Procura speciale alle liti

Mauro Di Marzio
13 Giugno 2016

La procura alle liti può essere definita come dichiarazione di volontà, redatta per iscritto, con cui la parte incarica uno o più difensori di rappresentarla e difenderla nel processo, compiendo gli atti processuali in suo nome e per suo conto, con la conseguenza che tali atti sono direttamente riferibili alla parte medesima.
Inquadramento

La procura alle liti può essere definita come dichiarazione di volontà, redatta per iscritto, con cui la parte incarica uno o più difensori di rappresentarla e difenderla nel processo, compiendo gli atti processuali in suo nome e per suo conto, con la conseguenza che tali atti sono direttamente riferibili alla parte medesima.

Essa, ai sensi dell'art. 83 c.p.c., occorre ogni qual volta « la parte sta in giudizio col ministero di un difensore » e, dunque, anche nell'ipotesi in cui essa sia stata ammessa al gratuito patrocinio (Cass. civ., sez. I, 23 maggio 2002, n. 7544; Cass. civ., sez. I, 4 giugno 2001, n. 7527). Non manca, però, un rilevante caso in cui la procura alle liti non occorre, poiché la rappresentanza in giudizio è conferita per legge: si tratta della rappresentanza in giudizio dello Stato attraverso l'avvocatura dello Stato.

Quanto alle conseguenze dell'inosservanza dell'onere di munirsi di procura è stabilmente ripetuto che, costituendo il rilascio di una valida procura necessario presupposto dell'instaurazione del rapporto processuale, il mancato rilascio di una valida procura entro lo sbarramento temporale stabilito dall'art. 125, comma 2, c.p.c., che fissa il termine ultimo della costituzione in giudizio della parte, impedisce il sorgere stesso del rapporto processuale (da ult. Cass., sez. un., 13 giugno 2014, n. 13431; è appena il caso di osservare che il principio riguarda l'attore, non il convenuto, che, in mancanza di procura, rimane semplicemente contumace: da ult. Cass. civ., sez. I, 25 novembre 2015, n. 24038).

Procura alle liti e diritto di difesa

Secondo l'art. 24 Cost. tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Nel far valere i propri diritti nel giudizio civile, però, le parti, secondo un'impostazione non solo italiana, ed anzi comune tanto agli ordinamenti di civil law che a quelli di common law (Comoglio, Procura (diritto processuale civile), in Enc. dir., Aggiornamento IV, Milano, 2000, 1043), non entrano di regola direttamente in rapporto col giudice e sono tenute ad avvalersi della intercessione di un tecnico del diritto al quale affidare l'incarico — generalmente concentrato nella medesima persona — di rappresentarle (svolgendo cioè un'attività procuratoria in luogo della parte mediante il compimento degli atti processuali con effetti ad essa direttamente riferibili) e difenderle (prestando cioè un'attività di assistenza e consulenza di contenuto tecnico-giuridico).

In proposito l'art. 82, comma 3, c.p.c., secondo cui davanti al tribunale, alla corte di appello e alla corte di cassazione le parti devono stare di regola in giudizio a mezzo di un difensore abilitato, lungi dal contraddire il principio costituzionale menzionato, costituisce coerente esplicazione di esso, giacché il diritto di difesa « deve essere inteso come potestà effettiva dell'assistenza tecnica e professionale in qualsiasi processo », essendo il compito del difensore « di importanza essenziale nel dinamismo della funzione giurisdizionale » (C. cost. 16 marzo 1971, n. 47, Giust. civ., 1971, III, 127). È l'autodifesa, al contrario, a porsi potenzialmente in contrasto con l'art. 24 Cost., anche quando la parte sia soltanto temporaneamente privata della difesa tecnica (C. cost. 27 maggio 1996, n. 171), per quanto la difesa personale è inadeguata ad affrontare le difficoltà tecniche che il processo ineluttabilmente pone.

