Paolo Vittoria
29 Giugno 2016

Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi e tale diritto non potrà essere compresso dal legislatore ordinario.
Inquadramento

Di giurisdizione si parla a proposito di diversi aspetti di un unico fenomeno giuridico, sicché è solo attraverso la distinta analisi di questi aspetti che è possibile ricostruire l'estensione del fenomeno e la forza ordinante delle norme che vi fanno riferimento.

Giurisdizione sinonimo di tutela giurisdizionale

A questo aspetto si fa riferimento negli artt. 24, comma 1, e 113, commi 1 e 2, Cost., dove si dice che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi e, si aggiunge, per ragioni di ordine storico e per riaffermare che tale diritto non potrà essere compresso dal legislatore ordinario, che, contro gli atti della pubblica amministrazione, è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, davanti agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa né la tutela può essere esclusa o limitata a particolari mezzi d'impugnazione o per determinate categorie di atti.

La possibilità d'agire in giudizio per reclamare protezione interinale, attraverso i mezzi di tutela cautelare, riconoscimento in sede di cognizione, ed attuazione dei diritti e degli interessi attribuiti dalla norma sostanziale, attraverso l'esecuzione forzata e l'ottemperanza, è garanzia di effettività dell'ordinamento, cioè della fruibilità delle situazioni di interesse protetto che le sue norme attribuiscono.

Il giudice precostituito per legge

L'art. 25, comma 1, Cost. sancisce che nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.

Giurisdizione e competenza - nel campo del processo civile (art. 5 c.p.c.) - si determinano con riguardo alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della domanda, non in base al tempo dei fatti da cui sorge la controversia.

Dunque, il principio costituzionale del giudice precostituito per legge ed il conseguente divieto che le parti ne siano distolte dovrebbe impedire che della domanda già proposta possano essere chiamati a decidere, a giudizio pendente ed in base a norme successive, organi giudiziari diversi o diversamente composti.

Ma il valore proprio della norma è in questo: giurisdizione e competenza non possono essere alterate per effetto di leggi che abbiano ad oggetto controversie specifiche. Non sono perciò impedite norme che, in connessione con la modifica dei criteri di attribuzione della giurisdizione o della competenza, incidano di riflesso anche su giudizi pendenti sì da risultare trasferiti ai medesimi giudici investiti per il futuro da quella attribuzione. Questo, in particolare, quando ciò appaia voluto in funzione dell'attuazione di altri valori costituzionali, tra i quali quello della efficienza della funzione giurisdizionale (C. cost., ord., 28 dicembre 2007 n. 463, richiamando sul punto C. cost., 26 giugno 2007 n. 237, ha in primo luogo ribadito che la nozione di giudice naturale corrisponde a quella di giudice precostituito per legge, sì che la ripartizione della competenza territoriale tra giudici deve essere dettata da normativa del tempo anteriore all'istituzione del giudizio; in secondo luogo, è tornata ad affermare che il principio del giudice naturale viene rispettato, quando «la legge, sia pure con effetto sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente». Ha considerato che, in questo caso, infatti, «lo spostamento della competenza dall'uno all'altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento - e dunque della designazione di un nuovo giudice "naturale" - che il legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente»).

Per altro verso, se sopravviene una norma che gliela attribuisce, il giudice che sia stato già adito resta competente a pronunciarsi sulla domanda, quand'anche al momento in cui è stata proposta fosse privo di giurisdizione o competenza (C. cost., 7 novembre 2008, n. 361, in conformità di costante giurisprudenza, ha affermato che in questo senso si deve interpretare l'art. 5 c.p.c., perché la sua ragione è di favorire e non di impedire il perpetuarsi della giurisdizione; ma già in precedenza, in questo senso, C. cost., 11 maggio 2006 n. 191, nonché C. cost., ord., 17 luglio 2007 n. 297).

