Istruttoria nel processo del lavoro

16 Maggio 2016

Analisi della fase istruttoria nel processo del lavoro ex art. 420 c.p.c ed ex art. 421 c.p.c., specificamente destinato alla regolamentazione dei poteri istruttori del giudice.
Inquadramento

La fase istruttoria nel processo del lavoro trova una scarna ma significativa disciplina nell'alveo dell'art. 420 c.p.c., dedicato alla prima udienza di discussione della causa, nonché dell'art. 421 c.p.c., specificamente destinato alla regolamentazione dei poteri istruttori del giudice, ed è conforme ai fondamentali ed immanenti principi della celerità e concentrazione del processo del lavoro, da un lato, e della ricerca della verità materiale dall'altro.

L'art. 420 c.p.c., in piena coerenza con il principio della full disclosure delle richieste istruttorie di parte negli atti introduttivi del giudizio, stabilisce che, laddove il giudice non ritenga la causa matura per la decisione, nella stessa udienza di discussione può ammettere i mezzi istruttori già proposti dalle parti, e quelli che le parti non abbiano potuto proporre prima, se ritiene che siano rilevanti disponendo, con ordinanza resa nell'udienza, per la loro immediata assunzione.

Non vi è, pertanto, fatte salve le limitate ipotesi di rimessione in termini per l'articolazione di istanze istruttorie, di proposizione di domanda riconvenzionale da parte del resistente, che facoltizza il ricorrente al deposito di memoria difensiva anteriormente alla nuova udienza di discussione, spazio per la modificazione del thema probandum rispetto a quanto delineato negli atti introduttivi, né all'articolazione dei mezzi di prova è dedicata una specifica fase processuale, come nel rito ordinario, che prevede il deposito delle memorie di cui all'art. 183, comma 6, nn. 2 e 3 c.p.c..

L'apparente rigidità del sistema di preclusioni e decadenze è, tuttavia, temperata dai significativi poteri ufficiosi del giudice in materia di ammissione dei nuovi mezzi di prova, ai sensi dell'art. 421 c.p.c. (art. 437, comma 2, c.p.c. in appello), ispirato all'esigenza di coniugare il principio dispositivo con la ricerca della verità materiale (Cass. civ., sez. lav., 2 ottobre 2009, n. 21124).

In evidenza

I principi di immediatezza e concentrazione nel rito del lavoro comportano l'onere della parte di articolare, fatte salve limitate eccezioni, i mezzi istruttori negli atti introduttivi del giudizio. All'udienza di discussione il giudice provvederà all'ammissione ed all'assunzione dei mezzi articolati, laddove non ritenga di disporre d'ufficio mezzi di prova, facendo leva sugli ampi poteri ufficiosi conferiti dagli artt. 421 e 437 c.p.c., volti al contemperamento del principio dispositivo con la necessità di ricerca della verità materiale.

Le richieste istruttorie e le preclusioni processuali

I principi di oralità, concentrazione ed immediatezza, immanenti al rito del lavoro, hanno indotto il legislatore del 1973 a congegnare un sistema di preclusioni processuali a carico delle parti anticipato al momento del deposito degli atti introduttivi del giudizio. Costituisce, pertanto, onere di ciascuna delle parti, delineare con compiutezza sia il thema decidendum che il thema probandum rispettivamente nel ricorso e nella memoria di costituzione, da depositarsi, ai fini della tempestività della costituzione, non oltre dieci giorni rispetto all'udienza di discussione ex art. 420 c.p.c..

Tale sistema di preclusioni, oltre che essere espressione dei principi del processo del lavoro, appare funzionale alla possibilità del giudice di valutare con compiutezza, in sede di prima udienza, l'oggetto della causa, al fine di procedere all'interrogatorio libero delle parti ed al tentativo di conciliazione e, se del caso, all'immediata decisione ovvero, laddove la causa necessiti di istruttoria, all'ammissione ed assunzione dei mezzi di prova.

