Intervento (nell’esecuzione forzata)

Giuseppe Lauropoli
06 Maggio 2016

La disciplina generale dell'intervento nell'esecuzione forzata è rinvenibile nell'art. 499 c.p.c., mentre alcune specifiche previsioni relative alle peculiarità dei differenti mezzi di espropriazione sono presenti in alcune successive norme codicistiche.
Inquadramento

È ben possibile per un creditore scegliere di intervenire in una procedura esecutiva già in corso, anziché optare per l'instaurazione di un autonomo procedimento.

La disciplina generale dell'intervento nell'esecuzione forzata è rinvenibile nell'art. 499 c.p.c., mentre alcune specifiche previsioni relative alle peculiarità dei differenti mezzi di espropriazione sono presenti in alcune successive norme codicistiche.

In linea generale, può affermarsi che l'art. 499 c.p.c. consenta a chiunque disponga di un titolo esecutivo (ma, a determinare condizioni, è possibile intervenire nella procedura esecutiva anche in assenza di un titolo esecutivo) di intervenire in una procedura esecutiva, acquistando il diritto di provocarne i singoli atti (quanto meno laddove l'intervento risulti fondato su titolo esecutivo) e di partecipare alla distribuzione del ricavato della vendita (o di prendere parte alla assegnazione del credito).

In evidenza

Le Sezioni Unite hanno chiarito che nel processo di esecuzione, la regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall'inizio alla fine della procedura va intesa nel senso che essa presuppone non necessariamente la continuativa sopravvivenza del titolo del creditore procedente, bensì la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo (sia pure del creditore intervenuto) che giustifichi la perdurante efficacia dell'originario pignoramento. Deriva da tale impostazione che qualora, dopo l'intervento di un creditore munito di titolo, sopravvenga la caducazione del titolo esecutivo originariamente posto a base della esecuzione, il pignoramento, se originariamente valido, non dovrà ritenersi caducato, bensì conserverà la sua efficacia quale primo atto dell'iter espropriativo riferibile anche al creditore titolato intervenuto (Cass. civ., Sez. Un., 7 gennaio 2014, n. 61).

I presupposti per proporre intervento

La disciplina generale in materia di intervento è dettata, come evidenziato in precedenza, dall'art. 499 c.p.c.

Tale disposizione è stata oggetto di un radicale intervento di riforma - che ha inciso profondamente sui presupposti e sulle modalità di esperimento dell'intervento nella procedura esecutiva - ad opera del d.l. 35/2005 (convertito in legge, con modifiche, ad opera della l. 80/2005 e successivamente modificato per effetto della l. 263/2005).

In particolare, rispetto alla originaria formulazione della norma, che non richiedeva la necessaria esistenza di un titolo esecutivo, la nuova formulazione dell'art. 499 ha inserito, al primo comma di tale novellata disposizione, la previsione secondo la quale l'intervento deve avvenire, di regola, sulla base di un titolo esecutivo (sia esso di origine giudiziale, ovvero rientrante nelle altre ipotesi previste dall'art. 474 c.p.c.).

Fanno eccezione, però, alcune ipotesi nelle quali l'intervento può ritenersi ammissibile anche in assenza di un titolo esecutivo.

Può così intervenire nella procedura esecutiva anche il creditore che, al momento del pignoramento, avesse eseguito un sequestro sui beni pignorati, ovvero avesse un diritto di pegno o altro diritto di prelazione risultante da pubblici registri.

Peraltro, con specifico riguardo ai creditori appena menzionati, deve precisarsi come agli stessi debba essere data necessariamente formale comunicazione del pignoramento, stando a quanto previsto dall'art. 498 c.p.c. (con particolare riguardo ai creditori aventi un diritto di prelazione risultante da pubblici registri) e dall'art. 158 disp. att. c.p.c. (quanto al creditore che abbia sottoposto a sequestro conservativo il credito oggetto di pignoramento), onde consentire il loro eventuale intervento nella procedura esecutiva.

Altra ipotesi, poi, nella quale viene consentito l'intervento non fondato su titolo esecutivo, è costituita dal caso in cui il creditore sia titolare di un credito risultante dalle scritture contabili di cui all'art. 2214 c.c.

Tale ultima ipotesi di intervento non titolato ha posto non pochi problemi sotto il profilo interpretativo.

