Sospensione della delibera impugnata

17 Ottobre 2023

Nella prassi, sono rari i casi in cui il condomino, che introduca una causa di impugnazione della delibera condominiale, non chieda anche, fin dall'atto iniziale, la sospensione dell'efficacia esecutiva della medesima delibera, con la formula ormai standard inserita nelle conclusioni «previa sospensione dell'esecutività»; premesse, quindi, alcune brevi considerazioni sulla natura di tale provvedimento, si analizzeranno i presupposti di tale inibitoria (non indicati dal legislatore nel testo del pur novellato art. 1137 c.c.), si verificherà la possibilità di proporla ante causam e si passeranno in rassegna le possibili implicazioni connesse all'inquadramento di tale provvedimento all'interno del procedimento cautelare uniforme.

Inquadramento

*Aggiornamento a cura di A. Celeste

Il testo dei riformulati commi 3 e 4 dell'art. 1137 c.c. - ad opera della l. n. 220/2012 - mantiene le espressioni adottate in precedenza ma contiene anche interessanti aggiunte:

"3. L'azione di annullamento non sospende l'esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità giudiziaria.

4. L'istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell'inizio della causa di merito non sospende né interrompe il termine per la proposizione dell'impugnazione della deliberazione. Per quanto non espressamente previsto, la sospensione è disciplinata dalle norme di cui al libro IV, titolo I, capo III, sezione I, con l'esclusione dell'articolo 669-octies, sesto comma, del c.p.c."

In effetti, quanto ai presupposti, il suddetto capoverso continua a non precisare quali siano i criteri di valutazione a cui deve attenersi il giudice nella decisione sull'istanza di sospensione dell'efficacia della deliberazione impugnata, anche se, configurandosi come una misura cautelare, si individuano i presupposti dell'inibitoria nei tradizionali requisiti del c.d. fumus boni iuris e del c.d. periculum in mora (sul versante della giurisprudenza di merito, in difetto di pronunce dei giudici di legittimità, v. Trib. Lecce 4 settembre 1991).

I presupposti dell'inibitoria

In ordine al primo - il fumus - è innegabile che la delibazione della fondatezza dell'impugnazione costituisca un momento necessario della valutazione demandata al giudice; l'accertamento del fumus attiene, infatti, alla possibilità di esistenza del diritto di cui viene chiesta la cautela, per cui la domanda non dovrebbe apparire prima facie infondata, sia pure nella sommarietà della delibazione.

Per quanto concerne il secondo requisito - il periculum - generalmente si ritiene che debbano richiedersi gli stessi presupposti per la concessione del provvedimento ex art. 700 c.p.c.

Tuttavia, il concetto di "irreparabilità" non può essere inteso in senso assoluto, perché, a stretto rigore, è irreparabile soltanto il pregiudizio che non solo sia suscettibile di reintegrazione in forma specifica, ma non sia neppure risarcibile per equivalente, ma così significherebbe, di fatto, escludere o gravemente circoscrivere l'applicabilità pratica dell'istituto, in quanto una deliberazione condominiale non può quasi mai essere fonte di un pregiudizio irreparabile, soprattutto considerando la sua provenienza da un soggetto collettivo che, di regola, risulta in grado di offrire le più ampie garanzie per l'eventuale reintegrazione della lesione patrimoniale derivata al condomino dall'esecuzione della deliberazione impugnata, salvo concedere l'inibitoria solo in relazione a decisioni comportanti innovazioni vietate, suscettibili di compromettere la statica dello stabile condominiale, o implicanti notevoli modificazioni dello stato dei luoghi attraverso demolizioni, ricostruzioni, ampliamenti, oppure quando vi è un pericolo di danno alla salute degli abitanti (in proposito, Trib. Ariano Irpino, 25 ottobre 2005, ha affermato che la sospensione dell'esecutività della deliberazione assembleare può essere concessa, però, allorquando si appalesa un pregiudizio patrimoniale tout court, non dovendo il concetto di danno essere inteso in modo rigoroso e restrittivo, ovverosia come danno imminente ed irreparabile).

Sarebbe stato, quindi, preferibile adottare un'espressione in linea con gli artt. 23 e 2378 c.c., che subordinano la sospensione delle deliberazioni associative e societarie alla sussistenza di giusti motivi, poiché quest'ultimo concetto, più generico e, quindi, più duttile, consente una valutazione comparata dei contrapposti interessi in gioco: e precisamente, da un lato, l'interesse del condomino impugnante ad una tutela immediata delle proprie ragioni e, dall'altro, l'interesse del condominio resistente a che la funzionalità della gestione della cosa comune non venga pregiudicata da comportamenti dilatori.