L'esistenza di profili decadenziali è espressamente prevista per il solo resistente all'art. 416, comma 3, c.p.c., laddove si precisa che, nella memoria di costituzione, oltre che proporre eventuale domanda riconvenzionale e chiamata di terzo in causa, il resistente dovrà prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, proponendo tutte le sue difese in fatto ed in diritto, ed indicando specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti, che deve contestualmente depositare.

L'onere di indicazione specifica dei mezzi di prova in capo all'attore nell'atto introduttivo del giudizio, di cui all'art. 414, comma 5, c.p.c., non è esplicitamente accompagnato da alcuna previsione decadenziale. Non vi è, tuttavia, dubbio in ordine alla circostanza che analogo regime di decadenza valga per il ricorrente (Cass. civ., sez. lav., 2 febbraio 2009, n. 2577), per evidenti esigenze di rispetto del principio del contraddittorio e parità delle armi.

La modificazione del thema probandum

L'assetto di preclusioni istruttorie è funzionalmente collegato, e logicamente subordinato, alla compiuta delineazione della piattaforma assertiva (il cd. thema decidendum). L'introduzione di elementi di fatto nuovi non può, dunque, che comportare, in ossequio al principio del contraddittorio, la correlativa facoltà di calibrazione del thema probandum. In termini esemplificativi, laddove il resistente, nel costituirsi in giudizio, alleghi l'esistenza di fatti modificativi, estintivi o impeditivi del diritto fatto valere, al ricorrente non potrà non essere consentita la facoltà di controallegazione e controprova.

A sopperire a tale esigenza provvede il disposto di cui all'art. 420, comma 5, c.p.c., secondo cui è onere delle parti dedurre, a pena di decadenza, nel corso della prima udienza, i mezzi di prova che non abbiano potuto proporre prima, che trova precipua applicazione ai mezzi di prova che appaiono giustificati dalle difese della controparte (Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2008, n. 5026).

Se la possibilità di proporre nuove prove deve ritenersi ammessa in caso di introduzione di nuovi elementi di fatto a sostegno di difese ed eccezioni ad opera del resistente, essa deve ritenersi a fortiori concessa in caso di proposizione di domanda riconvenzionale, ai sensi dell'art. 418 c.p.c.. In tal caso, difatti, disposto differimento di udienza richiesto dal ricorrente in via riconvenzionale, le eccezioni e le difese, e le correlative articolazioni istruttorie avverso la domanda riconvenzionale contro di lui rivolta, potranno essere dall'attore proposte, a pena di decadenza, con memoria depositata nelle forme e nel termine (di almeno dieci giorni prima dell'udienza) di cui all'art. 416 c.p.c., da computarsi rispetto alla data della nuova udienza di discussione fissata, ai sensi dell'art. 418, a seguito della proposizione di detta domanda, valendo anche per l'attore riconvenuto i limiti all'esercizio delle attività assertive e probatorie posti dai commi 1 e 5 dell'art. 420 c.p.c..

Peculiarità presenta la fattispecie di cui all'art. 420, comma 1, c.p.c., che riflette il caso in cui il giudice autorizzi le parti a modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, ricorrendo i gravi motivi. La disposizione de quo è, difatti, dalla giurisprudenza interpretata nel senso che, stante il regime delle preclusioni assertive nel processo del lavoro, non è ammessa la proposizione di domande nuove, o modificazioni delle domande proposte (c.d. mutatio libelli), neanche nell'ipotesi di accettazione del contraddittorio ad opera della controparte, dovendosi ritenere ammissibile soltanto le modifiche meramente quantitative, che comportino una diversa qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto o una diversa interpretazione dello stesso, configuranti emendatio libelli, previa autorizzazione del giudice (Cass. civ., sez. lav., 19 luglio 2014, n. 17176).

