Atti (patologie degli)Fonte: Cod. Proc. Pen. Articolo 177
12 Maggio 2017
Inquadramento
Il processo penale è scandito da regole che comportano il rispetto di forme, modi e tempi. Accade sovente che alcuni atti siano compiuti in violazione di tali regole e da tale circostanza scaturisce quella che viene definita la patologia degli atti processuali, che può comportare: nullità, inammissibilità, abnormità o inesistenza dei relativi atti. Deve rilevarsi che il nostro codice di rito non contempla una disciplina organica delle violazioni e delle sanzioni procedurali relative alla patologia degli atti. L'unica forma patologica disciplinata in maniera autonoma ed unitaria, tra quelle sopra indicate, concerne le nullità. Ed è proprio con il regime delle nullità che inizia il nostro percorso. Le nullità sono regolate anzitutto dal principio di tassatività, in forza del quale (art. 177 c.p.p.) l'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge. Esse sono di tre tipi:
Le nullità assolute (art. 179 c.p.p.) sono quelle:
Le nullità in parola sono insanabili e rilevate d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento ma, comunque, non dopo la conclusione di quest'ultimo, con l'emissione di un provvedimento finale ed irrevocabile, in quanto gli effetti del giudicato penale non possono essere superati, se non nei casi espressamente previsti (in tal senso, Cass. pen., sez. I, 19 giugno 1997, n. 4216). Le nullità a regime transitorio (art. 180 c.p.p.) sono quelle relative
A fini esemplificativi, in sede di legittimità l'integrazione di tale patologia è stata ravvisata: per quanto concerne la prima ipotesi, nel caso in cui il g.i.p., cui sia stata avanzata richiesta di convalida di arresto/fermo congiuntamente all'applicazione di misura cautelare, respinga quest'ultima prima della celebrazione dell'udienza di convalida e, quindi, senza la partecipazione del p.m. (Cass. pen., Sez. unite, 22 novembre 2000, n. 33); relativamente alla seconda, nel caso di omesso avviso della data di udienza ad uno dei due difensori (Cass. pen., Sez. I, 4 marzo 2015, n. 12059), nonché nel caso di mancato avvertimento al conducente di un veicolo da sottoporre ad alcoltest della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia (Cass. pen., Sez. unite, 29 gennaio 2015, n. 5396); infine, con riguardo alla terza, nel caso di mancata notifica alla persona offesa del decreto che dispone il rinvio a giudizio dell'imputato (Cass. pen., Sez. I, 13 dicembre 2001, n. 6769, secondo cui, peraltro, tale nullità può comportare la restituzione degli atti al g.u.p. quando non possa procedersi a rinnovare la citazione per mancata rilevabilità del nominativo della persona offesa dagli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento). Tali nullità – art. 180, comma 1, c.p.p. - sono rilevabili (come quelle assolute) anche d'ufficio, ma non possono più essere rilevate dal giudice né dedotte dalla parte dopo la deliberazione della sentenza di primo grado ovvero, se si sono verificate nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo. Se però la parte assiste all'atto viziato, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo(art. 182, comma 2, c.p.p.), anche attraverso memorie e richieste, che, a norma dell'art. 121 c.p.p., possono essere depositate in ogni stato e grado del procedimento, non dovendosi attendere il compimento di un successivo atto procedimentale (così, Cass. pen., Sez. IV, 11 ottobre 2012, n. 44840; Cass. pen. n. 37997 del 2012, Cass. pen. n. 32463 del 2012, Cass. pen. n. 27987 del 2012, Cass. pen., Sez. IV, 3 aprile 2012 n. 19162, Cass. pen., sez. IV, 2 febbraio 2012 n. 4927 Cass. pen., sez. I, 6 giugno 1997, n. 4017. Tutte le nullità diverse da quelle anzidette sono relative e sono dichiarate soltanto su eccezione di parte (art. 181 c.p.p.). Quanto alla tempistica per eccepirle, le nullità
