Sentenza costitutivaFonte: Cod. Civ. Articolo 2908
15 Dicembre 2016
Inquadramento
La sentenza è “costitutiva” in quanto determina una modificazione giuridica in attuazione dell'accertato diritto; risale, quindi, ad una azione volta a costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici con effetto tra le parti, i loro eredi od aventi causa (art. 2908 c.c.). In analogia a quanto è riscontrabile nella sentenza di condanna, l'accertamento del diritto azionato non esaurisce la tutela apprestata con la pronuncia giudiziale; tuttavia la soddisfazione del riconosciuto diritto non è, come nella condanna, rimessa all'attuazione in sede esecutiva secondo le modalità imposte con la pronuncia, in quanto il giudice determina, piuttosto, con la sua stessa sentenza gli effetti giuridici - costitutivi, modificativi o estintivi - per i quali è stato promosso il giudizio. In analogia alla sentenza di accertamento non è, quindi, necessario, in linea di principio, l'adeguamento della situazione sostanziale alla sentenza, essendo il dictum giudiziale di per sé idoneo ad apprestare la tutela attraverso la soddisfazione del bisogno giurisdizionale posto a fondamento dell'azione esperita (così, ad esempio, il contratto a prestazione corrispettive si risolve per effetto della stessa pronuncia resa ai sensi dell'art. 1453 c.c.); in tal senso la sentenza costitutiva può dirsi autosufficiente. Si distingue una giurisdizione costitutiva necessaria da quella non necessaria: nella prima categoria si comprendono le ipotesi nelle quali la modificazione giuridica non rientra nella disponibilità delle parti e, quindi, può determinarsi solo attraverso il giudizio (come nel caso dell'interdizione); nella seconda, invece, l'azione è esperibile solo qualora sia (in tesi) mancata tra le parti l'attuazione spontanea del diritto azionato. Efficacia esecutiva
L'affermazione del principio generale di esecutorietà (o di efficacia esecutiva) di tutte le sentenze di primo grado, senza alcuna distinzione tipologica o di contenuto (art. 282 c.p.c., così come riformato dalla l. n. 353/1990) ha imposto agli interpreti la questione se anche la sentenza costitutiva possa spiegare i suoi effetti sin dalla pronuncia in prima istanza; questione sulla quale è venuta successivamente a gravare anche la pressione esercitata dalla costituzionalizzazione del canone della ragionevole durata del processo espresso nell'art. 111, comma 2, cost., introdotto dalla l. cost. n. 2/1999. Si è, quindi, sostenuto in dottrina che l'efficacia esecutiva impressa alla sentenza dall'art. 282 c.p.c. non debba essere intesa in senso stretto, vale a dire circoscritta alle sole modalità coattive per l'attuazione della condanna, essendo piuttosto da riferire alla idoneità a produrre effetti conformativi della realtà sostanziale anche alla pronuncia costitutiva (G. Impagnatiello, Sentenze costitutive, condanne accessorie e provvisoria esecutività, in Riv.trim.dir.proc.civ., 2005, 752), in tal senso rimuovendosi l'incongrua discriminazione tra la tutela del credito, fornita di esecutorietà immediata, e la tutela del diritto potestativo, differito al giudicato (F. Marelli, L'esecutività della sentenza costitutiva è limitata ai soli capi di condanna accessori ?, in Riv.dir. proc., 2008, 1100). La giurisprudenza di legittimità è, tuttavia, ferma sul principio che la provvisoria esecutività stabilita dall'art.282 c.p.c. sia da riferire alle sole pronunce aventi contenuto di condanna, con conseguente differimento dell'effetto costitutivo della sentenza al momento della formazione del giudicato; nel caso, ad esempio, di sentenza resa ai sensi dell'art. 2932 c.c., il trasferimento della proprietà dell'immobile si verifica solo con la maturazione del giudicato, sicchè sino a tale momento il promissario acquirente, già conduttore del medesimo bene, è ancora gravato dall'obbligo del pagamento del canone (Cass., sez. III, 12 giugno 2015, n. 12236; Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4059) e, nel contempo, il creditore del promissario acquirente non può iniziare