IspezioneFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 258
26 Febbraio 2018
Inquadramento
L'ispezione è prevista, dall'art. 118 c.p.c., al fine di consentire al giudice di conseguire la cognizione di quegli elementi che per diverse ragioni possono essere oggetto solo di osservazione e non anche di acquisizione mediante i normali mezzi di prova. In particolare, il giudice può ordinare alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro possesso le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti di causa, purchè ciò possa compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo, e senza costringerli a violare uno dei segreti previsti negli artt. 200 (segreto professionale), 201 (segreto d'ufficio) e 202 (segreto di Stato) c.p.p.. Si tratta, quindi, di una prova diretta, la quale non ha per oggetto i documenti, che vanno acquisiti a mezzo dell'esibizione, ma circostanze o modi di essere relativi a cose, luoghi o persone, rilevanti per la decisione, delle cui caratteristiche consente al giudice di prendere immediata conoscenza.
Si è osservato, in dottrina, che l'ispezione, da un lato, ha in comune con le prove orali (confessione, giuramento e testimonianza) le caratteristiche proprie delle prove costituende; dall'altro, ha in comune con le prove documentali la caratteristica di ricondurre la sua efficacia probatoria ad un elemento obiettivo o materiale: una cosa, mobile o immobile, o un complesso o una situazione di cose o di luoghi, o anche una o più persone, ma considerate nella loro essenza corporea (Mandrioli). L'ispezione è affidata al potere discrezionale del giudice, da esercitarsi in via di eccezionalità e subordinatamente alla mancanza di idonei mezzi, dei quali possa avvalersi la parte sulla quale grava l'onere della prova (Cass. civ., n. 13533/11, Cass. civ., n. 2760/96). L'istituto in esame è, infatti, giustificato dalla indispensabilità della cognizione di elementi, che possono essere oggetto di osservazione e non anche di acquisizione mediante i normali mezzi di prova, e richiede la predeterminazione dei fatti per la prova dei quali è disposta l'istruttoria. Peraltro, tale predeterminazione, la cui esigenza è insita nello stesso concetto di prova costituenda, è necessaria ai fini del requisito della indispensabilità degli stessi mezzi ai fini della conoscenza dei fatti della causa, nel senso del verificarsi di una situazione per cui la prova dei fatti, all'accertamento dei quali l'ispezione è indirizzata, non possa essere fornita se non attraverso tali mezzi (Cass. civ., n. 1690/62). Anche in dottrina si ritiene che l'ispezione possa essere disposta solo quando sia l'unico strumento possibile per la conoscenza di determinate circostanze (Liebman, Grasso, Massari), con la precisazione che, ove non sia pregiudizievole per la parte, potrebbe invece essere ordinata anche se non fosse l'unico mezzo di prova disponibile (Liebman). Il requisito dell'indispensabilità, nel senso più rigoroso, resterebbe fermo nei casi di ispezione corporale (Finocchiaro). Si esclude, quindi, che possa essere disposta a scopi esplorativi, volti ad accertare se un fatto esista o meno, traducendosi in tal caso in una perquisizione non ammessa nel processo civile (Grasso). Parimenti non può essere disposta se comporti prevedibilmente danni gravi per la parte o per il terzo per effetto della violazione di segreti personali o aziendali (Andrioli, Massari), o se costringa gli stessi a violare un segreto professionale o d'ufficio o un segreto di Stato. L'ispezione non incontra, invece, limiti determinati dal rispetto del segreto bancario (Cass. civ., n. 7953/90). É pacifico che il “grave danno”, richiamato nell'art. 118 c.p.c., debba essere diverso da quello della soccombenza nella causa in corso (Mandrioli, Massari); di solito, si esemplifica con riguardo alla divulgazione di principi, formule e metodi di attuazione, di produzione industriale o di segreti d'azienda, nonché in relazione alla divulgazione di risultanze strettamente familiari o gelosamente personali. Si ritiene che, prima di ordinare l'ispezione, il giudice debba valutare se è prevedibile un siffatto danno (Grasso). Quanto al terzo soggetto passivo dell'ispezione, si ritiene ammissibile, in via analogica, l'attivazione da parte dello stesso del meccanismo di tutela previsto dall'art. 211 c.p.c. (Massari).
