Contestazione
24 Febbraio 2017
Inquadramento
La contestazione dei fatti posti a fondamento della domanda costituisce nell'attuale ordinamento processuale oggetto di uno specifico onere, a carico della controparte, la quale è tenuta, infatti, sin dalla costituzione in giudizio, alla integrale formulazione delle sue difese «prendendo posizione» sulle allegazioni in fatto della parte attrice (art. 167, comma 1, c.p.c., così come novellato, per i giudizi successivi al 30 aprile 1995, l. n. 353/1990). In tal senso il rito ordinario, dopo la riforma del 1990, ha conformato l'onere della contestazione in termini significativamente analoghi a quelli da tempo invalsi nel c.d. rito del lavoro, ove il resistente è parimenti tenuto a «prendere posizione» sui fatti allegati dal ricorrente «in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione» (art. 416, comma 3, c.p.c.). Nel procedimento sommario di cognizione è ribadito che il convenuto «deve» nella comparsa di risposta «prendere posizione sui fatti posti da ricorrente a fondamento della domanda» (art. 702-bis, comma 4, c.p.c.). Si delinea, quindi, nei tre richiamati modelli processuali, i quali sono proposti come riti preferenziali di cognizione dei diritti (arg. ex art. 54 l. n. 69/2009), l'onere di contestazione ai fini della delimitazione del c.d. thema probandum. La conseguenza più rilevante del mancato assolvimento di tale onere è stata resa esplicita dalla citata riforma del 2009, laddove si impone al giudice di porre a fondamento della sua decisione, oltre ai fatti dei quali le parti hanno fornito dimostrazione attraverso le prove, anche quelli «non specificamente contestati dalla parte costituita» (art. 115, comma 1, c.p.c.).
Natura ed effetti
La contestazione dei fatti sui quali la controparte ha imperniato la domanda attiene all'esercizio del medesimo potere di allegazione che compete a colui che chiede la tutela del proprio diritto : costituisce, quindi, espressione del più ampio principio di disponibilità dell'oggetto del processo, vale a dire del potere delle parti di determinare in via esclusiva l'ambito entro il quale si svolge il giudizio; a tale potere corrisponde l'obbligo di pronuncia del giudice «su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa» (c.d. corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato: art. 112 c.p.c.). La disciplina del potere di contestazione è informata al rispetto del sistema delle preclusioni, con il relativo onere per le parti di collaborazione al fine di circoscrivere la materia controversa, e del principio di economia processuale imposto dal canone costituzionale della ragionevole durata del giudizio alla stregua dell'art. 111 Cost. (Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2013, n. 8213). L'effetto essenziale della contestazione è quello di far ricadere sulla controparte l'onere di dimostrazione della fattispecie costitutiva del diritto azionato: in tal senso la contestazione assume il ruolo di presupposto dell'onere della prova di cui all'art. 2697, comma 1, c.c.. Tale effetto è tendenzialmente stabile in quanto la contestazione, una volta validamente formulata in primo grado, continua a produrre i suoi effetti anche in sede di gravame nonostante l'eventuale assenza della parte in giudizio: in tal senso va intesa la direttiva secondo cui l'onere della contestazione si delinea solo nell'ambito del giudizio di primo grado e, una volta adempiuto, non è inciso dall'eventuale condotta inerte nei successivi gradi (Cass. civ., sez. VI-II, 4 novembre 2015, n. 22461). Qualora, poi, sul presupposto della contestazione, siano stati ammessi ed assunti mezzi di prova, si esclude che possa essere tardivamente dedotta, in sede di gravame, l'invalidità dell'istruttoria assumendo che le circostanze da accertare fossero, in realtà, incontestate (Cass. civ., sez. III, 16 marzo 2012, n. 4249). Il mancato assolvimento dell'onere della contestazione, invece, implica che le circostanze di fatto, poste a base del diritto invocato, non debbono essere dimostrate dalla parte interessata (c.d. relevatio ab onere probandi) e possono essere senz'altro poste dal giudice a fondamento della decisione, restando di regola preclusa la contestazione tardiva (Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2012, n. 3727; Cass. civ., Sez. Un., 23 gennaio 2002, n. 761); in tal senso il novellato art. 115, comma 1, c.p.c. distingue significativamente «le prove»dai «fatti non contestati»quali elementi di cognizione in forza dei quali deve essere definita la lite. Presupposto
