Interruzione del processo

Rosaria Giordano
25 Aprile 2016

Quando nel corso del giudizio si verificano alcuni eventi, individuati dall'art. 299 c.p.c. con riguardo alla parte (morte o perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale o cessazione della rappresentanza) e dall'art. 301 c.p.c. con riferimento al difensore della stessa, il processo deve essere interrotto in omaggio al generale principio posto dall'art. 24 Cost. sull'inviolabilità del diritto di difesa.
Inquadramento

Quando nel corso del giudizio si verificano alcuni eventi, individuati dall'

art. 299 c.p.c.

con riguardo alla parte (morte o perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale o cessazione della rappresentanza) e dall'

art. 301 c.p.c.

con riferimento al difensore della stessa, il processo deve essere interrotto in omaggio al generale principio posto dall'

art. 24 Cost.

sull'inviolabilità del diritto di difesa.

Uno degli eventi aventi valenza interruttiva è, ad esempio, la morte dell'avvocato: è chiaro che a fronte di tale evento è necessario, per preservare il diritto di difesa della parte costituita in giudizio a mezzo del difensore ormai deceduto, che il processo si interrompa, ossia entri in uno stato di quiescenza, in modo da consentire alla parte di nominare un nuovo avvocato. Ove ciò non avvenisse la parte – che certo non è di regola un'esperta dei tecnicismi processuali – rischierebbe, ad esempio, di incorrere nella decadenza dall'esercizio di alcuni poteri processuali in quanto priva di un difensore tecnico.

Eventi interruttivi relativi alla parte

Il “classico” evento che determina l'interruzione del processo da considerare è la morte della parte, alla quale, ove si tratti di persona fisica, devono equipararsi, oltre alla morte presunta, anche la scomparsa o l'irreperibilità della stessa, fatta constatare ai sensi dell'

art. 143 c.c.

(Cass. civ., Sez. U., n. 220/1996, in Foro it., 1986, I, 2669).

Costituisce inoltre evento interruttivo anche la morte del rappresentante legale, da intendersi, tuttavia, quale riferibile esclusivamente a coloro i quali stanno in giudizio in luogo degli incapaci e non anche alle persone che svolgono funzioni di rappresentata di enti collettivi dotati di una propria autonoma soggettività (cfr.

Cass.

civ.

, n. 15735/2004

).

Ai fini dell'operare della disciplina in tema di interruzione del processo, alla morte della persona fisica deve essere inoltre equiparata l'estinzione della persona giuridica che si realizza con il completamento del procedimento di liquidazione ed, in caso di società, mediante la cancellazione dal registro delle imprese.

La perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti comporta anch'essa l'interruzione del processo.

Con riferimento alle persone fisiche tale situazione si verifica nell'ipotesi di interdizione ed inabilitazione nonché di nomina di un amministratore di sostegno laddove, in quest'ultima ipotesi, nel giudizio venga in discussione una posizione giuridica soggettiva in relazione alla quale sia stato prevista la necessità di integrare la volontà del beneficiario con l'ausilio dell'amministratore. In linea di principio, invece, la semplice incapacità naturale non determina la perdita della capacità processuale della parte per l'interruzione del processo (

Cass. civ.,

3 dicembre 1994, n. 10425

), fermo restando peraltro il potere del Giudice che si accorga dello stato di particolare fragilità psichica di una parte di disporre un rinvio rimettendo gli atti al Pubblico Ministero affinché promuova un procedimento volto all'apertura dell'amministrazione di sostegno o, nei casi più gravi, dell'interdizione (cfr. Trib. Modena, sez. II, 8 marzo 2006, in Arch. locazioni, 2006, n. 5, 542, con riguardo alla posizione dell'intimato nel procedimento di convalida di sfratto).