Innanzi tutto, si è dubitato, da parte della dottrina, della stessa opportunità di tale scelta del legislatore, essendo apparsa la stessa come un ingiustificato privilegio conferito ad una particolare tipologia di creditori e non supportato da alcuna specifica e obiettiva ragione (una tale questione era stata invero sottoposta anche alla Corte costituzionale, che rendeva tuttavia pronuncia di inammissibilità con ordinanza n. 202/2011).

In particolare, il richiamo alle scritture di cui all'art. 2214 c.c. consente di ritenere che la possibilità di effettuare tale intervento non titolato sia riservata ai creditori che siano imprenditori commerciali o, più in generale, titolari di imprese soggette a registrazione.

Il credito deve risultare, dunque, dalle scritture contabili risultanti dall'art. 2214 c.c. - e, dunque, certamente dal libro giornale e dal libro degli inventari, ma anche dalle «altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa», mentre è discusso, e per lo più escluso, se il credito possa risultare anche dalle scritture tenute a fini fiscali - ed essere comprovato mediante estratto notarile delle scritture, dal quale risulti la regolare tenuta delle stesse.

Tale intervento non titolato, poi, stando alla lettera della norma, dovrà riferirsi ad un credito pecuniario (e non, dunque, ad altri crediti) che sia sorto anteriormente al pignoramento.

Ci si potrebbe chiedere, allora, se reputare ammissibile un intervento fondato su scritture contabili che sia sorto successivamente alla notifica del pignoramento, ma anteriormente alla sua estensione.

La lettera della norma indurrebbe a propendere per l'esclusione di una tale possibilità (la stessa fa infatti riferimento ai creditori che «al momento del pignoramento (…) erano titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all'art. 2214 c.c.»), anche se non parrebbe fuori luogo assimilare, ai fini di tale previsione normativa, l'atto di pignoramento alla sua eventuale estensione, tanto più che l'art. 499 c.p.c. predispone un dettagliato procedimento di verificazione di tali crediti, posto a tutela degli interessi del debitore esecutato.

La forma e il tempo dell'intervento

Il comma 2 dell'art. 499 c.p.c. prevede che l'intervento debba essere formalizzato mediante ricorso, da depositarsi nella cancelleria del giudice dell'esecuzione, mediante il quale si faccia domanda di partecipare alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita (ovvero all'assegnazione del credito pignorato) e si formalizzi la propria dichiarazione di residenza.

Da tale formulazione della norma è possibile evincere che l'intervento debba essere formalizzato da un legale munito di procura alle liti, mentre deve ritenersi inammissibile un intervento proposto dal creditore personalmente.

Come si accennava in precedenza, laddove l'intervento risulti fondato sulle scritture contabili di cui all'art. 2214 c.c., unitamente al ricorso dovrà anche depositarsi un estratto autentico notarile delle scritture in questione.

Di norma, il ricorso per intervento non deve essere notificato al debitore (è quanto può evincersi dal terzo comma dell'art. 499 c.p.c. che impone un tale incombente unicamente ai creditori intervenienti non muniti di titolo esecutivo), senza che ciò sembri ledere in alcun modo le prerogative e i diritti del debitore esecutato.

Da un lato, lo stesso è stato reso edotto, con l'atto di pignoramento, dell'esistenza di una procedura esecutiva avviata nei suoi confronti e della possibilità di effettuare dichiarazione di residenza o elezione di domicilio al fine di ricevere le comunicazioni relative alla stessa (si veda l'art. 492, comma 2, c.p.c.), sicché ove egli scelga di rimanere estraneo alla procedura non potrà in alcun modo dolersi di non aver avuto conoscenza degli interventi svolti nel corso della stessa.

Per altro verso, deve osservarsi come, in mancanza di un atto di estensione del pignoramento, i beni o crediti sottoposti a vincolo e suscettibili di espropriazione restano unicamente quelli oggetto dell'originario pignoramento, con l'effetto che l'intervento non comporta, di per sé, un aggravamento della posizione del debitore.

E' importante precisare, poi, che al deposito di un tale ricorso la giurisprudenza di legittimità attribuisce l'effetto di interrompere la prescrizione, in conformità a quanto previsto dall'art. 2943, comma 2, c.c. (si veda la recente Cass. civ., 9 luglio 2020, n. 14602).

Deve pure osservarsi, tuttavia, come non possa ritenersi esclusa, laddove il giudice dell'esecuzione ne ravvisi l'opportunità, la possibilità di disporre la notifica dell'atto di intervento al debitore esecutato anche in casi nei quali un tale obbligo non sia espressamente sancito dalla norma, allo scopo di fornire una più ampia garanzia di pieno rispetto del contraddittorio.

