Preclusioni alla proponibilità dell’opposizione all’esecuzione in tema di espropriazione forzata
Cesare Trapuzzano
14 Luglio 2016
L'art. 4, comma 1, lett. l), del d.l. 3 maggio 2016, n. 59, convertito con modificazioni in l. 30 giugno 2016, n. 119 (c.d. decreto banche), legge pubblicata sulla G.U. del 2 luglio 2016 ed entrata in vigore il 3 luglio 2016, modificando l'art. 615, comma 2, c.p.c., ha introdotto dei precisi sbarramenti temporali all'ammissibilità (rectius proponibilità) dell'opposizione all'esecuzione. Le modifiche richiamate di cui agli artt. 492, comma 3, e 615, comma 2, si applicano ai procedimenti di esecuzione forzata per espropriazione iniziati successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 59/2016 e perseguono una chiara finalità deflattiva: assicurare il risultato dell'esecuzione forzata, inibendo la sollevazione tardiva e pretestuosa di incidenti di esecuzione volti ad aggravare o posticipare la certezza dell'azione esecutiva.
Il nucleo della novella: introduzione di sbarramenti temporali
Il dettato testuale della disposizione introdotta dal d.l. n. 59/2016 prevede uno sbarramento temporale all'ammissibilità dell'opposizione all'esecuzione nell'espropriazione forzata, rappresentato dalla disposizione della vendita o dell'assegnazione, all'esito delle quali l'opposizione medesima diviene inammissibile, salvo che non si realizzino le condizioni derogatorie eccezionali contemplate dalla stessa disposizione, ossia l'emersione di ragioni di opposizione sopravvenute ovvero l'impossibilità di proporre l'opposizione anteriormente a tali sbarramenti temporali per causa non imputabile all'opponente esecutato. A tali effetti l'assegnazione è equiparata alla vendita. L'inserimento di tali preclusioni processuali deve essere letto in uno con l'ulteriore novità introdotta dalla medesima riforma, secondo cui l'atto di pignoramento deve contenere lo specifico avvertimento in ordine all'inammissibilità all'opposizione all'esecuzione, ove essa sia proposta successivamente all'ordinanza che dispone la vendita o l'assegnazione. Con riferimento a tale ultimo aspetto, la novella non stabilisce alcuna conseguenza derivante dall'omissione dell'avvertimento, sicché deve ritenersi che la sua eventuale deficienza non sia causa di nullità dell'atto di pignoramento, ma integri una mera irregolarità, sanabile con un'eventuale comunicazione successiva. Infatti, non potrà dedursene una causa di nullità dell'atto di pignoramento, trattandosi di una sanzione non prevista né espressamente né implicitamente dal nuovo testo della norma in esame. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare che, in tema di espropriazione forzata, è soltanto irregolare e non affetto da inesistenza né da nullità l'atto di pignoramento presso terzi che non contenga l'intimazione al terzo pignorato di non disporre, senza ordine del giudice, delle somme o cose da lui dovute al debitore esecutato, pur se questa appaia proveniente dall'ufficiale giudiziario, richiesto di effettuare il pignoramento, piuttosto che dal creditore pignorante, che è invece il soggetto tenuto all'incombente ai sensi dell'art. 543 c.p.c., comma 2, n. 2, c.p.c. (Cass. 3 aprile 2015, n. 6835). In applicazione del principio generale di cui all'art. 156 c.p.c., in base al quale la nullità non può essere pronunciata qualora l'atto abbia raggiunto lo scopo cui è destinato, l'atto di pignoramento non potrebbe ritenersi nullo. Invero, avuto riguardo alla struttura complessa dell'atto di pignoramento, l'eventuale errore contenuto nell'atto di pignoramento circa gli elementi di cui esso si compone dovrebbe essere valutato, nei confronti del debitore esecutato, in rapporto all'idoneità o meno dell'atto di pignoramento a raggiungere lo scopo suo proprio di atto iniziale del processo esecutivo, secondo la regola generale delle nullità degli atti processuali (Cass. 31 gennaio 2014, n. 2110). Sicché il vizio può essere sanato mediante notifica di un atto successivo da parte del creditore procedente (o di altro creditore intervenuto) prima della pronuncia dell'ordinanza di vendita. Con precipuo riguardo alla modifica dell'art. 615, comma 2, c.p.c., due prime annotazioni si impongono in ragione della testuale formulazione del terzo periodo di tale comma: per un verso, le preclusioni all'ammissibilità