Tra gli eventi che comportano la perdita della capacità di stare in giudizio rilevano, per le persone giuridiche, la dichiarazione di fallimento (a seguito della quale

ex

art. 43 legge fall

. nell'attuale formulazione si determina automaticamente, invero, l'interruzione del processo) e la liquidazione coatta amministrativa, atteso che a norma dell'

art. 200 r.d. 16 marzo 1942 n. 267

, detto stato comporta (fra l'altro) la cessazione delle funzioni dell'assemblea e degli organi amministrativi e di controllo della società medesima e, comunque, l'attribuzione al commissario liquidatore - e non più, quindi, alla persona fisica che la rappresentava fin quando era in bonis - della capacità di stare in giudizio nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale (

Cass.

civ.

, n. 2527/2004

).

Altro evento che può comportare l'interruzione del processo è la cessazione della rappresentanza legale della parte. Poiché i minori non possono stare in giudizio da soli senza che ciò implichi, tuttavia, che gli stessi non abbiano anche diritti azionabili in un processo (pensiamo, ad esempio, all'azione di risarcimento dei danni subiti per una caduta dalle scale della scuola), sono legalmente rappresentati dai genitori. La cessazione della rappresentanza legale della parte, che pure configura evento interruttivo del processo, si realizza quindi soprattutto nell'ipotesi di raggiungimento della maggiore età da parte del rappresentato (

Cass.

civ.

, n. 1744/1997

).

Eventi interruttivi concerenti il difensore

L'

art. 301

c.p.c.

distingue tra gli eventi riguardanti il procuratore costituito della parte al cui verificarsi segue l'interruzione del giudizio, individuati specificamente nella morte, radiazione e sospensione del difensore dall'albo, da quelli che, in conformità al disposto dell'

art. 85 c.p.c.

, non incidono sullo svolgimento del processo, in ragione della natura “volontaria” degli stessi, ossia la revoca della procura o la rinuncia ad essa.

Inoltre, sia nella seconda parte del comma 1 che nel capoverso, l'

art. 301 c.p.c.

stabilisce le modalità secondo cui si determina l'interruzione che segue invero automaticamente all'evento interruttivo, trovando comunque applicazione l'

art. 299 c.p.c.

anche in ordine alla possibilità che si eviti l'interruzione del giudizio a fronte della costituzione della parte mediante nuovo procuratore. Resta fermo che non si determina l'interruzione del processo per la morte o altro evento che colpisca l'avvocato laddove la parte sia rappresentata da più procuratori non obbligati a difenderla congiuntamente.

Non determina problematiche peculiari la cancellazione del difensore dall'albo professionale per motivi disciplinari, prevista dall'

art. 40 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578

, riconducibile, in virtù di interpretazione estensiva, alle ipotesi di cui all'

art. 301 c.p.c.

, in quanto assimilabile a quelle espressamente previste della radiazione e della sospensione e determinandosi di conseguenza a seguito della stessa l'interruzione del processo (

Cass.

civ.

, n. 10112/2009

), mentre non è pacifico in giurisprudenza se anche la cancellazione volontaria dall'albo professionale del procuratore costituisca un evento interruttivo ai sensi dell'

art. 301,

comma 1,

c.p.c.

.

Infatti, secondo un primo orientamento, la cancellazione volontaria dall'albo professionale del procuratore costituito non dà luogo all'applicazione dell'

art. 301,

comma 1,

c.p.c.

, e non determina quindi l'interruzione del processo, in quanto, mentre le ipotesi ivi previste sono accomunate dal fatto di essere indipendenti (almeno in via diretta) dalla volontà del professionista o del cliente, la volontaria cancellazione è assimilabile alle ipotesi indicate nel comma terzo del medesimo articolo, ossia la revoca della procura o rinuncia ad essa (

Cass.

civ.

,

n. 8054/2004

;

Cass.

civ.

, n. 12261/2009

). Secondo altre decisioni, diversamente, la cancellazione volontaria dall'albo degli avvocati del difensore costituisce causa di interruzione del processo, a meno che la parte interessata, alla udienza successiva, si munisca di un nuovo difensore, impedendo così l'interruzione (cfr.