In taluni casi, poi, la necessità di provvedere alla notifica del ricorso per intervento è positivamente prevista dalla norma (e, segnatamente, dal comma 3 dell'art. 499 c.p.c.): si tratta delle ipotesi di intervento non titolato, con riferimento alle quali viene previsto che, entro dieci giorni dal deposito del ricorso (si tratta, tuttavia, di termine ritenuto non perentorio) l'intervento venga notificato al debitore, unitamente all'estratto autentico notarile delle scritture contabili (ove l'intervento abbia luogo in forza di esse).

A fronte del deposito dei ricorsi per intervento il creditore procedente (ossia la parte che ha effettuato il pignoramento) può indicare agli intervenuti l'esistenza di altri beni (o crediti) del debitore utilmente pignorabili, invitandoli ad estendere il pignoramento.

Ove gli stessi non ottemperino ad un tale invito, il creditore procedente potrà essere loro preferito in sede di distribuzione, mentre i creditori intervenuti, se non muniti di privilegio, dovranno soddisfarsi sul residuo.

Venendo all'individuazione del momento nel quale deve essere formalizzato l'intervento, l'art. 499, comma 2, c.p.c. prevede che il ricorso debba essere depositato «prima che sia tenuta l'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione, ai sensi degli artt. 530, 552 e 569».

Tale disposizione, così formulata, ha posto alcuni problemi interpretativi in ordine al suo coordinamento con alcune previsioni normative dettate con riguardo agli specifici mezzi di espropriazione forzata, tanto da aver indotto alcuni interpreti a ritenere che, alla luce di tale previsione normativa, l'intervento tardivo nella procedura esecutiva debba reputarsi del tutto escluso.

Tuttavia, una tale posizione risulta decisamente minoritaria, dal momento che le specifiche disposizioni dettate con riguardo ai diversi mezzi di espropriazione, tutt'ora vigenti, prevedono espressamente la possibilità di svolgere intervento tardivo, disciplinandone gli effetti.

E così, l'art. 525 c.p.c., in tema di espropriazione mobiliare, prevede che l'intervento debba aver luogo non oltre la prima udienza fissata per la vendita o l'assegnazione, mentre il successivo art. 528 c.p.c. prevede espressamente gli effetti dell'intervento tardivo, disponendo che i creditori chirografari intervenuti tardivamente (ossia successivamente alla ordinanza di vendita ma prima del provvedimento sulla distribuzione del ricavato della vendita) possano soddisfarsi solo su quanto residui dopo l'integrale soddisfazione del creditore procedente, di quelli privilegiati e degli intervenuti tempestivamente e affermando la sostanziale irrilevanza della tardività dell'intervento nel caso di creditore munito di diritto di prelazione.

Quanto all'espropriazione immobiliare, l'art. 564 c.p.c. consente l'intervento fino all'udienza fissata per l'autorizzazione alla vendita e il successivo art. 565 c.p.c. prevede espressamente gli effetti dell'intervento tardivo, disponendo che i creditori chirografari intervenuti tardivamente (ossia successivamente all'ordinanza di vendita ma prima dell'udienza fissata per l'approvazione del piano di riparto) possano soddisfarsi solo su quanto residui dopo l'integrale soddisfazione del creditore procedente, di quelli privilegiati e degli intervenuti tempestivamente e affermando, al successivo art. 566 c.p.c., la sostanziale irrilevanza della tardività dell'intervento nel caso di creditore munito di diritto di prelazione. Da segnalarsi, sempre in tema di espropriazione immobiliare, la recente introduzione (per effetto del d.l. 135/2018, convertito con modificazioni in l. 12/2019), all'interno dell'art. 569 c.p.c., della previsione di una nota di precisazione del credito che tanto il creditore procedente quanto gli eventuali intervenuti devono depositare indicando il credito residuo agli stessi spettante, comprensivo di interessi maturati e le spese sostenute fino alla udienza fissata per i provvedimenti sulla vendita.

Venendo, infine, all'ipotesi di espropriazione presso terzi, l'art. 551 c.p.c. reca un rinvio, al suo primo comma, alle disposizioni dettate in tema di espropriazione mobiliare, precisando che l'intervento, per reputarsi tempestivo, debba aver luogo entro la prima udienza di comparizione delle parti (discusso, poi, è se l'intervento possa comunque ritenersi tempestivo se effettuato prima dell'udienza nella quale venga effettivamente resa la dichiarazione del terzo).