In evidenza

In altri termini, il giudice dovrà valutare le conseguenze pratiche che la sua decisione sull'inibitoria potrà avere nei confronti dei soggetti coinvolti nel giudizio di impugnazione, comparando, da un lato, il danno che subirebbe il condomino a seguito dell'esecuzione della deliberazione impugnata e, dall'altro, il danno che subirebbe viceversa il condominio in connessione alla sospensione della stessa.

La proponibilità ante causam

Il testo riformato, al comma 4 dell'art. 1137 c.c., prevede espressamente che si possa chiedere l'inibitoria "prima dell'inizio della causa di merito", precisando, però, che tale presentazione non sospende né interrompe il termine per impugnare la stessa deliberazione di cui al comma 2 dell'art. 1137 cit.; in precedenza, si era reputata, invece, inammissibile la proposizione dell'istanza anteriormente al ricorso per l'annullamento della deliberazione, costituendo l'impugnativa di questa "l'antecedente logico necessario e il presupposto giuridico della sospensione" (così Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 1959, n. 3033).

Si deve, però, riconoscere che gli strettissimi termini di decadenza (30 giorni), entro i quali le impugnazioni alle deliberazioni delle assemblee devono essere proposte - quantomeno con riferimento a quelle annullabili, che risultano, peraltro, le più frequenti sotto il profilo statistico - inducono ad escludere che il provvedimento cautelare di sospensione dell'esecuzione possa essere richiesto ante causam, con conseguente pratica inapplicabilità dell'art. 669-ter c.p.c., nel senso che assai raramente il condomino avrà interesse a proporre l'istanza cautelare separatamente dalla domanda di impugnazione della deliberazione.

Al contempo, non può in teoria escludersi che tale interesse sia talvolta configurabile, ad esempio nelle ipotesi di eccezionale urgenza; in pratica, da un lato, sarà necessario che il condomino, che chieda ante causam un provvedimento di sospensione della deliberazione, offra un'idonea giustificazione dell'impossibilità di attendere l'instaurazione del giudizio di impugnazione ex art. 1137 c.c., e, dall'altro, occorrerà fare bene attenzione al fatto che, una volta proposta in via autonoma l'istanza di sospensione, l'impugnazione della deliberazione dovrà essere proposta entro il termine di 30 giorni decorrente dalla data della deliberazione o dalla comunicazione della stessa, e non entro quello (ora di 60 giorni) di cui all'art. 669-octies c.p.c. decorrente dal provvedimento di accoglimento (v. anche appresso).

Una volta ritenuta l'ammissibilità della proposizione autonoma dell'istanza di sospensiva, la domanda cautelare si proporrà con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente a conoscere del merito, facendo sempre attenzione al fatto che al giudice di pace sono inibiti poteri cautelari (artt. 669-ter, comma 2, e 669-quater, comma 3, c.p.c.).

In estrema sintesi, secondo il sistema delineato dalla Riforma del 2013, l'istanza di sospensione può essere proposta:

a) in forma autonoma, e cioè prima dell'impugnazione della deliberazione assembleare (ciò si può configurare in casi eccezionali);

b) contestualmente all'impugnazione medesima, quando l'inibitoria sia richiesta con l'atto di citazione introduttivo della causa (questa è l'ipotesi più diffusa);

c) in corso di causa, con ricorso ad hoc depositato in cancelleria o con dichiarazione a verbale di udienza da parte del procuratore del condomino-attore (allorché si verifichino successivamente circostanze inesistenti all'inizio del giudizio, o che comunque in un primo tempo non avevano carattere di urgenza, v. gli artt. 669-quater e 669-decies c.p.c.).

L'applicabilità del procedimento cautelare uniforme

Per la disciplina della sospensione, il nuovo comma 4 dell'art. 1137 c.c. rinvia, «per quanto non espressamente previsto», al procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669-bis ss. c.p.c.: infatti, è innegabile che il provvedimento di sospensione dell'efficacia della deliberazione impugnata costituisca espressione del più esteso principio di tutela cautelare, di cui possiede la ratio peculiare, e cioè il fine di evitare che la durata del processo pregiudichi la situazione giuridica soggettiva di cui è chiesta la tutela, assicurando così l'effettività della funzione giurisdizionale.