La regola posta dall'art. 5 c.p.c. - per cui giurisdizione e competenza si determinano in base alla legge vigente al momento della domanda - e il temperamento interpretativo di cui si è appena detto - a proposito della legge successiva che l'attribuisce al giudice davanti al quale la domanda è stata un tempo proposta - rendono infine ragione del fatto che lo scrutinio di legittimità costituzionale deve coinvolgere ambedue le leggi, se il giudice davanti al quale la domanda è stata proposta rivendichi a sé la giurisdizione sul presupposto dell'illegittimità costituzionale delle norme che non gliela assegnano.

La composizione degli organi giurisdizionali

L'art. 102 Cost. dispone che la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario (comma 1) e che non possono essere istituiti giudici straordinari o speciali (comma 2, prima parte), ma solo sezioni specializzate di organi giudiziari con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura (comma 2, seconda parte).

L'individuazione dei giudici - intesi come organi giudiziari - è completata nella Cost. dall'art. 103, che dà rilievo costituzionale alla presenza nell'ordinamento del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, confermando la preesistente attribuzione agli stessi della competenza giurisdizionale per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e rispettivamente della contabilità pubblica ed affidando alla legge ordinaria la possibilità di attribuire a tali organi, con legge, la giurisdizione anche per la tutela di situazioni di diritto soggettivo, ma su particolari materie (nel senso indicato dalla Corte costituzionale, prima con la sentenza 6 luglio 2004 n. 204, in sede di dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale degli artt. 33, commi 1 e 2, e 34, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1980, n. 80, come sostituiti dagli artt. 7, lett. a) e b) della l. 21 luglio 2000, 205 e poi con la sentenza 11 maggio 2006 n. 191, in sede di dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 53, comma 1, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 325, trasfuso nell'art. 53, comma 1, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327).

L'art. 125, comma 2, Cost. ha infine previsto la possibilità di istituire per legge organi di giustizia amministrativa di primo grado nella Regione, ciò che è avvenuto con l'istituzione dei tribunali amministrativi regionali (l. 6 dicembre 1971, n. 1034) e delle sezioni regionali della Corte dei conti (d.l. 15 novembre 1993, n. 543 conv. in l. 14 gennaio 1994, n. 19).

L'impossibilità affermata dall'art. 102, comma 2, di istituire nuovi giudici e la previsione - di cui alla VI disposizione transitoria - che degli organi speciali di giurisdizione esistenti all'epoca si sarebbe attuata nei cinque anni successivi la revisione valgono invece a dare conto dell'esistenza e possibilità del legittimo persistere nell'ordinamento di tali preesistenti organi, ciò che non avrebbe peraltro escluso l'eventuale illegittimità della loro composizione o di specifiche norme regolatrici del pertinente procedimento giurisdizionale.

Tra questi organi speciali di giustizia sono da annoverare il Tribunale superiore delle acque pubbliche, previsto dal T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 142 e 143, che, in diversa rispettiva composizione, opera come giudice ordinario di appello e giudice amministrativo in un unico grado, e le Commissioni centrali professionali per le professioni indicate nell'art. 1 del d. lgs. lgt. 23 novembre 1944, n. 382 che operano in unico grado di giurisdizione, tra l'altro in materia disciplinare.

Della composizione degli organi di giustizia, per affermare che la legge deve assicurare l'indipendenza del magistrato, si occupano poi gli artt. della Costituzione dal 105 al 108, quanto all'ordinamento giudiziario, e lo stesso art. 108, comma 2, quanto alle giurisdizioni speciali.

L'indipendenza del magistrato rispetto all'organo dello Stato da cui deriva la sua investitura è anche postulata come necessaria dall'art. 6.1. CEDU e dall'art. 47, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

La sua mancanza, in fattispecie di incerta qualificazione, può assumere rilievo per negare all'organo cui una norma attribuisca funzioni di composizione di controversie la qualità di organo di giustizia.

Il riparto

La presenza nell'ordinamento di più organi deputati all'esercizio della giurisdizione in campi diversi da quello penale è attestata dalle norme della Costituzione appena richiamate.

