Impugnazione della delibera (modalità e termini)Fonte: Cod. Civ. Articolo 1137
08 Agosto 2018
Inquadramento
L'art. 1137 c.c., nel vecchio testo, stabiliva che, contro le delibere dell'assemblea condominiale contrarie alla legge o al regolamento, potesse proporsi “ricorso all'autorità giudiziaria”, precisando che il “ricorso” non sospendeva l'esecuzione del provvedimento (comma 2), e prescrivendo che il “ricorso” medesimo dovesse essere proposto entro il termine di decadenza di 30 giorni (comma 3). A fronte di un orientamento tradizionale pluriennale dei giudici di legittimità, i quali ritenevano concordemente che il concetto di ricorso dovesse interpretarsi in senso tecnico - in ordine cronologico, v. Cass. civ., sez. II, 5 maggio 1975, n. 1716; Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1988, n. 1662; Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 1988, n. 2081; Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1997, n. 6205 - e a fronte di qualche recente apertura nel senso dell'indifferenza delle modalità di impugnazione utilizzate - v. Cass. civ., sez. II, 30 luglio 2004, n. 14560; Cass. civ., sez. II, 11 aprile 2006, n. 8440; Cass.civ., sez. II, 28 maggio 2008, n. 14007 - il massimo organo della magistratura di vertice (Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2011, n. 8491) si è espresso, a chiari note, nel senso che «l'art. 1137 c.c. non disciplina la forma delle impugnazioni delle delibere condominiali, che vanno proposte, pertanto, con citazione, in applicazione dell'art. 163 c.p.c.». Infatti, quello che rimaneva irrisolto era quale attività il condomino dissenziente dovesse svolgere prima della scadenza del termine di 30 giorni indicato dall'art. 1137 citato, in quanto alcune decisioni affermavano che, per evitare il verificarsi della decadenza, l'impugnante era tenuto (anche) a notificare il ricorso, unitamente al provvedimento di fissazione dell'udienza di comparizione, e non solo a depositare l'atto presso la cancelleria del giudice adìto. Era ragionevole, invece, ritenere che l'espressione “fare ricorso all'autorità giudiziaria”, che compariva nel vecchio testo dell'art. 1137 c.c., era da considerarsi come un'espressione atecnica, in quanto, intesa nel significato comune delle parole, essa appariva maggiormente riferibile alla possibilità di adire il giudice, che non alla proposizione di un “ricorso”; in buona sostanza, il Legislatore non aveva affatto inteso imporre uno specifico strumento tecnico-giuridico con il quale proporre l'impugnazione avverso le delibere che si assumevano invalide, quanto piuttosto - e più semplicemente - garantire la possibilità del condomino di rivolgersi ad un magistrato. Adottando il “ricorso” come specifica ed esclusiva forma di impugnazione delle delibere condominiali, si trattava, poi, di verificare come funzionava la nuova disciplina del processo civile ordinario quando la domanda introduttiva fosse proposta con forme diverse dalla citazione, specie per quanto atteneva all'udienza di prima comparizione, al termine a comparire, alla costituzione del convenuto, all'avvertimento in ordine alle decadenze, alla prima udienza di trattazione, ecc. Pertanto, la soluzione proposta, con il voluto abbandono del termine “ricorso” - sia nel comma 2 sia nel comma 3 - è nel senso che l'atto introduttivo del giudizio di impugnazione della delibera condominiale debba rivestire le forme proprie della citazione, con la conseguenza di verificare la tempestività dell'opposizione al momento della notificazione della citazione medesima al condominio. Il Legislatore del 2012 deve, però, essere biasimato per un eccesso di timidezza perché, nel testo licenziato al Senato, compariva l'espressione secondo cui il condomino potesse adire l'autorità giudiziaria “con atto di citazione”, dicitura quest'ultima, poi, stranamente scomparsa nel testo definitivo e, invece, estremamente opportuna, alla luce dei contrasti interpretativi sopra delineati e delle conseguenti incertezze operative; in altri termini, sarebbe stato preferibile specificare in modo espresso anche le modalità di impugnazione della delibera assembleare, perché il cittadino deve sapere con certezza, sotto il profilo processuale, almeno se la sua domanda è stata o meno proposta tempestivamente, mentre altro discorso attiene alla fondatezza della relativa pretesa.