Oggetto
L'ispezione può riguardare, oltre persone e beni immobili, anche cose mobili, purchè le stesse non possano acquisirsi al processo in altro modo (Cass. civ., n. 10411/94). In particolare, tra le “cose”, di cui può chiedersi l'ispezione, rientrano teoricamente anche i documenti, ma se la legge prevede l'acquisizione al processo con un determinato mezzo istruttorio, è a questo che occorre fare ricorso. Ne consegue, ad es., che, poiché in tema di esibizione sono menzionate le scritture contabili dell'imprenditore (art. 2711 c.c. e art. 212 c.p.c.), di queste non è ammissibile l'ispezione, bensì soltanto l'esibizione quale mezzo di acquisizione di tale prova documentale (Cass. civ., n. 3260/97, Cass. civ., n. 10411/94), desumendosi dall'art. 210 c.p.c. che l'un mezzo probatorio esclude l'altro (Cass. civ., n. 9839/94). Tale inammissibilità dell'ordine di ispezione non esclude, però, che possa essere valutato come argomento di prova il contegno complessivo della parte che non dia ad esso esecuzione, invocando ragioni diverse e del tutto estranee alla causa di inammissibilità (Cass. civ., n. 9839/94). Il giudice, inoltre, può ordinare al testimone, ai sensi dell'art. 118 c.p.c., di consentire l'ispezione di documenti utilizzati per aiuto alla memoria, che restano in tal caso acquisiti al fascicolo d'ufficio e sono utilizzabili ai fini del decidere, quand'anche l'acquisizione avvenga dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie, salvo il diritto delle parti di essere ammesse alla prova contraria resa necessaria dalla acquisizione d'ufficio (Cass. civ., n. 18896/15). Svolgimento
L'ispezione, ai sensi dell'art. 258 c.p.c., viene disposta dal giudice istruttore, che ne fissa il tempo, il luogo ed il modo. Il giudice può disporla d'ufficio (Cass. civ., n. 1774/89), in ogni stato e grado del giudizio (anche nel giudizio di rinvio: Cass. civ., n. 2225/76), con ordinanza modificabile e revocabile ai sensi degli artt. 177 e 178, comma 1, c.p.c. (Cass. civ., n. 803/74), ma non reclamabile al collegio. Trattandosi di un mezzo di prova non disponibile dalle parti, non opererà il regime delle preclusioni istruttorie di cui all'art. 183 c.p.c.. Nel caso di esercizio dei poteri di ufficio, tuttavia, deve trovare applicazione il comma 8 dell'art. 183 c.p.c., secondo cui ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione a quelli disposti d'ufficio, nonché depositare memoria di replica nell'ulteriore termine perentorio parimenti assegnato dal giudice. Si discute, in caso di ammissione dell'ispezione, in ordine alla necessità o meno di un'espressa motivazione. In assenza di una specifica previsione al riguardo, molti autori propendono per una necessaria, per quanto succinta, motivazione, argomentando sul piano della costituzionalità di un simile provvedimento, per così dire, invasivo (Finocchiaro). Ove l'ordinanza sia emessa fuori udienza e soggetto passivo dell'ispezione sia una parte costituita, occorre dargliene comunicazione ai sensi dell'art. 176, comma 2, c.p.c.. Secondo la dottrina prevalente, l'ordinanza va notificata al terzo o al contumace, qualora sia disposta l'ispezione sulle loro persone o su cose in loro possesso, conformemente alla previsione dell'art. 95 disp. att. c.p.c. per l'ordinanza di esibizione (Andrioli, Liebman). In ogni caso, anche per assicurare la fruttuosità dell'atto istruttorio, sembra opportuno, sotto un profilo logico prima ancora che giuridico, mettere sull'avviso il destinatario dell'ispezione. Il concetto di possesso deve essere comunque inteso in senso lato come disponibilità di fatto, sicchè l'ordine di ispezione può essere rivolto anche al detentore (Finocchiaro). Le parti possono farne istanza, che però può essere disattesa dal giudice anche senza espressa motivazione, rientrando nel suo insindacabile apprezzamento discrezionale (Cass. civ., n. 3241/00, Cass. civ., n. 11687/93, Cass. civ., n. 2748/66), né il giudice deve specificamente indicarne le ragioni nella sentenza (Cass. n. 1132/81, n. 1774/89; contra Cass. civ., n. 