Prove (nuove) in appelloFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 183
13 Giugno 2016
Inquadramento
All'esito della legge di riforma n. 353 del 1990 è stata sancita la inammissibilità dei nuovi mezzi di prova in appello, eccezione fatta per: a) i nuovi mezzi di prova indispensabili alla decisione della causa; b) i nuovi mezzi di prova che la parte dimostri non aver potuto proporre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile; c) il giuramento decisorio. Dopo l'ultima riforma del 2012, nel giudizio di appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (è dunque venuta meno l'ammissibilità delle prove indispensabili). Può sempre deferirsi il giuramento decisorio. Il divieto di nuovi mezzi di prova trova applicazione anche in caso di domande concernenti diritti «autodeterminati». Pur appartenendo i diritti reali alla categoria dei diritti c.d. «autodeterminati», non per questo si può pervenire, attraverso tale qualificazione, a consentire una deroga al sistema delle preclusioni che regola l'ammissibilità della prova in grado di appello, la quale rimane assoggettata alla disciplina dell'art. 345 c.p.c., che vieta l'ammissione di nuovi mezzi di prova, salva la valutazione, da parte del giudice, dell'esistenza delle condizioni per la rimessione in termini della parte che sia incorsa nella decadenza relativa alla formulazione delle necessarie istanze istruttorie (Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 2010, n. 26009). Al di fuori del divieto di nova si collocanoi mezzi istruttori che il giudice può disporre d'ufficio. Nulla osta, dunque, a che il giudice d'appello disponga una consulenza tecnica o rinnovi quella già espletata in primo grado. Sorte delle prove chieste e non ammesse in primo grado
Sono prove nuove — tendenzialmente inammissibili — non soltanto quelle che vertono su fatti diversi dai fatti oggetto di prova in primo grado, ma anche le prove diverse, fermi i fatti da provare, rispetto a quelle dedotto in primo grado. Le prove che difettano del requisito della novità, naturalmente, non per questo sono ammissibili. Al contrario, occorre un apposito motivo di impugnazione ai fini della riproposizione in appello, da parte del soccombente, delle prove tempestivamente dedotte e non ammesse dal primo giudice (Cass. civ., sez. II,23 dicembre 2003, n. 19727; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2006, n. 1691), sempre che l'istanza di ammissione sia stata rinnovata nelle conclusioni definitive prese in primo grado (Cass. civ., sez. I, 30 marzo 1995, n. 3773; Cass. civ., sez. I, 24 dicembre 2002, n. 18327).
Quanto alle prove testimoniali rivolte a contrastare le risultanze istruttorie acquisite in primo grado, la S.C. ne desume l'inammissibilità dal principio, di formazione pretoria, della infrazionabilità della prova orale.
Tuttavia il giudice di appello può disporre l'audizione di testimoni non sentiti in primo grado a seguito di riduzione di lista sovrabbondante (Cass. civ., sez. I, 31 gennaio 2007, n. 2095). Le prove indispensabili
La nozione di indispensabilità, tuttora rilevante nell'appello disciplinato dall'art. 702-quater c.p.c. e nell'appello lavoro (V. APPELLO NELLE CONTROVERSIE IN MATERIA DI LAVORO) è stata oggetto di ampio dibattito dottrinale (caratterizzato dalla difficoltà, se non addirittura l'impossibilità, di giungere ad una univoca soluzione ermeneutica: v. Luiso, Diritto processuale civile, II, Giuffrè, Milano, 2000, 376) e di divaricate interpretazioni giurisprudenziali. Le posizioni della dottrina si possono così schematizzare: i) tesi secondo cui è indispensabile il mezzo istruttorio che consente di giungere ad una ricostruzione dei fatti principali della causa differente da quella accolta nella sentenza impugnata (Fabbrini, Diritto