Ci si deve interrogare cosa succede ora se l'impugnazione venga, invece, ancora proposta (a questo punto, impropriamente) con ricorso, anziché con citazione. In questa ipotesi - inversa a quella che si verificava in precedenza - secondo le summenzionate Sezioni Unite sembrava che potesse essere ritenuta valida qualora, entro i 30 giorni stabiliti dall'art. 1137 c.c., l'atto venivatempestivamente depositato presso la cancelleria del giudice adìto. Tale soluzione - a ben vedere - si rivela alquanto “buonista”, forse volta a sanare le situazioni di irregolarità processuale esistenti nei vari tribunali, ma sicuramente destinata ad essere superata dal nuovo chiaro dettato legislativo che non contempla affatto alcuna piena fungibilità tra le due forme di impugnazione delle delibere condominiali; da tale soluzione sembra un po' prenderne le distanze la recente giurisprudenza (Cass. civ., sez. un., 8 ottobre 2013, n. 22848), la quale ha puntualizzato che «la diversa soluzione adottata da Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2011, n. 8491, in tema di impugnazione di delibera condominiale dispiegata con ricorso anziché, come dovuto, con citazione - impugnazione reputata suscettibile di sanatoria in ragione del solo tempestivo deposito dell'atto in cancelleria e, dunque, indipendentemente dalla sua tempestiva notificazione - trova (del resto dichiarata) giustificazione nella precipua specificità morfologica e funzionale dell'atto impugnato (delibera condominiale) e, conseguentemente, della relativa opposizione, cosicché è soluzione non estendibile oltre il circoscritto specifico àmbito di riferimento». In linea coerente con il principio di conservazione degli atti nulli, il magistrato potrà anche fissare in calce al ricorso il decreto di fissazione dell'udienza di comparizione, restando inteso che lo stesso ricorso risulterà idoneo ad impedire la decadenza solo se notificato, unitamente al pedissequo decreto di cui sopra, alla controparte, perché è solo in questo momento che il medesimo atto avrà raggiunto lo scopo proprio della citazione (e non quando sia solo depositato presso la cancelleria del giudice adìto). Come acutamente osservato (Scarpa), una volta eliminato dal testo dell'art. 1137 c.c. il riferimento letterale al “ricorso”, quale forma dell'atto di impugnazione delle delibere condominiali, ed essendo, quindi, ormai inequivocabile che esso vada proposto con citazione, è facile presagire che sia destinata ad esaurirsi l'indulgente soluzione dell'equipollenza delle forme propugnata dalle Sezioni Unite di cui sopra (Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2011, n. 8491 cit., essendo, del resto, rimasta tale soluzione isolata nell'àmbito del più ampio dibattito circa la piena fungibilità, tuttora osteggiata dalla giurisprudenza, degli atti litis ingredientes); pertanto, per le delibere da impugnare a fare tempo dal 18 giugno 2013, un ricorso si riterrà idoneo ai fini del rispetto del termine di decadenza di 30 giorni soltanto se, entro lo stesso termine, venga notificato (e non meramente depositato) alla controparte insieme al pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di comparizione; e c'è da credere che, quando la giurisprudenza - preso atto della soppressione del decettivo utilizzo della locuzione “ricorso” nell'art. 1137 c.c. - si orienterà per assoggettare nuovamente le impugnative delle delibere