La questione concernente la tempestività o meno dell'intervento ha effetti nient'affatto trascurabili sulla procedura esecutiva: come si accennava in precedenza, il creditore intervenuto tardivamente finisce per soddisfarsi, ordinariamente, solo su quanto residui all'esito della distribuzione del ricavato della vendita in favore del procedente e dei creditori tempestivi.

Fa eccezione il caso in cui ad intervenire tardivamente sia stato un creditore iscritto o avente un diritto di prelazione, il quale concorrerà comunque alla distribuzione in ragione del proprio diritto di prelazione (si vedano l'art. 528, comma 2, c.p.c. per l'espropriazione mobiliare e per quella presso terzi e l'art. 566 c.p.c. per l'espropriazione immobiliare).

Né, poi, il creditore che sia intervenuto tardivamente potrà beneficiare della previsione contenuta nel quarto comma dell'art. 499 c.p.c. (che prevede la possibilità di estensione del pignoramento ad opera del creditore intervenuto), atteso che, per espressa previsione normativa, una tale facoltà è riservata «ai creditori chirografari, intervenuti tempestivamente».

A ciò si aggiunga che, secondo un recente arresto della giurisprudenza di legittimità, l'estensione del pignoramento non può trovare ingresso in ogni tempo, ma soltanto «entro l'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione, in cui si cristallizza definitivamente, anche a tutela del debitore, l'oggetto della procedura» (Cass. civ., n. 25026/2019).

Solo un cenno è possibile fare nella presente sede ad un particolare tipo di intervento, avente caratteristiche invero del tutto specifiche e non a caso trattato in altra «bussola» (dal titolo «intervento del creditor creditoris nell'esecuzione forzata», di Valentina Baroncini): si tratta dell'intervento di cui all'art. 511 c.p.c., nel quale ad intervenire nella procedura esecutiva non è un creditore del debitore esecutato, ma è un creditore del creditore procedente o di altro creditore intervenuto nella procedura, il quale chieda di essere soddisfatto, limitatamente al proprio credito, in luogo del creditore sostituito.

L'INTERVENTO NELLA PROCEDURA ESECUTIVA

Presupposto dell'intervento

L'intervento deve ordinariamente essere fondato su un credito sancito da un titolo esecutivo. L'art. 499, comma 1, c.p.c. disciplina, però, alcune ipotesi nelle quali è ammissibile l'intervento non fondato su titolo esecutivo.

Forma dell'intervento

L'intervento deve essere formalizzato mediante deposito nella cancelleria del giudice dell'esecuzione di ricorso.

Notifica del ricorso per intervento

L'atto di intervento non deve essere ordinariamente notificato al debitore esecutato, fatta salva l'ipotesi di intervento non fondato su titolo esecutivo, che deve essere notificato al debitore entro dieci giorni dal deposito del ricorso.

Tempo dell'intervento

L'intervento, per essere tempestivo, deve essere effettuato fino allo svolgimento dell'udienza fissata per la vendita o per l'assegnazione. L'intervento tardivo comporta ordinariamente l'effetto che il creditore possa soddisfarsi soltanto su quanto residui dopo l'integrale soddisfazione del creditore procedente, dei creditori privilegiati e di quelli intervenuti tempestivamente.

Estensione del pignoramento

È in facoltà del creditore procedente indicare ai creditori intervenuti tempestivamente altri beni utilmente pignorabili, con l'effetto che in caso di mancata estensione del pignoramento da parte di tali creditori, gli stessi potranno soddisfarsi solo su quanto residui una volta soddisfatto il creditore procedente.

Disconoscimento dei crediti sottesi ad interventi non titolati

È previsto, ai commi 5 e 6 dell'art. 499 c.p.c., uno specifico sub-procedimento finalizzato a consentire il riconoscimento o il disconoscimento dei crediti non fondati su titolo esecutivo da parte del debitore esecutato.

Contestazioni circa l'ammissibilità dell'intervento

Le contestazioni circa la sussistenza dei presupposti per procedere ad intervento sollevate da parte del creditore procedente o da altri creditori intervenuti sono regolate dall'art. 512 c.p.c. (Cass. civ., 20 novembre 2020, n. 26423; Cass. civ., 9 aprile 2015 n. 7107)

Distribuzione del ricavato della vendita e assegnazione del credito

La distribuzione, in caso di concorso di diversi creditori (procedente e intervenuti) avviene a norma dell'art. 510, comma 2, c.p.c.

Il procedimento di riconoscimento previsto con riguardo agli interventi non titolati

Come si accennava in precedenza, è possibile intervenire nella procedura esecutiva, in presenza di uno dei presupposti previsti dall'art. 499, comma 1, c.p.c., anche se il credito vantato non sia supportato da un titolo esecutivo.