processuale del lavoro, Milano, 1974, 245); ii) tesi secondo cui è indispensabile è indispensabile il mezzo di prova diretto a superare l'incertezza, altrimenti invincibile, su di un fatto decisivo della causa (Sassani, Sull'appello nel processo del lavoro, in Il processo del lavoro nell'esperienza della riforma, Milano, 1985, 275); iii) tesi secondo cui il giudizio sull'indispensabilità va tenuto distinto da quello sulla rilevanza, giacché l'indispensabilità ricorre in caso di insufficienza del materiale istruttorio già acquisito al processo in primo grado (Barone, in Andrioli, Barone, Pezzano, Proto Pisani, Le controversie in materia di lavoro, 2a ed., Bologna-Roma, 1987, 877). L'opinione prevalente, in giurisprudenza, è che sono indispensabili le prove dotate «di un'influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come rilevanti, hanno sulla decisione finale della controversia» (Cass. civ., sez. V, 19 aprile 2006, n. 9120; Cass. civ., sez. V, 23 marzo 2007, n. 7138; Cass. civ., sez. III, 29 maggio 2013, n. 13432). E si è sottolineato che la facoltà del giudice di appello di valutare l'indispensabilità dei mezzi di prova, «quand'anche si ritenesse di carattere discrezionale, non può mai essere esercitata in modo arbitrario, dovendo essere espressa in un provvedimento motivato (Cass. civ., sez. V, 19 aprile 2006, n. 9120). In altri termini, è ritenuta per lo più indispensabile, dalla Suprema Corte, la prova dotata di una attitudine probatoria particolarmente pregnante. Si tratta, cioè, di prove che, secondo una valutazione ex ante, una volta espletate, non costituirebbero — per così dire — un semplice tassello da considerare ai fini della decisione, ma condurrebbero ineluttabilmente ad accogliere le conclusioni della parte che le abbia dedotte: insomma prova indispensabile è da intendersi in quest'ottica quale sinonimo, come si suol dire, di «pistola fumante». La nozione di indispensabilità è stata anche posta in relazione (riprendendo l'opinione di Fabbrini) all'atteggiarsi della sentenza di primo grado: sarebbe cioè da reputare indispensabile la prova che, avuto riguardo all'esito del giudizio, la parte non aveva modo di rappresentarsi come utile e necessaria (Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2011, n. 7441; Cass. civ., sez. III, 5 dicembre 2011, n. 26020). Nel giudizio di appello l'eventuale indispensabilità dei documenti, in tanto può essere valutata dal giudice,in quanto non si sia verificata la decadenza di cui all'art. 184 c.p.c., la quale è rilevabile d'ufficio, giacché sottratta alla disponibilità delle parti. Se, in altri termini, la formazione della decisione di primo grado è avvenuta in una situazione nella quale lo sviluppo del contraddittorio e delle deduzioni istruttorie avrebbero consentito alla parte di valersi del mezzo di prova perché funzionale alle sue ragioni, deve escludersi che la prova sia indispensabile, se la decisione si è formata prescindendone, essendo imputabile alla negligenza della parte il non avere, già in primo grado, introdotto tale prova (cfr. in tal senso, ex plurimis, Cass. civ., 15716/2000; 12118/2003; 3310/2004; 5539/2004; 10487/2004; 24606/2006; 12792/2007; 24422/2009; 27829/2009; 3319/2010; 7441/2011; 16532/2012; 22281/2012; 3493/2013; 4270/2013; 8224/2013; 7270/2014; 15091/2014; 25574/2014; 567/2015; 6177/2015; 8999/2015; 9305/2015; 18481/2015; 22348/2015; 1369/2016; 2299/2016; da ultimo Cass. civ., sez. I, 24 marzo 2016, n. 5921, la quale dà conto dell'insostenibilità dell'opposto orientamento sostenuto da diverse pronunce a partire da Cass. civ., sez. U., 20 aprile 2005, n. 8203, secondo cui l'indispensabilità importerebbe ammissibilità del mezzo istruttorio anche ed indipendentemente dalle già verificatesi preclusioni).