condominiali ai limiti generali di funzionamento del principio di conservazione degli atti processuali, non si presterà a dar tutela ai condomini impugnanti più distratti neppure la teoria del c.d. overruling, in quanto l'ennesima evoluzione esegetica non si rivelerà inattesa, o priva di preventivi segnali anticipatori del suo manifestarsi, giacché indotta da un esplicito mutamento normativo. Forse un approccio ermeneutico più soft, a fronte delle persistenti domande di impugnativa delle delibere condominiali con il ricorso, consiglierebbe di dare ragionevolmente seguito alle stesse mediante l'emissione del decreto di comparizione delle parti, corredato dagli avvisi di cui all'art. 163, comma 3, n. 7), c.p.c. del giudice, anche perché la statuizione di “inammissibilità”, segnatamente nell'ipotesi di delibere annullabili, potrebbe seriamente pregiudicare il diritto costituzionale di azione in giudizio di cui all'art. 24 Cost. che, in ragione della sua rilevanza primaria, non dovrebbe essere postergato all'interesse connesso al celere assestamento delle relazioni giuridiche endocondominiali. Peraltro, la conversione dell'atto originariamente inidoneo alla corretta instaurazione del giudizio in altro conforme al pertinente paradigma legale rimane, pur sempre, una regola processuale di portata generale (v., ex multis, Cass.civ., sez. I, 18 agosto 2006, n. 18201) ove, in concreto, non venga eccepito e provato che dall'erronea inversione sia derivato effettivo pregiudizio per alcuna delle parti relativamente al rispetto del contraddittorio, all'acquisizione delle prove e, più in generale, a quant'altro possa aver impedito o anche soltanto ridotto la libertà di difesa consentita nel giudizio ordinario; infatti, anche a volere ritenere nullo l'atto introduttivo non conformato secondo il modello legale - ossia ricorso anziché citazione - tale nullità rientrerebbe pur sempre fra quelle formali di cui all'art. 156 c.p.c., sanabili con il raggiungimento dello scopo. D'altronde, nell'ipotesi opposta, ossia allorché la legge processuale impone il ricorso (e non la citazione) come atto introduttivo della controversia, la stessa giurisprudenza ha ritenuto che il giudizio risulta validamente instaurato anche con la seconda, ma la convalida dell'atto nullo opererà soltanto nel momento in cui quest'ultima produca la medesima situazione processuale propria dell'atto valido, cui viene equiparato, e, nella specie, sarà soltanto con il deposito della citazione in cancelleria che si determinerà l'effetto proprio del ricorso, e cioè il contatto tra la parte e il giudice (in pratica, occorrerà guardare la data dell'iscrizione a ruolo della causa da considerarsi equivalente al deposito del ricorso); i medesimi principi sono stati reiteratamente affermati nei casi in cui l'appello, nelle materie soggette al rito previsto per le controversie di lavoro, sia stato proposto con citazione anziché con ricorso (v., ex plurimis, per le cause locatizie, Cass.civ., sez. III, 26 maggio 2011, n. 11591, nonché, per le cause di lavoro, Cass. civ., sez. lav., 10 novembre 1982, n. 5959), come anche nei casi in cui l'opposizione a decreto ingiuntivo, pronunciato in controversia di cui all'art. 409 c.p.c., sia stata introdotta con citazione anziché nella forma peculiare del rito del lavoro (Cass.civ., sez. lav., 2 aprile 2009, n. 8014; Cass.civ., sez. lav., 1 giugno 1989, n. 2669).