dell'opposizione all'esecuzione sono limitate alle sole fattispecie di espropriazione forzata, con la conseguenza che siffatti sbarramenti, come del resto già si evince sul piano ontologico, non sono estensibili all'esecuzione in forma specifica, avverso cui l'opposizione può essere spiegata sino alla consegna o rilascio del bene ovvero sino all'attuazione coattiva dell'obbligo di fare o dell'obbligo di disfare quando sia violato un obbligo di non fare; per altro verso, tale limitazione temporale dell'ammissibilità (rectius proponibilità) dell'opposizione all'esecuzione nell'espropriazione forzata persegue un chiaro scopo deflattivo, ossia mira a salvaguardare la celerità della chiusura della procedura esecutiva, inibendo la possibilità di utilizzare rimedi a cognizione ordinaria incidentali all'esecuzione con finalità dilatorie e defatiganti o comunque all'esito dell'ultimazione della vicenda esecutiva in ragione della compiuta vendita o assegnazione del bene immobile, del mobile o del credito oggetto dell'espropriazione forzata. Pertanto, in assonanza con la posizione assunta in merito dalla giurisprudenza di legittimità, l'utilizzazione dello strumento rimediale dell'opposizione all'esecuzione, a cura del debitore esecutato, è in linea di principio inibita una volta che il processo esecutivo si sia chiuso con la vendita o l'assegnazione, salvo che non si verifichino i presupposti eccezionali che consentono la proposizione di detta opposizione anche oltre il momento temporale in cui il bene aggredito in via esecutiva sia stato forzatamente alienato a terzi ovvero assegnato al creditore procedente o ad uno dei creditori intervenuti. Ed infatti, una volta che il bene oggetto dell'espropriazione forzata sia uscito dalla sfera di disponibilità giuridica del debitore esecutato, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata è tardiva, anche perché si discosta dalla direzione teleologica a cui tale strumento processuale mira, ossia la possibilità di recuperare il bene aggredito esecutivamente in natura.
Presupposti
Per l'effetto, sulla previsione in commento influiscono due prospettive: da un lato, quella di assicurare uno sbarramento certo, integratosi il quale l'opposizione è sicuramente impedita; dall'altro, quella di inibire l'opposizione all'esito della conclusione del processo esecutivo, anche quando ancora residui l'appendice della fase distributiva del ricavato in conseguenza del perfezionamento della vendita o dell'assegnazione. Sotto il primo profilo, la ratio della riforma è riconducibile all'individuazione di un termine ultimo determinato (disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli artt. 530, 552 e 569 c.p.c.), oltrepassato il quale il debitore, od un eventuale terzo interessato, non possono intraprendere alcuna azione in opposizione per contestare il diritto del creditore procedente od intervenuto. Sotto il secondo profilo, il legislatore ha recepito in parte l'orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo cui la proposizione dell'opposizione del debitore all'esecuzione è preclusa quando il processo esecutivo si sia ormai concluso. Poiché l'esecuzione forzata si realizza con l'ordinanza di assegnazione (od aggiudicazione), che costituisce, sul piano morfologico non meno che su quello funzionale, l'atto finale del procedimento di espropriazione e che è quindi compresa nella categoria degli atti di esecuzione contro i quali è esperibile il rimedio dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. (Cass. 20 novembre 1990, n. 11195; Cass. 12 ottobre 1995, n. 10626; Cass. 20 giugno 1996, n. 5712; Cass. 6 settembre 1996, n. 8153; Cass. 26 agosto 1997, n. 8013; Cass. 29 ottobre 2003, n. 16232; Cass. 8 luglio 2005, n. 14451), dopo che tale ordinanza sia stata pronunciata non è proponibile alcuna forma di opposizione che, sotto il profilo dell'impignorabilità, riguardi la stessa ordinanza di assegnazione (od aggiudicazione), atteso che l'opposizione all'esecuzione presuppone la pendenza di un giudizio di esecuzione, di modo che, quando questo si è consumato, giacché lo scopo dell'esecuzione è stato raggiunto attraverso l'assegnazione, non è più possibile intervenire su un processo esecutivo che non esiste più (Cass. 1 ottobre 1994, n. 7993; Cass. 20 ottobre 1997, n. 10259; Cass. 11 febbraio 1999, n. 1150).