Con riguardo ad una tale tipologia di intervento l'art. 499 c.p.c. prevede una particolare disciplina, finalizzata a consentire la soddisfazione anche di tali crediti, sempre che gli stessi non siano stati disconosciuti dal debitore esecutato.

Il creditore intervenuto in assenza di titolo esecutivo deve innanzitutto procedere, al fine di provocare l'attivazione del debitore esecutato in vista di un tale procedimento di riconoscimento (o disconoscimento) del debito, alla notificazione dell'atto di intervento e dell'eventuale estratto autentico delle scritture contabili nei confronti del debitore entro dieci giorni dal deposito del ricorso (si veda l'art. 499, comma 3, c.p.c.).

All'udienza fissata per l'assegnazione o la vendita il giudice, laddove siano presenti interventi non fondati su titolo esecutivo, provvederà alla fissazione di un' apposita udienza di comparizione dinanzi a sé dei creditori intervenuti privi di titolo esecutivo e del debitore (si veda l'art. 499, comma 5, c.p.c.), disponendo la notificazione di tale provvedimento al debitore esecutato a cura delle parti interessate.

Nel corso di tale udienza il debitore dovrà dichiarare quali crediti (fra quelli non fondati su titolo esecutivo), e in quale misura, egli intenda riconoscere.

Ove il debitore non compaia a tale udienza, si intenderanno come riconosciuti tutti i crediti, oggetto di intervento, non fondati su titolo esecutivo (art. 499, comma 6, c.p.c.).

In tutti i casi di riconoscimento (sia espresso, che tacito) del credito non supportato da titolo esecutivo, il creditore intervenuto potrà partecipare alla fase distributiva per intero (ovvero per la parte di credito non disconosciuta).

Ove, invece, il debitore, comparendo a tale udienza, formalizzi il disconoscimento del credito (e, a tal fine, si ritiene che sia sufficiente che lo stesso compaia anche personalmente, limitandosi a formalizzare inequivocabilmente il disconoscimento, senza fornire motivazioni in merito), il giudice non potrà procedere alla distribuzione in relazione a tali crediti, anche se - in presenza di una formale istanza del creditore intervenuto, il quale si attivi, entro i trenta giorni successivi allo svolgimento di tale udienza di riconoscimento, per iniziare il giudizio finalizzato a munirsi di titolo esecutivo in relazione al credito vantato - dovrà procedere, ai sensi dell'art. 510, commi 2 e 3, c.p.c., all'accantonamento delle somme relative a tali crediti disconosciuti.

La distribuzione delle somme così accantonate potrà avvenire, su istanza di una delle parti che vi abbia interesse o anche d'ufficio, a distanza di non oltre tre anni dall'avvenuto accantonamento, in favore dei creditori che siano riusciti, nel frattempo, a munirsi di titolo esecutivo.

La fase distributiva e le eventuali contestazioni relative agli interventi svolti

L'art. 510 c.p.c., al suo primo comma, prevede che se il creditore presente nella procedura esecutiva è soltanto uno, il giudice provvede senz'altro all'attribuzione in suo favore di quanto ricavato dalla vendita (fino alla concorrenza del capitale spettante, degli interessi e delle spese di esecuzione), ovvero all'assegnazione, nella stessa misura, del credito pignorato, fermo restando che le ulteriori somme vincolate (siano esse quelle ricavate dalla vendita dei cespiti pignorati, ovvero quelle rappresentate dal residuo credito pignorato dovuto dal terzo all'esecutato), dovranno essere svincolate in favore del debitore esecutato.

Ove, invece, concorrano nella procedura una pluralità di creditori (siano essi tutti creditori procedenti in diverse procedure riunite, ovvero un creditore procedente e uno o più creditori intervenuti nella medesima procedura), la distribuzione dovrà avvenire tenendo conto delle cause legittime di prelazione eventualmente vantate da uno o più creditori e premurandosi di effettuare l'accantonamento con riguardo alle somme che spetterebbero ai creditori intervenuti non muniti di titolo esecutivo il cui credito sia stato disconosciuto dal debitore nel particolare procedimento di riconoscimento descritto al precedente paragrafo (si veda l'art. 510, comma 2, c.p.c.), dovendosi per il resto fare riferimento alle disposizioni specifiche dettate con riguardo ai singoli mezzi di espropriazione.