Il termine perentorio
Con il disposto dell'art. 1137, comma 2, c.c., il Legislatore del 2012 mantiene il termine di 30 giorni per proporre l'impugnativa delle delibere assembleari, laddove, se il 30° giorno cade in giorno festivo, opera la proroga al giorno feriale successivo (art. 2963, comma 3, c.c.). Per il resto, si conferma che il termine decorre dalla data di “deliberazione” per i dissenzienti e per gli astenuti, e dalla data di “comunicazione” per gli assenti alla riunione: riguardo a questi ultimi, si è mantenuta la terminologia usata dal citato art. 1137 c.c., non prescrivendo, quindi, alcuna forma particolare (di recente, Cass.civ., sez. II, 27 settembre 2013, n. 22240, ha puntualizzato che, con la prova dell'avvenuto recapito, all'indirizzo del condomino assente, della lettera raccomandata contenente il verbale dell'assemblea, sorge in capo al destinatario la presunzione, iuris tantum, di conoscenza posta dall'art. 1335 c.c. e, conseguentemente, scatta il dies a quo per l'impugnazione della delibera stessa, ai sensi dell'art. 1137 c.c.) Spesso, tale comunicazione avviene mediante la trasmissione (a mani o per posta) di copia del verbale assembleare, ma non si è escluso che l'assente possa avere notizia in altro modo del contenuto della delibera, purché idoneo alla tutela delle sue ragioni; sembra, in ogni caso, preferibile che la comunicazione sia “scritta”, ossia rivesta la stessa forma dell'atto (verbale) il cui contenuto viene portato a conoscenza del destinatario, e, in proposito, potrebbero mutuarsi i suggerimenti contenuti nel novellato art. 66, comma 3, disp. att. c.c. il quale, sia pure riguardo all'avviso di convocazione per l'assemblea condominiale, prescrive che lo stesso sia comunicato «a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano». In argomento, i giudici della Consulta, con una recente ordinanza (n. 52 del 21 marzo 2014), hanno ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1137, 1334 e 1135 c.c., sollevata in riferimento all'art. 24 Cost., nella parte in cui non prevedevano che la comunicazione della delibera che, nei confronti dei condomini che non avessero preso parte alla relativa seduta, determinava il decorso iniziale del termine di 30 giorni di cui al citato art. 1137c.c., fosse presidiata dalle medesime garanzie di conoscibilità dell'atto previste per la notificazione degli atti giudiziari, ciò soprattutto nelle ipotesi in cui, avvenuta la comunicazione del relativo verbale a mezzo posta, la relativa raccomandata era stata recapita al soggetto che si trovava in vacanza e risultava restituita al mittente sùbito dopo ferragosto, sicché il condomino assente non aveva potuto beneficiare della sospensione feriale dei termini processuali.
La sospensione durante il periodo feriale
In precedenza, la stessa Corte Costituzionale era intervenuta solo una volta in materia condominiale, coinvolgendo una tematica molto vicina a quella affrontata dalla suddetta ordinanza: ci si riferisce alla sentenza (Corte Cost. 2 febbraio 1990, n. 49), la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 24 Cost., dell'art. 1 della l. 7 ottobre 1969, n. 742 - recante «Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale», inizialmente dal 1° agosto al 15 settembre, ridotto a 31 giorni a seguito dell'art. 16 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla l. 10 novembre 2014, n. 162 - nella parte in cui non disponeva che la sospensione ivi prevista si applicasse anche al termine di 30 giorni, di cui all'art. 1137 c.c., per l'impugnazione delle delibere dell'assemblea di condominio: in particolare, il giudice delle leggi aveva rilevato come la sospensione di detti termini per il periodo feriale si imponga, quando la possibilità di agire in giudizio costituisca per il titolare l'unico rimedio per far valere un suo diritto. Quest'ultimo principio doveva ritenersi applicabile anche al caso in esame, che riguardava la previsione dell'art. 1137 c.c., il quale fissa, a