5149/77, Cass. civ., n. 4059/75), non essendo censurabile in sede di legittimità la sentenza che non abbia indicato le ragioni del non accoglimento dell'istanza di ispezione giudiziale (Cass. civ., n. 12558/02, Cass. civ., n. 3241/00, Cass. civ., n. 2716/98), giacchè dal fatto che il giudice non si sia avvalso del potere discrezionale di disporla si deduce per implicito che egli ha escluso la sussistenza del presupposto dell'indispensabilità per conoscere i fatti di causa (Cass. civ., n. 13431/07, Cass. civ., n. 15430/06). Peraltro, la motivazione di rigetto dell'istanza può desumersi implicitamente anche dalla stessa ratio decidendi della sentenza sulla base della valutazione dei fatti ritenuti già provati (Cass. civ., n. 8526/03). Tale ultimo principio trova applicazione anche nel giudizio per la dichiarazione giudiziale della paternità naturale, in cui il ricorso alle prove ematologiche, anche se richiesto dal preteso padre, resta rimesso alla valutazione del giudice di merito, il quale può ritenerle superflue ove abbia già acquisito elementi sufficienti a fondare il suo convincimento. La relativa decisione è incensurabile in sede di legittimità, nei limiti in cui sia adeguatamente motivata (Cass. civ., n. 2749/02). Il sopralluogo per l'ispezione giudiziale è un atto dell'ufficio e non personale del giudice, per cui l'utilizzazione e la valutazione delle relative risultanze, da parte del giudice investito della decisione, non postula l'identità fra tale giudice e quello che abbia materialmente effettuato il sopralluogo stesso (Cass. civ., n. 4804/78). Ai sensi dell'art. 206 c.p.c., le parti hanno diritto di assistere personalmente, a pena di nullità, all'ispezione e di rivolgere osservazioni ed istanze all'organo procedente (Zanzucchi). Si discute, peraltro, in ordine alle conseguenze dell'assenza delle parti all'espletamento dell'ispezione, soprattutto nel caso in cui essa renda di fatto impossibile l'espletamento del mezzo istruttorio (Liebman). Dell'ispezione è redatto processo verbale, che può essere sottoscritto dal solo pubblico ufficiale che l'ha redatto: la sottoscrizione degli intervenuti o la menzione del rifiuto o della impossibilità di sottoscrivere da parte degli intervenuti stessi rappresenta una forma autorizzata, la cui inosservanza non induce la nullità dell'atto (Cass. civ., n. 93/50). Né sussiste nullità per il fatto che nel verbale non siano stati consacrati tutti i rilievi prospettati dalle parti presenti all'ispezione, se tali rilievi sono stati rinnovati e illustrati dalle parti nell'ulteriore corso del processo e comunque presi in considerazione dal giudice (Cass. civ., n. 93/50). La mancata verbalizzazione dell'ispezione – sebbene dia luogo a nullità dell'ispezione (o ad inesistenza della stessa: Cass. civ., n. 1530/58) – non può tuttavia costituire motivo di ricorso per cassazione, se il ricorrente non indica quale concreto pregiudizio gli sia derivato dalla dedotta omissione (Cass. civ., n. 866/65). In ogni caso, in difetto di documentazione dell'attività probatoria, non può il giudice motivare la pronuncia riferendosi al semplice ricordo dell'ispezione da lui compiuta, perché in tal caso la decisione sarebbe emessa in base ad elementi di giudizio non controllati dalle parti e non controllabili da parte del giudice dell'impugnazione (Cass. civ., n. 1530/58). Al sopralluogo procede personalmente il giudice istruttore, assistito, quando occorre, da un consulente tecnico (la cui partecipazione non è necessaria, ma rimessa ad un criterio di opportunità da adottarsi insindacabilmente dal giudice di merito: Cass. civ., n. 3252/52). L'art. 259 c.p.c., stabilendo che il giudice procede personalmente all'ispezione, anche quando essa debba essere eseguita al di fuori della circoscrizione del tribunale, prevede una forma piuttosto rigorosa di attuazione del principio di concentrazione processuale (Luiso). Significativa eccezione all'effettività della disposizione è costituita, però, dalla previsione di un ricorso all'ordinario sistema della cd. prova delegata, in presenza