Più nel dettaglio, nell'ipotesi particolare del provvedimento ex art. 1137 c.c., i presupposti della tutela cautelare sussistono pienamente, in quanto, innanzitutto, la sospensione mira ad evitare che il diritto del condomino possa essere leso o altrimenti pregiudicato dall'esecuzione della deliberazione impugnata; inoltre, l'inibitoria non è fine a se stessa, ma è preordinata all'adozione della sentenza finale di merito, di cui assicura, in via preventiva, anticipandone o conservandone gli effetti, la fruttuosità; infine, la futura pronuncia di annullamento è destinata a sostituirsi alla misura cautelare, che ha carattere solo temporaneo.

Si può, quindi, affermare che il provvedimento ex art. 1137 c.c. abbia carattere strumentale e servente rispetto a quello di impugnazione della deliberazione: in buona sostanza, se la domanda è accolta e la deliberazione è annullata, la sospensiva resta assorbita dalla pronuncia maggiore, mentre, se viene rigettata l'impugnazione, in relazione alla quale il provvedimento cautelare era stato concesso, quest'ultimo sarà caducato.

Premesso quanto sopra, è significativo l'intento di inquadrare il relativo procedimento nella nuova disciplina dei procedimenti cautelari in generale prevista dagli artt. 669-bis ss. c.p.c.; l'obiettivo della riforma del 1995, in proposito, era stato quello di dettare la disciplina di un procedimento comune a tutte le misure cautelari, delle quali si sarebbero conservate soltanto le disposizioni relative all'individuazione delle fattispecie (v. il rinvio operato "agli altri provvedimenti cautelari previsti dal codice civile" dall'art. 669-quaterdecies c.p.c.); pertanto, se è indubbia la natura cautelare del provvedimento di sospensione della deliberazione impugnata, il problema dell'applicabilità o meno ad esso della disciplina del procedimento cautelare uniforme si sposta, e si concentra, sulla lettura che si fa del parametro della “compatibilità”.

Comunque, si realizza un sub-procedimento che si inserisce, con una sua autonomia, nell'àmbito di quello relativo alla domanda principale; salva la peculiarità in ordine alla proponibilità dell'istanza ante causam, sono stati, quindi, richiamati espressamente in proposito gli artt. 669-bis ss. c.p.c., relativi ai "procedimenti cautelari in generale" (restando ferma l'incompetenza del giudice di pace sul punto), per cui:

- il giudice deve sentire le parti, e provvedere con ordinanza, salvo emettere decreto inaudita altera parte e fissare entro 15 giorni l'udienza di comparizione delle parti ai fini della conferma/modifica/revoca dello stesso con ordinanza;

- lo stesso giudice può modificare/revocare, sempre su istanza di parte, il provvedimento di sospensione «se si verificano mutamenti delle circostanze» (art. 669-decies c.p.c.);

- è ammissibile il reclamo secondo la procedura e con i limiti previsti dalla novella, e lo stesso riguarda i provvedimenti di accoglimento e di rigetto della sospensione (art. 669-terdecies c.p.c.);

- l'istanza cautelare, pur se rigettata, può essere riproposta (art. 669-septies c.p.c.).

Il novellato comma 4 dell'art. 1137 c.c. esclude espressamente soltanto l'applicazione dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c. (così come modificato dalla l. n. 80/2005), il quale stabilisce, in buona sostanza, che, per determinati provvedimenti cautelari, non c'è l'obbligo di instaurare il giudizio di merito, sicché il giudizio di impugnazione della deliberazione dovrebbe comunque essere instaurato se si vuole evitare il venire meno del concesso provvedimento di inibitoria; a ben vedere, tale norma, contemplata per i provvedimenti cautelari c.d. anticipatori, era rivolta a non costringere la parte vittoriosa ad instaurare il giudizio di merito dopo la fase cautelare, essendo quest'ultimo appunto facoltativo, mentre la Riforma, rendendo tale incombente obbligatorio a seguito dell'inibitoria ex art. 1137 c.c., di fatto, impone al condomino impugnante lungaggini processuali e spese legali evitabili, laddove poteva essere pienamente soddisfatto dall'adottato provvedimento di sospensiva.