pena di decadenza, il termine di 30 giorni per l'impugnativa delle delibere dell'assemblea condominiale: invero, la brevità di tale termine rende particolarmente difficile, a colui che intenda esercitare il proprio diritto di impugnativa delle suddette delibere, di munirsi della necessaria difesa tecnica quando detto termine cada nel periodo feriale, proprio perché l'istituto della sospensione dei termini processuali in periodo feriale nasce dalla necessità di assicurare un periodo di riposo a favore degli avvocati. Quindi, ove la sospensione in parola non fosse estesa anche a detta ipotesi, ne risulterebbe menomato il diritto alla tutela giurisdizionale, in contrasto con l'art. 24 Cost. Pertanto, atteso che non si ravvisavano preminenti ragioni a tutela di altri valori costituzionali, che imponessero la rigorosa osservanza del suddetto termine, ricorreva anche nel caso in esame la medesima ratio che aveva indotto il Legislatore ad introdurre con la norma denunciata la sospensione dei termini processuali e, poiché il giudice a quo non riteneva che l'art. 1 della l. n. 742/1969 potesse essere interpretato nel senso di comprendervi anche il termine previsto dall'art. 1137 c.c., la prima disposizione doveva dichiararsi costituzionalmente illegittima, nella parte in cui non prevedeva la sospensione, durante il periodo feriale, del suddetto termine (v., altresì, Corte Cost. 13 settembre 1987, n. 255). A ben vedere, l'art. 152 c.p.c. non offre una nozione generale di “termini processuali”, limitandosi a statuire che «i termini per il compimento degli atti del processo sono stabiliti dalla legge», ma anche se lo stesso articolo offrisse una nozione di termine processuale, partire da quella per individuare il criterio di distinzione tra termini sostanziali e processuali, valida “anche” per l'interpretazione dell'art. 1 della l. n. 742 del 1969, non sembra condivisibile, a meno che e fino a quando non si dimostri, per altra via, che “proprio e soltanto” a quel criterio la l. n. 742/1969 si è attenuta; ogni criterio di distinzione non soltanto non può essere assunto come generale ed assoluto, ma è, per sua natura, di volta in volta, legato allo scopo ed alla funzione del “distinguere”: la demarcazione tra “sostanza” (diritto sostanziale) e “procedura” (diritto processuale) è una delle linee più storicamente variabili e più legate alle necessità dei rami e dei singoli settori della ricerca. Accanto alle due categorie di termini “sostanziali” e “processuali”, se ne possono individuare altre - ad esempio, “termini sostanziali a rilevanza anche processuale” - come si può affermare l'esistenza di termini processuali “in senso stretto” (formalmente inseriti nel processo e riferiti ad atti processuali, a giudizio già iniziato) e termini processuali “in senso largo” (comunque processualmente rilevanti). Posto che l'istituto della sospensione dei termini processuali in periodo feriale nasce dalla necessità di assicurare un periodo di riposo a favore degli avvocati, va sottolineato che la situazione di chi deve ricorrere in periodo feriale ad un legale perché rediga un atto processuale (in senso stretto) non è diversa da quella di chi deve necessariamente ricorrere ad un legale per predisporre l'atto introduttivo del giudizio di primo grado, che è certamente un atto processuale. D'altronde, poiché l'istituto della sospensione dei termini nel periodo feriale è anche correlato al potenziamento del diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.), limitare arbitrariamente la sospensione ai soli termini che, ad altri fini, sono qualificati processuali - termini processuali “in senso stretto”, che presuppongono il giudizio già iniziato - ed escludere, per l'ipotesi dell'art. 1137 c.c. che è certamente non meno importante dei termini processuali “puri” e che non incide, in modo rilevante, su situazioni “preminenti” rispetto agli scopi del suddetto istituto della sospensione, equivale a violare l'art. 24 Cost.