Come poi si desume dagli artt. 103, commi 1e 2, Cost. e dalla VI disposizione transitoria, la legge, ma solo la legge, può modificare nel tempo la comprensività della materia attribuita alla competenza degli organi di giurisdizione preesistenti e di quelli che essa ha previsto possano essere istituiti come giudici speciali.

Ma questo col limite che la nuova materia sia logicamente riconducibile all'area di competenza giurisdizionale specifica propria di quell'organo (esemplificando, è in questo senso che C. cost. 14 marzo 2008 n. 6 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che avevano attribuito alle commissioni tributarie la giurisdizione sulle controversie in tema di COSAP: la Corte, dopo aver premesso che, come riconosciuto dalla sua consolidata giurisprudenza, la giurisdizione tributaria deve essere considerata un organo speciale di giustizia preesistente alla Costituzione, ha affermato che «la modificazione dell'oggetto della giurisdizione degli organi speciali di giustizia è consentita solo se non snaturi la materia originariamente attribuita alla cognizione del giudice speciale», il che comporta che non possa esser attribuita alle commissioni tributarie la giurisdizione sulle controversie relative ad entrate che non abbiano natura tributaria. Principio, questo, già più volte enunciato in precedenza e successivamente: così da C. cost. 11 febbraio 2010 n. 39, dove si trova ribadita la considerazione che l'attribuzione alla giurisdizione tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali e che tale illegittima attribuzione può derivare, direttamente, da una espressa disposizione legislativa che ampli la giurisdizione tributaria a materie non tributarie ovvero, indirettamente, dall'erronea qualificazione di tributaria data dal legislatore o dall'interprete ad una particolare materia, come avviene, ad esempio, quando si riconducano indebitamente alla materia tributaria prestazioni patrimoniali imposte, che siano di natura non tributaria).

La legge dunque opera, in base alla Costituzione, la ripartizione della funzione giurisdizionale tra i diversi organi di giustizia.

L'attribuzione della materia alla competenza di un dato organo comporta che, oltre a conoscere, con efficacia di giudicato, della spettanza o meno del diritto o dell'interesse legittimo di cui è stata chiesta tutela, quel medesimo organo possa conoscere incidentalmente - cioè senza efficacia di giudicato - delle questioni, anche di diritto sostanziale, pregiudiziali o incidentali, nella misura in cui la legge non lo escluda (così, esemplificando, con riferimento alla questione di falso, l'art. 28, comma 3, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, T.U. leggi sul Consiglio di Stato; l'art. 8 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, sui T.A.R.; l'art. 8 del Codice del processo amministrativo; gli artt. 10 e 11 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, il Regolamento per la procedura nei giudizi davanti alla Corte dei conti; l'art. 2.3. del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 sul processo tributario).

Il trattamento processuale

L'art. 111 Cost., ai commi 2 e 3, divenuti settimo e ottavo con la l. cost. 23 novembre 1999, n. 2, stabiliscono rispettivamente che mentre è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge contro le sentenze pronunciate dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione (è stato così elevato a rango di norma della Costituzione quanto in precedenza stabilito dagli artt. 48 del T.U. 1054 del 1924 sul Consiglio di Stato e art. 71 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, T.U. delle leggi sull'ordinamento della Corte dei conti in relazione all'art. 3, n. 3) della l. 31 marzo 1877, n. 3761 sui conflitti di attribuzione).

La valenza delle disposizioni contenute nei richiamati commi dell'art. 111 Cost. è duplice.

Sono stati infatti elevati a rango costituzionale da un lato il limite al sindacato di legittimità sulle decisioni non dei giudici speciali in genere, ma del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, dall'altro il principio, già affermato nell'art. 65 dell'ordinamento giudiziario (il r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), secondo il quale la Corte di cassazione, «quale organo supremo della giustizia» assicura il «rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni».

Che contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso per cassazione per violazione di legge, altrimenti sempre ammesso, non lo sia con la stessa estensione e però per motivi inerenti alla giurisdizione lo sia, attesta che (come già affermato dall'art. 65 dell'ordinamento giudiziario) il sistema degli organi di giurisdizione è un sistema unitario, che nella Cassazione ha il garante della distribuzione della funzione giurisdizionale tra i diversi organi di giustizia, quale voluta dalla stessa Costituzione e nel suo ambito dalla legge.

