Inesistente la notifica a mezzo PEC se mancante degli atti da notificare o se gli stessi sono privi di firma digitale

Nicola Gargano
09 Agosto 2017

Entrambi i provvedimenti in commento dichiarano l'inesistenza di due notifiche a mezzo PEC ai sensi dell'articolo 11, l. n. 53/1994 che, com'è noto, prescrive la nullità rilevabile d'ufficio...
Massime

È inesistente la notifica in proprio a mezzo PEC e quindi non sanabile neppure con la costituzione della appellata, "essendo l'atto (quello originale e la copia) privo della firma digitale" e non essendo, peraltro, accogliibile l'istanza di rimessione in termini in carenza di prova sulla "non imputabilità della mancanza di firma".

Parzialmente conforme: Trib. S. Maria Capua Vetere, sent. 15 giugno 2017

Il caso

I provvedimenti in commento affrontano entrambi la delicata problematica della inesistenza della notifiche a mezzo PEC mancanti rispettivamente dell'atto di opposizione, nel caso del provvedimento del Tribunale campano, o della firma sull'atto notificato, nel caso oggetto di pronuncia della Suprema Corte.

Nel caso affrontato dal Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere, si costituiva ritualmente l'opposto il quale eccepiva la inesistenza della notifica dell'atto di opposizione, assumendo che nella PEC ricevuta era contenuta solo la procura di controparte e pertanto chiedeva dichiararsi inammissibile l'opposizione ed acclarare il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto.

Nel caso di specie il Tribunale, con sentenza ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. accoglieva l'eccezione ritenendo inesistente la notifica dell'opposizione a DI.

Nel caso invece all'esame della Suprema Corte, parte soccombente in primo e in secondo grado, proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Salerno aveva dichiarato inammissibile l'appello, ritenendo inesistente e non sanabile, neppure con la costituzione da parte dell'appellata, la notifica di un atto di appello privo di firma digitale.

In questo caso la Suprema Corte nel confermare la sentenza della Corte di appello di Salerno riteneva inesistente la notificazione essendo l'atto di appello privo di firma digitale.

La questione

Entrambi i provvedimenti in commento dichiarano l'inesistenza di due notifiche a mezzo PEC ai sensi dell'art. 11, l. n. 53/1994 che, com'è noto, prescrive la nullità rilevabile d'ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi e se non sono osservate le disposizioni di cui alla legge sopracitata e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell'atto o sulla data della notifica.

Nelle due fattispecie di cui ci si occupa, nel caso del Tribunale Campano la completa assenza dell'atto da notificare tra gli allegati alla PEC costituente la notifica e, nel caso sottoposto all'esame della Suprema Corte, l'assenza della firma digitale sugli atti da notificare, hanno indotto i giudicanti a pronunciarsi sulla inesistenza delle notificazioni.

Le soluzioni giuridiche

A tal proposito il Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere richiama il principio dettato dall'art. 645 c.p.c. osservando che, l'opposizione a decreto ingiuntivo, deve essere notificata alla controparte, per consentire la valida instaurazione del contraddittorio, necessaria per la trasformazione del procedimento monitorio in un ordinario processo di cognizione.

Ritiene, dunque il Tribunale che, il deposito di un atto di opposizione a decreto ingiuntivo non notificato alla controparte sia inidoneo a introdurre un giudizio oppositorio a decreto ingiuntivo.

Nel caso invece sottoposto all'esame della Suprema Corte, si richiama il principio di equivalenza della firma digitale alla firma autografa e, pertanto, la stessa costituisce un requisito di validità dell'atto introduttivo del giudizio, al pari della sottoscrizione dell'atto analogico ex art. 125 c.p.c..

In entrambi i casi i giudicanti hanno dunque ritenuto di non applicare il principio del raggiungimento dello scopo, atteso che, le notifiche in questione, non sono affette da semplice nullità ma erano da considerarsi inesistenti e pertanto inidonee al raggiungimento dello scopo.

In entrambi i casi infatti l'inesistenza deriva da un vizio inerente, non alla notificazione vera e propria, ma agli stessi atti da notificare che, nel caso scrutinato dal Tribunale campano non venivano neppure posti a conoscenza del notificato, mentre nel caso posto all'esame della Suprema Corte venivano notificati privi di firma.

La Suprema Corte nel caso di specie, nel richiamare un suo precedente orientamento espresso con la sentenza n. 22781/2015, effettua inoltre una breve ricognizione normativa e giurisprudenziale richiamando in particolare gli artt. 1, comma 1, lett. p) e s), 20, comma 3 e 2 CAD (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82) applicabili anche al processo civile in forza di quanto disposto dall'art. 4, d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24 - e delle specifiche disposizioni, di rango secondario (ma in attuazione del citato d.l. n. 193 del 2009), di cui al combinato disposto degli artt. 11 e 34, d.m. n. 44/2011 e (in base al predetto art. 34) delle specifiche tecniche dettate dall'art. 12 Provv. Ministero della giustizia, 16 aprile 2014.

La Cassazione inoltre non ritiene, nel caso di specie, di aderire al più recedente orientamento di cui alla sentenza 14 marzo 2017 n. 6518 ed ai precedenti orientamenti in tema di notifiche cartacee in cui la firma mancante non era ritenuta causa di inesistenza dell'atto e laddove si affermava che, l'identità del firmatario, potesse essere ricavabile aliunde, come ad esempio dalla inequivocabile provenienza dalla casella PEC dell'avvocato notificante a quella del difensore avversario, senza alcuna lesione del diritto di difesa della parte ricevente.

La sentenza in commento invece, proprio su questo punto, ritiene che,la trasmissione via PEC, pur attestando la provenienza dell'atto dal mittente, può non correlarsi col firmatario e né pertanto può surrogare, la sottoscrizione, digitale, dell'originale dell'atto.

Osservazioni

Le due pronunce in commento pur potendo sembrare in contrasto con l'ormai noto principio sancito dalla Suprema Corte, S.U., sentenza n. 7665/2016 secondo cui, anche in tema di notifiche in proprio a mezzo PEC, la nullità non può essere mai pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, appaiono condivisibili anche alla luce della circostanza che i vizi da cui consegue l'inesistenza della notifica riguardano gli stessi atti notificati.

Tuttavia, se tale inesistenza è palesemente evidente nella questione posta all'esame del Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere, può sembrare meno evidente nel caso posto all'esame della Suprema Corte, laddove l'atto notificato pur essendo presente all'interno della notifica è privo di sottoscrizione.

A ben vedere peraltro, nel caso di specie non viene neppure considerata l'ipotesi di una nullità sancita alla stregua dell'art. 11 l. n. 53/1994, bensì la mancanza di un requisito previsto finanche dall'art. 125 c.p.c., ovvero la sottoscrizione dell'atto che con firma autografa o digitale.

Si è inoltre in presenza di un caso comunque diverso da quello esaminato dalla Suprema Corte, sent. 14 marzo 2017, n. 6518 e richiamato dalla difesa del ricorrente nel caso di specie, laddove la mancanza della firma digitale era da riferirsi alla sola relazione di notifica.

Le due ordinanze in commento lasciano dunque trasparire ancora molta incertezza nei confronti di un orientamento giurisprudenziale univoco ed orientato ad una sanatoria tout court per tutte le notifiche in proprio a mezzo PEC, dovendosi ritenere sempre doverosa e necessaria una analisi dei singoli casi concreti.

Guida all'approfondimento

N. Gargano, L. Sileni, Il codice commentato del PCT, Giuffrè 2017, art. 125 c.p.c., art. 11 l. n. 53/1994

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