Prove non proposte per causa non imputabile
L'ammissibilità dei mezzi di prova che la parte dimostri non aver potuto proporre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile è espressione del principio generale oggi sancito dall'art. 153, comma 2, c.p.c., tant'è che in dottrina vi è chi ha ritenuto superflua la previsione. Nuovi mezzi di prova che la parte non abbia potuto richiedere nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile possono essere così catalogati: a) mezzi di prova che la parte non abbia potuto proporre a causa di un evento storico estraneo al processo o di un comportamento perpetrato dalla controparte; b) mezzi di prova di cui la parte abbia incolpevolmente ignorato l'esistenza nel corso del primo grado; c) mezzi di prova divenuti rilevanti a seguito di una decisione di primo grado che abbia accolto una prospettiva giuridica diversa da quella dibattuta dalle parti (c.d. sentenza della «terza via»). Documenti
La SC ha per lungo tempo ritenuto che il divieto di nuove prove stabilito dall'art. 345 c.p.c. si riferisse alle sole prove c.d. costituende, e non alle prove costituite, ossia ai documenti: e ciò essenzialmente sull'assunto che le nuove produzione documentali non si sarebbero poste in contrasto con la ratio della disposizione. La soluzione è stata ribaltata da una coppia di pronunce delle Sezioni Unite nel 2005, l'una riferita al rito ordinario, l'altra al rito del lavoro e, dunque, all'art. 437 c.p.c. (Cass. civ., sez. un.,20 aprile 2005, n. 8203; in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 303, con nota di Bove, Sulla produzione di nuovi documenti in appello; in Giust. civ., 2005, I, 2040, con nota di Giordano, La produzione di nuovi documenti in appello nel processo ordinario e in quello del lavoro secondo le sezioni unite della Corte di cassazione). Il mutamento di rotta è stato motivato, soprattutto, dalla considerazione che la produzione in appello di nuovi documenti può dar luogo all'esigenza di svolgimento di ulteriori attività processuali (basti pensare al disconoscimento della scrittura ed al successivo procedimento di verificazione) tali da intralciare il sollecito svolgimento del giudizio, così ledendo il principio di ragionevole durata. L'orientamento giurisprudenziale così riassunto si è quindi tradotto, con la novella del 2009 dell'art. 345 c.p.c. (art. 46, comma 8, l. 18 giugno 2009, n. 69), in dettato normativo. Difatti, il nuovo comma 3 della disposizione pone espressamente sullo stesso piano nuove prove e nuovi documenti, parimenti ammissibili (dopo l'ultima novella del 2012) solo in caso di non imputabilità della mancata produzione. I nuovi documenti sono quelli non prodotti in primo grado. È appena il caso di aggiungere che, quantunque non prodotti in primo grado, essi non possono concernere che fatti già dedotti, giacché fatti nuovi posti a sostegno delle domande e delle eccezioni già spiegate in primo grado, e che in appello non possono essere modificate, non possono avere ingresso. Nuovi documenti non potuti produrre per causa non imputabile sono, per definizione, quelli sopravvenuti: in particolare, tali sono i documenti sopravvenuti allo spirare delle preclusioni istruttorie nel giudizio di primo grado, senza che la parte interessata debba considerarsi sottoposta all'onere di richiedere la remissione in termini, ai fini della produzione, già nel corso del primo giudizio. La pronuncia delle Sezioni Unite poc'anzi citata è ancora attuale, con riguardo ai documenti, laddove stabilisce che le nuove produzione documentali devono essere effettuate con gli atti introduttivi del giudizio al momento della costituzione, a meno che non si tratti di documenti sopravvenuti o la cui produzione si è resa necessaria in ragione dello sviluppo del processo.
È ammissibile la produzione in appello dei documenti sopravvenuti allo spirare delle preclusioni istruttorie in primo grado, senza che la parte interessata sia onerata di produrli in primo grado.