Questo sistema è poi articolato al suo interno in sottosistemi di giustizia, al vertice funzionale dei quali è la Corte di cassazione. Questa, attraverso le sue sezioni unite, esercita il sindacato sul rispetto delle norme attributive della funzione giurisdizionale e, anche con le sue sezioni semplici (art. 374, comma 1, c.p.c.) sull'esatta osservanza ed uniforme applicazione della legge, quale garanzia del principio di eguaglianza (art. 3, comma 1, Cost.). Ne costituiscono perciò oggetto, le norme che distribuiscono la competenza all'interno dei singoli plessi e ne regolano il relativo processo e il diritto sostanziale (ma con il limite già visto, quanto a questo secondo aspetto, a proposito delle decisioni dei giudici amministrativi e di quelli contabili, facenti rispettivamente capo al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti).

A questi principi di rango costituzionale fanno riscontro norme del codice di procedura e di altre leggi regolatrici del processo davanti ai giudici speciali volte a darvi attuazione concreta.

L'art. 382, comma 1, c.p.c. - secondo il quale «La corte, quando decide una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando, quando occorre il giudice competente»- letto in connessione con le norme prima richiamate, rappresenta la fonte della regola secondo la quale le decisioni della Cassazione sulla questione di giurisdizione hanno efficacia tra le parti non solo nel giudizio che debba proseguire e prosegua davanti al medesimo ordine giudiziario, ma anche in quello che torni ad essere iniziato, in base a domanda con cui sia chiesta tutela per il medesimo diritto, davanti al giudice di cui la Corte abbia dichiarato la giurisdizione od a quello la cui giurisdizione sia stata già negata, senza dunque che la questione di giurisdizione possa costituire oggetto d'altra decisione, che non sia quella di rilevare il giudicato che si sia già formato (art. 386 c.p.c.).

Correlativamente, attraverso un complesso di norme, che regolano il processo davanti al giudice ordinario ed ai giudici speciali, il codice di procedura civile tende al risultato di far emergere e consolidare la decisione sulla questione di giurisdizione:

- l'art. 37, primo comma, c.p.c., dispone che il difetto di giurisdizione del giudice ordinario rispetto al giudice speciale è rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e successive analoghe norme hanno ribadito l'operatività del principio nel processo davanti ai giudici speciali (così l'art. 30, comma 1 , l. n. 1034 del 1971 sui T.A.R. e l'art. 3.1. del d. lgs. 546 del 1992 sul processo tributario);

- gli artt. 41 e 367 c.p.c., disciplinano l'istituto del regolamento preventivo di giurisdizione, con norme applicabili anche nei processi davanti ai giudici speciali (pur in mancanza di espressa disposizione, peraltro a suo tempo inserita nell'art. 30, comma 3, della legge T.A.R. ed ora nell'art. 10 del codice del processo amministrativo, oltre che nell'art. 3.2. d. lgs. 546 del 1992 sul processo tributario);

- l'art. 362, comma 2, n. 1, c.p.c., contempla infine il rimedio sempre esperibile del ricorso per denunzia di conflitto positivo o negativo di giurisdizione.

Le norme del codice di procedura civile e quelle ad esse ispirate contenute nelle successive discipline processuali del giudizio davanti a giudici speciali scontavano peraltro un'interpretazione del sistema di giustizia basato sulla separazione funzionale dei diversi complessi di organi giurisdizionali, così da non consentire che il giudizio iniziato con la domanda proposta ad un giudice poi riconosciuto in difetto di giurisdizione potesse proseguire davanti a quello successivamente dichiarato averla, imponendo di iniziarlo davanti a questo.