Le eventuali contestazioni sollevate dal creditore procedente, ovvero da altro creditore intervenuto munito di titolo esecutivo, in merito all'ammissibilità di altro intervento, ovvero in merito all'esistenza di una causa legittima di prelazione, ovvero ancora in merito alla concreta quantificazione della quota spettante ad un singolo creditore in sede di riparto, saranno ordinariamente definite secondo lo speciale procedimento previsto dall'art. 512 c.p.c. (si è recentemente espressa sul punto la Cassazione, affermando che la doglianza con la quale uno dei creditori contesti la tempestività dell'intervento di altro creditore sia riconducibile nell'ambito dell'art. 512 c.p.c.: si veda la già citata Cass. civ., n. 26423/2020), anche se, come si accennerà di seguito, non sempre risulta facile individuare il criterio discretivo fra controversia distributiva e rimedio oppositivo.

All'esito di tale procedimento di cui all'art. 512 c.p.c. - anch'esso fatto oggetto di una radicale rivisitazione per effetto del d.l. 35/2005, convertito con modifiche in l. 80/2005 e successivamente modificato dalla l. 263/2005 - il giudice dell'esecuzione decide con ordinanza, nel contraddittorio delle parti, in merito alle questioni distributive insorte tra le parti ed un tale provvedimento reso dal giudice dell'esecuzione è opponibile nelle forme e nei termini previsti dall'art. 617, comma 2, c.p.c.

Non sempre agevole, invero, risulta il rapporto fra i rimedi oppositivi offerti dagli artt. 615 e 617 c.p.c. e il rimedio previsto nel menzionato art. 512 c.p.c.

E così, ci si è chiesto se la contestazione in merito all'ammissibilità di un intervento (ad esempio perché non supportato da titolo esecutivo, né da alcuna delle ipotesi elencate al primo comma dell'art. 499 c.p.c.) debba essere trattata secondo le forme previste dall'art. 512 c.p.c., ovvero secondo quelle previste dall'art. 615 o 617 c.p.c..

Si tratta, a ben vedere, di distinzione di non poco conto, dal momento che a seconda della soluzione alla quale si acceda, diverse saranno le modalità di introduzione e di trattazione di una tale forma di contestazione e, soprattutto, differenti saranno i rimedi esperibili avverso la decisione assunta dal giudice dell'esecuzione in ordine alla stessa.

Sul punto, le indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità non sempre risultano univoche, dal momento che ad un orientamento che indica quale criterio distintivo fra i due possibili rimedi (quello della opposizione ex art. 615 c.p.c. e quello offerto dall'art. 512 c.p.c.) quello strettamente cronologico (tale per cui prima dell'inizio della fase distributiva bisognerà proporre le proprie contestazioni mediante introduzione di opposizione all'esecuzione, mentre nel corso della fase distributiva le stesse dovranno essere introdotte e trattate con le modalità previste dall'art. 512 c.p.c. - si vedano Cass. civ., 26 ottobre 2011 n. 22310 e Cass. civ., 21 giugno 2013 n. 15654), se ne contrappone un altro che considera sempre possibile, anche cioè nel corso della fase distributiva, il rimedio dell'opposizione all'esecuzione, dovendosi incentrare la distinzione dei due rimedi sull'oggetto degli stessi, dal momento che con l'opposizione all'esecuzione si mira a neutralizzare l'intero processo esecutivo, mentre con il rimedio previsto dall'art. 512 c.p.c. non viene più in alcun modo in questione il diritto di procedere ad esecuzione forzata, venendo in questione soltanto l'esistenza o l'entità di uno dei crediti vantati in corso di procedura (in tal senso si pone Cass. civ., 11 dicembre 2012 n. 22642; in linea con tale pronuncia paiono Cass. civ., 9 aprile 2015, n. 7107 e Cass. civ., 9 aprile 2015, n. 7108).

Rispetto ad una tale questione, deve segnalarsi la modifica apportata dal legislatore al secondo comma dell'art. 615 c.p.c. (per effetto del d.l. 59/2016, convertito con modificazioni in l. 119/2016), in base alla quale «nell'esecuzione per espropriazione l'opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli artt. 530, 552, 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero l'opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile».

Tale modifica, tuttavia, non sposta significativamente i termini della questione come sopra sinteticamente rassegnati, restando sempre possibile, ad esempio, formulare motivi di opposizione all'esecuzione con riguardo ad un intervento svolto tardivamente, atteso che certamente si tratta di un fatto sopravvenuto che giustifica la proposizione dell'opposizione.

Sommario