Cass.

civ.

, n. 12294/2001

).

Inoltre occorre considerare che, anche se la giurisprudenza meno recente tendeva ad escludere che la cancellazione volontaria dall'albo del difensore fosse idonea a determinare l'interruzione del processo, al tempo stesso affermava che la notificazione della sentenza effettuata al procuratore costituito cancellatosi volontariamente dall'albo è da considerarsi inesistente, e come tale inidonea a fare decorrere il termine breve per l'impugnazione (Cass. civ., n. 4946/1979, in Giust. Civ., 1980, I, 655, con nota di A. FINOCCHIARO).

Su tale problematica interpretava è in seguito intervenuta anche la Corte Costituzionale che, invero, ritenendo inammissibile la questione di legittimità dell'

art. 301,

comma 1

, c.p.c.

, censurato, in riferimento all'

art. 24, comma

2

, Cost.

, per avere il giudice remittente ritenuto erroneamente univoco l'orientamento giurisprudenziale secondo cui la cancellazione volontaria dall'albo degli avvocati del difensore di una delle parti non sia causa di interruzione del processo ed in concreto indicando in quella opposta l'interpretazione costituzionalmente orientata della previsione in esame (

Corte Cost. 16 maggio 2008, n. 147

).

È invece meno controversa l'applicabilità dell'

art. 301 c.p.c.

anche nell'ipotesi in cui la parte sia rappresentata da un avvocato o procuratore iscritto all'albo speciale di un ente pubblico laddove il difensore non presti più servizio per l'ente. A riguardo, invero, sul presupposto per il quale gli avvocati e procuratori di enti pubblici e iscritti nell'albo speciale annesso all'albo professionale sono abilitati al patrocinio esclusivamente per le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera, la S.C. ha evidenziato che il collocamento a riposo dell'originario difensore appartenente all'Avvocatura dello Stato, determinando la mancanza di legittimazione a compiere e ricevere atti processuali relativi alle cause proprie dell'ente, comporta il totale venir meno dello ius postulandi per una causa equiparabile a quelle elencate dall'

art. 301 c.p.c.

, con la conseguente nullità degli atti compiuti successivamente al verificarsi dell'evento interruttivo (

Cass.

civ.

, n. 20361/2008

).

È assolutamente pacifico in giurisprudenza il principio per il quale l'evento interruttivo che riguardi l'unico difensore a mezzo del quale la parte è costituita nel giudizio di merito, determina automaticamente l'interruzione del processo, anche se il giudice e le altri parti non ne hanno avuto conoscenza, senza dunque la necessità, ai fini del perfezionamento della fattispecie interruttiva, della dichiarazione o notificazione dell'evento, con preclusione di ogni ulteriore attività processuale che, se compiuta, diviene causa di nullità degli atti successivi e della sentenza (

Cass.

civ.

, n. 244/2010

;

Cass.

civ.

, n. 4412/2001

).

Quanto all'incidenza dell'evento riguardante il procuratore sul decorso del termine c.d. lungo di impugnazione, l'orientamento dominante nell'attuale giurisprudenza della S.C. è nel senso che poiché l'

art. 328

,

comma ultimo

,

c.p.c.

, che prevede la proroga del termine annuale (ora semestrale) di cui all'art. 327 dello stesso codice per impugnare la sentenza qualora dopo sei mesi dalla sua pubblicazione sopravvenga alcuno degli eventi previsti dall'art. 299 del medesimo codice, si riferisce solo alla morte od alla perdita della capacità della parte o del suo legale rappresentante e non anche a quella del procuratore (disciplinata dall'

art. 301 c.p.c.

), senza che sia dato ravvisare alcuna ragione, riconducibile alla necessità di consentire l'agevole esercizio del diritto di difesa obiettivamente suscettibile di pregiudizio nel caso di termine breve di cui all'

art. 325 c.p.c.