Eccezioni
In ogni caso, quand'anche sia decorso l'ultimo momento utile per la proposizione dell'opposizione all'esecuzione, con la disposizione, a cura del giudice dell'esecuzione, della vendita o dell'assegnazione, detta opposizione è comunque ammissibile ove ricorrano le condizioni eccezionali prescritte dalla novella, che - per il loro tenore di condizioni derogatorie della regola preclusiva stabilita in via principale - devono essere lette in termini rigorosi e restrittivi. Si tratta di fattispecie riconducibili all'istituto delle sopravvenienze, rispettivamente in senso oggettivo e in senso soggettivo, che già sotto il profilo delle preclusioni istruttorie nel giudizio di prime cure e nel giudizio di gravame costituiscono un necessario temperamento dell'applicazione del principio di eventualità, letto in chiave costituzionalmente orientata: intanto può essere precluso alla parte di avvalersi di determinate facoltà oltre predeterminati sbarramenti, in quanto ciò sia in qualche modo ascrivibile alla parte interessata. Ne discende che, ove la possibilità di avvalersi dell'esercizio di determinate facoltà, e nella specie della possibilità di proporre l'opposizione all'esecuzione, dipenda dalla verificazione di fatti che maturino successivamente all'integrazione temporale dello sbarramento, la preclusione stabilita in astratto non può operare. Così, ove si determini una caducazione del titolo esecutivo successiva alla vendita o all'assegnazione, non è impedito al debitore esecutato di spiegare l'opposizione all'esecuzione all'esito dell'integrazione del fatto caducatorio, nonostante il decorso del limite temporale astrattamente regolato dalla norma. Si pensi all'adempimento spontaneo del debitore ovvero all'accertamento definitivo in sede giudiziale dell'insussistenza del credito, a fronte di un titolo provvisoriamente esecutivo. Allo stesso modo, ove l'inesistenza originaria del titolo esecutivo, la caducazione postuma del titolo stesso o l'impignorabilità del bene oggetto di esecuzione forzata siano conosciute dal debitore esecutato in epoca successiva alla vendita o all'assegnazione, e ciò per causa a lui non imputabile, il medesimo debitore potrà avvalersi della facoltà di spiegare l'opposizione oltre i limiti stabiliti dalla disposizione. Nondimeno siffatte sopravvenienze soggettive devono essere intese in modo rigido, affinché tale previsione derogatoria non costituisca nella pratica uno strumento elusivo, una comoda via d'uscita, della limitazione cronologica dettata dalla norma in via generale. Pertanto, qualora il vizio originario o successivo che inficia il titolo esecutivo o il limite di pignorabilità che riguarda il bene aggredito siano ignorati dal debitore colpevolmente, ciò non ammette la proponibilità successiva dell'opposizione: la conoscibilità a priori, attraverso l'uso dell'ordinario grado di diligenza, delle ragioni dell'opposizione costituisce una condizione ostativa della proponibilità dell'opposizione. Solo in presenza di una causa non imputabile all'opponente possono essere garantiti i diritti del debitore o dei terzi interessati al regolare e legittimo compimento della procedura esecutiva. In particolare, non rientra nel novero delle cause non imputabili l'ignoranza connessa all'omesso avvertimento dell'atto di pignoramento circa i limiti entro cui può essere proposta l'opposizione all'esecuzione. Ne consegue che, affinché possa ritenersi integrato il presupposto della conoscenza successiva delle ragioni di opposizione per causa non imputabile al debitore esecutato, devono ricorrere situazioni riconducibili alle figure generali del caso fortuito o della forza maggiore. Si pensi alla mancata conoscenza dei fatti che legittimano la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata mediante opposizione, dipendente dalla circostanza che il debitore esecutato, nel momento in cui tali fatti si sono realizzati, si trovava all'estero per sottoporsi ad un delicato intervento chirurgico, con tempi prolungati di riabilitazione. Il relativo onere probatorio, sia quanto alla sopravvenienza del fatto che propizia l'opposizione, sia quanto alla ricorrenza di una causa non imputabile della conoscenza sopravvenuta di un fatto pregresso, sono a carico dell'opponente. Sul piano oggettivo, si dovrà trattare di fatti sopravvenuti in senso cronologico, ossia accaduti in un momento successivo. Sul piano subiettivo, la nozione di causa non imputabile dovrà sostanziarsi in un impedimento effettivo e tangibile, a nulla rilevando eventuali situazioni di ignoranza o stati soggettivi. La carenza di dimostrazione sul punto importa l'inammissibilità dell'opposizione. Tale previsione supera e risolve molti dei problemi evidenziati dalla giurisprudenza, peraltro nella stessa direzione di massima segnata dalla novella, ossia volta a tracciare una linea, dal punto di vista cronologico, oltre la quale l'opposizione all'esecuzione non può in via generale essere più proposta.