l'esecuzione forzata sul bene che ha formato oggetto del contratto preliminare, in quanto non ancora entrato nel patrimonio del debitore (Cass., sez. III, 28 febbraio 2011, n. 4907); analogamente, nel caso di scioglimento della comunione ereditaria con attribuzione ad un condividente di un bene eccedente la rispettiva quota, gli interessi compensativi sul conguaglio decorrono soltanto dal passaggio in giudicato della sentenza in parte qua costitutiva con la quale si fa cessare lo stato di indivisione (Cass., sez. II, 10 gennaio 2014, n. 406); ancora, si esclude che possa ricadere nella comunione legale tra i coniugi l'immobile trasferito ai sensi dell'art. 2932 c.c. con sentenza divenuta definitiva solo dopo la separazione giudiziale dei coniugi stessi (Cass., sez. III, 19 luglio 2012, n. 12466). La ragione per la quale gli effetti della sentenza costitutiva sono in linea di principio differiti al momento della maturazione del giudicato è, del resto, da rinvenire nel connotato di autosufficienza proprio della tutela costitutiva, dal quale deriva che la modificazione giuridica operata in via giudiziale debba essere dotata di stabilità e, quindi, sottratta alle vicende degli eventuali gravami avverso la pronuncia di primo grado, a garanzia della certezza delle situazioni giuridiche sulle quali anche i terzi ripongono il loro affidamento. Condanna alla spese
Il capo relativo alla condanna al rimborso delle spese processuali, benchè inserito in una sentenza costitutiva, merita, tuttavia, una autonoma considerazione e non è attratto, quindi, quanto alla efficacia, dal regime proprio del capo principale della sentenza. Dopo talune incertezze, infatti, la giurisprudenza si è orientata nel senso che la statuizione di condanna alle spese, in forza della riferibilità dell'immediata efficacia esecutiva della sentenza di primo grado a tutte le pronunce di condanna, indipendentemente dalla loro accessorietà ad una statuizione principale di accertamento e/o costituiva, debba considerarsi provvisoriamente esecutiva: così il leading case costituito da Cass., sez. III, 10 novembre 2004, n. 21367 (in antitesi alla soluzione negativa di Cass., sez. II, 12 luglio 2000, n. 9236), cui si è conformato il successivo indirizzo nomofilattico (Cass., sez. III, 19 novembre 2009, n. 24438; Cass., sez. III, 25 gennaio 2010, n. 1283, ove si trae argomento, in particolare, anche dalla espressa esecutività della pronuncia sulle spese ex art. 669-septies c.p.c.; Cass., sez. I, 14 maggio 2014, n. 10453). È da osservare, altresì, che tale orientamento si è formato dopo che Corte Costituzionale, nello scrutinio dell'art. 282 c.p.c., ha ritenuto che il capo relativo alle spese processuali sia in realtà sottratto a tale disposizione, in quanto la regolazione delle spese processuali non è “accessoria” in senso tecnico (ex art. 31 c.p.c.) agli altri capi di merito della sentenza, derivando non già da una domanda ma dall'applicazione ex officio del criterio della soccombenza all'esito della lite (Corte cost. 16 luglio 2004, n. 232). Pronuncia dipendente
Una sentenza costitutiva, quanto al capo principale, può comprendere anche pronunce di condanna conseguenti alla modificazione giuridica operata nel dictum principale: così, ad esempio, la pronuncia di risoluzione del contratto di locazione, emessa ai sensi dell'art. 1453 c.c. per inadempimento del conduttore, implica frequentemente le ulteriori condanne al rilascio del bene ed al pagamento dei canoni scaduti. L'indirizzo nomofilattico, maturato in relazione a quanto affermato per il capo accessorio relativo alle spese processuali, si è consolidato nel senso che la pronuncia di condanna, benchè in rapporto di dipendenza con l'effetto prodotto dalla pronuncia costitutiva adottata in via principale, è da considerare in modo autonomo e, come tale, soggetta al regime di provvisoria esecutività ai sensi dell'art. 282 c.p.c.. Si riconosce, quindi, l'anticipazione in via provvisoria, ai fini esecutivi, degli effetti della condanna alla restituzione delle somme corrisposte a seguito di atti solutori dichiarati inefficaci ai sensi dell'art. 67 l. fall. (Cass., sez. I, 29 luglio 2011, n. 16737), così come della condanna al pagamento dei canoni dovuti al promittente venditore/locatore fino al passaggio in giudicato della sentenza di trasferimento della proprietà in favore del promissario acquirente/conduttore ex art. 2932 c.c. (Cass., sez. III, 12 giugno 2015, n. 12236). Pronuncia corrispettiva
