Davide Turroni
Davide Turroni
17 Gennaio 2017

La «produzione del documento» indica l'attività con cui la parte introduce nel processo un documento affinché sia utilizzato come fonte di prova. Essa risulta dalla combinazione di atti compiuti da più soggetti: avviene su iniziativa della parte, ma esige la cooperazione attiva del cancelliere o del giudice.
Inquadramento

La «produzione del documento» indica l'attività con cui la parte introduce nel processo un documento affinché sia utilizzato come fonte di prova. Essa risulta dalla combinazione di atti compiuti da più soggetti: avviene su iniziativa della parte, ma esige la cooperazione attiva del cancelliere o del giudice.

La produzione si riferisce alla prova documentale e non all'atto processuale (scritto). Il deposito dell'atto processuale segue altre regole, che solo in parte coincidono con quelle della produzione documentale e di cui non ci occuperemo.

Si considera qui «produzione» la sola attività spontanea della parte, che ha la materiale disponibilità del documento e che di propria iniziativa lo mette a disposizione dell'ufficio. Dal concetto esula quindi l'esibizione del documento (sulla quale si rinvia alla voce Ordine di esibizione). L'istituto differisce inoltre dalla Ispezione documentale, perché a differenza di essa la produzione determina l'acquisizione del documento.

Dal punto di vista terminologico la locuzione «produrre un documento» non è la sola impiegata dal legislatore. Lo stesso fenomeno è espresso dalla espressione «offrire in comunicazione un documento» che il codice di rito talora impiega (ad es. negli artt. 163 e 167 c.p.c., art. 2711 c.c.; e nell'art. 87 att. c.p.c. dove ricorrono tutt'e due le espressioni).

L'impatto del processo civile telematico

L'avvento del Processo civile telematico (su cui v. anche Processo civile telematico in tribunale e al Processo civile telematico in corte d'appello, di prossima pubblicazione) ha un impatto notevole sulla tecnica della produzione documentale. Si vedrà in seguito su quali specifici aspetti.

In evidenza

In generale, le regole tecniche del deposito di atti e documenti in forma telematica non prevedono l'inserimento dell'atto in un apposito fascicolo di parte; inoltre l'operazione è tendenzialmente irreversibile, quanto meno nel senso che la parte non può di propria iniziativa rimuovere i documenti già trasmessi.

Va però avvertito che, almeno finora, la disciplina del codice sulla produzione documentale è rimasta sostanzialmente invariata. Questa apparente «fissità» del sistema è dovuta sia allo scarso coordinamento delle norme codicistiche con la disciplina del processo civile telematico («PCT»); sia al fatto che quest'ultimo è regolato in larga misura da norme di fonte secondaria e persino da atti non normativi.

Il processo civile telematico non è destinato a soppiantare interamente le modalità tradizionali di produzione del documento. Anche quando sarà entrato a pieno regime, non tutti i documenti saranno suscettibili di conversione in forma telematica. Infatti:

a)alcuni non sono tecnicamente convertibili in formato digitale (si pensi a un congegno meccanico da produrre come prova in un giudizio di contraffazione brevettuale);

b) altri, che pure lo sarebbero, vanno (almeno per ora) necessariamente prodotti in formato cartaceo – si pensi all'originale nel giudizio di verificazione o nel procedimento per querela di falso, o ai titoli di credito nelle azioni cambiarie;

c) per altri ancora il mantenimento della produzione in forma tradizionale è fortemente opportuna per ragioni di economia processuale – ad esempio, un incartamento voluminoso di scritture contabili su carta può richiedere per l'acquisizione telematica un dispendio di tempo del tutto sproporzionato, rispetto alla sua produzione diretta in cancelleria. Questo significa che, per quanto «recessive», certe regole non perderanno del tutto rilevanza pratica.