Argomenti in senso opposto non possono essere tratti neppure dall'art. 6, comma 3, lett. c), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, il quale — riferendosi d'altronde al processo penale e non a quello civile — contempla il diritto di « difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore ». Tale norma — è stato chiarito —, la quale intende tutelare il diritto di ogni essere umano a difendersi, tramite avvocato od altrimenti da solo, non riconosce alla parte alcun diritto ad esercitare attività difensiva personale laddove è riconosciuto il diritto alla difesa tecnica, né tantomeno la difesa personale può essere esercitata in contrasto con le scelte tecniche del proprio difensore, la qual cosa sarebbe fonte di inefficienza e confusione nonché di potenziale menomazione della difesa stessa (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2009, n. 22186).

Perché occorre la difesa tecnica

La ratio dell'onere di patrocinio è generalmente individuata nell'elevato tasso di tecnicismo del processo (Mandrioli, Delle parti e dei difensori, in Comm. c.p.c. diretto da Allorio, I, 2, Torino, 1973, 929), tecnicismo che rende indispensabile il patrocinio a mezzo di un legale particolarmente qualificato al fine della concreta realizzazione del diritto di difesa sancito dal citato art. 24 Cost..

Altri sostengono che l'onere di patrocinio, con la conseguente interposizione del difensore tra le parti e il giudice, si giustificherebbe con lo scopo di stemperare la naturale animosità delle parti in lite (Mazzarella, Avvocato e procuratore, in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1988, 3): ma tale finalità, che pure l'obbligatorietà del patrocinio normalmente realizza, non sembra avere aver avuto rilievo primario nell'orientare la scelta del legislatore, come si desume dall'art. 86 c.p.c., il quale consente alle parti di difendersi personalmente, quando siano in possesso del necessario titolo.

Procura e contratto di patrocinio

Nello stabilire che le parti devono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente, l'art. 82 c.p.c. presuppone l'instaurazione di un negozio, rilevante per il diritto, tra la parte ed il proprio difensore, ma nulla dice riguardo ad esso, che è generalmente qualificato come contratto di patrocinio. Il successivo art. 83 c.p.c. esordisce poi stabilendo, al primo comma, che: « Quando la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere munito di procura ».

Contratto di patrocinio e procura — occorre subito sottolineare — si pongono su piani ben separati.

L'uno, il contratto di patrocinio, è contratto bilaterale di prestazione d'opera professionale in forza del quale il difensore viene incaricato, secondo lo schema negoziale che — con le precisazioni che tra breve seguiranno — è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte ed assume così l'incarico di rappresentarla e difenderla in giudizio (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2002, n. 10454; Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2006, n. 13963). Il contenuto del contratto è determinato dalla natura del rapporto controverso e dal risultato che la parte si propone di conseguire con l'esperire l'azione giudiziaria o con il resistere ad essa (Cass. civ., sez. III, 6 marzo 1979, n. 1392; Cass. civ., sez. III, 4 aprile 1997, n. 2910; Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2003, n. 6264).

Il contratto di patrocinio è disciplinato per un verso, anche per quanto riguarda la misura dei corrispettivi dovuti al professionista, dalle norme sul contratto d'opera professionale (artt. 2229 ss. c.c.) e dalla normativa in tema di professione forense, e, per altro verso, dalle regole dettate per il mandato, nei limiti della compatibilità. Esso è contratto a forma libera (ma non per la pubblica amministrazione: Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2004, n. 8500) che può essere stipulato anche da un terzo diverso dalla parte rappresentata in giudizio. In quest'ultimo caso cliente del professionista è colui che ha stipulato il contratto di patrocinio e non il rappresentato, il quale abbia conferito la procura, con l'ulteriore conseguenza che il pagamento del compenso al professionista grava sul primo e non sul secondo (Cass. civ., sez. III, 6 dicembre 1988, n. 6631; Cass. civ., sez. III, 4 dicembre 1967, n. 2880).