In questa prospettiva, il comma 11 dell’art. 1 del d.lgs. n. 149/2022 (c.d. Riforma Cartabia)ha espunto, dal comma 4 del summenzionato art. 1137 c.c., la frase “con esclusione dell'art. 669-octies, sesto comma, del codice di procedura civile”, al chiaro fine di allinearne il testo alle modifiche apportate al comma 6 dell’art. 668-octies c.p.c., che ora è del seguente tenore: “Le disposizioni di cui al presente articolo e al primo comma dell’articolo 669-novies non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’articolo 688 e ai provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari adottati ai sensi dell’articolo 1137, quarto comma, del codice civile, ma ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito” (peraltro, anche il comma 8 dello stesso art. 669-octies c.p.c. è mutato, nel senso che “l’estinzione del giudizio di merito non determina l’inefficacia dei provvedimenti di cui al sesto comma, né dei provvedimenti cautelari di sospensione dell’efficacia delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa”).

Alla luce di tali modifiche, pertanto, confermando il regime di c.d. strumentalità attenuata, non è più necessario prevedere l’esclusione dell’applicazione della suddetta disposizione processuale, atteso che, in attuazione del principio di delega (comma 17, lettera q), sono state apportate le modifiche all’art. 669-octies c.p.c. al fine di prevedere, al comma 6, che il regime di non applicazione del procedimento di conferma previsto dall’art. 669-octies c.p.c. e dal comma 1 dell’art. 669-novies c.p.c. si applichi anche ai provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari, adottati ai sensi dell’art. 1137, comma 4, c.c., fermo restando, comunque, la facoltà di ciascuna parte di instaurare il giudizio di merito (si pensi al condominio soccombente, destinatario passivo della misura cautelare, il quale potrebbe avere interesse a proporre una domanda di accertamento negativo dell’intervenuta decadenza, oppure il condomino, vittorioso in sede cautelare, il quale potrebbe avere interesse ad ottenere ulteriori statuizioni ripristinatorie, restitutorie o risarcitorie).

L’intervento riformatore si occupa, tuttavia, delle sospensive di cui al comma 4 dell’art. 1137 c.c., ossia quelle ottenute ante causam, e non di quelle eventualmente ottenute lite pendente, che, peraltro, dovrebbero essere quelle statisticamente più frequenti, stante che il condominio che impugna la delibera chiede anche, contestualmente, la sospensione della sua efficacia.

L'ambito di operatività

La giurisprudenza di legittimità è costante nell'affermare che l'art. 1137 c.c. riguarda unicamente le delibere annullabili e, al contempo, nel ritenere escluse da questa norma le delibere nulle (v., tra le tante, Cass. civ., sez. II, 8 giugno 1996, n. 5334; Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1995, n. 1890; Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1994, n. 3946; Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 1993, n. 1213); ne consegue che l'azione di annullamento, esercitabile soltanto dal condomino assente o dissenziente, rimane soggetta al termine di decadenza di 30 giorni, mentre quella di nullità, che è di mero accertamento, risulta imprescrittibile e può essere promossa da chiunque.

Tuttavia, la stessa giurisprudenza (v., tra le pronunce di merito, Trib. Mantova 15 dicembre 1961) è unanime nel ritenere che la sospensione dell'efficacia delle delibere assembleari può invocarsi non solo in relazione alle delibere affette da mera annullabilità, ma anche riguardo a quelle inficiate da nullità, malgrado le stesse siano al di fuori dell'ambito dell'art. 1137 c.c., sussistendo comunque l'esigenza di evitare ai condomini interessati un pregiudizio; in pratica, la sospensione de qua è stata concessa in tutti i casi in cui non concederla avrebbe potuto provocare un qualunque danno comunque irreparabile, così giustificando tale orientamento largheggiante quantomeno in via di analogia iuris, anche sotto il profilo dell'equità.

Si tratta, evidentemente, di una contraddizione, in quanto si finisce con il realizzare un'arbitraria selezione delle statuizioni contenute nel citato art. 1137 c.c., da un lato, considerando quest'ultimo disposto applicabile solo all'azione di annullamento e, dall'altro, ammettendo che le delibere nulle possano essere sospese ai sensi del comma 2 dell'articolo in oggetto.

Non si può nascondere, al contempo, che un tale orientamento sia certamente ispirato da esigenze pratiche, in quanto è difficile sostenere sul piano logico che il Legislatore abbia contemplato la sospensione dell'esecuzione in relazione ad una delibera annullabile (per esempio, per mera incompletezza dell'ordine del giorno), e non, invece, con riferimento ad una delibera nulla (per esempio, per approvazione a maggioranza delle tabelle millesimali); ragionare diversamente condurrebbe a conseguenze paradossali, superabili soltanto attraverso il ricorso alla procedura cautelare atipica d'urgenza ex art. 700 c.p.c., oppure mediante un intervento razionalizzante della Corte Costituzionale.