Le regole della produzione documentale «alla prova del Pct»

Gli artt. 74 e 87 att. c.p.c. stabiliscono le formalità della produzione documentale; ma sono disposizioni in larga parte superate dalle novità introdotte dal PCT.

Così l'art. 74 att. c.p.c. regola la formazione del fascicolo di parte, prevedendo un'apposita sezione destinata a ricevere i documenti prodotti. Ma nel processo civile telematico un fascicolo di parte non è contemplato: atti e documenti, generati o riprodotti in formato elettronico, sono infatti raccolti in un unico registro elettronico di cancelleria, che è l'equivalente digitale del vecchio fascicolo d'ufficio.

La tecnica di trasmissione telematica dei documenti rende poi superfluo il «visto» del cancelliere sull'indice dei documenti prodotti, che è un altro adempimento richiesto dall'art. 74 cit. Una volta inserito nel registro elettronico di cancelleria, il documento non può più essere sostituito o alterato ed è liberamente consultabile sia dall'ufficio che dalle parti, per cui viene meno la preoccupazione che i documenti non corrispondano – o non corrispondano più – a quelli elencati dalla parte che li ha prodotti.

Lo stesso indice dei documenti perde la sua principale funzione, che è appunto quella di raccogliere il visto del cancelliere per garantire che i documenti elencati corrispondano a quelli prodotti.

In evidenza

Il PCT dovrebbe quindi determinare, se non la completa irrilevanza, il drastico ridimensionamento delle questioni sulla possibile discordanza tra «tra realtà e rappresentazione», cioè tra il documento realmente (rectius: digitalmente) depositato e la dichiarazione della parte sul se e cosa ha prodotto.

Altri adempimenti «recessivi» sono contenuti nell'art. 87 att. c.p.c. Così l'elenco dei documenti prodotti dopo la costituzione in giudizio, che la parte dovrebbe stilare e comunicare all'avversario, può ancora considerarsi utile, ma non certo essenziale alla garanzia del contraddittorio. Il sistema avvisa sempre via p.e.c. le parti costituite dei nuovi inserimenti nel registro elettronico di cancelleria; per cui l'esigenza di comunicazione sottesa all'art. 87 cit. può dirsi in sostanza soddisfatta.

Gli artt. 163, comma 3, n. 5, e 167, comma 1, c.p.c. prevedono che i documenti prodotti con la costituzione in giudizio siano rispettivamente indicati nell'atto di citazione e nella comparsa di risposta. La regola conserva utilità anche «nell'era digitale»; e se si tratta dell'elenco contenuto nell'atto di citazione, esso è anche funzionale alla corretta instaurazione del contraddittorio, posto che il convenuto non ancora costituito non ha accesso automatico al registro elettronico di cancelleria ed è quindi meritevole di tutela il suo interesse ad avere un quadro preciso dei documenti prodotti fin dalla lettura dell'atto di citazione. Benché la mancata indicazione dei documenti prodotti non sia sanzionata a pena di nullità (l'art. 164 c.p.c. non richiama infatti il n. 5 dell'art. 163), la considerazione che precede rende plausibile l'applicazione diretta dell'art. 156, cpv., c.p.c. e la conseguente declaratoria nullità dell'atto di citazione che non contiene la specifica indicazione dei documenti prodotti.

La produzione del documento direttamente in udienza è prevista dall'art. 87 att. c.p.c., che l'ammette limitandosi a prescriverne la menzione nel verbale. Nel sistema del PCT (almeno per come è attualmente concepito) l'operazione diventa tuttavia problematica. La trasmissione del documento al registro elettronico di cancelleria presuppone che la parte disponga in udienza di un proprio dispositivo in grado di «dialogare» con la piattaforma digitale dell'ufficio giudiziario; ma se anche questo dispositivo fosse fruibile, l'operazione si scontrerebbe con i tempi di attesa (ore e spesso giorni, con gli attuali sistemi) necessari affinché il documento così trasmesso sia effettivamente visibile nel fascicolo elettronico dell'ufficio. Un'alternativa consiste nella consegna diretta al giudice del file del documento, in modo che egli lo possa visualizzare (e far visualizzare alle altre parti) in tempo reale sul proprio dispositivo; ma anche questa soluzione non va esente da problemi, sui quali tuttavia non ci si può intrattenere in questa sede.