Anche per questa terza tipologia di nullità – come per le nullità a regime intermedio - la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo. I termini per rilevare o eccepire le nullità sono stabiliti a pena di decadenza: art. 182, comma 3, c.p.p. Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza in materia, costituiscono ipotesi di nullità relativa, fra le molte: l'inosservanza del termine di comparizione dell'imputato (Cass. pen., sez. VI, 27 giugno 2008, n. 34629; l'instaurazione del giudizio direttissimo al di fuori dei casi previsti dalla legge (Cass. pen., sez. V, 19 novembre 2008, n. 43232); l'omessa traduzione, nella lingua dell'imputato, dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare; nel caso di procedimento di prevenzione, la violazione dell'obbligo di procedere, su istanza di parte, in udienza pubblica (Cass. pen., sez. V, 29 ottobre 2014, n. 3590). Ulteriore elemento comune alle nullità diverse da quelle assolute è il principio dell'art. 182, comma 1, c.p.p.: esse non possono essere eccepite (i) da chi vi ha dato o ha concorso a darvi causa (in virtù di tale disposizione, è stata ritenuta sanata la nullità relativa al mancato rispetto del termine di cui all'art. 309, comma 8, c.p.p. per la notifica dell'avviso al difensore dell'udienza di riesame a mezzo telefono, per aver questi, con negligenza, dato concorso a dar causa a tale nullità, essendo il suo apparecchio telefonico costantemente occupato: così, Cass. pen., sez. V, 19 marzo 2009, n. 30573) ovvero (ii) non ha interesse all'osservanza della disposizione violata (sotto quest'ultimo profilo, l'imputato non può eccepire la mancata citazione della persona offesa, per mancanza di interesse, essendo lo scopo della disposizione violata quello di consentire alla p.o. di costituirsi parte civile; in tal senso, Cass. pen., Sez. II, 11 marzo 2011, n. 12765). Comune, invece, a tutte le nullità è il regime delle sanatorie di cui all'art. 183 c.p.p.: salvo che sia diversamente stabilito, le nullità sono sanate se la parte a) ha rinunciato espressamente ad eccepirle ovvero ha accettato gli effetti dell'atto; b) si è avvalsa della facoltà al cui esercizio l'atto omesso o nullo è preordinato (sul tema, Cass. pen., sez. I, 9 marzo 2007, n. 25386, secondo cui si verifica la sanatoria della nullità del decreto di citazione a giudizio immediato per errata indicazione del termine per presentare richiesta di rito abbreviato, se l'imputato si sia avvalso della relativa facoltà, formulando richiesta di celebrazione di tale ultimo rito). Se, poi, le nullità attengono ad una citazione, ad un avviso ovvero alle relative comunicazioni e notificazioni, esse vengono sanate per effetto della comparizione della parte interessata ovvero della rinuncia a comparire. Se la parte compare al solo scopo di far rilevare l'irregolarità ha diritto ex art. 184, comma 2, c.p.p., ad un termine per la difesa non inferiore a cinque giorni, purché ne faccia richiesta (Cass. pen., sez. IV, 21 ottobre 2005, n. 38809). Quando, infine, la nullità riguarda la citazione a comparire al dibattimento, il termine non può essere inferiore a quello previsto dall'articolo 429 c.p.p. La declaratoria giudiziale di nullità determina la rinnovazione dell'atto ove necessaria e possibile, con spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave. Comunque, la nullità di un atto non solo rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo (la nullità derivata è configurabile allorquando gli atti successivi quello dichiarato nullo siano in rapporto di dipendenza reale ed effettiva con quest'ultimo, costituendo tale atto il presupposto logico e giuridico; al riguardo, Cass. pen., Sez. IV, 15 maggio 2013, n. 38122) ma comporta altresì la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito e purché la nullità non riguardi le prove (art. 185 c.p.p.).