Coordinamento con la previsione che demanda al giudice dell'esecuzione la risoluzione delle controversie insorte in sede esecutiva
Resta da chiedersi, in osservanza del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., di quali mezzi di protezione disponga il debitore esecutato che intenda contestare l'esistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, a fronte di un processo esecutivo già definito con la vendita o l'assegnazione, quando le ragioni di tale inesistenza non siano sopravvenute né siano ignote per causa non imputabile. E ciò anche alla stregua del principio consolidato secondo cui il giudice dell'esecuzione, in ogni tempo, può rilevare, anche d'ufficio, il difetto del diritto di procedere a esecuzione forzata, quale presupposto su cui si incardina l'intera procedura esecutiva. Ed infatti, la previsione di rigide preclusioni temporali, che trova applicazione in tutti i tipi di espropriazione forzata (immobiliare, mobiliare diretta presso il debitore o presso terzi), sembra confliggere con il potere/dovere del giudice dell'esecuzione di rilevare, anche d'ufficio, l'inesistenza originaria o la caducazione successiva del titolo esecutivo in ogni stato e grado del giudizio, in quanto l'esistenza di un valido titolo esecutivo costituisce presupposto dell'azione esecutiva (Cass. 9 luglio 2001, n. 9293; Cass. 19 maggio 2011, n. 11021), e con il principio secondo cui il titolo deve permanere per tutta la durata dell'opposizione - nulla executio sine titulo (ma sul punto vedi Cass. S.U. 7 gennaio 2014, n. 61). Il giudice dell'esecuzione può rilevare sia l'inesistenza originaria del titolo esecutivo sia la sua sopravvenuta caducazione, che - entrambe - determinano l'illegittimità dell'esecuzione forzata con effetto ex tunc. Al riguardo, si osserva che, qualora, all'esito della vendita o dell'assegnazione, sia ancora pendente la fase distributiva del ricavato, il debitore esecutato che reclami la carenza originaria o sopravvenuta del titolo può intraprendere una controversia in sede distributiva, ai sensi dell'art. 512 c.p.c., facendo valere appunto l'insussistenza del credito, il che apre una fase endoprocessuale che si conclude con ordinanza del giudice dell'esecuzione. In tale evenienza, la possibile fondatezza della controversia sull'an (esistenza) o sul quantum debeatur (ammontare) del credito per cui si agisce esecutivamente non giustificherà comunque il recupero in natura del bene venduto o assegnato, ma consentirà al debitore esclusivamente di ottenere la ripetizione del ricavato che si sarebbe dovuto distribuire ai creditori. Qualora le ragioni dell'opposizione siano fatte valere successivamente alla fase distributiva, l'esecutato potrà invece intraprendere un'azione ordinaria e instaurare un processo di cognizione per invocare il risarcimento dei danni.
In conclusione
La previsione di precisi sbarramenti temporali all'esperibilità dell'opposizione all'esecuzione, riconducibili al momento in cui il bene oggetto di espropriazione forzata passa nella sfera giuridica di soggetti terzi, alla stregua della vendita o dell'assegnazione, è funzionale al perseguimento di una finalità acceleratoria della procedura esecutiva, volta a garantire in tempi più contingentati l'attuazione del diritto non soddisfatto e a prevenire i contegni dilatori e l'uso strumentale di azioni che costituiscano un mero espediente per ostacolare la realizzazione della pretesa di cui sia reclamata tutela. Sicché, a fronte della fruttuosa conclusione del processo esecutivo, la distribuzione del ricavato rappresenta una mera appendice, nel corso della quale l'opposizione all'esecuzione non può essere proposta. Nondimeno, siffatta finalità deve essere contemperata con l'esigenza della difesa effettiva del debitore esecutato, il quale intenda sollevare, benché successivamente all'integrazione di detti sbarramenti, censure significative avverso il diritto di procedere ad esecuzione forzata. In queste ipotesi, il diritto di difesa dell'esecutato è comunque assicurato, sia con la previsione della proponibilità dell'opposizione anche oltre l'integrazione delle preclusioni, in conseguenza della maturazione di fatti rilevanti sopravvenuti o della conoscenza successiva non imputabile a colpa di fatti rilevanti pregressi, sia con la possibilità recepita dall'ordinamento di trasferire simili doglianze nella fase distributiva attraverso l'instaurazione di una controversia sul punto demandata in via endoprocessuale al giudice dell'esecuzione. Ma anche dopo l'appendice della distribuzione del ricavato, l'emersione di fatti giuridicamente rilevanti non può impedire il ricorso ad un'ordinaria azione risarcitoria, che reintegri per equivalente il patrimonio dell'esecutato leso da una procedura esecutiva avviata e/o ultimata illegittimamente.
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