08 Giugno 2016

Il convenuto è la parte processuale evocata a comparire in un processo civile. Il convenuto, quindi, subisce l'iniziativa processuale della controparte e, di regola, non ha particolari oneri probatori nel processo, essendo onere dell'attore, ai sensi dell'art. 2697 c.c., provare i fatti che costituiscono il fondamento del diritto fatto valere in giudizio.
Inquadramento

Il convenuto è la parte processuale evocata a comparire in un processo civile. Il convenuto, quindi, subisce l'iniziativa processuale della controparte e, di regola, non ha particolari oneri probatori nel processo, essendo onere dell'attore, ai sensi dell'

art. 2697 c.c.

, provare i fatti che costituiscono il fondamento del diritto fatto valere in giudizio. Il convenuto, quindi, può anche decidere di non costituirsi nel processo, senza che ciò sollevi l'attore dal dover dimostrare gli elementi costitutivi della domanda. Qualora, tuttavia, il convenuto si costituisca in giudizio, esso deve specificamente contestare i fatti allegati dall'attore, altrimenti gli stessi potranno essere posti a base della decisione senza necessità di prova (

art. 115 c.p.c.

). Qualora, inoltre, il convenuto si costituisca e spieghi domanda riconvenzionale, rispetto a quest'ultima egli sarà equiparato all'attore, dovendo provare, quindi, i fatti sottesi al diritto che intende far valere in contrapposizione a quello invocato dall'attore. Allo stesso modo, qualora il convenuto, pur senza spiegare domanda riconvenzionale, eccepisca la sopravvenuta inefficacia dei fatti allegati dall'attore, ovvero eccepisca che il diritto fatto valere dall'attore si è modificato o estinto, sarà suo onere provare i fatti su cui l'eccezione si fonda (

art. 2697, comma 2, c.c.

). Regole del tutto peculiari valgono, infine, per il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in cui l'opposto, malgrado la veste formale di convenuto e la tendenziale impossibilità di spiegare domande riconvenzionale, è considerato attore in senso sostanziale ed è, quindi, onerato della prova di fatti allegati nell'originario ricorso per ingiunzione.

La posizione processuale del convenuto e i suoi oneri probatori

Come detto, ai sensi del comma 1 dell'

art. 2697 c.c.

, è onere di chi agisce in giudizio provare i fatti che costituiscono il fondamento del diritto fatto valere. Come di recente chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (

Cass.

civ.

, sez. U

., 16 febbraio 2016, n.

2951

) anche la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all'attore allegarla e provarla. Tale regola generale, tuttavia, subisce diverse deroghe. Anzitutto, infatti, ai sensi del comma 2 del medesimo

art. 2697 c.c.

, ove il convenuto eccepisca l'inefficacia dei fatti allegati dall'attore o eccepisca che il diritto vantato dall'attore si è modificato o estinto, diverrà suo onere provare i fatti su cui eccezione si fonda. In applicazione di tale principio, si è chiarito, in materia di obbligazioni, che il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l'adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre spetta al debitore convenuto la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (

Cass.

civ.

, sez. U

., 30 ottobre 2001, n. 13533

e successive conformi). Uguale criterio di riparto dell'onere della prova è applicabile quando venga sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell'

art. 1460 c.c.

(risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche quando sia dedotto l'inesatto adempimento dell'obbligazione, al creditore istante spetta la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell'esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione (

Cass.

civ.

,

s

ez.

III, 20 gennaio 2015, n. 826

). Il convenuto, inoltre, costituendosi in giudizio, può spiegare domande o eccezioni riconvenzionali e anche in questo caso sarà onerato della prova dei relativi elementi costitutivi (sulla differenza tra le due ipotesi si veda, tra le tante,

Cass.

civ.,

s

ez. III, 13 giugno 2013, n.