di non meglio definite “esigenze di servizio”. Peraltro, la previsione non è in alcun modo assistita da sanzioni processuali o disciplinari, così da non consentire alcuna forma di controllo (Satta). Se il giudice, a conclusione dell'ispezione – durante la quale, con l'ausilio del consulente e previo suo giuramento, abbia eseguito rilievi tecnici, riscontrato dati fenomenici e compiuto esperimenti – dà incarico al consulente stesso di rielaborare e valutare gli elementi raccolti o anche di procedere, fuori della presenza di esso giudice, ad una più dettagliata osservazione e descrizione dei medesimi, tale ulteriore attività dell'ausiliare, culminante in una relazione scritta, non costituisce “inizio delle operazioni” di accertamento tecnico, bensì proseguimento di quelle già intraprese in precedenza, cui non deve necessariamente corrispondere l'invio della comunicazione di cui all'art. 90 disp. att. c.p.c. (Cass. civ., n. 1318/93). Qualora il giudice, nell'esercizio della piena discrezionalità che gli è riconosciuta (Cass. civ., n. 2771/63), decida, invece, di non partecipare personalmente all'ispezione, lasciando che l'indagine sia compiuta dal c.t.u., si ritiene che l'intera ispezione si risolva in una semplice consulenza, con conseguente applicabilità delle norme di cui agli artt. 194, comma 2, e 195, comma 2, c.p.c. (Satta), e con correlativa esclusione dell'utilizzo da parte del c.t.u. dei poteri, tipicamente giudiziali, di cui ai successivi artt. 261 e 262 c.p.c. (Carnelutti). In tale ultima ipotesi non si procederà alla redazione di un vero processo verbale, ma l'esito dell'indagine confluirà nelle risultanze istruttorie di causa attraverso la relazione scritta del consulente (Liebman). Ai sensi dell'art. 262 c.p.c., il giudice istruttore, nel corso dell'ispezione o dell'esperimento, può anche sentire testimoni per informazioni. L'istituto in esame, tuttavia, è del tutto diverso da quello della testimonianza vera e propria, in quanto l'acquisizione in forma orale di notizie è, in questa sede, funzionale solo all'ispezione o all'esperimento da compiere, per agevolarne lo svolgimento o facilitarne l'interpretazione dei risultati (Carnelutti), con esclusione di ogni indagine sui fatti di causa (Satta). Non trattandosi di una vera prova testimoniale, non si applicano le norme relative all'ammissione ed all'assunzione di tale prova, e precisamente: 1) non c'è bisogno di far pronunciare la formula d'impegno (Andrioli); 2) non occorre indicare preventivamente i “testi” (Massari); 3) non occorre formulare le domande in capitoli (Finocchiaro); 4) non occorre osservare le formalità di verbalizzazione proprie della prova testimoniale; 5) non si applicano le cause di incompatibilità con l'ufficio di testimone (Andrioli; contra Finocchiaro, secondo il quale la ratio delle limitazioni potrebbe trovare applicazione anche in questo contesto). In ogni caso, le informazioni fornite dai testimoni presenti all'ispezione giudiziale costituiscono, secondo la giurisprudenza, veri e propri elementi di prova ai quali, in sede di decisione, si può attribuire influenza prevalente sulle altre prove raccolte (Cass. civ., n. 4928/80), il che induce a propendere per l'applicabilità del divieto di cui all'art. 246 c.p.c.. Alcuni autori evidenziano, inoltre, la possibilità che, in sede d'ispezione, vengano sentite persone già ammesse come veri e propri testi, nel qual caso troveranno comunque applicazione per tali soggetti tutte le regole previste per l'assunzione della prova testimoniale (Massari). In caso di ispezione corporale, per una migliore tutela del diritto delle parti e dei terzi al rispetto della persona e alla riservatezza, il giudice può disporre che all'ispezione proceda il solo c.t.u., con esclusione delle altre parti e dei loro difensori, mentre è controverso se possano escludersi anche i consulenti tecnici di parte (Massari, Liebman, Satta). Ai sensi dell'art. 93 disp. att. c.p.c., il soggetto, sottoposto ad ispezione personale, può farsi assistere da persona di propria fiducia, designata