Norme speciali. La produzione del documento nel processo del lavoro e nel giudizio di Cassazione

Nel processo del lavoro l'art. 416, ult. comma, c.p.c. impone al convenuto di indicare nella memoria di costituzione a pena di decadenza i documenti che intende contestualmente produrre. Analoga formalità è prescritta al ricorrente dall'art. 414, n. 5, c.p.c.: il testo non la prevede a pena di decadenza, ma gli interpreti giustamente ricollegano la decadenza anche a questa ipotesi, per ovvia esigenza di simmetria con l'art. 416 c.p.c. (Cass., 22 maggio 2006, n. 11922; Cass., 29 agosto 1988, n. 4995; Trib. Pescara, 7 giugno 2016).

La sanzione investe l'omessa indicazione ma non l'omesso deposito dei documenti. L'incongruenza che ne deriva – consistente nel punire la violazione più lieve e indulgere su quella più grave (il mancato deposito del documento) – giustifica l'estensione della decadenza a questa ipotesi. Si registra anzi un orientamento che ribalta il dato testuale, interpretando l'art. 416 c.p.c. nel senso che la decadenza colpirebbe soltanto l'omesso deposito, non anche la mancata indicazione del documento: così Cass., 12 novembre 2001, n. 14001; Trib. Bari, 19 ottobre 2015, in Leggi d'Italia online, Repertorio, 2015, convergenti nel ritenere che l'omessa indicazione, che abbia indotto in equivoco l'avversario sulle difese da svolgere, consente piuttosto a quest'ultimo di ottenere una rimessione in termini.

Rimane da chiedersi se questa disciplina rimanga applicabile nell'ambiente del PCT. Per le ragioni già esposte nel paragrafo precedente, la risposta dovrebbe essere affermativa per il ricorso introduttivo del processo. Non invece per gli analoghi adempimenti posti a carico del convenuto, se si conviene che la ratio della previsione sia già interamente soddisfatta dalla comunicazione d'ufficio al ricorrente dell'avvenuto deposito del ricorso e della possibilità per il ricorrente di visualizzare subito tutti i documenti prodotti dal convenuto in formato elettronico.

Nel Giudizio di cassazione, l'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. stabilisce che nel ricorso siano specificamente indicati, a pena di inammissibilità, i documenti sui quali l'impugnazione si fonda. L'art. 371, comma 3, c.p.c. estende questa disciplina al ricorso incidentale. A pena di improcedibilità i documenti indicati vanno poi depositati insieme al ricorso (art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c.).

Quanto ai documenti nuovi (che nel giudizio di cassazione sono solo quelli relativi alla nullità della sentenza e all'ammissibilità del ricorso o del controricorso) l'art. 372, cpv., c.p.c. prevede che la loro produzione vada notificata mediante elenco alle altre parti, se non contestuale al deposito di tali atti – eventualità consentita per i soli documenti relativi all'ammissibilità del ricorso o del controricorso. L'omessa notificazione dell'elenco non è sanzionata in modo espresso; e nemmeno è previsto, a ben vedere, un termine per la produzione di questi documenti. Si pone dunque il problema relativo alle conseguenze dell'omissione, che è preferibile risolvere senza evocare nuove preclusioni (come invece fanno, ad es., Cass., 2 maggio 2007, n. 10122; Cass., 22 luglio 2005, n. 15392): soprattutto con la prossima introduzione del PCT nel giudizio di cassazione, l'ipotesi di una decadenza sarebbe del tutto ingiustificata, dal momento che la produzione di documenti nuovi non contestuali all'atto introduttivo sarebbe automaticamente segnalata alle parti e al giudice dal sistema informatico.