Il principio della immediata esecutività delle condanne dipendenti dalla modificazione operata con la sentenza costitutiva è stato, tuttavia, escluso in relazione a talune statuizioni di condanna legate da un nesso di corrispettività con l'effetto principale prodotto dalla sentenza. La questione si è posta nella prassi in relazione alle pronunce di condanna conseguenti alla sentenza emessa ai sensi dell'art. 2932 c.c., in luogo del contratto traslativo non concluso, tra le quali possono astrattamente essere ricomprese anche quelle inerenti al pagamento del prezzo della pattuita compravendita ed al rilascio del bene trasferito. La Corte di Cassazione si è originariamente orientata nel senso che anche tali pronunce siano suscettibili di efficacia esecutiva sin dal primo grado di giudizio ai sensi dell'art. 282 c.p.c. (Cass., sez. III, 3 settembre 2007, n. 18512); si è argomentato, al riguardo, non solo dall'assenza di qualsiasi distinzione, tra le sentenze di condanna, nella formulazione della predetta disposizione processuale, ma anche dal rilievo concettuale che anche nelle sentenze di pura condanna – vale a dire non conseguenziali ad altra pronuncia principale – è rinvenibile un accertamento, sulla sussistenza del credito, destinato a consolidarsi solo con il giudicato, sicchè analoga dissociazione, tra accertamento dei presupposti della tutela giudiziale e pronunce conseguenti di condanna, è legittimamente configurabile anche nelle sentenze sostitutive del contratto non concluso. Tale ulteriore espansione dell'ambito della esecutorietà anticipata della sentenza di primo grado ha subito, tuttavia, un ridimensionamento attraverso l'intervento del massimo organo della nomofilassi (Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4059), il quale ha escluso la possibilità di dissociare l'effetto costitutivo proprio della sentenza ex art. 2932 c.c. – vale a dire il trasferimento della proprietà – dalle prestazioni inerenti al pagamento del prezzo ed al rilascio del bene, venendo in considerazione «obblighi che sul piano sostanziale non sono ancora sorti» prima che, con la maturazione del giudicato, si realizzi l'alienazione della proprietà. Viene precisato, al riguardo, che solo i capi di condanna «meramente dipendenti»da quelli costitutivi, come quelli relativi al rimborso delle spese processuali, possono considerarsi dotati di esecutorietà provvisoria ex art. 282 c.p.c., mentre quelli legati da un nesso sinallagmatico con il nuovo rapporto costituito in sede giudiziale sono destinati a subire la mora imposta dalla formazione del giudicato. Si è osservato in dottrina, in senso adesivo, che l'anticipazione degli effetti obbligatori (pagamento del prezzo e rilascio del bene) rispetto a quelli reali (trasferimento della proprietà) propri della sentenza ex art. 2932 c.c. avrebbe alterato il sinallagma del contratto definitivo così come prefigurato dalle parti (G. Guizzi, Inadempimento al preliminare di compravendita ed effetti della sentenza di accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. non ancora coperta da giudicato: un equilibrio difficile, in Corr. giur., 2008, 350); l'effettività della tutela giurisdizionale non può realizzarsi, in altri termini, con pregiudizio della sua stessa funzione, che è quella di fornire alle parti, nei limiti del possibile, le stesse utilità alle quali hanno diritto sul piano sostanziale, sicchè, in tema di azione ex art. 2932 c.c., la surrogazione in via giudiziale deve sincronicamente realizzarsi con riguardo all'intera concreta causa di scambio (F. Petrolati, Sulla efficacia della sentenza costitutiva, in Giustiziacivile.com). Alla stregua dell'attuale assetto della giurisprudenza, quindi, il principio della immediata esecutorietà della sentenza di primo grado, sancito dall'art. 282 c.p.c., si applica ai capi di condanna meramente conseguenziali alla produzione degli effetti costitutivi propri della sentenza (come nella condanna alla restituzione dei beni ricevuti in virtù del contratto risolto ex art. 1453 c.c.) e non, invece, laddove le condanne siano parte integrante dei medesimi effetti (riguardando, ad esempio, il corrispettivo dell'alienazione operata in via giudiziale). Decorrenza degli effetti