14852

, secondo cui ricorre l'ipotesi della eccezione riconvenzionale allorquando il fatto dedotto dal convenuto sia diretto provocare il mero rigetto della domanda avversaria; integra, invece, vera e propria domanda riconvenzionale, l'istanza con la quale venga chiesto, oltre al rigetto dell'altrui pretesa, l'ulteriore declaratoria di tutte le conseguenze giuridiche connesse all'invocato mutamento della situazione precedente).

La non contestazione

Il convenuto che si costituisca in giudizio ha l'onere di contestare specificamente i fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, altrimenti gli stessi potranno essere posti dal giudice a fondamento della decisione a prescindere dalla prova da parte del soggetto onerato (

art. 115, comma 1, c.p.c.

, come modificato dalla

l. 18 giugno 2009, n. 69

). La contestazione deve essere chiara e analitica, equivalendo a «non contestazione» la contestazione generica, ad esempio qualora la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la «sussistenza dei presupposti di legge» per l'accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione specifica (

Cass.

civ.

,

s

ez.

III, 6 ottobre 2015, n.

19896

). L'onere di contestazione specifica, per come evincibile dalla stessa lettera dell'

art. 115 c.p.c.

, vale solo per la parte costituita, non potendosi assegnare significato di non contestazione alla dichiarazione di contumacia del convenuto. Il principio, inoltre, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, opera nell'ambito del solo giudizio di primo grado, nel quale soltanto si definiscono irretrattabilmente "thema decidendum" e "thema probandum", sicché non rileva a tal fine la condotta processuale tenuta dalle parti in appello (

Cass.

civ.

,

s

ez.

VI

, 4 novembre 2015, n.

22461

). Si è chiarito, altresì, che il principio della non contestazione vale solo per i soli fatti e non anche per la sussunzione dei fatti nella norma di legge, trattandosi di attività che spetta inderogabilmente al giudice a prescindere da qualsiasi comportamento delle parti (Cass. civ., Sez. I, 2 novembre 2015, n. 223489). Si è evidenziato, ancora, che il principio in questione opera nel solo ambito soggettivo ed oggettivo rimesso alla disponibilità delle parti, al quale resta estranea la "legitimatio ad causam", che attiene al contraddittorio e deve essere verificata anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, con il solo limite del giudicato interno (

Cass.

civ.

, Sez. III, 20 ottobre 2015, n.

21176

). Si è chiarito, infine, che la mancanza di specifica contestazione solo se riferita ai fatti principali comporta la superfluità della relativa prova perché non controversi, mentre se è riferita ai fatti secondari consente al giudice solo di utilizzarli liberamente quali argomenti di prova ai sensi dell'

art. 116, comma 2, c.p.c.

(

Cass.

civ.

, Sez. I, 2 ottobre 2015, n.

19709

). Non può, in ogni caso valere come non contestazione, la contumacia del convenuto, come d'altra parte chiaramente evincibile dalla stessa lettera dell'

art. 115 c.p.c.

In evidenza

La contumacia integra un comportamento neutrale cui non può essere attribuita valenza confessoria, e comunque non contestativa dei fatti allegati dalla controparte, che resta onerata della relativa prova, sicché rientra nelle facoltà difensive del convenuto, dichiarato contumace nel giudizio di primo grado contestare le circostanze poste a fondamento del ricorso, anche perché la previsione dell'obbligo a suo carico di formulare nella memoria difensiva, a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito, nonché di prendere posizione precisa in ordine alla domanda e di indicare le prove di cui intende avvalersi, non esclude il potere-dovere del giudice di accertare se la parte attrice abbia dato dimostrazione probatoria dei fatti costitutivi e giustificativi della pretesa, indipendentemente dalla circostanza che, in ordine ai medesimi, siano o meno state proposte, dalla parte legittimata a contraddire, contestazioni specifiche, difese ed eccezioni in senso lato (

Cass.

civ.

, s

ez. Lav., 21 novembre 2014, n.

24885

)

La costituzione del convenuto

Ai sensi dell'

art. 166 c.p.c.