, per quanto evincibile dalla sentenza della Corte cost. n. 41 del 1986, che giustifichi in via interpretativa un'estensione del disposto del citato comma ultimo dell'art. 328 anche alla suddetta ipotesi del decesso del procuratore (cfr., tra le altre,

Cass.

civ.

, n. 7660/2007

;

Cass.

civ.

, n. 18153/2004

). In sostanza, l'evento interruttivo riguardante il procuratore non incide sul decorso del termine lungo per impugnare.

Eventi che si verificano prima dell'introduzione del giudizio

Il momento a partire dal quale ha rilevanza processuale ai fini dell'interruzione uno degli eventi indicati negli

artt. 299

e

301 c.p.c.

è l'introduzione del giudizio, prima della quale, invero, non trova applicazione l'istituto.

Difatti, laddove un evento di valenza astrattamente interruttiva resti integrato prima dell'inizio del processo, poiché manca un rapporto processuale da interrompere (

Cass.

civ.

, n. 8498/1996

), il giudizio e la sentenza pronunciata all'esito dello stesso non potranno che ritenersi inesistenti. Questa situazione si verifica, ad esempio, nella fattispecie emblematica nella quale il processo sia proposto nei confronti di un soggetto già deceduto al momento della notifica dell'atto di citazione. Sulla questione, la Corte di Cassazione ha infatti chiarito che, poiché la capacità giuridica si acquista al momento della nascita e si estingue con la morte della persona fisica (

art. 1, c.c.

), deve ritenersi affetta da giuridica inesistenza, denunciabile in ogni tempo e sede, la sentenza pronunciata nei confronti di colui che, pur dichiarato contumace, risulti deceduto al momento della proposizione della domanda introduttiva. Non può attribuirsi alcun rilievo in contrario al fatto che la dichiarazione di contumacia sia avvenuta a seguito di una notificazione della citazione effettuata nella formale osservanza delle norme in materia di notificazione, giacché tale osservanza non vale ad escludere che, in ragione dell'inesistenza del notificando al momento della notificazione, quest'ultima debba a sua volta considerarsi inesistente. Resta inoltre irrilevante che erroneamente il giudice di primo grado abbia autorizzato la notificazione di una nuova citazione nei confronti degli eredi del deceduto al fine di integrare il contraddittorio, giacché, non essendosi mai instaurato il contraddittorio nei confronti del medesimo, il contraddittorio non era integrabile (

Cass.

civ.

, n. 11688/2001

).

Modalità operative dell'interruzione se l'evento riguarda la parte

L'

art. 299 c.p.c.

trova applicazione nell'ipotesi in cui, anche in appello o nel giudizio di rinvio, l'evento interruttivo che riguardi la parte o il proprio rappresentante legale si verifichi prima della costituzione in giudizio, purché lo stesso sia già stato introdotto: in particolare, ove l'evento si verifichi in tale momento processuale allo stesso, seguirà ipso iure l'interruzione del giudizio ed è anzi discusso in dottrina se detto effetto possa essere evitato mediante la tempestiva costituzione in prosecuzione dei successori processuali, ovvero della riassunzione del giudizio nei confronti degli stessi prima della declaratoria di interruzione.

Il comma 1 dell'

art. 300 c.p

.c.

stabilisce che se, invece, uno degli eventi previsti dall'

art. 299 c.p.c.

si verifica nei riguardi della parte costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. Tale previsione normativa è stata tradizionalmente intesa nel senso della non automaticità dell'interruzione del processo al verificarsi dell'evento concernente la parte costituita in giudizio a mezzo di difensore, essendo rimessa alla scelta tecnica di quest'ultimo la decisione sull'opportunità di far assumere o meno rilevanza all'interno del giudizio dell'evento, essendo peraltro assicurato proprio dal rappresentante tecnico della parte sia il rispetto del principio del contraddittorio sia lo svolgimento delle attività difensive volte ad un'efficace tutela della parte rappresentata. A riguardo, la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che l'

art. 300 c.p.c.

subordina l'effetto interruttivo del processo alla coesistenza di due elementi essenziali, costituiti rispettivamente dall'evento previsto come causa d'interruzione e dalla relativa dichiarazione formale ad opera del procuratore della parte che ne è colpita, restando esclusa sia la possibilità di rilievo d'ufficio dell'evento, sia la rilevanza della dichiarazione dell'evento interruttivo ad opera di parte diversa da quella che lo ha subito (

Cass.

civ.