L'art. 2908 c.c., nel rimettere alla legge la determinazione delle ipotesi speciali nelle quali è consentito al giudice di adottare sentenze idonee a «costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici», non specifica, tuttavia, la decorrenza di tali effetti. Al riguardo l'orientamento giurisprudenziale è nel senso che gli effetti della sentenza costitutiva non solo sono differiti, in linea di principio, alla data della formazione del giudicato ma si producono soltanto per il futuro e, quindi, ex nunc. Si afferma così, come si è già visto, che il promittente venditore/locatore è legittimato a riscuotere i canoni dal promissario acquirente/conduttore fino alla pronuncia definitiva ex art. 2932 c.c. (Cass., sez. III, 12 giugno 2015, n. 12236; Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4059); l'amministratore del condominio conserva tale qualità, con le relative attribuzioni, nel periodo compreso tra il decreto giudiziale di revoca ex art. 1129 c.c. e la scadenza del termine per la maturazione della relativa efficacia ex art. 741 c.p.c. (Cass., sez. lav., 1 febbraio 1990, n. 666); la revisione per via giudiziale delle tabelle millesimali produce effetti tra i condòmini per il periodo successivo alla maturazione del giudicato (Cass., Sez. Un., 30 luglio 2007 n. 16794, in motivazione; Cass., sez. II, 27 luglio 2007, n. 16643). In dottrina si è osservato, in senso critico, che gli effetti costitutivi, una volta definitivamente consolidati, risalgono non già alla sentenza ma all'azione che è stata esperita e, quindi, all'intero processo, il quale sarebbe, quindi, da ritenere esso stesso costitutivo della tutela e non il solo provvedimento decisorio, con conseguente decorrenza degli effetti del giudicato sin dalla originaria domanda (Petrolati, op.cit.). In questa diversa prospettiva si è, altresì, argomentato che la decorrenza retroattiva della pronuncia costitutiva, una volta definitiva, all'epoca dell'introduzione del giudizio, è idonea ad contemperare le contrapposte esigenze di certezza delle posizioni soggettive e di effettività della loro tutela, vanificando nel contempo gli indebiti vantaggi conseguibili attraverso infondate resistenze nelle diverse fasi e nei vari gradi nei quali si può articolare il giudizio civile; il processo, quindi, tornerebbe ad essere neutrale in quanto la sua durata non inciderebbe sulla stessa nascita del diritto definitivamente costituito. Significativi riscontri di tali rilievi, imperniati sull'esigenza di effettività della tutela giurisdizionale ex art. 24 cost., si rinvengono in taluni recenti interventi in sede nomofilattica. Così, nell'ipotesi di fallimento del promittente venditore e di successiva sentenza ex art. 2932 c.c., si è da ultimo statuito che se la domanda di esecuzione specifica dell'obbligo a contrarre è stata trascritta anteriormente alla iscrizione del fallimento nel registro delle imprese, il curatore non può sciogliersi dal contratto preliminare ex art. 72 l. fall. con effetto verso il promissario acquirente, argomentandosi, in particolare, che: «Il legislatore ha risolto il conflitto affermando il principio ….. che la durata del processo non torni a danno di chi ha ragione. Per usare una metafora, potremmo dire che il legislatore ha fatto in modo che il tempo giuridico azzeri il tempo storico» (Cass., Sez. Un., 16 settembre 2015, n. 18131, in motivazione). In tema di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore è invalso, altresì, il principio secondo cui la costituzione in mora del conduttore, necessaria ex art. 1219 c.c. per gli obblighi risarcitori previsti dall'art. 1591 c.c., si determina «dalla data di proposizione della domanda, e non da quella del suo accoglimento, per il principio secondo il quale la durata del processo non può danneggiare l'attore» (Cass., sez. III, 30 settembre 2015, n. 19528). Risoluzione giudiziale: effetti