Di diverso avviso rispetto all'elaborazione della giurisprudenza, una parte della dottrina (Celeste) ha sostenuto che tutte le delibere assembleari invalide siano soggette al regime di impugnazione di cui all'art. 1137 c.c., in quanto il legislatore, mediante la decadenza comminata nel capoverso del predetto articolo, ha voluto eliminare ogni incertezza, ammettendo che la delibera, viziata o meno, diventa efficace dopo trascorso il termine previsto per l'impugnativa, salva la sussistenza di eventuali carenze che si traducano in una sostanziale inesistenza del provvedimento.

Alla luce di queste ricostruzioni dottrinali, ne consegue che il condomino interessato, a fronte di una delibera illegittima, non rileva se nulla o annullabile, agirà ex art. 1137 c.c., con l'ovvia facoltà anche di chiederne la sospensione; a fronte di una delibera inesistente, invece, non dovrà impugnare la delibera, ma potrà farne valere l'inefficacia e la non obbligatorietà, in via di azione o di eccezione, chiedendo l'accertamento del suo diritto, non “scalfito” dalla delibera in questione, ed eventualmente invocando, in via cautelare, l'azione atipica di cui all'art. 700 c.p.c.

Con riferimento all'ambito di applicazione dell'inibitoria, si può, innanzitutto, convenire che il provvedimento di sospensione dell'efficacia della delibera impugnata possa essere concesso soltanto se lo stesso si riveli utile, se cioè sia idoneo a realizzare la funzione cautelare che gli è propria; deve, quindi, ritenersi inammissibile l'istanza de qua nel caso in cui il provvedimento condominiale sia stato completamente eseguito e gli effetti si siano pienamente realizzati.

Va, al contempo, sottolineato che la previsione dell'art. 1137 c.c. è generica e indeterminata, e ricomprende tutti i provvedimenti assembleari, comunque formulati, qualunque ne sia il contenuto o le modalità di attuazione, purché siano suscettibili di arrecare un pregiudizio giuridicamente rilevante agli interessi del condomino impugnante.

Invero, la ratio della norma è quella di evitare che l'atto invalido possa spiegare l'efficacia di cui è comunque dotato, rendendo vano lo svolgimento del giudizio di impugnazione; così per le delibere che impongono un obbligo di dare, come quella di approvazione dello stato di ripartizione di determinate spese, giova richiamare l'efficacia loro riconnessa dall'art. 63 disp. att. c.c. in tema di riscossione di contributi condominiali; così per le delibere che non necessitano di attuazione, come quelle di nomina dell'amministratore o di modifica del regolamento condominiale, basta ricordare, se adottate illegittimamente, le possibili gravi irregolarità nella vita della collettività condominiale e le ripercussioni negative sull'organizzazione interna del condominio.

Peraltro, è rilevante sottolineare come la delibera assembleare non costituisca un titolo esecutivo, in quanto il concetto di “esecuzione” che figura nella norma è usato dal Legislatore in senso atecnico, in riferimento alla generale capacità dell'atto di esplicare un'efficacia obbligatoria per i condomini; quindi, in relazione a tale genericità del disposto normativo, sembra preferibile ritenere che l'ambito di operatività dell'istituto della sospensione ricomprenda anche quelle delibere che non necessariamente richiedano un'attività integrativa di esecuzione, non potendosi escludere un interesse del condomino a ottenere l'inibizione in via interinale del carattere obbligatorio della delibera, in funzione di una generica esigenza di tranquillità dei rapporti condominiali.

Resta inteso che, qualora il condominio esegua una delibera quantunque sospesa, realizza un'attività che incide nell'ambito condominiale, prescindendo da un efficace atto deliberativo, con la conseguente ammissibilità di un'azione del condomino per eliminare gli effetti materiali dell'esecuzione (salvo il risarcimento dei danni); se, invece, lo stesso condominio adotta una nuova delibera che riproduce sostanzialmente quella oggetto dell'inibitoria, nulla quaestio nel caso in cui la medesima delibera sia convalidabile, altrimenti la nuova statuizione dovrà a sua volta essere impugnata e sospendibile (salvo sempre il risarcimento dei danni).