, n. 17913/2009

).

In sostanza, se la parte colpita dall'evento è costituita in giudizio a mezzo di un difensore tecnico, spetta alla scelta strategica dello stesso valutare la convenienza della dichiarazione dell'evento e della conseguente interruzione del giudizio.

In ogni caso, nell'ipotesi in cui il procuratore ometta di dichiarare in udienza, ovvero di notificare alle altre parti, l'evento tra quelli individuati dall'

art. 299 c.p.c.

relativo alla parte rappresentata, il processo prosegue validamente nei confronti delle parti originarie e la sentenza pronunciata all'esito dello stesso spiegherà la propria efficacia vincolante anche nei confronti degli eredi o degli altri soggetti legittimati alla prosecuzione del giudizio.

Vi è poi da dire che più di recente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono nuovamente intervenute sulla complessa questione, affermando il principio per il quale la morte della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarata in udienza o notificata alle altre parti, comporta, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alle liti, che il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alle liti valida anche per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione, ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale, in rappresentanza della parte deceduta, che va considerata, nell'ambito del processo, ancora in vita (

Cass.

civ., Sez. U

., 19887/2014

).

Il comma 4 dell'

art. 300 c.p.c.

, nel testo risultante dalla novellazione operata dalla

l. 18 giugno 2009 n. 69

, prevede che, se l'evento riguarda la parte dichiarata contumace, il processo è interrotto non soltanto dal momento in cui il fatto interruttivo è notificato o è certificato dall'ufficiale giudiziario nella relata di notifica di uno dei provvedimenti

ex

art. 292 c.p.c.

ma anche nell'ipotesi in cui detto fatto venga documentato dalla controparte

.

L'ultima parte del comma 4 dell'

art. 300 c.p.c.

stabilisce poi che, se alcuno degli eventi previsti dall'

art. 299 c.p.c.

si avvera o è notificato dopo la discussione dinanzi al collegio, lo stesso non produce effetto se non nel caso di riapertura dell'istruzione.

La norma ha determinato alcuni problemi interpretativi a seguito della rimodulazione dei modelli decisori nel primo grado di giudizio ad opera della

l. 23 novembre 1990 n. 353

ed, in particolare, della circostanza che, divenuta la discussione orale soltanto eventuale, a seguito della rimessione della causa in decisione vi è ancora un'effettiva esigenza di tutela del diritto di difesa della parte

ex

art. 24 Cost.

, ai fini del deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Pertanto, valorizzando la ratio della previsione normativa, secondo quanto evidenziato anche dalla dottrina più autorevole, la giurisprudenza anche di legittimità ha ormai chiarito sul punto che nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, qualora la morte della parte costituita in giudizio sia notificata successivamente all'udienza di precisazione delle conclusioni ma prima della scadenza dei termini di cui all'

art. 190 c.p.c.

, richiamato dall'art. 281-quinquies, deve essere dichiarata l'interruzione del processo, non potendo trovare applicazione l'art. 300, comma 4, seconda parte, c.p.c. Tale ipotesi non è infatti parificabile al caso in cui l'evento interruttivo si avveri o sia notificato dopo la chiusura della discussione davanti al collegio, che, nella disciplina introdotta dalla

l. n. 353 del 1990

, è equiparata al momento in cui, dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni, viene a scadere il termine per il deposito delle comparse conclusionale e delle memorie di replica (

Cass.

civ.

, n. 23042/2009

).

