorsuali estere, così favorendo il controllo statale sull'insolvenza del soggetto che presenta legami (talvolta anche minimi) con il foro, e si attengono al contempo al modello universalistico, in via unilaterale, per le procedure concorsuali interne, coinvolgendo tutti i beni del debitore ovunque localizzati (Queirolo, Le procedure d'insolvenza nella disciplina comunitaria, 2007, 15). Ne è esempio il sistema italiano (v. infra, § 3). Per superare le distorsioni di tale impostazione e attuare un coordinamento effettivo tra i Paesi coinvolti dall'insolvenza transfrontaliera, soprattutto a livello sovranazionale e internazionale si privilegia invece il modello universalistico, ma non nella sua versione “pura”, bensì in una forma c.d. attenuata o limitata, sulla scorta della quale si stabilisce un collegamento tra i diversi ordinamenti statali interessati, consentendosi la pendenza di una pluralità di procedimenti con un coordinamento dei relativi effetti. Trattasi di un modello non estraneo neppure ad alcuni ordinamenti nazionali, la cui applicazione risulta però talora subordinata ad una condizione di “reciprocità”, espressa nel diritto positivo (come per la Svizzera) o sottesa nel diritto vivente (come per gli USA).
Fa applicazione in particolare del modello universalistico, nella sua forma attenuata, l'UNCITRAL Model Law on Cross-border Insolvency del 1997 (con versione aggiornata del 2014 comprensiva della nuova Guide to Enactment and Interpretation), predisposta sotto l'egida delle Nazioni Unite allo scopo di agevolare gli Stati nella predisposizione di strumenti legislativi nazionali, cosicché questi ultimi possano essere costruiti su una base comune, pur senza eliminare le specificità proprie dei singoli ordinamenti. Viene dunque proposto un testo di legge in materia d'insolvenza transfrontaliera che potrebbe essere oggetto di recepimento tal quale da parte dei singoli ordinamenti statali con possibile adattamento alla legislazione interna. Tra i Paesi extra-UE che, ad oggi, hanno adottato l'UNCITRAL Model Law si menzionano, a titolo di esempio: Australia, Canada, Colombia, Filippine, Giappone, Mauritius, Messico, Montenegro (candidato Paese UE), Nuova Zelanda, Repubblica di Korea, Serbia (candidato Paese UE), Seychelles, USA, Sud Africa. Gli Stati membri dell'UE che hanno invece provveduto ad adottare una normativa interna ispirata alla Legge Modello sono: Grecia, Polonia, Regno Unito, Romania, Slovenia, Spagna. Non l'Italia, nonostante le prospettive di riforma mirino dichiaratamente a tenerne conto. La gestione dei fallimenti transnazionali, in un contesto (totalmente o parzialmente) extra-UE, è quindi agevolata qualora siano coinvolti Stati aderenti alla Legge Modello, fondandosi le rispettive normative su basi essenzialmente comuni, diversamente da quanto accade qualora l'insolvenza transfrontaliera, non limitata entro i confini comunitari, tocchi Paesi (UE o extra-UE) privi di normativa uniforme agli standards internazionali, se non addirittura sprovvisti di disciplina ad hoc, con la conseguente necessità di far riferimento alle generali disposizioni di diritto internazionale privato e processuale, dettate in generale in materia civile e commerciale, per la regolazione del fenomeno in esame. Diversamente, in ambito europeo, con il Reg. (CE) 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza, entrato in vigore il 31 maggio 2002, si è provveduto a dettare norme uniformi (in materia di giurisdizione, legge applicabile, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni), vincolanti per tutti i Paesi dell'UE, ad eccezione della Danimarca, con prevalenza sulle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali stipulate dai singoli Stati membri in materia concorsuale (per l'Italia rilevano: la convenzione con la Francia sull'esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale, firmata a Roma il 3 giugno 1930; e quella con l'Austria in materia di fallimento e concordato, firmata a Roma il 12 luglio 1977), fermi invece gli accordi in essere o da stipularsi con Stati terzi. Solo alcuni degli Stati membri hanno però adeguato la normativa interna alle disposizioni regolamentari (es. Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Olanda). In sostituzione di tale Regolamento, che risulta pertanto abrogato, è stato recentemente adottato il Reg. (UE) 848/2015, in vigore dal 26 giugno 2015, ma destinato a trovare applicazione negli Stati membri, sempre ad eccezione della Danimarca, solo a partire dal 26 giugno 2017 (salvo che per talune norme specificamente indicate). Il Reg. (CE) 1346/2000 continuerà quindi a trovare attuazione per le procedure d'insolvenza aperte prima di tale data. Con il nuovo Regolamento si è in particolare esteso il campo applicativo. Fermo restando che oggetto di disciplina sono le sole procedure nazionali d'insolvenza elencate nell'Allegato A (Corte giust., 8 novembre 2012, C-461/11, Radziejewski; 22 novembre 2012, C-116/11, Bank Handlowy), qualora presentino implicazioni transfrontaliere intra-comunitarie (Cass. S.U., 19 marzo 2009, n. 6598), si sono intese ricomprendere, purché sempre di natura pubblica, anche quelle provvisorie o temporanee e di carattere non necessariamente liquidatorio, in quanto preordinate al salvataggio, alla ristrutturazione del debito o alla riorganizzazione del soggetto insolvente. Quest'ultimo può essere in particolare qualsiasi persona giuridica (non solo entità singola, ma anche parte di un gruppo multinazionale di imprese) o fisica, professionista o privato (inclusi dunque anche i lavoratori autonomi e i consumatori). Si conferma invece l'esclusione di imprese assicuratrici, enti creditizi, imprese d'investimento e organismi d'investimento collettivo. Su ispirazione del sistema adottato dall'UNCITRAL Model Law (seppur con talune differenze anche di non secondario rilievo, per le quali si rinvia a: Armeli, La disciplina europea sulle procedure di insolvenza, 2016, passim, in corso di pubblicazione), anche nel sistema europeo, in considerazione delle notevoli divergenze tra i diritti nazionali, si rinuncia ad istituire un'unica procedura d'insolvenza avente valore universale in tutta l'Unione, ammettendosi, a fianco di una procedura d'insolvenza principale di carattere solo tendenzialmente universale, procedure locali comprendenti unicamente il patrimonio del debitore situato nello Stato di apertura, secondo il modello dell'universalità limitata.
Nei confronti del soggetto insolvente si apre dunque una procedura c.d. principale nello Stato sul cui territorio è situato, al tempo della proposizione della domanda di apertura (Corte giust., 17 gennaio 2006, C-1/04, Staubitz-Schreiber), il suo “centro di interessi principali” (o COMI), per tale intendendosi il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi affari in modo abituale e riconoscibile dai terzi, da presumersi, sino a prova contraria, coincidente con: la sede legale della società (cfr. Corte giust., 2 maggio 2006, C-341/04, Eurofood; 20 ottobre 2011, C-396/09, Interedil - in questo portale, con nota d Corno; 15 dicembre 2011, C-191/10, Rastelli), senza che valga un trasferimento solo fittizio (ex multis, da ultimo: Cass. S.U., 17 febbraio 2016, n. 3059); ovvero, secondo le previsioni del nuovo Regolamento, con la sede principale di attività delle persone fisiche esercenti attività imprenditoriale o professionale; e con la residenza abituale dei consumatori. Tale procedura, tendenzialmente unica, ha portata universale, comprendendo l'intero patrimonio del debitore ed esplicando direttamente effetti extra-territoriali su tutti i beni ovunque ubicati negli altri Stati membri, e favorisce il complesso del ceto creditorio, a prescindere dalla nazionalità e dal domicilio. In particolare, gli effetti prodotti, salvo eccezioni tassativamente individuate (come quelle riguardanti i diritti reali e i contratti di lavoro), sono quelli previsti dalla legge del Paese d'origine (lex concursusdel COMI), in virtù del riconoscimento della decisione di apertura in ogni Stato dell'Unione (v. infra), quand'anche il debitore non sia assoggettabile a procedura concorsuale secondo una diversa legislazione nazionale. È dunque la legge dello Stato di apertura che disciplina la sorte dei beni del debitore situati negli altri Stati membri e le misure che possono essere applicate ai medesimi (Corte giust., 21 gennaio 2010, C-444/07, MG Probud), dovendo ad esempio intendersi inibita la possibilità di esperire azioni esecutive o cautelari individuali sui beni localizzati in altri Paesi laddove la legge dello Stato di apertura ne contempli il divieto quale tipico effetto della decisione d'insolvenza (cfr. ad es.: Trib. Verona, 2 maggio 2014, in Fall., 2014, 1306, con nota di Montella).