senza formalità, previa valutazione di idoneità da parte del giudice. Quanto al potere del giudice, ai sensi dell'art. 262 c.p.c., di ordinare l'esibizione della cosa da sottoporre ad ispezione, se del caso anche servendosi dell'ausilio della forza pubblica (Satta), occorre precisare che essa non ha nulla a che vedere con l'ordine di esibizione di cui all'art. 210 c.p.c., del quale non può trovare applicazione la disciplina processuale (Massari). L'adozione del relativo provvedimento, con la prescrizione delle opportune modalità operative, può avvenire sia nel corso delle operazioni, sia contestualmente all'ordinanza dispositiva dell'indagine (Massari). Per il miglior espletamento delle indagini disciplinate dalle norme in esame, il giudice può anche disporre l'accesso a luoghi o cose appartenenti a persone estranee, distinte sia dalle parti del processo, sia dai terzi soggetti passivi dell'ispezione, cioè dai titolari dei beni ispezionati la cui posizione è disciplinata dall'art. 118 c.p.c. (Finocchiaro). Ciò spiega il motivo di una disciplina parzialmente diversa da quella prevista per i soggetti da ultimo indicati, specialmente in considerazione della previa consultazione e dell'adozione di tutte le necessarie cautele per tutelare in maniera adeguata i loro interessi. Per persone estranee devono, quindi, intendersi quelle che, pur non essendo titolari di diritti sulla cosa oggetto dell'indagine, sono invece titolari dei luoghi in cui tali oggetti si trovano o attraverso i quali comunque è possibile accedere ad essi. Anche in questa sede trova spazio la disciplina di cui al comma 1 dell'art. 262 c.p.c. in materia di ordine di esibizione. Ai sensi dell'art. 90 c.p.c., il giudice può porre a carico di una delle parti o di entrambe l'anticipazione delle eventuali spese necessarie. Tuttavia, se si tratta di ispezione giudiziale dell'amministrazione della società ai sensi dell'art. 2409 c.c., le spese restano sempre a carico dei soci denuncianti (Cass. civ., n. 1571/09).
Rifiuto di sottoporsi ad ispezione e conseguenze
Non è consentita l'esecuzione coattiva dell'ordine di ispezione (Massari) e dal rifiuto ingiustificato della parte il giudice può soltanto trarre argomenti di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., come previsto dall'art. 118, comma 2, c.p.c.. Si è precisato che, nel caso di rifiuto a consentire ispezioni, anche documentali, la valutazione, motivata, del comportamento, nei limiti di una valenza meramente indiziaria, è permessa soltanto quando il rifiuto risulti “ingiustificato” (Cass. civ., n. 443/02). Secondo la dottrina prevalente, il provvedimento di accesso in luoghi appartenenti a terzi può ricevere esecuzione coattiva ed il giudice può ricorrere alla forza pubblica (Satta); secondo altri andrebbe comunque rispettato il limite dell'altrui domicilio ex art. 14 Cost.. É stata ritenuta manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 118 c.p.c., in relazione all'art. 13 Cost.. Dalla norma in esame, infatti, non deriva una restrizione della libertà personale in senso proprio, in quanto al soggetto, cui è rivolto l'ordine di consentire l'ispezione sulla sua persona, è lasciata piena facoltà di libera determinazione in ordine all'assoggettamento o meno all'ispezione. D'altra parte, quand'anche si ritenga che dalla norma anzidetta discenda una indiretta limitazione della libertà di determinazione, in relazione alla rilevanza probatoria che la norma attribuisce al comportamento del soggetto medesimo, nella previsione normativa sono presenti entrambi i presupposti che, a sensi dell'art. 13 Cost., legittimano ogni restrizione della libertà personale, e cioè l'espressa previsione legislativa ed il provvedimento motivato del giudice (Cass. civ., n. 1785/65). L'eventuale rifiuto ingiustificato del terzo può, invece, procurare a quest'ultimo la condanna ad una pena pecuniaria, che la riforma di cui alla l. n. 69/2009 ha sensibilmente aumentato rispetto al precedente limite di 5 euro, elevandola ad un importo compreso tra 250 e 1.500 euro. Secondo