Le sentenze 12 marzo 2007 n. 77 della Corte costituzionale e 22 febbraio 2007 n. 4109 delle sezioni unite della Corte di cassazione ne hanno invece predicato l'unità anche funzionale, consentendo così che il giudizio iniziato con la domanda di giustizia rivolta a giudice poi riconosciutosi o dichiarato in difetto di giurisdizione potesse proseguire davanti al giusto giudice,

Con l'art. 59 della l. 26 giugno 2009, n. 69 (e poi con l'art. 11 del codice del processo amministrativo) è stata dettata la disciplina della c.d. translatio iudicii, disciplina così convenzionalmente denominata perché volta a rendere possibile anche il trasferimento orizzontale del giudizio, secondo lo schema del conflitto di competenza regolato dall'art. 45 c.p.c.

L'art. 111, ultimo comma, cost. e il sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione sulle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti

Si è già detto che le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti sono assoggettabili a sindacato solo per motivi inerenti alla giurisdizione (art. 111, ult. comma, Cost.).

Questa disposizione si pone come limite a quella, contenuta nel comma precedente, secondo la quale contro le sentenze degli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge.

Ora, l'ordinamento conosce ancora organi giurisdizionali, istituiti prima della Costituzione e ad essa sopravvissuti, che, in materie ad essi attribuite, esercitano la stessa competenza giurisdizionale in allora attribuita al Consiglio di Stato, con i poteri propri del giudice amministrativo, come il Tribunale superiore delle acque pubbliche (art. 143 T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775).

Le decisioni di questo giudice - una volta entrata in vigore la Costituzione - sono soggette a ricorso per cassazione per violazione di legge, con la stessa estensione che esso ha secondo l'art. 360 c.p.c.

Quanto invece agli organi giurisdizionali amministrativi o contabili istituiti dopo la Costituzione ed in base ad essa, la ordinaria soggezione delle loro decisioni all'appello è praticamente di ostacolo a che sorga il problema di una non applicabilità del limite previsto dall'ultimo comma dell'art. 111 Cost. ad eventuali decisioni in unico grado.

Peraltro, giacché la Costituzione aveva previsto come futura costruzione per la giurisdizione, amministrativa o contabile, affidata al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti, quella in due gradi (art. 125 Cost.), la conservazione del limite preesistente consente di ritenerlo voluto ed esteso al sistema delle decisioni del giudice amministrativo o contabile, per così dire, ordinario e quindi alle decisioni in unico grado dei giudici di primo grado di tali plessi giurisdizionali, una volta che la legge le configuri come non impugnabili.

Evidentemente, il limite di cui si tratta segna ed ha ragione di essere affermato unicamente riguardo al sindacato della Cassazione, come giudice dell'impugnazione d'una decisione, con cui il giudice amministrativo o contabile si sia espresso in relazione alla domanda.

Non avrebbe senso predicarne l'operatività nella sede della decisione sul ricorso preventivo di giurisdizione, quante volte la Cassazione sia richiesta di stabilire se la situazione giuridica soggettiva per cui è chiesta tutela rientra tra quelle per le quali apprestarla spetta al giudice cui è stata domandata o ad un altro giudice.

Detto questo va tuttavia considerato se concretizzi un motivo attinente alla giurisdizione solo individuare se la situazione giuridica soggettiva per cui è chiesta tutela rientra nell'ambito materiale affidato alla cognizione in via principale del giudice cui la domanda è stata proposta o se inerisca alla giurisdizione anche l'aspetto della spettanza della tutela domandata, non con riferimento alle determinanti fattuali del caso concreto, che costituisce il merito del giudizio, ma con riferimento al tipo di tutela domandata.

Sì che poi si possa affermare, in sede di regolamento preventivo o di impugnazione, che il tipo di tutela richiesta rientri o non rientri tra quelle che il giudice adito ha il potere e perciò il dovere di dichiarare spettante o per contro non spettante.

La giurisdizione e la concorrenza degli ordinamenti giuridici

È il fenomeno c.d. del diritto internazionale privato.