Stando così le cose, è legittimo chiedersi se le suesposte considerazioni mantengono la loro validità anche a seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 220/2012 al comma 2 dell'art. 1137 c.c. A ben vedere, la Riforma mantiene il termine di 30 giorni per proporre l'impugnativa delle deliberazioni assembleari, anche se il vecchio testo usava l'espressione «il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro … », laddove la nuova versione prevede che ogni condomino possa «adire l'autorità giudiziaria … nel termine perentorio di … ». Qualora non si ravvisi un'operazione di mero maquillage normativo, si potrebbe sostenere che il riferimento al “termine perentorio” richiama la possibilità di un rilievo officioso, restando semmai affidato alla parte, ai sensi dell'art. 153, comma 2, c.p.c., la possibilità di invocare dal giudice una proroga, rimettendola in termini se il mancato rispetto sia dovuto a causa a lei non imputabile. Più corretta appare, invece, l'opinione secondo la quale, pur in presenza della suddetta diversità terminologica, il Legislatore abbia voluto mantenere, all'art. 1137 c.c., la natura di termine “sostanziale ma a rilevanza processuale” - nel senso sopra delineato - con tutte le conseguenze quanto a sospensione nel periodo feriale, proroga della scadenza al giorno feriale successivo a quello festivo, e quant'altro. A conforto di quest'ultima tesi può soccorrere quanto, di recente, affermato dalle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 10 febbraio 2014, n. 2907). Infatti, già con la sentenza Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2011, n. 8491, precisato che l'impugnazione delle delibere condominiali si propone con citazione, e non con ricorso - come opinato, in precedenza, dai giudici di legittimità - il problema dell'ammissibilità della sanatoria dell'impugnazione spiegata a mezzo di ricorso è stato risolto ritenendo che questo può essere considerato tempestivo anche all'esito del semplice deposito in cancelleria nel termine perentorio previsto dalla legge. Tuttavia, nella sentenza Cass. civ. sez. un. 23 settembre 2013 n. 21675, condivisa dalla successiva Cass. civ. sez. un. 08 ottobre 2013 n. 22848 , il supremo organo di nomofilachia ha puntualizzato che la diversa soluzione adottata in tema di impugnazione delle delibere dell'assemblea condominiale proposta con ricorso anziché con citazione - soluzione ispirata, sul piano funzionale (alla luce dei principi del giusto processo e dell'affidamento in buona fede su prassi interpretative processuali consolidate), dall'intento di evitare conseguenze pregiudizievoli, sul piano delle preclusioni processuali, alle impugnazioni proposte sotto forma di ricorso - trovi giustificazione nella “specificità morfologica e funzionale” dell'atto impugnato (delibera di assemblea condominiale) e, conseguentemente, della relativa opposizione. E ciò anche perché l'imposizione del termine di cui all'art. 1137, comma 2, c.c. risponde esclusivamente ad esigenze di certezza facenti capo al condominio ed attinenti a materia non sottratta alla disponibilità delle parti, tanto che - diversamente da quanto avviene in caso di inosservanza dei termini per la proposizione dell'appello o di altri mezzi di impugnazione di pronunce giudiziali, che rispondono ad interessi di carattere pubblicistici - l'inosservanza del termine decadenziale in questione non è rilevabile d'ufficio dal giudice, trattandosi di un'eccezione in senso proprio (art. 2969 c.c.), che può essere eccepita, solo e tempestivamente, dal condominio convenuto, nella comparsa di costituzione ex art. 167 c.p.c. Nulla esclude, però, che resti nelle facoltà del condominio, nonostante la tardività dell'impugnazione, di accettare il contraddittorio sul merito dell'opposizione proposta dal condomino. Casistica
Gallucci, Forma dell'atto di impugnazione delle delibere condominiali, in Immob. & proprietà, 2014, 355; Scarpa, L'atto di impugnazione delle delibere assembleari, in Libro dell'anno del diritto 2012 Treccani, Roma, 2012, 54; Celeste, Definite le modalità di impugnazione della delibera condominiale: una soluzione di buon senso per scongiurare un pericoloso overruling, in Foro it., 2011, I, 2080; Petrolati, La forma di impugnazione della delibera condominiale, in Arch. loc. e cond., 2004, 29; Sanguineti, Sulla forma dell'impugnazione della delibera assunta dall'assemblea condominiale, in Arch. loc. e cond., 1998; Celeste, La Cassazione ritorna sulla forma di impugnazione delle delibere condominiali: un'altra occasione mancata, in Foro it., 1998, I, 179; Accordino, La sospensione dei termini per il periodo feriale si applica pure al termine per impugnare una delibera condominiale, in Arch. loc. e cond., 1990, 451; Celotto, La Corte Costituzionale estende l'applicabilità della sospensione dei termini nel periodo feriale all'impugnazione delle delibere condominiali, in Giur. it., 1990, I, 1, 1025 ss. Baio, Brevi note sulla forma di impugnazione di delibera condominiale, in Arch. loc. e cond., 1988, 571; Terzago, Brevi appunti sul termine per l'impugnativa delle delibere condominiali, in Riv. giur. edil., 1969, II, 176. Bussole di inquadramentoPotrebbe interessarti |