, il convenuto, nel giudizio che si svolge con rito ordinario, deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge (quindi, davanti al giudice di pace ove si tratti di cause il cui valore non ecceda € 1.100,00) almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, o almeno dieci giorni prima nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma dell'

art. 163-

bis

c.p.c.

, ovvero almeno venti giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'

art. 168-

bis

, quinto comma, c.p.c.

depositando in cancelleria (ovvero, oggi, telematicamente) il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'

art. 167 c.p.c.

con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione.

Nella comparsa di costituzione, ai sensi del successivo

art. 167 c.p.c.

, il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda (e contestando specificamente i fatti allegati dall'attore, pena la considerazione degli stessi come ammessi ai sensi del primo comma dell'

art. 115 c.p.c.

), indicare le proprie generalità e il codice fiscale, i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni.

A pena di decadenza, inoltre, egli deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio (nonché le eccezioni di incompetenza per materia, valore e territorio del giudice adito dall'attore, ai sensi del primo comma dell'

art. 38 c.p.c.

) e deve, ai sensi dell'

art. 269 c.p.c.

, formulare l'eventuale volontà di chiamare in causa terzi, chiedendo, in quest'ultimo caso, contestualmente al giudice il differimento dell'udienza di prima comparizione e trattazione, allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini a comparire di cui all'

art. 163-

bis

c.p.c.

.

La costituzione del convenuto nel processo che si svolge con rito sommario di cognizione (per scelta dell'attore ovvero perché si verte in uno dei casi di cui agli

artt. 14-30 d.lgs. 150/2011

) avviene, in forza di quanto disposto dall'

art. 702-

bis

, comma 4, c.p.c.

, mediante deposito in cancelleria di una comparsa di risposta, nella quale la parte deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione e formulare le proprie conclusioni. La comparsa deve essere depositata entro il termine assegnato dal giudice in sede di fissazione di udienza (che, ai sensi del comma 3 dell'

art. 702

-

bis

c.p.c.

, deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza fissata per la trattazione del ricorso), altrimenti il convenuto incorrerà in decadenza rispetto alla possibilità di proporre domande riconvenzionali, formulare eccezioni di rito o di merito non rilevabili d'ufficio, chiamare in causa terzi. Come per il rito ordinario, anche nel processo che si svolge con rito sommario di cognizione il convenuto potrà costituirsi direttamente in udienza ove non intenda porre in essere le attività processuali per cui è prevista decadenza (domande riconvenzionali; eccezioni di rito e merito non rilevabili d'ufficio; chiamata in causa di terzi).

Infine, nei processi destinati a svolgersi con il rito del lavoro, il convenuto (recte: resistente), in forza del generale disposto dell'

art. 416 c.p.c.

, deve costituirsi in giudizio almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata per la discussione, al fine di non incorrere nelle decadenze previste dalla medesima norma (domande riconvenzionali, eccezioni di rito e di merito non rilevabili d'ufficio, indicazione di prove e produzioni documentali). Anche la chiamata in causa di terzi, inoltre, deve essere richiesta a pena di inammissibilità nella memoria difensiva

ex

art. 416 c.p.c.

così come entro gli stessi limiti temporali è possibile l'intervento volontario di terzi, salvo il caso in cui si tratti di litisconsorti necessari (

art. 419 c.p.c.

). La memoria di costituzione dovrà contenere l'indicazione del codice fiscale della parte e del difensore, nonché l'indirizzo di posta elettrica fornito dall'ordine e il numero di fax. Per l'ipotesi di proposizione di domanda riconvenzionale da parte del resistente, l'

art. 418 c.p.c.

prevede, in presenza della specifica richiesta, prescritta a pena di inammissibilità, il differimento dell'udienza di comparizione da parte del giudice, a modifica di quanto stabilito nel decreto di cui all'

art. 415 c.p.c.