In evidenza

È ricorrente, in tal senso, l'affermazione che obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore per l'opera professionale richiesta non è necessariamente colui che ha rilasciato la procura alla lite, potendo anche esser colui che abbia affidato al legale il mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia svolto nell'interesse di un terzo, instaurandosi in tale ipotesi, collateralmente al rapporto con la parte che abbia rilasciato la procura ad ad litem, un altro distinto rapporto interno ed extraprocessuale regolato dalle norme di un ordinario mandato, in virtù del quale la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l'opera professionale (Cass. civ., sez. un., 15 gennaio 2000, n. 405; Cass. civ., sez. III, 8 giugno 1996, n. 5336).

L'altra, la procura alle liti, costituisce un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, ossia dello ius postulandi. Talora la procura alle liti è definita come « negozio esclusivamente processuale, formale e autonomo, e non estrinsecazione di un mandato extraprocessuale » (Cass. civ., sez. III, 23 novembre 1979, n. 6113). Più di recente è stato invece ripetuto che « la procura è atto geneticamente sostanziale con rilevanza processuale » (Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 2006, n. 21924; Cass. civ., sez. III, 21 gennaio 2011, n. 1419). Ma, al di là delle differenze terminologiche, ciò che le pronunce tendono a mettere in evidenza è l'autonomia della procura, collocata sul piano del conferimento dei poteri processuali, e dunque dell'attribuzione dello ius postulandi, rispetto al contratto di patrocinio, i cui effetti sono circoscritti all'ambito sostanziale dei rapporti tra le parti, avvocato e cliente. La procura, dunque, presuppone un rapporto di mandato tra il cliente ed il professionista, entro il quale si inalvea il contratto di patrocinio, il cui contenuto è determinato dalla natura del rapporto controverso e dal risultato perseguito dal mandante nell'intentare la lite o nel resistere ad essa, ma non si confonde con la procura (Cass. civ., sez. II, 4 aprile 1997, n. 2910; Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2003, n. 6264).

In breve si può dire che « v'è tra patrocinio e procura (processuale) una relazione omologa a quella che in diritto privato intercorre fra mandato e procura (sostanziale) » (Della Pietra, Art. 82, in Vaccarella-Verde, Codice di procedura civile commentato, I, Torino, 1997, 657). Le ricadute applicative sono evidentemente di rilievo: la distinzione tra contratto di patrocinio e procura alle liti, infatti, fa sì che l'invalidità del primo non si riverberi sulla seconda e, dunque, non privi il difensore dello ius postulandi, sicché, in definitiva, sono escluse conseguenze pregiudizievoli per l'andamento del processo.

Il parallelismo tra procure alle liti e procura sostanziale è tuttavia soltanto parziale: giacché il mandante, nel contesto della disciplina codicistica dettata dagli artt. 1703 ss. c.c., affida al mandatario, con il consenso di questi, l'incarico di « compiere uno o più atti giuridici » individuati secondo la sua libera volontà, con l'unico limite che tali atti non abbiano carattere personale e, pertanto, non possano essere compiuti attraverso il mandatario. Viceversa, la previsione dell'art. 83 c.p.c., unitamente al successivo art. 84, fa sì che colui il quale, stipulato il contratto di patrocinio, conferisce all'avvocato la procura alle liti, non abbia che una modestissima libertà di stabilire quali atti giuridici l'avvocato debba compiere, dal momento che la gamma dei suoi poteri è predeterminata per legge. Il conferente la procura, cioè, può entro certi limiti incrementare i poteri del proprio difensore — si immagini una procura che autorizzi il legale a prendere iniziative processuali altrimenti riservate alla parte, quali la proposizione della querela di falso, ovvero che gli conferisca poteri di natura negoziale, quale quello di transigere e conciliare —, ma non può ridurli.