L'inammissibilità è un'invalidità che non permette al giudicante di esaminare nel merito una richiesta di una parte processuale ove questa sia priva dei requisiti stabiliti dalla legge. Non essendo prevista – a differenza delle nullità – né una disciplina ad hoc nel codice, né una puntuale definizione della stessa e dei suoi effetti, l'istituto si “discioglie” inevitabilmente nelle varie previsioni, anche molto differenti tra loro, che la contemplano. Il requisito può essere, di volta in volta, costituito dal tempo entro cui l'atto si deve compiere (es. l'art. 591, comma 1, lett. c) del c.p.p. che, in materia di impugnazioni, dichiara inammissibile il gravame se non proposto nei termini previsti dalle disposizioni ivi richiamate), dal contenuto dell'atto in sé (si pensi in proposito alla dichiarazione di costituzione di parte civile, ed alle “formalità” che – per l'appunto, a pena di inammissibilità, deve contenere: art. 78, comma 1, c.p.p.), da un profilo formale (come per la procura speciale per determinati atti che, ai sensi dell'art. 122, comma 1, c.p.p., deve essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata), dalla legittimazione al compimento del dato atto (è il caso di cui all'art. 41 c.p.p., secondo cui è inammissibile la ricusazione presentata da un soggetto che non ne abbia diritto), dal compimento di un atto contestuale (si fa riferimento in proposito all'art. 586, comma 1, c.p.p., là dove stabilisce che “qualora non è diversamente stabilito dalla legge, l'impugnazione contro le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l'impugnazione contro la sentenza”). L'inammissibilità è rilevata dal giudice su eccezione della parte ovvero d'ufficio: una volta rilevata, viene dichiarata - con ordinanza o con sentenza - l'inammissibilità della domanda ed il giudice non decide sul merito della stessa. Non è previsto in generale un termine entro cui la domanda deve essere dichiarata, ricorrendone i presupposti, inammissibile. Pertanto, di regola il giudice può rilevarla anche d'ufficio finché la sentenza non sia stata dichiarata irrevocabile, salvo che non sia espressamente previsto un termine anteriore: è il caso, e.g., dell'art. 81, comma 1, c.p.p. che a proposito dell'esclusione d'ufficio della parte civile, dispone che essa possa avvenire “fino a che non sia dichiarato aperto il dibattimento d primo grado”. In tema di impugnazioni, l'art. 591 c.p.p. dispone che essa possa essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento (ovviamente, come per le nullità, con il limite di cui all'art. 627, comma 4, c.p.p., per cui nel giudizio di rinvio non può essere rilevato il vizio manifestatosi nei precedenti gradi del giudizio). Peraltro, in altre ipotesi, il potere di rilevazione non può essere così ampio: è il caso di procedimenti incidentali come quelli di ricusazione o di rimessione, in quanto nel momento in cui gli stessi siano sfociati in una determinazione nel merito, essi esauriscono la loro funzione nel quadro del procedimento principale cui accedono. Affatto peculiare, sempre per rimanere nell'ambito dei procedimenti incidentali, è il regime dell'incidente di esecuzione: la richiesta, proveniente dal pubblico ministero, dall'imputato o dal suo difensore, soggiace ad un preventivo vaglio di ammissibilità. Verifica particolarmente ampia e discrezionale, atteso che il giudice deve accertare se l'istanza risulti manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero se costituisce una mera riproposizione di una richiesta in precedenza rigettata. Al proposito, l'art. 666, comma 2, c.p.p. dispone che il giudicante può dichiarare l'inammissibilità, sentito il solo P.M., con un decreto notificato entro 5 giorni all'interessato, al quale non resta che ricorrere per cassazione avverso tale provvedimento. Il ricorso per cassazione è, d'altronde, il mezzo usualmente stabilito dal legislatore per gravare i provvedimenti dichiarativi dell'inammissibilità: infatti, ad esso si fa riferimento a proposito di revisione (art. 634, comma 2, c.p.p.), ricusazione (art. 41, comma 1, c.p.p.), procedimento in camera di consiglio (art. 127, comma 9, c.p.p.), revoca della sentenza di non luogo a procedere (art. 437 c.p.p.), declaratoria di inammissibilità dell'opposizione a decreto penale di condanna (art. 461, comma 6, c.p.p.) e, come anzidetto, procedimento di esecuzione (e, correlativamente, procedimento di sorveglianza: art. 678, c.p.p.). La giurisprudenza in tema di inammissibilità, per la varietà delle cause che la ingenerano, si