Spetta alla parte controllare che nel proprio fascicolo ci siano i documenti prodotti. Il mancato rinvenimento, nel fascicolo di parte, al momento della decisione della causa in secondo grado, dei documenti già prodotti nel giudizio di primo grado su cui la medesima parte assuma di aver basato la propria pretesa dedotta in controversia non preclude al giudice di appello di decidere nel merito sul gravame, qualora non si alleghi che gli stessi siano stati smarriti, essendo onere della parte stessa, quando non si versi nel caso dell'incolpevole perdita di essi (con conseguente possibilità della loro ricostruzione previa autorizzazione giudiziale), assicurarne al giudice di appello la disponibilità in funzione della decisione (Cass. civ., sez. III,15 maggio 2007, n. 11196). L'istanza di esibizione rientra nel divieto di nuove produzione documentali. Nel giudizio di appello l'istanza di esibizione di documenti, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., è sottoposta agli stessi limiti di ammissibilità previsti dall'art. 345, comma 3, c.p.c., con riferimento alla produzione documentale, con la conseguenza che essa non è ammissibile in relazione a documenti la cui esibizione non sia stata richiesta nel giudizio di primo grado (Cass. civ., sez. I,19 novembre 2009, n. 24414). In materia di produzioni documentali resta ancora da ricordare che è stata ritenuta inammissibile la proposizione per la prima volta in appello di un'istanza di verificazione di scrittura privata prodotta in primo grado e disconosciuta in quella sede ex art. 214 (Cass. civ., sez. III, 5 settembre 2006, n. 19067; Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2005, n. 2411). Si è peraltro riconosciuto che l'istanza di verificazione della scrittura privata - tempestivamente proposta in primo grado in relazione ad un contratto di compravendita immobiliare - può essere esaminata dal giudice d'appello ove alla verificazione non si sia proceduto nel giudizio di primo grado a causa di un'ingannevole rinuncia al disconoscimento della scrittura compiuto dalla parte nei cui confronti essa è stata prodotta (Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2009, n. 5422). Il giuramento decisorio
L'esistenza delle condizioni di ammissibilità del giuramento decisorio, concernenti la modalità della delazione, l'essenza della formula e la sua idoneità alla definizione della lite, deve essere verificata dal giudice anche d'ufficio, e, pertanto, qualora il giuramento sia stato ammesso in primo grado, il giudice d'appello, investito della questione della decisorietà del giuramento, può verificarne la ricorrenza anche se il soccombente l'abbia contestata soltanto nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado (Cass. civ., sez. I, 30 dicembre 2004, n. 24246). Se la dichiarazione di deferimento del giuramento decisorio è per la prima volta con atto allegato alla comparsa conclusionale, il mezzo di prova non è ammissibile, per tardività della relativa istanza, poiché gli scritti difensivi successivi alla rimessione della causa al collegio possono contenere solo le conclusioni già fissate davanti al giudice istruttore (Cass. civ., sez. II,23 dicembre 2003, n. 19727). Il provvedimento con il quale il giudice di appello disponga, in forma di ordinanza collegiale, ex art. 356 c.p.c., circa l'assunzione dei mezzi di prova (nella specie, circa l'ammissibilità di un giuramento decisorio) conserva il suo carattere meramente ordinatorio anche sotto il profilo sostanziale, è modificabile e revocabile dallo stesso collegio, non pregiudica la successiva decisione della causa e non è, pertanto, suscettibile di impugnazione con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. civ., sez. I, 22 maggio 1998, n. 5128). Riferimenti
Cerino Canova, Le impugnazioni civili, Padova,1973; Chiarloni, Appello (Dir. proc. civ.),in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988; Di Marzio, L'appello civile dopo la riforma, Milano 2013; Luiso, Appello nel diritto processuale civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, 360; Proto Pisani, Appunti sull'appello civile (alla stregua della L. 353/90), in Foro it., 1994, IV, 193; Sassani, Appello (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Aggiornamento, III, Giuffrè, Milano, 1999, 178; Valitutti-De Stefano, Le impugnazioni nel processo ordinario, Padova, 1996; Vellani, Appello (dir. proc. civ.), in Enc. dir., II, Milano, 1958, 719. |