Se ciò è vero deve negarsi che, a seguito di autorizzazione alla modifica della domanda, nel senso innanzi precisato, vi sia necessità di articolazione di prove nuove posto che, escludendosi la facoltà di modificazione delle allegazioni, non vi saranno fatti nuovi da provare giudizialmente.

Altro caso tipico di pacifica introducibilità di nuovi elementi di prova è quello della rimessione in termini, originariamente prevista per la fase istruttoria del rito ordinario dall'art. 184-bis c.p.c., ritenuta dalla giurisprudenza non incompatibile con il rito del lavoro (Cass. civ., sez. lav., 28 agosto 2000, n. 11279), e successivamente generalizzata, con riferimento a qualsiasi ipotesi di inosservanza di termini previsti a pena di decadenza, mediante l'introduzione del comma 2 all'art. 153 c.p.c., ad opera della l. 69/2009.

Tanto nella versione prevista dall'art. 184-bis c.p.c., quanto in quella, di più ampia portata, contenuta nell'art. 153, comma 2, c.p.c., la deduzione di nuovi mezzi di prova sarà condizionata alla dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, concretata dalla verificazione di un evento impediente che abbia i caratteri della assolutezza ed insuperabilità, e non dalla mera difficoltà o impossibilità relativa, mediante uno sforzo di diligenza esigibile secondo il caso concreto (Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2013, n. 8216).

Altra pacifica ipotesi di introducibilità di mezzi di prova nuovi rispetto a quelli contenuti nel ricorso introduttivo del giudizio è quella della declaratoria di nullità del ricorso introduttivo del giudizio in causa non contumaciale, per mancata o insufficiente determinazione dell'oggetto della domanda o in ragione della carente esposizione dei fatti o degli elementi di diritto sui quali la pretesa si fonda. Trova, in questo caso, applicazione il disposto di cui all'art. 164, comma 5, c.p.c., con fissazione di un termine perentorio in favore dell'attore per provvedere all'integrazione della domanda (Cass. civ., sez. lav., 17 gennaio 2014, n. 896).

Esempio

Si ponga il caso di un ricorso introduttivo per l'accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato che venga dichiarato nullo avendo il ricorrente tralasciato l'allegazione degli elementi tipici della subordinazione di cui all'art. 2094 c.c.. In questo caso, nella memoria integrativa autorizzata, da depositarsi nel termine perentorio assegnato dal giudice, il ricorrente potrà non soltanto allegare gli elementi fattuali a supporto della sussistenza degli indici di subordinazione, ma dedurre nuove ed ulteriori istanze di prova rispetto a quelle contenute nel ricorso.

Occorre, tuttavia, precisare che l'istituto della nullità, valorizzato dalla giurisprudenza di merito anche nel caso di mancata specificazione degli elementi di fatto della domanda che non pregiudichino in senso assoluto la comprensione degli elementi fondanti la domanda giudiziale (cfr. ad es., imprecisa indicazione delle mansioni svolte e delle disposizioni della contrattazione collettiva in virtù delle quali è richiesta la qualifica superiore, Trib. Catanzaro, sez. I, 12 maggio 2004), trova più rigorosa applicazione in alcune enunciazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la possibilità di integrazione del ricorso è consentita soltanto laddove si riscontri la totale omissione o l'assoluta incertezza degli elementi fondanti della domanda come, ad esempio, il bene della vita di cui si domanda il riconoscimento (Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2012, n. 1236).

Non sussistono dubbi o contrasti, invece, in ordine alla circostanza che l'omessa indicazione di mezzi di prova non comporti la nullità del ricorso ma esclusivamente la decadenza dalla successiva possibilità di deduzione nel corso del processo (Cass., sez. lav., 14 ottobre 2007, n. 22035).