Effetti dell'interruzione

A seguito dell'interruzione, il processo entra in uno stato di quiescenza, analogamente a quanto avviene durante la sospensione del giudizio, stante l'espresso richiamo operato dall'

art. 304 c.p.c.

all'

art. 298 c.p.c.

Di conseguenza, durante l'interruzione non possono essere compiuti atti processuali, che sarebbero invero affetti da nullità, alla medesima stregua della sentenza pronunciata nonostante l'interruzione del giudizio. Più volte è stato enunciato anche in sede di legittimità il principio per il quale

l'interruzione del processo comporta la preclusione del compimento di ogni attività processuale ovvero l'inefficacia degli atti processuali compiuti successivamente all'evento interruttivo (

Cass.

civ.

, n. 3623/2004

;

Cass.

civ.

, n. 6061/2000

).

Parimenti, la quiescenza del processo impedisce che decorrano termini durante l'interruzione del giudizio.

Possono peraltro essere compiuti, anche se il giudizio di merito è interrotto, atti cautelari ed urgenti, stante l'applicabilità analogica della regola espressamente dettata dall'

art. 48,

comma 2

, c.p.c.

con riferimento al processo sospeso per la proposizione del regolamento di competenza.

La Corte di Cassazione, inoltre, ha precisato che i

l divieto di compiere atti del procedimento durante l'interruzione del processo, sancito dagli

artt. 304-298 c.p.c.

, non si riferisce a quelli diretti alla prosecuzione o alla declaratoria di estinzione del processo (

Cass.

civ.

, n. 6431/1995

).

Prosecuzione e riassunzione del giudizio interrotto

L'

art. 302 c.p.c.

disciplina le modalità di prosecuzione del giudizio ad iniziativa della stessa parte colpita dall'evento interruttivo ovvero dal suo successore a titolo universale nonché da tutti coloro i quali sulla scorta delle norme di diritto sostanziale prendono il posto della persona o dell'ente colpito dall'evento in questione. I soggetti che proseguono in tale qualità il processo hanno l'onere di dimostrare la propria qualità (cfr.

Cass.

civ.

, n. 6721/2006

, in Giust. Civ., 1997, I, 1667, con nota di PANZAROLA).

La prosecuzione del processo può avvenire, in primo luogo, ove sia fissata un'udienza, all'udienza medesima ovvero prima di essa in cancelleria a norma dell'

art. 166 c.p.c.

È oggetto di discussione, specialmente in dottrina, se la costituzione in prosecuzione valga ad impedire l'interruzione nelle ipotesi in cui all'evento la stessa segua ipso iure, potendo invece senz'altro la costituzione volontaria dei soggetti legittimati impedire l'interruzione del processo nelle fattispecie disciplinate dai commi 2 e 3 dell'art. 300, ove è necessaria la dichiarazione del procuratore ovvero la certificazione dell'evento riguardante la parte contumace ai fini dell'interruzione del processo (cfr.

Cass.

civ.

, n. 15223/2005

).

Il soggetto che si costituisca spontaneamente in prosecuzione a fronte dell'evento interruttivo che abbia colpito il proprio dante causa non deve notificare alle controparti il proprio atto di costituzione, qualora questo non contenga domande nuove rispetto a quelle proposte dalla parte deceduta, valendo anche in tal caso il principio generale espresso dall'

art. 170 c.p.c.

secondo il quale le comparse e le memorie si comunicano mediante deposito in cancelleria (

Cass.

civ.

, n. 6275/1998

).

Se, invece, non è fissata un'udienza, i soggetti legittimati alla prosecuzione del processo interrotto possono chiedere la fissazione della stessa con ricorso al giudice istruttore o, in mancanza, al Presidente del Tribunale (i.e. al Presidente di sezione, per gli uffici giudiziari articolati in diverse sezioni). In dottrina si è evidenziato che la mancanza del giudice istruttore si può verificare laddove lo stesso non sia stato ancora designato ovvero qualora la persona fisica del precedente giudice istruttore non faccia attualmente parte dell'ufficio per un impedimento definitivo o temporaneo.