presenta estremamente vasta. Concentrandosi solo su taluni profili ritenuti di particolare rilievo, si richiamano, fra le altre pronunce: Cass. pen., Sez. IV, 25 gennaio2001, n. 8200, secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cause sopravvenute impedisce la formazione di un valido rapporto di impugnazione, così precludendo la possibilità di valutare l'eventuale intervenuta depenalizzazione del reato (al riguardo, la Corte ha precisato che tale dichiarazione potrà eventualmente essere emessa dal giudice dell'esecuzione); Cass. pen., Sez. unite, 30 ottobre 2014, n. 47239, in cui si è espresso il principio di diritto secondo cui « la mancanza della procura speciale ai sensi dell'art. 100 c.p.p., delle parti private diverse dall'imputato al difensore non può essere sanata, previa concessione di un termine da parte del giudice, ai sensi dell'art. 182 c.p.p., comma 2, ma comporta l'inammissibilità dell'impugnazione»; nonché, Cass. pen., sez. II, 20 dicembre 2011, n. 11806, relativa al principio, di matrice giurisprudenziale, di autosufficienza del ricorso. In essa si afferma che è «onere del ricorrente, che lamenti l'omessa o travisata valutazione di specifici atti processuali, provvedere alla trascrizione in ricorso dell'integrale contenuto degli atti medesimi, nei limiti di quanto già dedotto, perché di essi è precluso al giudice di legittimità l'esame diretto, a meno che il fumus del vizio non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso». La violazione dell'autosufficienza del ricorso importa l'inammissibilità dello stesso. Cfr. anche Cass. pen., Sez. VI, 8 luglio 2010 n. 29263, Cass. pen., Sez. V, 22 gennaio 2010 n. 11910. La categoria dell'abnormità dell'atto processuale penale non trova un puntuale riferimento normativo nel codice di rito; essa, infatti, è frutto di un'elaborazione giurisprudenziale sensibile ad assicurare un controllo - residuale ed a completamento del sistema delle impugnazioni, esercitato, come si avrà modo di vedere, dalla Corte di cassazione – sulla legalità dell'attività giurisdizionale, ove uno specifico mezzo di impugnazione od ipotesi di nullità non siano previsti, pur in presenza di gravissime patologie. Difatti, il rimedio ha ad oggetto atti affetti da vizi atipici tali da rendere i primi del tutto inconciliabili con i consentiti schemi procedimentali. Più nel dettaglio, alla luce dell'interpretazione fornita in sede di legittimità, è abnorme «il provvedimento che, per singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite» (così, Cass. pen., Sez unite, 26 marzo 2009, n. 25957). Pertanto, l'abnormità può emergere sotto due distinti profili: un primo, concernente la struttura dell'atto, allorquando quest'ultimo, per la sua straordinarietà, « si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale »; un secondo, relativo, invece, all'aspetto funzionale, ove il provvedimento, « pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo » (Cass. pen., Sez. II, 21 ottobre 2014, n. 2484). La mancata identificazione, in via unitaria ed omogenea, delle categorie di vizi comportanti l'abnormità del provvedimento ha dato vita ad un tendenziale progressivo ampliamento della categoria, con una variegata e copiosa giurisprudenza sul punto. A meri fini esemplificativi, sono stati di recente giudicati abnormi: con riguardo al provvedimento di archiviazione, l'ordinanza di accoglimento della richiesta di restituzione in termini per proporre opposizione presentata dalla persona offesa, con contestuale fissazione dell'udienza camerale di cui all'art. 409 c.p.p., atteso che il decreto di archiviazione può essere modificato solo a seguito di un'istanza di riapertura delle indagini del pubblico ministero o dell'annullamento in sede di legittimità per violazione del contraddittorio (Cass. pen., Sez. VI, 18 marzo 2015, n. 14538); l'ordine di imputazione coatta emesso nei confronti di persona non indagata, nonché quello emesso nei confronti dell'indagato per reati diversi da quelli per cui è stata chiesta l'archiviazione (Cass. pen., Sez. unite, 28 novembre 2013, n. 4319); nonché, infine, in tema di giudizio abbreviato, l'ordinanza con cui il g.i.p. accoglie solo parzialmente la richiesta di integrazione probatoria posta a condizione dell'istanza di ammissione al rito speciale, posto che il giudice può solo accogliere o respingere l'istanza così come formulata (Cass. pen., sez. VI, 9 aprile 2015, n.17661). Il riconoscimento in via pretoria dell'esperibilità del ricorso contro il provvedimento abnorme risulta in