Segue: casistica

CASISTICA: Ipotesi di modificazione del thema probandum

Proposizione di difese ed eccezioni ad opera del convenuto che comportino l'allegazione di fatti nuovi (Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2008, n. 5026)

Il ricorrente potrà proporre mezzi di prova nuovi all'udienza di discussione ai sensi dell'art. 420, comma 5, c.p.c.

Proposizione di domande riconvenzionale da parte del convenuto

Il ricorrente potrà proporre mezzi di prova nuovi nella memoria difensiva da depositarsi nel termine di almeno dieci giorni prima della nuova udienza di discussione fissata ai sensi dell'art. 418 c.p.c..

Emendatio libelli autorizzata ai sensi dell'art. 420, comma 1, c.p.c. (Cass. civ., sez. lav., 19 luglio 2014, n. 17176)

Le parti non potranno proporre mezzi di prova nuovi, dovendosi escludere la facoltà di modificazione delle allegazioni e introduzione di nuovi elementi di fatto.

Rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c.

(Cass. civ., sez. lav., 28 agosto 2000, n. 11279)

Le parti potranno proporre mezzi di prova non proposti nei termini di decadenza, dimostrando di essere incorsi in decadenza per causa non imputabile.

Nullità del ricorso introduttivo (Cass. civ., sez. lav., 17 gennaio 2014, n. 896)

Il ricorrente avrà facoltà di proporre nuovi mezzi di prova a sostegno delle nuove allegazioni contenute nella memoria integrativa ex art. 164, comma 5, c.p.c..

I poteri ufficiosi del giudice del lavoro

I poteri ufficiosi del giudice del lavoro

Il rigore del sistema di preclusioni processuali e di una rigida e meccanica applicazione del potere dispositivo trova, nel rito del lavoro, significativo temperamento nella congerie di poteri ufficiosi conferiti al giudice, funzionali all'accertamento della verità sostanziale o materiale cui è ispirato il diritto del lavoro, il cui esercizio è frutto di valutazione discrezionale insindacabile in sede di legittimità (Cass. civ., sez. lav., 15 luglio 2015, n. 14820).

Più in particolare, il mancato esercizio dei poteri istruttori d'ufficio è censurabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., sussistendo un onere del ricorrente di allegare e provare che nel giudizio di merito esisteva una cd pista probatoria, rispetto alla quale, pur in presenza di espressa e specifica richiesta di intervento probatorio, non si era esplicata l'attività officiosa del giudice (Cass. civ., sez. VI, 29 dicembre 2014, n. 27431).

Non vi è dubbio che l'esercizio dei poteri istruttori ufficiosi da parte del giudice non possa avere effetti di eterointegrazione della domanda, potendosi operare con tale funzione vicaria e suppletiva esclusivamente nei limiti della piattaforma assertiva delineata dalle parti negli atti introduttivi o, nelle ipotesi in cui ciò sia possibile, nel corso della trattazione della causa. Tali poteri, pertanto, potranno essere esercitati soltanto nei limiti dei fatti introdotti o emersi in corso di causa (Cass. civ., sez. lav., 2 febbraio 2009, n. 2577).

Ciò premesso, dubbi sono i margini, nell'alveo della piattaforma assertiva già delineata, entro i quali possono essere esercitati i poteri istruttori d'ufficio. Oggetto di discussione appare, in particolare, la possibilità di disporre un'integrazione istruttoria superando, di fatto, profili di decadenza nelle quali le parti siano negligentemente incorse.

Orientamenti a confronto: Possibilità di disporre un'integrazione istruttoria

Tesi positiva

Secondo una prima tesi, che tende a valorizzare, nella sua massima ampiezza, l'obiettivo di ricerca della verità materiale o sostanziale, in ragione della natura dei diritti controversi, i poteri di cui all'art. 421 c.p.c. potrebbero essere dal giudice attivati anche laddove la parte abbia colpevolmente omesso di indicare nell'atto introduttivo i mezzi di prova di cui intende valersi, incorrendo in decadenza (Trib. Taranto, sez. II, 3 febbraio 2014, in dejure.giuffre.it).