In caso di prosecuzione del processo interrotto nelle forme del ricorso, a norma degli

art. 303

e

302 c.p.c.

, a differenza di quanto accade nell'ipotesi di citazione in riassunzione

ex

art. 125 disp. att. c.p.c.

, non vi è alcuna necessità di osservare i termini minimi di comparizione a garanzia del diritto di difesa della controparte di cui all'

art. 163-

bis

c.p.c.

(

Cass.

civ.

, n. 7488/1992

).

La riassunzione del processo è, invece, quella proveniente dalla parte contrapposta a quella cui si riferisce l'evento interruttivo e deve essere effettuata nei confronti delle altre parti in causa, compreso, naturalmente, il successore ex

artt. 110

o

111 c.p.c.

della parte alla quale si riferisce l'evento interruttivo.

Quanto alla legittimazione passiva, il comma 2 dell'

art. 303 c.p.c.

detta una peculiare disciplina in virtù della quale, nell'ipotesi di interruzione dovuta alla morte della parte, entro un anno da tale evento la riassunzione può essere effettuata collettivamente ed impersonalmente agli eredi, nell'ultimo domicilio del defunto. Tale forma di notificazione agevolata agli eredi della parte defunta costituisce una rilevante deroga ai principi della esatta identificazione nominativa della parte citata in giudizio e del luogo presso cui la notificazione deve essere eseguita - trova fondamento nella presunzione legale che gli eredi, nel periodo di un anno dalla morte, facciano capo al domicilio del de cuius per tutte le questioni o i rapporti inerenti la successione, la quale presunzione può avere come punto di riferimento oggettivo esclusivamente l'evento stesso del decesso. Pertanto, la precisione normativa deve essere interpretata in senso restrittivo (

Cass.

civ.

, n. 25548/2008

).

Di regola la riassunzione deve essere effettuata mediante ricorso chiedendo al Giudice la fissazione di un'udienza, fissazione che non deve necessariamente avvenire tenendo conto della necessità di rispettare i termini a comparire di cui all'

art. 163-

bis

c.p.c.

(

Cass.

civ.

, n. 7488/1992

).

Peraltro, a prescindere dalla forma dell'atto di riassunzione - che può invero essere anche una citazione a comparire ad una determinata udienza ovvero una comparsa - quanto al contenuto, è necessario che siano presenti gli elementi indicati dall'

art. 125 disp. att. c.p.c.

: pertanto, sebbene non sia necessario che siano riprodotti nell'atto tutti gli estremi della domanda proposta, occorre tuttavia che siano resi noti - in particolare agli eredi della parte defunta non costituiti in proprio nella precedente fase processuale - tutti gli elementi idonei all'identificazione della causa e del suo oggetto, con la conseguenza che, in mancanza di detti indispensabili requisiti formali, l'atto deve ritenersi nullo in quanto inidoneo a raggiungere il suo scopo (Cass. civ., n. 5895/2004).

Il processo validamente riassunto non ricomincia ex novo ma continua e permangono intatti, di conseguenza, gli effetti sostanziali e processuali del rapporto originario, restando inoltre ferme le preclusioni già maturate (cfr. Cass. civ., n. 363/1983).

Il comma 4 dell'

art. 303 c.p.c.

stabilisce espressamente che, se la parte che ha ricevuto la notificazione non compare all'udienza fissata, si procede in sua contumacia.

L'

art. 305 c.p.c.

prevede che nell'ipotesi di mancata prosecuzione o riassunzione del processo, entro il termine, rideterminato in tre mesi rispetto a quello precedente di sei mesi, dall'

art. 46, comma

14

, legge 18 giugno 2009, n. 69

, dall'interruzione, il processo si estingue.