La procura alle liti costituisce sì, dunque, estrinsecazione di un contratto di mandato — che il professionista deve farsi validamente rilasciare in vista dell'iniziativa giudiziaria da intraprendere — avente ad oggetto l'esecuzione, da parte del difensore, di una prestazione d'opera professionale. V'è però una caratteristica che rende la figura del tutto peculiare, tanto che in proposito si è parlato di atto di semplice « designazione » (Mandrioli, Delle parti e dei difensori, cit., 934. Di « designazione », nel medesimo senso, discorre ad esempio Cass. civ., sez. III, 29 ottobre 1997, n. 10643, Foro it., 1998, I,2517, con nota di Caponi, Rinuncia del difensore al mandato e rimessione in termini della parte) ovvero di « atto di incarico » (Punzi, La difesa nel processo civile e l'assetto dell'avvocatura in Italia, in Riv. dir. proc., 2006, 820): il mandante può d'accordo con il mandatario convenire quali atti giuridici quest'ultimo, ai sensi dell'art. 1710 c.c., debba compiere per suo conto, mentre colui che conferisce la procura alle liti può intervenire in misura solo marginale sul contenuto della medesima, che è predeterminato dalla legge. E non basta. Altra marcata differenza sta in ciò, che il mandante può di regola eseguire direttamente gli atti che affida al mandatario, mentre colui che conferisce la procura alle liti — salva l'ipotesi del tutto insignificante nella pratica della difesa personale — non ha altra alternativa.

Nondimeno, la S.C. non dubita « che il mandato o procura alle liti, che investe della rappresentanza in giudizio il difensore, ha, come suo presupposto, un rapporto interno relativo al conferimento dell'incarico, il quale è disciplinato dalle norme di diritto sostanziale circa il mandato, per cui il difensore munito di procura ad lites è soggetto a quelle medesime obbligazioni che fanno carico a qualsiasi altro mandatario, in quanto non siano inconciliabili con la funzione di rappresentanza tipicamente tecnico-processuale demandata al difensore » (Cass. civ., sez. III, 18 giugno 1996, n. 5617).

In tale contesto le regole sul mandato non possono dunque essere applicate che nei limiti della compatibilità, tenuto conto della peculiare connotazione dell'incarico affidato al difensore.

Sulla base di tale premessa, ad esempio, in un caso in cui una società chiedeva ad un avvocato di rendere il conto delle somme incassate in relazione ad una pluralità di incarichi di recupero crediti, la S.C. ha affermato, capovolgendo un proprio precedente orientamento (Cass. civ., sez. III, 2 agosto 1973, n. 2230), che l'istituto del rendiconto di cui agli artt. 1713 c.c., comma 1, c.c., e 263 c.p.c. non è compatibile che le peculiarità del mandato ad litem (Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2010, n. 9264). Ed ancora, l'applicazione del principio mandatum morte finitur, mutuato dall'art. 1722, n. 4, c.c., è stato talora impiegato al fine di dirimere la questione dei limiti temporali dell'ultrattività della procura a seguito del decesso della parte conferente.

È in astratto pensabile un processo senza procura?

È evidentemente impossibile pensare ad un'attività difensiva svolta dall'avvocato con cui la parte non abbia in precedenza stipulato un contratto di patrocinio: da un difensore, cioè, che non abbia ricevuto l'incarico difensivo.

Al contrario, quello della procura alle liti è istituto non strutturalmente indispensabile all'esercizio dello ius postulandi, tant'è che esso è sconosciuto ad alcuni ordinamenti e diversamente disciplinato da altri. Basterà menzionare, qui, gli artt. 416 e 417 del codice di procedura civile francese, i quali, nel titolo XII dedicato a « Représentation et assistance en justice », stabiliscono che l'avvocato è dispensato dal fornire in giudizio alcuna prova dell'incarico ricevuto dal cliente, essendo tale conferimento presunto, così come l'estensione e i limiti dei poteri di cui può avvalersi. Egualmente in Austria l'avvocato può semplicemente dichiarare l'esistenza del mandato. In Germania occorre la procura, ma l'avvocato può agire provvisoriamente senza di essa, ottenendo poi la ratifica. Secondo il Regolamento di procedura della Corte di giustizia delle Comunità europee il difensore deve semplicemente depositare in cancelleria un certificato da cui risulti che egli è abilitato a patrocinare dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno Stato membro.