deroga al principio di tassatività delle impugnazioni, in generale, e dei casi di ricorso per cassazione, in particolare. La questione, già emersa con il codice Rocco - stante l'operatività, durante la vigenza di quest'ultimo, del principio pocanzi richiamato (art. 190 c.p.p. abrogato) - non è stata superata dall'attuale codice di procedura penale, che, come anzidetto, non dedica alcuna disposizione né all'individuazione dei vizi comportanti la patologia in parola, né allo strumento processuale cui avvalersi per impugnare i provvedimenti che ne siano affetti. Tale scelta appare invero risiedere-oltre che nella materiale impossibilità di realizzare una previsione esaustiva di tutte le ipotesi di abnormità - proprio nella necessità di apprestare un rimedio generale e “di chiusura” del sistema impugnatorio, in risposta, fra l'altro, all'esigenza di superare il principio di tassatività, di supplirne il rigore e di mitigarne gli effetti, così apprestando un controllo avverso quei provvedimenti che si collochino al di fuori dell'ordinamento processuale e che, altrimenti, si sottrarrebbero ad un vaglio giurisdizionale (in tal senso, Cass. pen., Sez. VI, 14 luglio 1995, n. 3090); sul punto anche la Relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale, pag. 126, ove si evidenzia come sia «rimasta esclusa l'espressa previsione dell'impugnazione dei provvedimenti abnormi, attesa la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la necessità di lasciare sempre alla giurisprudenza di rilevarne l'esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini dell'impugnabilità. Se, infatti, proprio per il principio di tassatività, dovrebbe essere esclusa ogni impugnazione non prevista, è vero pure che il generale rimedio del ricorso per cassazione consente comunque l'esperimento di un gravame atto a rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema processuale o adottato a fini diversi da quelli previsti dall'ordinamento»). Invero, l'esperibilità del ricorso è stato ricondotto, a seguito dell'avvento della Carta Costituzionale, alla diretta applicabilità dell'art. 111 Costituzione - per taluni, con particolare riguardo al comma 6, nella parte in cui sancisce che ogni provvedimento, in quanto motivato, debba essere corrispondente al tipo legale; per altri, al comma 7 (già comma 2),in quanto ammette un sindacato generale, in sede di legittimità, “per violazione di legge”. Il rimedio avverso l'abnormità, pertanto, è proposto, come già anticipato, con ricorso in cassazione, nelle forme e nei termini ordinari prescritti dal titolo III, libro IX, c.p.p. (sul punto, Cass. pen., Sez. unite, 9 luglio 1997, n. 11). La patologia dell'inesistenza è stata coniata dalla dottrina e dalla giurisprudenza al fine di travalicare i limiti imposti dal principio di tassatività e garantire una “reazione” dell'ordinamento a quelle ipotesi patologiche così macroscopiche ed eccezionali, da non essere nemmeno previste dal Legislatore. In altri termini, l'atto risulta carente dei requisiti minimi e presenta anomalie così radicali che non può essere ritenuto giuridicamente esistente. Tale categoria si differenza dall'abnormità pocanzi esaminata, atteso che la presenza delle clamorose deviazioni dagli schemi ed iter scanditi dalla legge processuale penale che la integrano impediscono financo la formazione del giudicato: sicché, il sindacato giurisdizionale sull'inesistenza non si arresta con l'irrevocabilità della sentenza. Cass. pen., Sez. VI, 4 gennaio 2000, n. 3683. Al riguardo, si veda in particolare Cass. pen., Sez. unite, 9 luglio 1997, cit., che sul punto espressamente rileva: «l'unico caso in cui può escludersi l'operatività del principio del giudicato corrisponde a quello della inesistenza giuridica del provvedimento del giudice, che […] si riduce a mera apparenza ed è assolutamente privo di effetti giuridici a causa della presenza di un'anomalia genetica così radicale (di macro - anomalie parla un autorevole esponente della dottrina processualistica) da escludere o l'esistenza materiale o l'esistenza giuridica dell'atto (emblematica è l'ipotesi della sentenza emessa a non iudice), di talché l'inesistenza giuridica impedisce la formazione del giudicato e la denunzia di essa non è assoggettata a termini di decadenza, potendo essere fatta valere in ogni momento, a differenza di quanto stabilito per il provvedimento abnorme». In senso analogo, fra le altre, anche Cass. pen., Sez. IV, 16 maggio 1995, n. 1812. Casistica
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