alcuni, la prevista sanzione pecuniaria configurerebbe a carico del terzo, a differenza di quello che concerne la parte, un vero e proprio obbligo (Massari); altri opinano diversamente, sottolineando che la coazione che ne deriva è comunque indiretta e non diretta (Mandrioli). Ai sensi dell'art. 261, comma 1, c.p.c., il giudice istruttore, nel corso dell'ispezione, può disporre che siano eseguiti rilievi, calchi e riproduzioni anche fotografiche di oggetti, documenti e luoghi e, quando occorre, rilevazioni cinematografiche o altre che richiedano l'impiego di mezzi, strumenti o procedimenti meccanici. I procedimenti tecnici previsti dalla norma in esame tendono alla rappresentazione statica di un determinato aspetto dell'oggetto dell'ispezione non idoneo ad essere compiutamente rappresentato nell'ordinaria verbalizzazione del giudice o nella relazione del consulente tecnico (Andrioli). Tale facoltà è giustificata dall'opportunità di integrare le osservazioni del giudice e/o del consulente (Mandrioli), e la loro ammissione è rimessa all'iniziativa e alla discrezionale valutazione del giudice di merito, onde non è censurabile la sentenza che non abbia ammesso e non abbia indicato le ragioni della mancata ammissione di detti mezzi, dovendosi ritenere per implicito che non se ne sia ravvisata la necessità (Cass. civ., n. 9551/09, Cass. civ., n. 3710/95). Tanto l'elencazione dei possibili strumenti di riproduzione quanto quella degli oggetti di essa devono ritenersi esemplificative e non tassative (Massari). Occorre precisare che il riferimento ai documenti va inteso non quali possibili oggetti dell'ispezione, ma quali oggetti rinvenuti nel corso della stessa e riprodotti con le modalità ivi previste in quanto funzionali al miglior accertamento dell'originario oggetto dell'ispezione stessa. Le riproduzioni previste dall'art. 261 c.p.c. sono prove che si formano nel processo e, quindi, vanno distinte dalle riproduzioni meccaniche prodotte dalla parte e precostituite al processo - le quali formano piena prova solo se la parte contro cui sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti da esse rappresentati (Cass. civ., n. 2386/67) - in ragione della loro formazione al di fuori del processo e senza le garanzie dello stesso. Gli esperimenti giudiziali, previsti dal comma 2 dell'art. 261 c.p.c., consistono nella riproduzione meccanica di determinati fatti, finalizzata ad accertare se essi possano essersi verificati in un determinato modo (Mandrioli). L'esperimento si concreta nel controllo di possibilità o verifica di una massima d'esperienza (Satta), in cui viene in rilievo un profilo dinamico, come emerge peraltro anche dalla nozione di esperimento giudiziale recepita dall'art. 218 c.p.p.. Gli esperimenti possono essere disposti in ogni stato e fase del processo, secondo la valutazione discrezionale dell'istruttore non censurabile in sede di legittimità (Cass. civ., n. 11687/93), e devono essere necessariamente presieduti dal giudice in considerazione del carattere critico che il procedimento viene ad assumere (Andrioli), e svolgersi nel rispetto delle regole del contraddittorio (Finocchiaro). Si ritiene che l'esperto, cui è affidata l'esecuzione dell'esperimento, potrebbe anche procedere all'interpretazione ed alla valutazione dei risultati (Andrioli). A differenza dell'ispezione, l'esperimento non dà luogo, per definizione, ad una prova diretta, ma può solo corroborare le risultanze istruttorie aliunde acquisite, avvalorando una determinata ricostruzione dei fatti di causa (Luiso). Si ritiene operante anche nel processo civile la norma di cui all'art. 219, comma 4, c.p.p., che impedisce che gli esperimenti possano essere tali da poter offendere «sentimenti di coscienza» o esporre «a pericolo l'incolumità delle persone o la sicurezza pubblica» (Finocchiaro). In caso di rifiuto di una delle parti di sottoporsi ad esperimento, può ricavarsi argomento di prova ai sensi dell'art. 116 c.p.c. e non già dell'art. 118 c.p.c., la cui disciplina è applicabile soltanto all'ispezione (Finocchiaro), con conseguente esclusione delle sanzioni ivi previste a carico del terzo che parimenti non vi acconsenta. Il giudice può revocare l'ordinanza con cui ha disposto un esperimento giudiziale ed il relativo provvedimento, ove sia sorretto da congrua e corretta motivazione, si sottrae al sindacato di legittimità (Cass. civ., n. 195/74). Il solo comma 3 della norma in esame prevede, per il caso dell'esperimento giudiziale, la possibilità che il giudice istruttore si avvalga dell'ausilio di un esperto. Invero, anche nelle ipotesi di cui al comma 1 è possibile ricorrere all'operato di un ausiliario, a norma dell'art. 68 c.p.c.. In entrambi i casi non ci si troverà dinanzi ad un vero e proprio consulente tecnico, poiché costui non dovrà eseguire relazioni o elaborare conclusioni dalle rilevazioni eseguite, tanto che i relativi servigi possono essere se del caso sopperiti dall'operato del giudice stesso o del consulente tecnico già per altre ragioni nominato, se forniti della relativa competenza tecnica (Massari). Prova genetica ed ematologica
La dimostrazione della paternità naturale può essere fornita, ai sensi dell'art. 269 c.c., con ogni mezzo, ed il rifiuto di sottoporsi alla prova ematologica e del DNA costituisce un comportamento valutabile come argomento di prova ex art. 116, comma 2, c.p.c. (Cass. civ., n. 2749/02), anche in assenza di prova di un qualsiasi rapporto sessuale tra le parti, atteso che proprio la mancanza di prove oggettive assolutamente certe (e ben difficilmente acquisibili) circa la reale natura dei rapporti tra le parti giustifica il ricorso alla prova ematologica, il cui esito consente non solo di escludere in modo assoluto la contestata paternità, ma anche di confermarla con un grado di probabilità che, alla stregua delle attuali conoscenze scientifiche, supera normalmente il 99 per cento (Cass.civ., n. 6025/15, Cass. civ., n. 6550/95). Il comportamento di rifiuto, in sostanza, concorre alla formazione del convincimento del giudice, unitamente a tutte le altre risultanze istruttorie, delle quali costituisce rilevante elemento integrativo (Cass. civ., n. 6217/94). Anzi, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche - nella specie opposto da tutti gli eredi legittimi del preteso padre - costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116, comma 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda (Cass. civ., n. 18626/17, Cass. civ., n. 6025/15). D'altra parte, l'efficacia delle indagini sul DNA non può essere esclusa dal giudice solo perché esse permettono di compiere valutazioni probabilistiche: tutte le asserzioni delle scienze fisiche e naturalistiche hanno natura probabilistica e tutte le misurazioni sono ineluttabilmente esposte ad errore (Cass. civ., n. 14462/08). In ogni caso, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale - per violazione degli artt. 13, 15, 24, 30 e 32 Cost. - del combinato disposto degli artt. 269 c.c. e 116 e 118 c.p.c., ove interpretato nel senso della possibilità di dedurre argomenti di prova dal rifiuto del preteso padre di sottoporsi a prelievi ematici al fine dell'espletamento dell'esame del DNA. Invero, dall'art. 269 c.c. non deriva una restrizione della libertà personale, avendo il soggetto piena facoltà di determinazione in merito all'assoggettamento o meno ai prelievi, mentre il trarre argomenti di prova dai comportamenti della parte costituisce applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa, e, inoltre, il rifiuto aprioristico della parte di sottoporsi ai prelievi non può ritenersi giustificato nemmeno con esigenze di tutela della riservatezza, tenuto conto sia del fatto che l'uso dei dati nell'ambito del giudizio non può che essere rivolto a fini di giustizia, sia del fatto che il sanitario chiamato dal giudice a compiere l'accertamento è tenuto tanto al segreto professionale che al rispetto della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Cass. civ., n. 9394/04, Cass. civ., n. 5116/03). Ai sensi dell'art. 2409 c.c., in caso di gravi irregolarità degli