In Italia la procura alle liti fu introdotta nel primo codice di rito postunitario per iniziativa del guardasigilli Giuseppe Pisanelli, il quale, dopo aver respinto « la teoria del semplice mandato presunto » di provenienza francese sia « a tutela del diritto della parte contraria », sia per « escludere l'ibrido sistema della disapprovazione », propose l'adozione della procura scritta (Pisanelli, Relazione sul progetto del c.p.c., in Codice di procedura civile del Regno d'Italia, a cura di Picardi-Giuliani, Milano, 2004, 74): così — pur all'interno di un disegno di ispirazione schiettamente liberale, evidentemente non incompatibile con l'esigenza pubblicistica di verifica dei poteri del difensore — nacque la formulazione dell'art. 48 c.p.c. del 1865, con cui fu stabilito che la procura dovesse essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata, il che costringeva le parti, a tal fine, a rivolgersi ad un notaio anche per le cause di minor rilievo, con i conseguenti intuibili inconvenienti. Ciò indusse la dottrina a suggerire soluzioni più elastiche ed a giudicare « equa e ragionevole l'abolizione della severa regola dell'art. 48, consentendo in tutti i casi che la sottoscrizione del cliente nel mandato alle liti possa essere certificata dal procuratore medesimo costituito con quell'atto » (Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, II, Milano, 1923, 756). Sicché — attraverso remote modificazioni normative che è superfluo rammentare — si giunse alla previsione dell'art. 83 c.p.c., che consentiva nella sua originaria stesura, e consente tuttora, il rilascio della procura non solo per atto pubblico o scrittura privata, ma anche mediante apposizione della medesima su determinati atti processuali, con la certificazione da parte del difensore della autografia della sottoscrizione del conferente.

In tale prospettiva lo scopo della procura alle liti, così sedimentatasi nel corso del tempo, è chiara e ribadita: essa ha la finalità di « conferire la certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza » (Cass. civ., sez.V, 31 marzo 2005, n. 6813; Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2005, n. 1428) costituendo così « strumento di assunzione in capo alla parte dell'atto … e dei suoi effetti » (Mandrioli, La rappresentanza, cit., 408).

Nondimeno, la difformità del sistema italiano rispetto a quello degli altri paesi ai quali si è accennato ha indotto parte della dottrina, in tempi non remotissimi, a suggerire l'opportunità, anche in Italia, di una revisione della disciplina della procura alle liti, anche al fine di allineare la normativa italiana al quadro europeo (Cappiello, Verso un mandato tacito ad litem?, in Giur. merito, 1978, I, 1062; Cosi, Il giurista perduto. Avvocati e identità professionale, Firenze, 1987, 90 ss.; Danovi, La professione forense in Europa: prospettive e limiti, in Resp. civ. prev., 1991, 526).

La procura, volendo semplificare, è cioè giudicata da alcuni come inutile e dannosa: inutile perché mai si sarebbe visto un avvocato che agisca in mancanza di un incarico ricevuto dal proprio cliente calcare le aule dei tribunali, sicché all'esercizio della difesa basterebbe il contratto di patrocinio senza l'ulteriore orpello della procura, dal momento che i poteri del difensore sono stabiliti per legge; dannosa perché la giurisprudenza, avvalendosi della disciplina dettata in tema di procura, sanzionerebbe ottusamente vizi soltanto formali di essa in pregiudizio della stessa parte rappresentata, che verrebbe a trovarsi così priva di difesa.