Presupposto indispensabile per il sorgere dell'onere della contestazione è la formulazione di una compiuta allegazione di parte attrice a fondamento del diritto azionato. Si nega, quindi, l'operatività del principio di non contestazione in relazione alle risultanze di documenti dei quali sia dubbia l'attendibilità, come nel caso di fotocopie incomplete, prive di sottoscrizione, di polizze assicurative, delle quali risulti pertanto impossibile verificare la validità (Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2013, n. 13206). Ove, tuttavia, gli elementi costitutivi del diritto azionato sono già individuati dalla legge, come in tema di riscatto agrario, si ritiene che il convenuto abbia l'onere di contestarli specificamente e non, genericamente, con una clausola di stile, per evitare che gli stessi siano da considerarsi pacifici (Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2011, n. 10860). Fatti principali e fatti secondari
L'onere della contestazione, al fine essenziale della delimitazione dell'ambito del thema probandum, si configura solo relativamente ai c.d. fatti principali, vale a dire a quelli propriamente costitutivi della fattispecie del diritto azionato (così, ad esempio, l'avvenuta prestazione del lavoro oltre l'orario ordinario nel giudizio volto a far valere il diritto alla retribuzione per lavoro straordinario); non sussiste, invece, secondo la giurisprudenza, onere analogo anche relativamente ai c.d. fatti secondari, cioè quelli dedotti in via strumentale rispetto alla rappresentazione dei fatti principali, con funzione meramente dimostrativa di questi ultimi (così, riguardo al sopracitato esempio, le modalità del percorso casa-lavoro in coincidenza con la prestazione straordinaria resa). Mentre, quindi, la mancata contestazione dei fatti principali determina effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio sugli stessi e dovrà ritenerli senz'altro sussistenti, minori sono le conseguenze derivanti dal difetto di contestazione dei fatti secondari: tale condotta omissiva è, infatti, discrezionalmente valutata dal giudice come mero argomento di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 2 ottobre 2015, n. 19709; Cass. civ. , Sez. Un., n. 761/2002). La diversità degli effetti si giustifica in base al rilievo che l'allegazione della fattispecie generativa del diritto postulato in giudizio rientra, come si è visto, nel potere dispositivo delle parti ex art. 112 c.p.c., mentre il materiale probatorio è rimesso alla valutazione del giudice nell'ambito della formazione del proprio convincimento, oltre che ai fini di eventuali iniziative istruttorie ex officio (ammesse in termini ampi, ad esempio, nel rito del lavoro: art. 421, comma 2, c.p.c.). Profili tecnico-giuridici
La qualificazione dei fatti e la connessa individuazione degli effetti giuridici nel caso di specie sono naturalmente affidati esclusivamente al giudice: gli artt. 167, 416, 702-bis e 115 c.p.c. si riferiscono univocamente ai soli fatti e non alla dimensione giuridica degli stessi laddove configurano l'onere della specifica controdeduzione a carico della parte convenuta. Riguardo a tali profili, quindi, la contestazione è irrilevante. Diverso è, invece, il rilievo della determinazione del quantum debeatur – ed eventualmente anche del quomodo – operato in applicazione di regole di carattere tecnico-scientifico, come avviene, ad esempio, nelle stime delle somme dovute secondo tecniche e prassi di natura contabile; con riguardo a tali profili, infatti, non strettamente giuridici e, ad un tempo, non di mero fatto, l'allegazione originaria della parte interessata, ove non specificamente contestata, è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, il quale può, quindi, evincere argomenti di prova, dalla condotta processuale della controparte, in senso eventualmente favorevole all'attore (Cass. civ., Sez. Un., n. 761/2002). La contestazione è idonea ad integrare il presupposto dell'onere della prova, a carico della controparte, solo in quanto sia specifica, richiedendosi a tale fine non una generica ed indeterminata negazione di quanto allegato bensì una puntuale presa di posizione in ordine alle circostanze di fatto poste a fondamento del diritto azionato. Di qui l'irrilevanza di una generica negazione della sussistenza dei presupposti di legge per l'accoglimento della domanda attorea, ove non sostenuta da una chiara e specifica controdeduzione (Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 2015, n. 19896, riguardo al requisito dell'assenza di copertura assicurativa ai fini dell'accollo dell'indennizzo a carico del fondo di garanzia per le vittime della strada; Cass. civ., n. 10860/2011, in tema di presupposti ex lege del riscatto agrario; Cass. civ., sez. lav., 18 febbraio 2011, n. 4051, in relazione ai conteggi elaborati per la determinazione dei pretesi emolumenti). Laddove la contestazione attenga solo al profilo della sussistenza del credito azionato - e non anche alla misura della somma pretesa – si