La pronuncia di risoluzione dei contratti a prestazione corrispettive, per inadempimento di una delle parti, pur avendo indubbiamente natura costitutiva, spiega tuttavia effetti retroattivi tra le parti ai sensi dell'art. 1458 c.c.. Così, in tema di appalto, si afferma, quindi, che un volta pronunciata la risoluzione i crediti ed i debiti derivanti dal contratto si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti, per ciascuno dei quali si verifica, a prescindere dall'imputabilità dell'inadempimento, rilevante ad altri fini, una totale restitutio in integrum (Cass., sez. I, 20 febbraio 2015, n. 3455); il prezzo delle opere nelle more già eseguite può essere, quindi, liquidato a titolo di equivalente pecuniario della dovuta restitutio (Cass., sez. II, 21 giugno 2013, n. 15705). Le condanne conseguenti alla risoluzione giudiziale, concernenti la restituzione delle prestazioni ricevute, devono, comunque, essere oggetto di specifiche domande e non possono, cioè, essere pronunciate di ufficio, rientrando nell'autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione (Cass., sez. III, 29 gennaio 2013, n. 2075; Cass., 2 febbraio 2009, n, 2562). L'efficacia retroattiva della sentenza di risoluzione trova il limite costituito dalle “prestazioni già eseguite” nell'ambito dei contratti ad esecuzione continuata o periodica (come nel contratto di somministrazione: Cass., sez. III, 19 ottobre 2007, n. 21973); sono da intendersi, al riguardo, come contratti di durata solo quelli in cui le obbligazioni di durata sorgono per entrambe le parti e l'intera esecuzione del contratto avviene attraverso coppie di prestazioni da realizzarsi contestualmente nel tempo (Cass., sez. I, 28 ottobre 2011, n. 22521, ove si è, quindi, escluso che in tale categoria possa rientrare il contratto di associazione in partecipazione). Nei contratti di durata, pertanto, la risoluzione giudiziale retroagisce soltanto fino al tempo dell'inadempimento posto a fondamento della pronuncia; di qui il rilievo che assume la maturazione della situazione di inadempienza al fine di stabilire la persistenza dei diritti spettanti al conduttore (come il diritto di riscatto ex art.39 l. n. 392/78: Cass.,sez. III, 19 aprile 2011, n. 8972; Cass., sez. III, 10 marzo 2010, n. 5771) ovvero per la verifica dello stesso interesse a promuovere il giudizio di risoluzione nonostante la sopravvenuta cessazione del rapporto di locazione per altra causa (Cass., sez. III, 9 luglio 2009, n. 16110; Cass., sez. III, 17 luglio 2008, n. 19695). L'efficacia retroattiva della pronuncia di risoluzione incontra, inoltre, il limite costituito dai diritti legittimamente acquisiti dai terzi, i quali abbiano prestato ragionevole affidamento sugli effetti prodotti nelle more dal contratto (art.1458, comma 2, c.c., ove si esclude espressamente che l'affidamento dei terzi possa essere tutelato in caso di anteriore trascrizione della domanda di risoluzione). Di qui l'affermazione secondo cui la sentenza di risoluzione del contratto di cessione di quote sociali di una società in nome collettivo, pur avendo effetto retroattivo tra le parti contrattuali, non consente di considerare il cedente come socio di quest'ultima anche nel periodo di tempo in cui le quote sono rimaste di fatto nella disponibilità del cessionario, atteso che, giusta la pubblicità di quel contratto effettuata sul registro delle imprese, i terzi che vengono in contatto con la società non potrebbero individuare come socio altri che il cessionario, così confidando sulla garanzia costituita dal suo patrimonio personale (Cass., sez. I, 15 luglio 2014, n. 16169). Casistica
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