Tesi intermedia

La prova nuova disposta d'ufficio non potrebbe essere disposta ad libitum da parte del giudice ma dovrebbe trovare fondamento nella necessità di approfondimento di elementi già presenti nel corso del giudizio, al fine di vincere i dubbi residuali. Entro tali ambiti sarebbe consentito superare eventuali preclusioni e decadenze in danno delle parti (Cass. civ., sez. lav., 5 novembre 2011, n. 18924).

Tesi maggiormente rigorosa

L'esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice del lavoro, in primo grado o in sede di gravame, non può in alcun modo intervenire a sanare eventuali profili di decadenza nei quali le parti siano colpevolmente incorse e presuppone, oltre all'insussistenza di colpevole inerzia delle parte interessata, l'opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti. L'indispensabilità dell'iniziativa ufficiosa riposerebbe, in altri termini, non nella necessità di superare gli effetti di una tardiva richiesta istruttoria o supplire ad una radicale carenza probatoria sui fatti costitutivi della domanda, bensì di colmare eventuali lacune delle risultanze di causa (Cass. civ., sez. VI, 15 gennaio 2015, n. 547).

Così, dunque, qualora la parte abbia, con l'atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale mediante indicazione specifica dei fatti, formulati in articoli separati, ma omettendo l'enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, la stessa incorrerà nella decadenza della relativa istanza istruttoria, ed il giudice non potrà fissare alcun termine, ai sensi dell'art. 421 c.p.c., per sanare la carente formulazione (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5950).

Al fine di temperare il rigore di tale tesi, un formante giurisprudenziale ha provveduto a declassare l'omessa enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, in sede di articolazione della prova per testi, a mera irregolarità, cui può supplirsi mediante la fissazione di un termine perentorio per provvedere all'integrazione, la cui inosservanza produce decadenza dalla prova, rilevabile ex officio e non sanabile con l'accordo delle parti (Cass. civ., sez. lav., 28 luglio 2010, n. 17649).

Appare evidente che la previsione di un sistema di preclusioni processuali non possa essere accompagnato da un modello di poteri istruttori ufficiosi esercitabile senza limite, con riguardo alle decadenze nelle quali le parti siano incorse o alle risultanze probatorie già presenti al momento dell'esercizio, che nella sostanza ne vanificherebbe completamente la portata.

Sembra, dunque, preferibile aderire all'orientamento secondo cui l'attivazione dei poteri ufficiosi non sia incondizionata, ma strettamente connessa all'evolversi della vicenda processuale successivamente al deposito degli atti introduttivi del giudizio. In altri termini, l'art. 421 c.p.c. non funge da ausilio per ovviare alle carenze probatorie riconducibili a colpevole negligenza delle parti, ma per completare, con i tasselli mancanti, un quadro probatorio completo negli elementi principali a conferire evidenza alla tesi di parte, nei limiti, dunque, di una situazione di semiplena probatio (Cass. civ., SU, 20 aprile 2005, n. 8202).

Sotto altro e concorrente profilo, il potere di cui all'art. 421 c.p.c. può essere attivato per supplire alle carenze probatorie determinate dall'assenza di prossimità della prova, nelle circostanze in cui il soggetto dalla stessa gravato non ne abbia la disponibilità, rientrando la stessa nella sfera di controllo della controparte.

Così, ad esempio, in materia di dedotta applicabilità, da parte del lavoratore subordinato, della tutela reale, in presenza dei requisiti dimensionali dell'art. 18 l. 300/1970, rientrerà nella facoltà del giudicante ammettere la prova indispensabile ai sensi dell'art. 421 c.p.c. (Cass. civ., sez. lav., 28 agosto 2013, n. 19810). Ancora, quando sia necessario acquisire informazioni relative ad atti o documenti della PA che la parte sia impossibilitata a fornire e dei quali solo l'amministrazione sia in possesso proprio in relazione all'attività da essa svolta (Cass. civ., sez. I, 7 novembre 2003, n. 16713).