Qualora tuttavia una o più “dipendenze”, prive di personalità giuridica, ma dotate di una pur minima organizzazione di mezzi umani e di beni per l'esercizio non transitorio di attività economica (non essendo sufficiente la mera presenza di beni o attivo patrimoniale, richiedendosi invece una struttura dotata di un certa stabilità operativa nei riguardi di terzi), siano possedute dal medesimo soggetto insolvente nel territorio di Stati membri diversi da quello in cui è localizzato il COMI, diviene possibile aprire anche una o più procedure cc.dd. territoriali. In tal caso gli effetti relativi, seppur sempre riconosciuti in tutto lo spazio giuridico europeo (tanto che non possono essere contestati negli altri Stati membri), restano circoscritti ai beni del debitore situati nel territorio nazionale, ove la dipendenza è ubicata, secondo la normativa interna di ciascuno Stato interessato (lex concursus della dipendenza) e con apprezzamento del giudice locale, da esercitarsi eventualmente in via concorrente con quello del giudice preposto alla procedura principale (Corte giust., 11 giugno 2015, C-649/13, Nortel Networks SA). Infatti, l'apertura di una procedura territoriale può, ma solo in limitate ipotesi, precedere l'apertura della procedura principale, configurandosi come indipendente, o, più verosimilmente, seguire la stessa e procedere quindi con essa in parallelo, seppur non in modo autonomo. In tal caso la procedura territoriale si qualifica come secondaria e tale diventa anche l'eventuale procedura territoriale in precedenza aperta, ove lo stadio in cui è giunta lo consenta, tramutandosi da indipendente a dipendente proprio a seguito dell'apertura della procedura principale. Il riconoscimento della procedura principale non osta dunque all'apertura di una procedura territoriale: gli effetti universali della prima vengono limitati (secondo appunto il correttivo apportato al modello dell'universalità “pura”) da quelli esplicati dalla seconda nel foro della dipendenza.
Ai fini dell'instaurazione di una procedura secondaria, che può avvenire anche su impulso del curatore/amministratore della procedura principale, non è peraltro necessario procedere ad un nuovo accertamento dello stato d'insolvenza del debitore, già appurato dall'autorità competente dello Stato del COMI e riconosciuto come effetto dell'apertura della procedura principale, nonostante l'eventuale discrepanza tra le nozioni di “insolvenza” impiegate negli ordinamenti giuridici coinvolti, dovuta all'assenza di una definizione autonoma a livello europeo.La procedura secondaria, che può essere di natura esclusivamente liquidatoria secondo il vecchio Regolamento quand'anche quella principale sia di carattere conservativo (Corte giust., 22 novembre 2012, C-116/11, Bank Handlowy), mentre può essere di qualunque tipo (tra quelli indicati nell'Allegato A) secondo il nuovo testo, ferma in ogni caso la possibilità di conversione, viene aperta a tutela degli interessi locali, favorendosi così i creditori che presentano uno stretto collegamento con il foro, oppure per una gestione più efficace dell'attivo, quando il patrimonio del debitore sia troppo complesso da amministrare unitariamente o le divergenze tra gli ordinamenti giuridici interessati siano così rilevanti che potrebbero sorgere difficoltà per l'estendersi degli effetti derivanti dal diritto dello Stato di apertura della procedura principale agli altri Stati nei quali i beni dello stesso debitore sono situati.