In realtà tali doglianze paiono aver perso gran parte della loro attualità, giacché molto è cambiato nell'atteggiamento della giurisprudenza, soprattutto dopo la legge 27 maggio 1997, n. 141, che ha infine risolto l'annoso problema della procura semplicemente spillata all'atto cui accede. E probabilmente ulteriori cambiamenti deriveranno dall'introduzione della procura telematica, quando questa avrà ampia diffusione. La procura « spillata », ed in prospettiva quella telematica, difatti, unitamente all'impiego di timbri ed altre formulazioni preconfezionate, ha finito per ridurre a mero simulacro il collegamento tra la procura, quantunque speciale, ed un ben determinato processo (basti considerare che la SC giudica ormai sussistente il requisito della specialità richiesto per il ricorso per cassazione sol perché la procura è collocata a margine): tutto ciò, assieme a talune opinioni giurisprudenziali in tema di certificazione dell'autografia, di data e di riferibilità della procura ad un determinato giudizio nei suoi diversi gradi e fasi, ha fatto sì che l'istituto della procura, così come oggi calato nel diritto vivente, non appaia molto lontana da quello della procura presunta che il legislatore del 1865 aveva inteso respingere.

Le forme della procura alle liti

L'art. 83 c.p.c. contempla oggi quattro diverse forme con cui la procura alle liti può essere rilasciata, ossia:

i) la procura generale alle liti, conferita per una serie indefinita di processi, rilasciata con atto pubblico o scrittura privata autenticata;

ii) la procura speciale alle liti, conferita per uno o più determinati giudizi, ovvero per una singola fase o atto, rilasciata anch'essa con atto pubblico o scrittura privata autenticata;

iii) la procura speciale alle liti apposta in calce o a margine di determinati atti processuali, cui è equiparata la procura su foglio separato materialmente congiunta all'atto.

iv) la procura rilasciata su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale e congiunto all'atto cui si riferisce mediante strumenti informatici

Le forme previste per il rilascio della procura alle liti sono ritenute tassative (Cass. civ., sez. un., 9 agosto 2001, n. 10967 ; Cass. civ., sez. lav, 2 marzo 1991, n. 2207). Esse — ha talora affermato la Suprema Corte— « non possono essere surrogate da presunzioni semplici; pertanto, l'esistenza della procura, in mancanza di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, da cui risulti l'attribuzione del potere di rappresentanza processuale, non può essere desunta dalla mera indicazione nell'intestazione dell'atto introduttivo del giudizio della presenza di un difensore né dalla sottoscrizione di quest'ultimo apposta in calce all'atto stesso » (Cass. civ., sez. un., 9 agosto 2001, n. 10967).

La stessa giurisprudenza, d'altronde appare talora più elastica. Si trova così affermato — in fattispecie, beninteso, diversa da quella poc'anzi menzionata, poiché caratterizzata dalla duplice sottoscrizione del difensore e della parte rappresentata — che il rilascio della procura in calce o a margine dell'atto non richiede espressioni solenni, essendo sufficiente che sia deducibile la volontà di conferire ai difensori i relativi poteri o facoltà: pertanto, la sottoscrizione personale della parte nell'atto di citazione o di impugnazione, seguita dalla sottoscrizione personale del procuratore, può anche valere, considerate tutte le circostanze, a significare la volontà della parte di conferire la procura e la volontà del procuratore ad litem di autenticare la sottoscrizione del proprio cliente e di sottoscrivere l'atto (Cass. civ., sez. II, 18 maggio 2001, n. 6850; Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 1996, n. 8620).

Dal principio di tassatività delle forme previste per il rilascio della procura alle liti viene ad esempio desunto che:

— l'esistenza della procura non può essere fatta discendere dalla notorietà, per il giudice di merito, della circostanza che il difensore che abbia sottoscritto un atto giudiziale per l'Inps sia il capo del locale ufficio legale dell'Istituto, il quale abbia rappresentato il medesimo in tutti i giudizi, non potendosi configurare una presunzione di conferimento della procura (Cass. civ., sez. lav., 13 novembre 1985, n. 5573);

— l'esistenza della procura non può essere desunta da un qualsiasi atto difensivo nel quale sia indicato come procuratore della parte un determinato legale, essendo tale indicazione idonea a produrre effetti giuridici soltanto ove sia avvalorata da un atto pubblico o da una scrittura privata autenticata, da cui risulti l'attribuzione del potere di rappresentanza processuale (Cass. civ., sez.lav., 2 marzo 1991, n. 2207);

— l'esistenza della procura stessa non può essere parimenti desunta da un verbale d'udienza (Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1987, n. 265).