Entro gli ambiti precisati, dunque, il giudice potrà, in ogni momento, indicare alle parti le irregolarità degli atti e documenti, assegnando un termine per provvedere, disporre in ogni momento l'ammissione di ogni mezzo di prova, anche al di fuori dei limiti stabiliti dagli artt. 2721 e ss. c.c. per la prova testimoniale (Cass. civ., sez. lav., 5 aprile 2005, n. 7011) nonché dall'art. 1417 c.c. per la simulazione (Cass. civ., sez. lav., 26 giugno 2004, n. 11926), fatto salvo il giuramento decisorio. Potrà, inoltre, provvedersi alla richiesta di informazioni o osservazioni alle associazioni sindacali, anche al fine di provvedere all'acquisizione di accordi e contratti collettivi non prodotti in causa (Cass. civ., sez. lav., 1 luglio 2010, n. 15653), disporre l'accesso sul luogo del lavoro e l'esame di testimoni sul luogo stesso, provvedere all'interrogatorio libero di incapaci di testimoniare ex art. 246 c.p.c., traendo dalle risultanze argomenti di prova liberamente valutabili ai sensi dell'art. 116 c.p.c..

Tali poteri, com'è naturale, andranno ad aggiungersi ai poteri ufficiosi già previsti dal codice di rito per il rito ordinario, segnatamente l'ispezione di persone e cose, l'ordine di esibizione, la richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione, il giuramento suppletorio e quello d'estimazione e, nell'ambito della prova testimoniale, l'audizione di testi di riferimento, superflui, rinunciati, la rinnovazione dell'audizione, l'esperimento giudiziale.

Nuovi mezzi di prova in appello

Ai poteri istruttori ufficiosi in sede di appello è dedicato un alinea dell'art. 437 c.p.c., segnatamente il comma 2 che, dopo aver affermato il principio del generale divieto di nuove domande, eccezioni e mezzi di prova in sede di gravame, fatta eccezione per il giuramento estimatorio, fa salva la possibilità per il collegio di ammettere, anche d'ufficio, i mezzi che ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa.

Anche con riferimento ai poteri ufficiosi in appello l'orientamento che prevale è quello di considerare la prova nuova utilizzabile al solo indispensabile approfondimento di degli elementi già obiettivamente presenti nel processo e non al fine di supplire a carenze relative alle deduzioni probatorie delle parti in primo grado (Cass. civ., sez. lav., 5 novembre 2012, n. 18924).

In tale prospettiva il giudizio di indispensabilità, prodromico all'ammissione ufficiosa della prova, non attiene al merito della controversia ma è valutazione di natura eminentemente processuale, volta alla valutazione del compendio probatorio acquisito in primo grado ed al superamento di un perdurante stato di incertezza in ordine ai fatti costitutivi dei diritti in contestazione, a condizione che tali fatti risultino puntualmente allegati nell'atto introduttivo del giudizio. Soltanto entro tali limiti potrà provvedersi al superamento di eventuali preclusioni o decadenze in danno delle parti interessate.

Analogo ragionamento dovrà operarsi per la prova documentale, essendo possibile l'ammissione di nuovi documenti in appello, su richiesta di parte o anche d'ufficio, laddove gli stessi abbiano una speciale efficacia dimostrativa e siano dal giudice rivestiti di influenza causale più incisiva rispetto alle prove in genere ammissibili in quanto rilevanti, ovvero a prove che sono idonee a fornire un contributo decisivo all'accertamento della verità materiale, per essere dotate di un grado di decisività e certezza tale che, da sole considerate, e quindi a prescindere dal loro collegamento con altri elementi ed indagini, conducano ad un esito necessario della controversia (Cass. civ., sez. lav., 9 settembre 2013, n. 20614).