è posto il problema se debba essere considerato pacifico il profilo relativo al quantum debeatur ovvero inciso dalla radicale contestazione dell'an debeatur. Seguendo l'orientamento invalso nella giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. Un., n. 761/2002) il problema non può essere risolto in via astratta ed in termini univoci; si tratta, infatti, di distinguere le ipotesi nelle quali le controdeduzioni afferenti all'esistenza del diritto pregiudichino la sussistenza anche delle circostanze poste a fondamento della liquidazione della somma dovuta (così, ad esempio, ove si contesti l'esistenza di qualsiasi rapporto di lavoro nel giudizio promosso per il pagamento della retribuzione) da quelle, invece, nelle quali le contestazioni sull'an siano affatto compatibili con le circostanze alle quali si commisura il quantum (così, nel sopracitato esempio, ove si contesti solo la configurabilità di un rapporto di lavoro di natura subordinata). Nel primo ordine di ipotesi è evidente che la contestazione involge tutti gli elementi costitutivi della fattispecie invocata, i quali devono, quindi, essere oggetto di compiuta dimostrazione a carico della parte interessata; nel secondo, invece, l'onere della prova deve essere assolto solo relativamente al profilo dell'an specificamente contestato, mentre possono ritenersi pacifici gli ulteriori elementi integranti il credito vantato (così, ancora, l'avvenuta prestazione del lavoro negli orari dedotti). Di qui l'affermazione, in tema di tema di conteggi elaborati dal lavoratore-ricorrente, che il resistente è onerato di una specifica contestazione anche laddove sia negata in radice la sussistenza del credito, poiché la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l'affermazione dell'erroneità della quantificazione (Cass. civ., n. 4051/2011). Contestazione tardiva
L'onere della contestazione è configurabile solo a carico della parte presente in giudizio in quanto implica, comunque, la deduzione di una linea difensiva idonea a delimitare la materia del contendere; si ammette, quindi, che la parte convenuta possa formulare contestazioni tardive non solo dopo la maturazione delle scadenze per la sua costituzione in giudizio e l'esaurimento della trattazione ma anche nel grado successivo a quello nel quale sia rimasta contumace. Si afferma, in tal senso, in giurisprudenza che l'esclusione dei fatti non contestati dal «thema probandum» non può ravvisarsi in caso di contumacia del convenuto, in quanto la non negazione fondata sulla volontà della parte non può presumersi per il solo fatto del non essersi la stessa costituita in giudizio, non essendovi un onere in tal senso argomentabile dal sistema; pertanto, al convenuto, costituitosi in appello, non è precluso contestare i fatti costitutivi e giustificativi allegati dall'attore a sostegno della domanda (Cass. civ., sez. lav., 14 gennaio 2015, n. 461; Cass. civ., sez. V, 21 febbraio 2014, n. 4161; Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2009, n. 14623). La contestazione tardiva deve, invece, ritenersi preclusa ove la parte sia stata presente in giudizio e, in ragione delle difese svolte, abbia già concorso alla delimitazione del thema decidendum (cioè i fatti pacifici) e del thema probandum (i fatti da provare): in tale ordine di casi l'originaria non contestazione ha, infatti, definitivamente escluso talune circostanze – risultate pacifiche - dall'ambito dell'onere probatorio incombente sulla controparte. La direttiva nomofilattica è, pertanto, nel senso che nel processo di cognizione, l'onere, previsto dall'art. 167, comma 1, c.p.c., di proporre nella comparsa di risposta tutte le difese e di prendere posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, comporta che, esaurita la fase della trattazione, non è più consentito al convenuto, per il principio di preclusione, di rendere controverso un fatto non contestato, né attraverso la revoca espressa della non contestazione, né deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte (Cass. civ., Sez. Un., n. 761/2002); ne consegue che, in grado di appello, non è ammessa la contestazione della titolarità passiva del fatto controverso che debba aversi per non contestata nel giudizio di primo grado (Cass. civ., sez. II, 29 novembre 2013, n. 26859), così come resta preclusa la contestazione del computo degli emolumenti dovuti al lavoratore ove nel grado pregresso non sia stato specificamente contestato il quantum debeatur (Cass. civ., n. 4051/2011). Gli effetti della «non contestazione» sono, quindi, relativamente stabili, dovendosi ritenere pacifico uno specifico fatto attinente alla fattispecie costitutiva del diritto azionato; così come relativamente stabili sono, come si è visto, gli effetti della contestazione (Cass. civ., n. 22461/2015). Profili indisponibili