amministratori nella gestione della società, il tribunale, su ricorso dei soci, sentiti in camera di consiglio gli amministratori ed i sindaci, può, con provvedimento reclamabile, ordinare l'ispezione dell'amministrazione della società a spese dei soci richiedenti, subordinandola, se del caso, alla prestazione di una cauzione. Si discute se tale ispezione sia assimilabile ad una consulenza tecnica d'ufficio (Franchi, Ichino, Protetti; secondo Consolo l'attività dell'ispettore si inserisce, come strumentale ed istruttoria, in un complesso iter procedimentale, assoggettata alle indicazioni e direttive del giudice: simili considerazioni in Cass. civ., n. 3127/93) oppure all'omonimo istituto di cui all'art. 118 c.p.c. (Martorano; Tedeschi). Principale conseguenza applicativa di tale dibattito è la possibilità di nominare ispettori o consulenti di parte nel rispetto del principio del contraddittorio (Trib. Mantova, 15 ottobre 2009, per il quale si deve assicurare pieno diritto alla difesa anche tecnica, poiché l'attività ispettiva è prodromica a provvedimenti che possono incidere in modo significativo sulla vita della società). All'obiezione dell'orientamento negativo, per il quale l'intervento di esperti di parte comporterebbe l'accesso a documenti e informazioni sociali che superano i limiti normativi previsti per il controllo dei soci (Trib. Milano, 26 febbraio 1999, G. it. 99, 1887; App. Firenze, 20 febbraio 1998, G. it. 99, 1254; Trib. Rieti, 13 marzo 1985, F. it. 85, I, 1799, per il quale né il socio denunziante, né la società hanno diritto di avere copia dei verbali dell'ispezione), si replica che la funzione dell'art. 2409 c.c. è autonoma rispetto al tema dell'informazione dei soci, e giustifica il superamento della riservatezza della società, salvo il vincolo dei soci a non rivelare le notizie acquisite (Patelli). L'ispettore, dopo l'incarico, ha i più ampi poteri inquisitori nella ricerca di atti di irregolare gestione, non essendo vincolato al quesito (Trib. Como, 3 febbraio 1994, Soc. 94, 670): per taluno dovrebbe, quindi, controllare l'intera gestione senza dover chiedere al tribunale un ampliamento del quesito postogli (Patelli). L'ispezione dell'amministrazione, in quanto strumentale all'accertamento delle condotte denunziate (Domenichini; Trib. Roma, 13 luglio 2000, G. it. 00, 2103), è fase eventuale, nel senso che se la sussistenza delle irregolarità appare evidente, il tribunale può ometterla e disporre senz'altro i provvedimenti cautelari (Trib. Cagliari, 18 dicembre 1998, G. it 99, 1242). Durante l'ispezione la vita sociale non si interrompe, ponendosi piuttosto un problema di coordinamento tra organi ed ispettore. L'assemblea conserva immutati i suoi poteri (App. Bologna, 5 luglio 1975, G. comm. 75/II, 763); gli eventuali nuovi amministratori prendono atto del procedimento, senza poter chiedere il rinnovo degli atti già ritualmente compiuti (App. Milano, 10 febbraio 1984, Soc. 84, 904); i sindaci devono collaborare con diligenza con l'ispettore, potendo, in caso contrario, essere revocati. Legittimati al reclamo sono tutti quanti abbiano un interesse giuridicamente rilevante: soci, amministratori, sindaci, pubblico ministero, società (contra, per quest'ultima, App. Torino, 29 maggio 2007, Soc. 08, 1245), anche se non hanno partecipato al primo grado (Conforti). I provvedimenti ex art. 2409 c.c. non sono, invece, impugnabili ex art. 111 Cost., mancando di decisorietà (per Cass. civ., n. 403/10 l'ordinanza di inammissibilità del ricorso è impugnabile ex art. 111 Cost. unicamente per la condanna alle spese; cfr. Cass. civ., n. 1571/09, Cass. civ., n. 6805/07; secondo Cass. civ., n. 6615/05 va escluso il ricorso straordinario in Cassazione per regolamento di competenza avverso il decreto adottato ai sensi della norma in esame; cfr. anche Cass. civ., n. 30052/11). Le spese di ispezione giudiziale della società restano sempre a carico dei denuncianti (Cass. civ., n. 30052/11, Cass. civ., n. 1571/09). Casistica
Riferimenti
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