Controllo di ammissibilità e di rilevanza sui documenti prodotti

A differenza delle prove costituende, la produzione del documento non richiede una preventiva autorizzazione; tuttavia esige – se non prima, dopo – un controllo del giudice sull'ammissibilità della produzione e sulla rilevanza del documento.

L'ammissibilità attiene di regola ai tempi e al tipo di documento: ad es. è inammissibile, di regola, la produzione del documento oltre i termini previsti dall'art. 183 c.p.c.; o del documento acquisito nel corso della mediazione, ostandovi l'art. 10, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28; o dei verbali delle prove acquisite in via di istruzione preventiva, prima che il giudice ne abbia consentita l'acquisizione (art. 698 c.p.c.: è questo un caso eccezionale in cui l'ammissibilità del documento è sottoposta a controllo preventivo).

La rilevanza si riferisce, genericamente, alla congruità tra il mezzo di prova offerto e l'oggetto del giudizio. Applicato alla prova documentale, il giudizio di rilevanza richiede al giudice di verificare se il documento serva a decidere una questione da cui dipende l'accoglimento della domanda – e ritualmente introdotta nel processo.

L'inammissibilità della produzione impedisce la permanenza del documento negli atti del processo: esso va materialmente espunto dal fascicolo, per evitare che il suo contenuto (rilevante) possa influenzare il giudice – o, se il giudice lo ha già esaminato - per limitare al massimo il rischio di influenza indebita sul suo convincimento: in tal senso Cass., 29 marzo 1990, n. 2586; Cass., 27 giugno 1985, n. 3851. Invece l'irrilevanza non osta alla permanenza del documento nel fascicolo: del documento irrilevante il giudice si limita infatti a non tener conto.

Acquisizione del documento prodotto

Una volta prodotto in giudizio, il documento rimane acquisito e vale per il suo contenuto oggettivo, non per il solo vantaggio di chi lo produce. La regola è nota come «principio di acquisizione» ed è generalmente accolta (v. per tutte Cass., S.U., 10 luglio 2015, n. 14475; Cass., 9 giugno 2008, n. 15162; Cass., 2 febbraio 2006, n. 2285)ma le sue implicazioni non sono pacifiche.

Innanzitutto la legge stessa prevede che la parte possa ritirare i documenti prodotti; tuttavia configura questo «potere di ritiro» come una prerogativa temporanea. L'art. 169 c.p.c. prevede infatti che: a) la parte possa ritirare il proprio fascicolo, previa autorizzazione del giudice (nei modi specificati dall'art. 77 disp. att. c.p.c.) e con dovere di restituirlo ogni volta che il giudice lo dispone; b) quando la causa viene trattenuta per la decisione, la parte può ritirare il fascicolo senza il bisogno di una apposita autorizzazione del giudice, ma deve restituirlo al più tardi al momento del deposito della comparsa conclusionale. Il divieto di ritiro definitivo del fascicolo appare dunque l'ovvia conseguenza delle prescrizioni illustrate sub a) e b).

In evidenza

La giurisprudenza maggioritaria ritiene tuttavia che parte possa ritirare definitivamente i documenti già prodotti; e che il giudice debba attivarsi per il recupero solo se la mancanza non risulti voluta dalla parte che lo aveva prodotto e non sia imputabile a sua colpa (v. tra le tante Cass., 23 gennaio 2016, n. 1806; Cass., 27 febbraio 1982, n. 5627).

Le basi teoriche di questo orientamento sono assai discutibili e giustamente criticate da buona parte della dottrina (per tutti v. Comoglio, Le prove civili, 759 s.). Di questa linea giurisprudenziale può intuirsi che la ragione è essenzialmente pratica e si chiarisce in questo dettaglio: la giurisprudenza considera «ritirato» anche il documento mancante per fatto «involontario» «ma colpevole», della parte che l'ha prodotto. Escludere in tal caso un dovere di recupero del documento mancante vale quanto dire che il giudice può semplicemente ignorarlo contro la stessa volontà della parte che l'ha prodotto.