Peraltro, ai fini dell'individuazione del dies a quo per la decorrenza del predetto termine nelle ipotesi in cui al verificarsi dell'evento segua ipso iure l'interruzione del giudizio occorre tener conto:

  • della pronuncia della

    Corte Cost.

    n. 139 del 15 dicembre 1967

    , che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 305 nella parte in cui fa decorrere dalla data dell'interruzione del processo e non dalla conoscenza legale dell'evento il termine per la prosecuzione o riassunzione dello stesso nei casi regolati dal precedente art. 301, per contrasto con l'

    art. 24 Cost.

    ;

  • della decisione additiva n. 159 del 6 luglio 1971, mediante la quale la medesima Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la previsione normativa in commento nella parte in cui prevede che il termine per la prosecuzione o riassunzione del giudizio interrotto ai sensi dell'art. 299 decorresse dall'interruzione, e non dal momento in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza.

Pertanto, a seguito delle richiamate decisioni additive della Corte Costituzionale deve ritenersi ormai acquisito nel vigente sistema di diritto processuale civile il principio secondo cui, nei casi d'interruzione automatica del processo (

art. 299,

300,

comma 3,

301, comma 1, c.p.c.

), il termine per la riassunzione decorre non già dal giorno in cui l'evento interruttivo si è verificato, bensì dal giorno in cui esso è venuto a conoscenza della parte interessata alla riassunzione.

La giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata, quanto invece all'individuazione dell'atto processuale che la parte interessata deve porre in essere nel termine previsto dalla norma in commento per riattivare, pena l'estinzione dello stesso, il giudizio interrotto, nel senso che, verificatasi una causa d'interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata edictio actionis da quello della vocatio in ius, il termine perentorio previsto dalla norma in esame è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicché, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo. La fissazione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius. Consegue a tale impostazione interpretativa che il vizio da cui sia colpita la notifica dell'atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell'udienza non si comunica alla riassunzione (oramai perfezionatasi), ma impone al giudice, che rilevi la nullità, di ordinare la rinnovazione della notifica medesima, in applicazione analogica dell'

art. 291 c.p.c.

, entro un termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determinerà l'eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291, comma ult., e del successivo

art. 307, comma

3

c.p.c.

(

Cass.

civ, Sez. U.

, n. 14854/2006

).

Sotto un distinto profilo, soltanto di recente le Sezioni Unite sono intervenute per risolvere il contrasto formatosi nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla distinta questione avente ad oggetto la possibilità di effettuare la riassunzione del processo interrotto mediante atto di citazione in luogo della comparsa ovvero del ricorso dinanzi al giudice istruttore, affermando i che, qualora la riassunzione sia effettuata, anziché con comparsa o ricorso al giudice per la fissazione dell'udienza di prosecuzione, con citazione ad udienza fissa, quest'ultima deve possedere tutti i requisiti formali previsti dall'

art. 125 disp. att. c.p.c.

indispensabili per il raggiungimento dello scopo previsto nell'

art. 297 c.p.c.

ed è sufficiente la notifica alla controparte prima della scadenza del termine di sei mesi previsto dall'

art. 305 c.p.c.

per impedire l'estinzione del processo, restando al di fuori l'obbligo di deposito dell'atto che può avvenire anche successivamente (

Cass.

civ., Sez. U.

, n. 27183/2007

).

Riferimenti

CALIFANO

, L'interruzione del processo civile, Napoli 2004

;

CAVALAGLIO

, Interruzione del processo di cognizione nel diritto processuale civile, in D. disc. priv., sez. civ., X, Torino 1993, 83;

FINOCCHIARO, Interruzione del processo (diritto processuale civile), in Enc. dir., XXII, Milano 1972, 437;

GHIRGA, Interruzione del processo, Bologna 2014;

GIORDANO, Se la cancellazione dell'avvocato dall'albo comporti interruzione del processo, in Giust. Civ., 2004, I, 794;

PUNZI, L'interruzione del processo, Milano 1963;

SALETTI

, Interruzione del processo, in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma 1989, 6.

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