Concorrono a promuovere il coordinamento tra le diverse procedure aperte a carico di uno stesso debitore vari obblighi di cooperazione e comunicazione, fortemente potenziati nel nuovo Regolamento, a carico di curatori/amministratori e giudici, da adempiersi, se del caso, anche mediante la conclusione di accordi o protocolli secondo le guidelines internazionali (v. ad es.: UNCITRAL, Practice Guide on Cross-border Insolvency Cooperation, 2010 e Model Law on Cross-Border Insolvency: The Judicial Perspective, 2014; ALI – III, Transnational Insolvency: Global Principles for Cooperation in International Insolvency Cases, 2012; nonché gli studi condotti dalle Università di Leiden e di Nottingham nell'ambito europeo del Civil Justice Programme: EU Cross-Border Insolvency Court-to-Court Cooperation Principles e EU Cross-Border Insolvency Court-to-Court Communications Guidelines, 2014; oltre ai risultati del progetto commissionato da INSOL Europe all'Università di Leiden: European Principles and Best Practices for Insolvency Office Holders, in particolare Report I – An analysis of globally and regionally established rules for insolvency office holders, 2013 e Report III – The statement of principles and best practices for insolvency office holders in Europe, 2014). Analogamente sono disciplinati anche i poteri degli organi coinvolti, quali ad esempio la possibilità, da parte del gestore della procedura principale, di richiedere e ottenere: oltre i provvedimenti provvisori e conservativi, anche la sospensione delle operazioni di liquidazione/realizzo dell'attivo e la chiusura della procedura secondaria senza liquidazione, nonché il trasferimento tempestivo del relativo residuo attivo realizzato. Ciononostante, le procedure secondarie d'insolvenza possono intralciare l'efficiente gestione della massa fallimentare, posto che con esse l'amministratore della procedura principale perde sostanzialmente il controllo sui beni ubicati nello Stato membro della dipendenza, divenendo pertanto più difficile, ad esempio, procedere alla vendita dell'impresa insolvente sulla base del principio di continuità aziendale. Pertanto, il nuovo Regolamento stabilisce situazioni specifiche in cui il giudice adito per l'apertura di una procedura secondaria dovrebbe essere in grado, su richiesta dell'amministratore della procedura principale, di rinviare o rifiutare l'apertura di tale procedura. Tra le novità introdotte dal Reg. (UE) 848/2015 vi è in particolare la possibilità per l'amministratore della procedura principale di contrarre un impegno nei confronti dei creditori locali, in base al quale essi saranno trattati come se la procedura secondaria d'insolvenza fosse stata aperta. Si delinea così una procedura c.d. sintetica o virtuale, capace di escludere l'apertura della procedura locale a beneficio di quella ove è situato il COMI (alla stregua di una prassi già invalsa, specie nel Regno Unito).
Il principio generale in materia di insinuazione dei crediti poggia sulla possibilità per ogni creditore (locale o straniero, purché non extra-UE: Cass. S.U., 21 luglio 2015, n. 15200) di insinuare il proprio credito nella procedura principale e in qualsiasi procedura secondaria, così come i curatori/amministratori di dette procedure insinuano i crediti già insinuati nella procedura cui sono preposti ove siano di utilità per i creditori della stessa.