, con notifica al ricorrente del nuovo decreto di fissazione di udienza da parte della cancelleria, unitamente alla memoria di costituzione, entro dieci giorni dalla sua emanazione. Tra la data di notifica al ricorrente e quella della nuova udienza di discussione deve intercorrere un termine di almeno venticinque giorni (trentacinque giorni ove il ricorrente risieda all'estero). A fronte della domanda riconvenzionale, poi, l'attore diventa a sua volta convenuto e deve, quindi, costituirsi nei dieci giorni antecedenti la nuova udienza di discussione per non incorrere nelle decadenze di cui all'

art. 416 c.p.c.

rispetto alle difese conseguenti alla riconvenzionale della controparte.

Peraltro, secondo un indirizzo giurisprudenziale (

Cass.

civ.

, s

ez. Lav., 21 agosto 2003, n. 12300

), l'onere di chiedere al giudice l'emissione di un nuovo decreto di fissazione dell'udienza, posto dall'

art. 418

c.p.c.

, a pena di decadenza, a carico del convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, non rispondendo in maniera specifica ed infungibile ad un'esigenza di carattere generale (tant'è che non è previsto incombente analogo nel rito ordinario), costituisce previsione a carattere eccezionale, non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica; tale onere deve, quindi, ritenersi sussistente solo nell'ipotesi di domanda riconvenzionale in senso tecnico (ossia di domanda proposta dal convenuto nei confronti dell'attore) e non in tutte le ipotesi di proposizione di qualsivoglia domanda diversa da quella dell'originario attore nei confronti dell'originario convenuto (ad esempio, l'azione in via di regresso proposta da un convenuto nei confronti di un altro convenuto).

L'onere di chiedere al giudice la fissazione di una nuova udienza a pena di decadenza non è previsto, invece, in ipotesi di chiamata in causa di terzo: in tal caso, ai sensi dell'

art. 420 c.p.c.

, il giudice provvederà in udienza ad autorizzare la chiamata in causa, fissando nuova udienza e disponendo la notifica al terzo del ricorso introduttivo. È da ritenere, inoltre, in applicazione dell'indirizzo ermeneutico tracciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con riferimento all'

art. 269

c.p.c.

(

Cass.

civ.

, sez. U

., 23 febbraio 2010, n. 4309

), che l'autorizzazione della chiamata in causa sia rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, salvo, anche in questo caso, che ricorra un'ipotesi di litisconsorzio necessario.

Il convenuto nell'opposizione a decreto ingiuntivo

Nell'opposizione a decreto ingiuntivo l'opposto, malgrado la veste formale di convenuto, è attore in senso sostanziale ed è, quindi, onerato della prova dei fatti sottesi all'originario ricorso per ingiunzione. Benché, quindi, la sua costituzione in giudizio avvenga mediante deposito di una comparsa o memoria di costituzione (a seconda del rito con cui il processo si svolga), l'opposto non potrà proporre domande riconvenzionali, a meno che le stesse non siano diretta conseguenza della domanda riconvenzionale dell'opponente (c.d. reconventio reconventionis). Al di là di queste ipotesi, l'allargamento del thema decidendum da parte dell'opposto, con l'introduzione di domande nuove nel giudizio di opposizione, rappresenta violazione rilevabile anche d'ufficio dal giudice, in ogni stato del processo e anche in sede di legittimità, salvo il limite del giudicato (

Cass. civ., s

ez. III,

5 giugno 2007, n. 13086

). L'opposto, di contro, non potrà essere onerato della contestazione specifica dei fatti allegati dall'opponente, al fine di evitare le conseguenze di cui all'

art. 115 c.p.c.

o all'

art. 416 c.p.c.

, se non relativamente ai fatti posti a base della domanda riconvenzionale eventualmente spiegata dalla controparte.

Riferimenti

CENDON (a cura di), Commentario al codice di procedura civile. Artt. 163-322, 1a ed., Milano 2012, 1731 e ss.;

LUISO

, Diritto processuale civile, I, Milano, 2015, 249 e ss..

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