La l. 31 maggio 1995, n. 218 - Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, dichiara all'art. 1, che suo oggetto è determinare «l'ambito della giurisdizione italiana», porre «i criteri per l'individuazione del diritto applicabile», disciplinare «l'efficacia delle sentenze e degli atti stranieri».

La materia del diritto internazionale privato è rappresentata da fenomeni giuridici che presentano elementi di estraneità rispetto al territorio dello Stato e perciò di collegamento con altro Stato.

Quando è in discussione il diritto applicabile, ovvero la regolazione del rapporto dedotto in giudizio, l'elemento di estraneità rileva al fine di stabilire in base a quale norma di diritto sostanziale il caso debba essere deciso.

A titolo di esempio: nel capo settimo della l. n. 218 intitolato alle successioni, l'art. 48, relativo alla forma del testamento, è norma dettata allo scopo di stabilire in base a quale legge se ne stabilisce la validità, mentre l'art. 50, in tema di giurisdizione in materia successoria, stabilisce quando sussiste la giurisdizione italiana in tale materia.

Se la domanda di petizione ereditaria in base a testamento concerne beni situati in Italia, sussiste la giurisdizione del giudice italiano, secondo il quinto dei criteri stabiliti dall'art. 50; secondo l'art. 48 il testamento andrà considerato valido, se sorga questione al riguardo, quando lo sia in base alla legge del luogo in cui è stato formato ovvero a quella dello Stato di cui al momento della morte l'ereditando era cittadino o in cui aveva il domicilio o la residenza.

Soffermandosi qui sul fenomeno della competenza giurisdizionale va osservato che, in base all'art. 12 l. n. 218, il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana.

Qual è la portata di questa disposizione?

Quella che, quanto alla tutela giurisdizionale, le deriva dalla funzione delle norme di diritto internazionale privato, che è di dettare regole uniformi di competenza e condizioni altresì uniformi per il reciproco riconoscimento delle decisioni, non oltrepassando perciò nella disciplina del processo il livello di indifferenza circa i possibili metodi procedurali utili alla loro applicazione.

Ne risultano spazi del processo non disciplinati dalla norma di diritto internazionale privato, nei quali opera dunque la disciplina del processo propria di ogni Stato.

In particolare, prima la Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, alla quale venne data esecuzione con la l. 21 giugno 1971, n. 804, poi i regolamenti della Comunità ed ora dell'Unione europea, il Reg. CE 22 dicembre 2000, n. 44/2001 e da ultimo il Reg. UE 12 dicembre 2012 n. 1215 (pubblicato sulla Gazzetta UE 20/12/2012 n. 351, entrato in vigore il ventesimo giorno successivo, e destinato ad avere applicazione dal 10 gennaio 2015) contengono norme che, nei vari settori disciplinati, operano la ripartizione della giurisdizione tra i diversi ordinamenti nazionali, ne regolano il rilievo, sono intese ad assicurarne il rispetto, ed inoltre individuano, limitandole, le possibili condizioni ostative al riconoscimento, fermo il rispetto dell'ordine pubblico interno.

Ad essere regolati dalla legge italiana sono invece gli strumenti del processo con l'impiego dei quali si perviene alla decisione sulla questione di giurisdizione in rapporto ai diversi tipi di tutela giurisdizionale richiesti e nell'ambito dei diversi processi: che sono da un lato, nel giudizio di cognizione, davanti ad ogni giudice anche speciale, il regolamento preventivo di giurisdizione (art. 41 c.p.c.), con cui le parti chiedono la diretta decisione della questione di giurisdizione alle sezioni unite della Corte di cassazione, anziché da parte del giudice adito, dall'altro, attraverso il sistema delle impugnazioni, il ricorso per cassazione (art. 360, comma 1, n. 1, c.p.c.).

L'attribuzione della giurisdizione e la sua disciplina nel campo del diritto internazionale privato

Qui operano le fonti internazionali ed in mancanza quelle interne (nel caso l'art. 3 l. n. 218).

I due sistemi presentano la stessa struttura concettuale, al di là di una non perfetta sovrapposizione dei singoli criteri e del loro spazio applicativo.