La regola si giustifica considerando che sono automaticamente ed immediatamente riconosciute, quindi senza formalità, in tutti gli Stati membri, oltre alle decisioni di apertura efficaci nel Paese d'origine a prescindere dalla loro definitività (anche se concepite alla stregua della sopravvenienza di un giudicato esterno: Cass. S.U., 14 aprile 2008, n. 9743, in Corr. giur., 2008, 753, con nota di Carbone), pure quelle relative allo svolgimento della procedura (comprese quindi quelle di accertamento dello stato passivo), così come le decisioni di chiusura e quelle strettamente collegate alla procedura medesima, anche se prese da un'autorità diversa da quella della decisione di apertura. Vige quindi un regime di libera circolazione delle decisioni relative all'insolvenza transfrontaliera intra-comunitaria, non condizionato neppure all'espletamento di obblighi pubblicitari, comunque previsti, ma solo ai fini di opponibilità della procedura. Adempimenti peraltro arricchiti nel nuovo Regolamento con l'istituzione di un sistema decentrato di interconnessione dei registri fallimentari ad accesso elettronico dal portale e-justice. Uniche precisazioni riguardano la decisione di apertura. La stessa infatti: i) deve essere stata adottata dal giudice di uno Stato membro, per tale intendendosi non solo l'autorità giudiziaria, ma anche qualsiasi altro organo competente a ciò legittimato dalla legge nazionale (così, ad es., il Ministro delle attività produttive quando pronuncia il decreto ex art. 3, comma 3, d.l. 347/2003: Cons. Stato, 25 gennaio 2007, n. 269); ii) può consistere anche nella decisione di un giudice di nominare un amministratore delle procedure d'insolvenza (previsione introdotta nel nuovo Regolamento a recepimento della giurisprudenza comunitaria: Corte giust., 2 maggio 2006, C-341/04, Eurofood, cit., che ha riconosciuto una decisione di apertura nella pronuncia con la quale il giudice irlandese, prima del definitivo accoglimento dell'istanza di avvio della procedura, aveva nominato un provisional liquidator dotato di poteri gestori sostitutivi rispetto a quelli degli amministratori della società debitrice). Il riconoscimento automatico ed immediato delle decisioni di apertura offre peraltro una soluzione al possibile conflitto positivo di giurisdizione, altrimenti non disciplinato, secondo un criterio di priorità, nel senso che prevale la decisione (con le suddette caratteristiche) che per prima abbia aperto la procedura (principale).
Uno Stato membro può rifiutarsi di riconoscere una procedura d'insolvenza aperta altrove e, quindi, di eseguire una decisione presa nell'ambito di tale procedura solo qualora il riconoscimento o l'esecuzione possano produrre effetti palesemente contrari all'ordine pubblico, in particolare ai principi fondamentali o ai diritti e alle libertà personali sanciti a livello costituzionale. I motivi di rifiuto operano dunque soltanto in casi eccezionali, specie con riguardo al c.d. ordine pubblico processuale per violazione dei principi dell'equo processo (su cui Cass., 3 settembre 2015, n. 17519) e non, ad esempio, qualora sussista l'incompetenza giurisdizionale del giudice a quo, posto che la decisione del giudice di uno Stato membro rispetto alla localizzazione sul proprio territorio del centro degli interessi principali o della dipendenza del debitore può essere contestata e rivista solo nel contesto dei meccanismi impugnatori interni (Lupoi, Conflitti di giurisdizioni e di decisioni nel Regolamento sulle procedure d'insolvenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 1393). Al giudice ad quem è in ogni caso precluso il riesame del merito della decisione straniera.