Si capisce allora che la posizione della giurisprudenza nulla ha a che vedere con la tutela della libera disponibilità del documento, che dovrebbe sempre postulare la volontà di disporre del mezzo di prova; piuttosto persegue l'obbiettivo di una rapida definizione del processo, che la ricerca del documento può ostacolare. L'affermare la «signoria» della parte sui documenti da lei prodotti è un mezzo e non un fine. Viene evocata non perché la si voglia davvero tutelare, ma perché non si vuole gravare il giudice del tentativo di recupero del documento (come invece accade nel processo amministrativo: v. l'art. 5 del cod. proc. amm.); e con la piena accettazione delle conseguenze, che consistono nel riversare sulle parti gli effetti della perdita e nel rinunciare al contributo che il documento offre all'accertamento dei fatti.

Anche in questo caso, il processo civile telematico renderà progressivamente marginale la questione. La ragione è di nuovo nel fatto che il fascicolo elettronico non contempla il ritiro di un fascicolo di parte e tantomeno di un singolo documento già prodotto. E' comunque auspicabile che la legge o la prassi sanciscano definitivamente il divieto di ritiro dei documenti durante l'intero corso del giudizio – come avviene già ora in altri settori affini dell'ordinamento processuale (dal processo tributario al processo amministrativo).

Il «ritiro dei documenti» per mancata costituzione nel giudizio di impugnazione

Con la riserva che precede, e rimanendo al processo quo utimur, bisogna infine accennare a una particolare articolazione del problema: il caso in cui la parte del processo definito in primo grado ritiri il fascicolo, e dopo l'impugnazione dell'avversario non si costituisca nel giudizio ad quem.

Nel giudizio di cassazione il problema è risolto in radice con una sanzione espressa a carico del ricorrente, che a pena di improcedibilità è tenuto a produrre tutti i documenti sui quali il ricorso si fonda (art. 369 c.p.c.) e ancor prima a indicarli nel ricorso a pena di inammissibilità.

Nel giudizio di appello la situazione non è invece regolata, quindi occorre ricavare la disciplina dal sistema. Anche in questo caso la giurisprudenza adotta la soluzione meno dispendiosa per l'ufficio, che si può riassumere così.

In evidenza

L'appellante può depositare i documenti già prodotti dall'avversario; se non in originale, nella copia che nel frattempo avrebbe dovuto procurarsi. Se però l'appellante non li ha depositati, il giudice si limita a prenderne atto e decide la causa senza tenere conto del documento mancante: in tal senso Cass., S.U., 8 febbraio 2013, n. 30333; Cass., 28 agosto 2007, n. 18205; App. Firenze, 14 aprile 2015, in Leggi d'Italia online, Repertorio, 2015.

Il caso non è del resto allineato a quello visto sopra (sub par. 6) della mancata restituzione del documento nel singolo grado di giudizio. Qui non soccorre la lettera dell'art. 169, cpv., c.p.c., che impone alla parte di restituire il fascicolo «al più tardi al momento del deposito della comparsa conclusionale», perché il suo campo di applicazione è chiaramente limitato al singolo grado di giudizio. In più la parte intimata non è certo tenuta a costituirsi nel giudizio di impugnazione. La posizione della giurisprudenza non è proprio irresistibile, e vi sarebbero buone ragioni, già altrove segnalate (Turroni, 201 ss.) per sostenere che anche in questo caso il giudice debba tentare il recupero del documento

Riferimenti
  • Comoglio, Le prove civili, Torino, 2010, 753 ss.;
  • Ruffini, Produzione ed esibizione dei documenti, in Riv. dir. proc., 2006, 435 ss.;
  • Turroni, Produzione e acquisizione del documento nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 175 ss.
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