Criterio base di attribuzione della giurisdizione - comune alle due fonti - è il domicilio del convenuto in uno degli Stati in cui i regolamenti si applicano (artt. 4.1. Reg. n. 1215/2012, art. 3.1. Reg. n. 44/2001 e art. 2.1. Conv., cui si uniforma l'art. 3.1. della l. n. 218, che estende questo criterio alla residenza ed alla presenza in Italia di un rappresentante autorizzato a stare in giudizio).

Questo è un tratto che accomuna sotto l'aspetto territoriale giudice e convenuto ed è preferito perché agevola la difesa in giudizio del convenuto e garantisce che il giudice più agevolmente individui le norme sostanziali da applicare per la soluzione del conflitto di interessi.

Alternativo rispetto a questo criterio è un complesso d'altri criteri, ispirati a ragioni diverse, che esprimono un collegamento del rapporto controverso con il territorio di uno Stato che potrebbe non essere quello di domicilio del convenuto ed essere invece prossimo a quello dell'attore: così, in materia contrattuale, il luogo di esecuzione della prestazione dedotta in giudizio o nei contratti del consumatore, il domicilio del consumatore che si fa attore.

I due regolamenti e prima la Convenzione indicano al riguardo una serie di competenze speciali nelle loro sezioni 2, 3, 4 e 5.

L'art. 3.2 l. n. 218 - con l'eccezione delle disposizioni della sezione 5 relativa ai contratti individuali di lavoro - nelle materie disciplinate nel campo di applicazione dei regolamenti ne estende l'applicazione al caso che il convenuto non sia domiciliato in uno Stato membro.

Tra le disposizioni richiamate - perché compresa nella sezione 2 - è la norma originariamente dettata nell'art. 6 della Convenzione e ripresa dagli artt. 6 del Reg. 44/2001 e art. 7 del Reg. 1215/2012 - che estende la giurisdizione a casi di domande connesse con quella principale.

Infine, col rispetto di date forme (artt. 25 Reg. 1215/2012, art. 23 Reg. n. 44/2001 e art. 17 Conv.) e talora nel concorso di certe condizioni (gli artt. 23 Reg. 1215/2012, art. 21 Reg. 44/2001 e art. 15 Conv., in materia di contratti individuali di lavoro ammettono la deroga convenzionale, purché però pattuita dopo il sorgere della controversia), la giurisdizione è suscettibile di deroga nel duplice senso che le parti possono toglierla al giudice che l'avrebbe e attribuirla a un giudice che ne sarebbe privo.

Parimenti, la giurisdizione, che secondo le pertinenti norme di diritto internazionale privato operanti nell'ordinamento giuridico italiano non apparterebbe al giudice italiano, convenzionalmente può essere accettata in base ad un accordo di proroga della competenza (art. 25 Reg. n. 1215/2012, art. 23 Reg. 44/2001, art. 4 l. n. 218) e per converso, convenzionalmente, nello stesso modo, può essere derogata, a favore d'un giudice straniero o d'arbitrato estero, in materia di diritti disponibili (art. 4.2. l. n. 218).

Ma questo con l'eccezione di una serie di casi definiti di competenza esclusiva dai regolamenti e dalla Convenzione (artt. 24 e 26.1. Reg. n. 1215/2012, artt. 22 e 24 Reg. n. 44/2001 e artt. 16 e 18 Conv.) e dalla l. n. 218 artt. 5 e 11, da questa quanto alle azioni reali aventi ad oggetto beni immobili situati all'estero.

Tratto, questo della deroga convenzionale, che accomuna alla disciplina delle fonti internazionali quella interna di diritto internazionale privato (artt. 4.1. e 4.2. l. n. 218), rendendo questa diversa da quella italiana di diritto interno, che, se la controversia non ha ad oggetto diritti indisponibili, mentre ammette il deferimento della controversia ad arbitri (artt. 806 c.p.c. e art. 12 c.p.a.), non consente deroghe alla distribuzione della giurisdizione tra i diversi giudici cui è attribuita.

Riferimenti

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