— la mera sottoscrizione della parte posta in calce alla sentenza impugnata non integra gli estremi formali della scrittura privata di conferimento della procura speciale alle liti (Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2007, n. 14786).

Accanto a tali responsi, i quali ben possono essere semmai censurati de iure condendo, ma non appaiono facilmente criticabili sulla base della norma dettata in tema di procura alle liti così come essa è, se ne presentano altri che sono apparsi discutibili ad alcuni già allo stato della disciplina vigente, come è per l'affermazione secondo cui è nulla la procura alle liti rilasciata con una lettera (Trib. Bari 9 febbraio 1998, Giur. it., 1998, 1142, con nota di Deluca, Difensori senza procura o giudici troppo fiscali?; Foro it., 1998, I, 825). Dopo che l'art. 1 della legge 27 maggio 1997, n. 141 ha novellato l'art. 83 c.p.c., introducendovi la precisazione che la procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all'atto cui si riferisce, alcuni autori hanno ritenuto che la lettera contenente la procura altro non sia che un foglio separato su cui essa è apposta: e dinanzi ad una simile procura sarebbe arduo attribuire un effettivo rilievo giuridico al collegamento all'atto mediante spillette od altro di simile. Nel caso scrutinato dalla pronuncia di merito cui si allude, in particolare, la lettera non era spillata all'atto, ma era ritualmente depositata nel fascicolo di parte: ed in un simile frangente, dunque, è stato ritenuto che, in applicazione della norma novellata, ricorresse il presupposto per ritenere la procura apposta in calce (Cipriani, Procura su foglio separato o procura presunta?, in Foro It., 1997, I, 3156; Deluca, op. loc. ult. cit..). Il senso della materiale congiunzione di cui è oggi menzione nell'art. 83 c.p.c., infatti, non potrebbe essere altro che quello di comprovare la riferibilità della procura ad un ben determinato processo, del che sarebbe difficile dubitare se la procura sta dentro il fascicolo della parte.

Con riguardo all'indispensabile forma scritta della procura occorre in ultimo osservare che essa soddisfa i requisiti necessari per i contratti della pubblica amministrazione, i quali come è noto devono essere stipulati ad substantiam per iscritto: il requisito della forma del contratto di patrocinio, in particolare, è soddisfatto con il rilascio al difensore della procura ex art. 83 c.p.c., atteso che, il relativo esercizio della rappresentanza giudiziale, tramite la redazione e la sottoscrizione dell'atto difensivo perfeziona, con l'incontro di volontà fra le parti, l'accordo contrattuale in forma scritta, che, rendendo possibile l'identificazione del contenuto negoziale e i controlli dell'autorità tutoria, risponde ai requisiti previsti per i contratti della pubblica amministrazione (Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2266; Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2004, n. 8500).

Riferimenti

Cappiello, Verso un mandato tacito ad litem?, in Giur. merito, 1978, I, 1062;

Comoglio, Procura (diritto processuale civile), in Enc. dir., Aggiornamento IV, Milano, 2000, 1043;

Cosi, Il giurista perduto. Avvocati e identità professionale, Firenze, 1987, 90 ss.;

Danovi, La professione forense in Europa: prospettive e limiti, in Resp. civ. prev., 1991, 526;

Della Pietra, Art. 82, in Vaccarella-Verde, Codice di procedura civile commentato, I, Torino, 1997, 657;

Di Marzio, La procura alle liti. Poteri, obblighi e responsabilità dell'avvocato, Milano, 2013;

Mandrioli, Delle parti e dei difensori, in Comm. c.p.c. diretto da Allorio, I, 2, Torino, 1973;

Mazzarella, Avvocato e procuratore, in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1988;

Punzi, La difesa nel processo civile e l'assetto dell'avvocatura in Italia, in Riv. dir. proc., 2006, 813.

Sommario