Nelle controversie relative a diritti indisponibili, come quelle sugli status (figlio, padre ecc.), si è ritenuto che possa, comunque, operare il principio di non contestazione, in quanto incidente sull'individuazione del thema probandum piuttosto che diretta espressione dell'autonomia dispositiva delle parti, con conseguente possibilità che un fatto non contestato (come l'incapacità di generare del presunto padre) resti escluso dal novero di quelli bisognosi di prova; con il limite, tuttavia, imposto dall'interesse pubblico che sta alla base dell'indisponibilità della situazione giuridica dedotta in giudizio, che il giudice non può considerarsi vincolato a ritenere sussistenti o insussistenti determinati fatti in virtù di dichiarazioni o ammissioni delle stesse, la cui valutazione resta pertanto devoluta al suo prudente apprezzamento (Cass. civ., sez. I, 11 giugno 2014, n. 13217, in tema di disconoscimento di paternità, ove la madre aveva sostenuto, a fronte della incapacità di generare allegata dal marito, che il concepimento fosse frutto di inseminazione artificiale eterologa). È da osservare, quindi, che, nonostante l'argomentata compatibilità tra il principio di non contestazione e la natura indisponibile dei diritti in contesa, viene negato, tuttavia, uno degli effetti essenziali del principio stesso, vale a dire il vincolo imposto al giudizio sulla verità del fatto non contestato. Profili di indisponibilità derivano, in via generale, dalla natura imperativa della disciplina da applicare: così, in tema di lavori socialmente utili, ove la quantificazione del relativo trattamento economico è stabilito direttamente dalla legge, si è esclusa l'operatività del principio di non contestazione, in quanto espressione del principio dispositivo delle parti, rilevante solo ove non in contrasto con norme imperative di legge (Cass. civ., sez. lav., 7 aprile 2014, n. 8070); in tema di contratti per i quali la legge prescrive la forma scritta «ad substantiam», la prova della loro esistenza e dei diritti che ne formano l'oggetto richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa scrittura, che non può essere sostituita da altri mezzi probatori e neanche dal comportamento processuale delle parti (Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 2009, n. 26174). Ulteriori limiti all'operatività del principio di non contestazione derivano dall'applicazione delle regole processuali sulla cognizione ex officio: così si ritiene che l'esclusione dal «thema decidendum» dei fatti tardivamente contestati, relativi alla titolarità passiva del rapporto controverso, si verifichi solo allorché il giudice non sia in grado, in concreto, di accertarne l'esistenza o l'inesistenza, ex officio, in base alle risultanze ritualmente acquisite (Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2010, n. 18207); in tema di rivendicazione, poi, il giudice di merito è tenuto a verificare l'esistenza, la validità e la rilevanza del titolo dedotto dall'attore a fondamento della pretesa a prescindere da qualsiasi eccezione del convenuto, dovendo, in particolare, accertare l'identità del bene domandato dall'attore con quello descritto nel titolo stesso (Cass. civ., sez. II, 3 marzo 2009, n. 5131). Regime anteriore alla legge 353/1990
Prima della entrata in vigore della legge di riforma n. 353/1990, applicabile ai processi successivi al 30 aprile 1995, il convenuto era bensì onerato, al momento della costituzione in giudizio, dello svolgimento di «tutte le sue difese» (art. 167, comma 1, c.p.c.) ma non era, tuttavia, espressamente tenuto a prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto azionato dalla parte attrice. Di qui il riconoscimento, nel rito ordinario previgente, di un onere di contestazione attenuato a carico del convenuto, con la conseguenza che non era sufficiente la mera mancanza della contestazione per ritenere senz'altro pacifici i fatti allegati dalla controparte, richiedendosi, invece, a tal fine, che tali fatti fossero ammessi in modo espresso o tacito, vale a dire attraverso una condotta processuale che presupponesse la loro sussistenza (Cass. civ., sez. III, 27 ottobre 2015, n. 21780). Se ne era, in particolare, tratta l'ulteriore conclusione che, per rendere controverso il fatto allegato da una parte, era sufficiente che la controparte avesse prodotto documenti dai quali si evincessero circostanze incompatibili con l'esistenza del fatto medesimo, senza che occorresse una specifica manifestazione della volontà di contestarlo, atteso che la contestazione non integrava un'eccezione in senso stretto (Cass. civ., sez. I, 11 aprile 2014, n. 8591; Cass. civ., sez. II, 16 novembre 2012, n. 20211). Casistica
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