A parte la disciplina relativa al riconoscimento ed all'esecuzione, quanto alle azioni collegate alla procedura d'insolvenza (escluse dall'ambito di applicazione del Reg. UE 1215/2012 e già dalla Convenzione di Bruxelles del 1968: Corte giust., 22 febbraio 1979, C-133/78, Gourdain; 10 settembre 2009, C-292/08, German Graphics; 4 settembre 2014, C-157/13, Nickel; 4 dicembre 2014, C-295/13, H; 10 dicembre 2015, C-594/14, Kornhaas) è oggi espressamente fissata, grazie alla previsione introdotta nel Reg. (UE) 848/2015, anche la competenza giurisdizionale, prevedendosi che i giudici dello Stato membro nel cui territorio è aperta una procedura d'insolvenza (principale o territoriale) sono competenti a conoscere delle azioni che derivano direttamente dalla procedura e che vi si inseriscono strettamente, come le azioni revocatorie (Corte giust., 19 aprile 2012, C-213/10, F-Tex SIA ha chiarito quando un'azione revocatoria non può considerarsi quale azione collegata), quand'anche da esperirsi nei confronti di convenuti non domiciliati sul territorio di uno Stato membro (Corte giust., 16 gennaio 2014, C-328/12, Ralph Schmid), non ostando a tal fine l'inopponibilità agli Stati terzi delle disposizioni relative al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni pronunciate dal giudice che ha aperto la procedura d'insolvenza. Ne risulta pertanto una vis attractiva, generalizzata a livello europeo, ma soltanto parziale (in piena aderenza a quanto statuito da Corte giust., 12 febbraio 2009, C-339/07, Deko Marty), posto che è rivolta sì a favore dei giudici dello Stato membro ove è aperta la procedura d'insolvenza (anche in caso di convenuti extra-UE), ma saranno poi le norme interne di detto Stato a determinare quale, in concreto, sia l'organo competente per materia e territorio (vi potrà essere coincidenza tra il giudice presso cui pende la procedura e quello competente a conoscere le azioni da questa derivanti, ad esempio, nel caso di procedura aperta in Italia, per il principio di cui all'art. 24 l. fall., o in Francia o in Belgio, ove parimenti si attua la concentrazione davanti ad un unico giudice; non altrettanto, invece, sarà a dirsi con riguardo alla normativa tedesca o inglese).
Da ultimo, un'ulteriore novità introdotta dal Reg. (UE) 848/2015 riguarda la disciplina dell'insolvenza dei gruppi multinazionali, con la previsione di norme ad hoc in materia di comunicazione, cooperazione e coordinamento, prevendendosi in particolare la possibilità di attivare una procedura di coordinamento di gruppo gestita da un apposito coordinatore, senza peraltro che risulti limitata la possibilità, già sperimentata nella prassi, di avviare in un'unica giurisdizione la procedura d'insolvenza per le varie società del gruppo, qualora si ritenga che il COMI delle stesse si trovi in un medesimo Stato membro, acconsentendosi in tal caso, ove opportuno, alla nomina dello stesso amministratore per tutte le procedure in questione. A differenza, ad esempio, di Svizzera e Germania, che pur non aderenti alla Legge Modello si sono dotate di una normativa specifica in materia di procedure concorsuali aventi implicazioni transfrontaliere, resta sinora silente la legislazione italiana. Con riguardo, quindi, a casi d'insolvenza transnazionale sottratti al regime del Regolamento europeo, in assenza di convenzioni internazionali vincolanti per l'Italia e lo Stato terzo interessato, troveranno applicazione le disposizioni comuni di impostazione territorialistica (Catallozzi-Fraulini, Diritto fallimentare internazionale, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, diretto da Panzani, IV*, 2014, 460). In particolare, ai sensi dell'art. 9, comma 3, l. fall., la pendenza di una procedura concorsuale straniera non impedisce l'apertura del fallimento in Italia, cui è infatti soggetto l'imprenditore che, pur avendo all'estero la propria sede principale, eserciti sul territorio nazionale attività imprenditoriale attraverso una sede secondaria o quantomeno una stabile rappresentanza (Cass. S.U., 4 luglio 1985, n. 4049), risultando peraltro ammessi sia i creditori nazionali che quelli stranieri (con applicazione della legge designata dalle norme di conflitto quanto agli aspetti sostanziali del credito). La disposizione prevede dunque un titolo di giurisdizione che si aggiunge, senza importare deroghe, alla previsione di cui all'art. 3, comma 1, l. 218/1995, applicabile anche alla materia fallimentare (Queirolo, 279), e in virtù del quale la giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante autorizzato a stare in giudizio. Inoltre, poiché con riguardo alle materie sottratte al campo applicativo della Convenzione di Bruxelles del 1968 (oggi Reg. UE 1215/2012), quale è quella fallimentare, il medesimo art. 3, comma 2, ultima parte, trasforma i criteri di competenza territoriale in criteri di giurisdizione, e a norma dell'art. 24 l. fall. il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano (competenza funzionale territoriale inderogabile), viene fondato un titolo di giurisdizione italiana per la cognizione di tutte le azioni connesse ad un fallimento aperto nel foro, a prescindere dal carattere transfrontaliero delle stesse, tra cui quella revocatoria, con riguardo alla quale è applicabile la legge italiana (Cass. S.U., 7 febbraio 2007, n. 2692, in Fall., 2007, 629, con nota di Catallozzi). Di più incerta applicazione risultano invece essere le disposizioni riguardanti la previa pendenza di un processo straniero, con riguardo alla quale l'art. 7 l. 218/1995 prevede la sospensione del giudizio italiano qualora l'esito possa produrre effetto in Italia, e, appunto, il riconoscimento della relativa decisione, che risulta automatico al ricorrere delle condizioni di cui all'art. 64 della stessa legge. A parte, infatti, la difficile ricorrenza dell'identità della lite, ove intesa in senso stretto, con riguardo alle azioni di apertura di una procedura concorsuale, un riconoscimento automatico della pronuncia di fallimento straniera mal si concilia con l'espressa possibilità di dichiarare comunque l'insolvenza anche in Italia, salvo ridurre la portata della procedura aperta ex art. 9, comma 3, l. fall. ai confini nazionali, trovandosi all'estero la sede principale dell'impresa e sul territorio domestico solo una sede secondaria o una stabile rappresentanza. In caso contrario, prevarrà invece la completa irrilevanza della litispendenza internazionale sottesa alla medesima norma, per la verità senza alcun distinguo (Daniele, Fallimento. Diritto internaz. priv. e process., in Enc. giur., 1998, 4). In ogni caso non tutti gli effetti della pronuncia straniera di fallimento potranno prodursi automaticamente in Italia, dovendosi ricorrere al procedimento di cui all'art. 67 l. 218/1995 per gli effetti esecutivi. Resta fermo che il riconoscimento non può attribuire alla decisione straniera effetti maggiori o diversi rispetto a quelli dalla stessa esplicati nello Stato d'origine (Consolo, Evoluzione nel riconoscimento delle sentenze straniere, in Convenzioni internazionali e legge di riforma del diritto internazionale privato, a cura di Salerno, 1997, 270). Parimenti, il fallimento italiano avrà ingresso nell'ordinamento terzo esclusivamente sulla base delle norme di conflitto ivi vigenti. Difficilmente, comunque, i beni che il fallito possiede all'estero rientreranno automaticamente nella massa attiva, dato che la sentenza italiana tendenzialmente non può produrre nello Stato terzo gli effetti concorsuali che le sono propri (v. supra, § 1), salvo che l'ordinamento straniero riconosca la giurisdizione esorbitante italiana. Pertanto, per ottenere l'acquisizione dei beni eterosituati occorre il riconoscimento della sentenza italiana di fallimento nello Stato terzo e quindi esperire le relative azioni secondo i principi di quell'ordinamento (Cass. S.U., 19 dicembre 1990, n. 12031,). È quindi l'ordinamento straniero a disciplinare gli effetti interni prodotti dall'eventuale riconoscimento della sentenza italiana di fallimento, in ossequio alle norme in quel luogo vigenti. Perciò, in linea di principio, e salvo eventuali limitazioni previste dalla legge dello Stato terzo (proprio a seguito del riconoscimento predetto), i creditori già concorsuali, insieme a quelli locali, potranno anche agire individualmente, in via cautelare ed esecutiva, sui beni situati nel Paese straniero, secondo la lex fori: l'esecuzione individuale sui beni del fallito situati all'estero deve infatti attivarsi davanti al giudice del forum rei sitae, in virtù dell'imprescindibile relazione tra ubicazione dei beni ed esecuzione forzata ad essi inerente (Cass. 12301/1990, cit.). Similmente il curatore, che pure intende recuperare le somme conseguite attraverso esecuzioni forzate singolari attivate all'estero, non può che ricorrere ai mezzi di tutela giurisdizionale eventualmente esperibili dinanzi al giudice straniero. Riferimenti
Normativi
Prassi
Giurisprudenza
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