Casistica

CASISTICA

Inammissibilità del provvedimento d'urgenza

È inammissibile il ricorso alla tutela urgente innominata di cui all'art. 700 c.p.c. al fine di ottenere la sospensione ante causam dell'esecuzione di una delibera assembleare di condominio, stante l'esistenza del rimedio cautelare tipico di cui all'art. 1137 c.c. (Trib. Nocera Inferiore 1 febbraio 2001).

Spossessamento in danno dei condomini

L'obbligatorietà della delibera dell'assemblea per tutti i condomini, espressamente prevista dal comma 1 dell'art. 1137 c.c., comporta l'automatica operatività della stessa fino all'eventuale sospensione del provvedimento nel giudizio di impugnazione, ai sensi del comma 2 del citato articolo; ne deriva che, in difetto di sospensione, l'esecuzione di una delibera assembleare, non dà luogo a spossessamento in danno di taluno dei condomini, in quanto a venire in considerazione è la nuova situazione di fatto e non quella modificata dalla delibera (Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 1996, n. 1093 ).

Ricorso cautelare ante causam

In virtù del principio tempus regis actum, deve ritenersi che il ricorso cautelare ante causam per la sospensione di delibera assembleare proposto il 21 giugno 2013 sia ammissibile in quanto retto dal comma 4 del novellato art. 1137 c.c., entrato in vigore il 18 giugno 2013 (fattispecie nella quale il collegio ha riformato la decisione del giudice monocratico che, al contrario, aveva dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo la fattispecie regolata dalla legge vigente al momento in cui si era perfezionato il diritto di impugnare la delibera assembleare, coincidente con il giorno iniziale di decorrenza del termine di trenta giorni, antecedente all'entrata in vigore della riforma del condominio) (Trib. Bergamo 23 agosto 2013).

Sussistenza del pregiudizio irreparabile

Sussiste il pregiudizio irreparabile, ossia il presupposto del c.d. periculum in mora che, al pari di quello del c.d. fumus boni iuris, deve condizionare la concessione del provvedimento di sospensione dell'esecutività della delibera impugnata, allorquando non sia possibile, o sia oltremodo difficile, la riparazione in forma specifica della posizione giuridica lesa dall'esecuzione della predetta delibera (Trib. Napoli 19 novembre 2003).

Decorrenza dei termini per la mediazione In tema di citazione con la quale si chieda di dichiarare la sospensione di una delibera condominiale e di dichiarare che il condominio è tenuto a rielaborare le ripartizioni di spesa, qualora la mediazione sia fallita e, in pari data, venga depositato il relativo verbale negativo presso la segreteria dell'organismo, va affermato che contestualmente riprende a decorrere il termine dei 30 giorni previsto ex lege per l'impugnazione della delibera (Trib. Palermo 18 settembre 2015).

Riferimenti

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Vaccari, Riforma processo civile: le modifiche al procedimento cautelare uniforme, in Ius Processo civile, 17 maggio 2023;

Celeste, Le novità della c.d. riforma Cartabia operative dal 2023 in materia condominiale sul versante sostanziale e processuale, in Immob. & proprietà, 2022, 645;

Cariglia, L'ordinanza cautelare di sospensione dell'efficacia della delibera condominiale in seguito alla riforma dell'art. 1137 c.c., in Giusto proc civ., 2013, 1159;

Celeste, Il provvedimento di sospensione dell'esecutività della delibera condominiale impugnata: i presupposti per l'adozione da parte del giudice e i rimedi esperibili in capo al soccombente, in Rass. loc. e cond., 2003, 613;

Manolo, Autosospensione dell'esecuzione di deliberazione condominiale e diniego di provvedimento cautelare in pendenza di altro giudizio, in Arch. loc. e cond., 2002, 55;

Noviello, Sulla questione della reclamabilità del provvedimento sospensivo dell'efficacia di delibera condominiale, in Giust. civ., 1994, I, 1112;

Casaburi, La sospensione delle delibere condominiali, in Arch. loc. e cond., 1994, 459;

Crescenzi, Le controversie condominiali, Padova, 1991, 279;

Lotito, Sulla natura del provvedimento giudiziale di sospensione dell'esecuzione di deliberazione dell'assemblea condominiale e qualche problema connesso, in Nuovo dir., 1991, 1087;

Raschi, Il provvedimento di sospensione della deliberazione condominiale impugnata, in Nuovo dir., 1968, 783.

Sommario