Vendita forzata
20 Giugno 2016
Inquadramento
La vendita forzata costituisce il prodotto di due atti unilaterali autonomi: l'offerta del terzo ed il provvedimento di (autorizzazione a) vendita emesso dal giudice. Entrambi questi atti risultano, infatti, funzionalmente collegati e caratterizzati da analogo e reciproco contenuto. Tuttavia, considerato che l'espropriazione forzata presuppone l'astratto potere dello Stato di vendere il bene pignorato ed esclude, al contempo, che la manifestazione di volontà dell'organo esecutivo possa fondersi con quella del privato, presenta struttura affatto diversa da quella della vendita volontaria: difetta, infatti, il vincolo sinallagmatico tra l'offerta del terzo ed il provvedimento dell'autorità giurisdizionale. Così ricondotta la vendita forzata alla categoria generale dei trasferimenti coattivi, i fautori della c.d. tesi giuspubblicisticanon riuscivano però a fornire adeguata qualificazione giuridica all'offerta del terzo. Sviluppando queste premesse, alcuni studiosi sono giunti ad affermare che l'offerta del terzo si atteggiava a vera e propria domanda giudiziale. Per altri, il migliore offerente avrebbe dovuto considerarsi come un soggetto che sollecitava il provvedimento di aggiudicazione. I sostenitori della c.d. teoria contrattualistica, sia pure attraverso percorsi diversi, riconducevano la vendita coattiva alla stessa categoria della compravendita volontaria e, per ovviare al difetto di volontà del debitore, pervenivano a varie soluzioni. Vi è, per cominciare, quella che, combinando l'offerta dell'aggiudicatario con la realizzazione del pegno generale sul patrimonio del debitore, riconosceva in capo al creditore un autonomo ius vendendi sui beni dell'esecutato. Una seconda tesi suggeriva che gli organi della procedura, pur in mancanza del consenso del debitore, potessero validamente vendere il bene, analogamente a quanto previsto dall'art. 707 c.c. in materia di vendita di cosa altrui a favore del compratore di buona fede. Altra teoria concepiva la vendita forzata come espropriazione da parte dell'ufficio esecutivo della facoltà di disposizione dell'esecutato in quanto oggetto dell'azione esecutiva non sarebbe il diritto sul bene ma, più semplicemente, il potere di disporne. A tale impostazione si obiettava che, sostituendo la volontà del debitore con l'espropriazione da parte dello Stato del potere di disposizione, non si chiarivano le ragioni che consentivano all'esecutato, fatti salvi i diritti dei creditori, di disporre del bene anche dopo il pignoramento e, addirittura, fino al formale trasferimento del bene. Né si comprendeva come il creditore avrebbe potuto validamente considerarsi alla stregua di rappresentante (legale o volontario) del debitore, stante che il primo agisce in pregiudizio, e non nell'interesse, del secondo. Allo stesso modo, non ebbe seguito il tentativo di ricondurre la vendita forzata allo schema della compravendita di cosa altrui ex art. 707 c.c. Ed infatti, per riconoscere la fondatezza di simile impostazione sarebbe stato necessario ammettere un trapasso volontario del possesso della cosa del debitore allo Stato. Tale critica alle teorie contrattualistiche muoveva dal rilievo che la vendita forzata è un istituto tipicamente processuale e, quindi, non soltanto più complesso, ma anche strutturalmente diverso dalla vendita volontaria. Per vero, se pure lo scopo della vendita forzata coincide con lo scambio del bene con il prezzo, non può trascurarsi la particolare destinazione delle somme realizzate, vincolate alla soddisfazione dei creditori; né che l'attività degli organi, diretta a trasformare il bene del debitore in denaro, rappresenta «normale esercizio del potere giurisdizionale». Per usare un'espressione tipicamente sattiana, il «fenomeno» della vendita forzata può essere compreso nella sua complessità solo facendo leva sull'evidente natura processuale della vendita coattiva. Ed è quanto mai significativo che, sulla base di queste considerazioni, Satta avesse finito per inquadrare anche l'offerente tra gli ausiliari del giudice. Posto che la vendita forzata costituisce l'attuazione della responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c., è stato codificato il principio che l'aggiudicatario consegue la titolarità del medesimo diritto che apparteneva al debitore. Il legislatore, analogamente a quanto previsto per la vendita volontaria dall'art. 1153 c.c., ha così riconosciuto con gli artt. 2919 del medesimo codice carattere derivativo all'acquisto coattivo, recependo il brocardo nemo plus juris in alium transferre potest quam ipse habet. Si aggiunga che, in seguito alla regolamentazione degli effetti sostanziali, la letteratura giuridica si è progressivamente disinteressata della natura della vendita forzata, aspetto che, in precedenza, era stato oggetto di vivaci dibattiti. Ciò anche perché, con l'introduzione degli artt. 2919 ss. c.c., non hanno trovato più giustificazione le teorie che riconducevano la vendita coattiva allo schema di quella volontaria per legittimare l'applicazione del regime delle impugnazioni previste per i contratti. Nello stesso senso è la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui la vendita forzata, costituisce una fattispecie complessa, attuata indipendentemente dalla volontà del debitore esecutato, per mezzo di un provvedimento del giudice dell'esecuzione (Cass. civ., sez. III. 9 giugno 2010, n. 13824). Modi della vendita forzata
La fase conclusiva del procedimento di liquidazione del beni pignorato è caratterizzata da un formalismo rigoroso e complesso, necessario in quanto si attua la traslazione del diritto reale del debitore ad un terzo offerente, con conseguente purgazione o caducazione dei vincoli e delle iscrizioni pregiudizievoli gravanti sul bene. Il comma 1 dell'art. 503 c.p.c. stabilisce che la vendita forzata può farsi con le modalità dell'incanto o senza. L'art. 19, lett.d) bis, d.l. 12 settembre 2014 n. 132, convertito in l. 10 novembre 2014, n. 162, ha aggiunto all'art. 503 c.p.c. un nuovo comma ove si prevede che il giudice può disporre la vendita all'incanto solo qualora ritenga probabile che con questa modalità il bene immobile possa essere venduto per un importo superiore della metà rispetto al valore preventivamente determinato a norma dell'art. 568 c.p.c., nonché nel caso di beni mobili degli artt. 518 e 540-bis. Quanto alla vendita mobiliare, occorre precisare che il giudice non ha il potere di adottare le forme dell'incanto, atteso che dopo le modifiche apportate dalla riforma dell'estate del 2015 all'art. 532 c.p.c., dispone la vendita senza incanto o tramite commissionario. A differenza di quanto previsto per la vendita immobiliare, il nuovo dato normativo non precisa però in quali occasioni il giudice possa disporre l'incanto di cui all'art. 534 c.p.c. Per completezza va segnalato che le regole stabilite per la vendita mobiliare dagli artt. 529 ss. si applicano anche quando il giudice ordini la vendita di cose mobili del debitore in possesso del terzo, come espressamente previsto dall'art. 552 ss. c.p.c. Preso atto della abrogazione di fatto delle forme della vendita con incanto, va chiarito che l'ipotesi in cui trova ancora applicazione sono: a) la vendita di quote societarie, in quanto l'art. 2741 c.c. impone espressamente le modalità dell'incanto in considerazione del particolare oggetto dell'espropriazione; b) la vendita dei beni del fallito, laddove il curatore abbia previsto nel programma di liquidazione di adottare le modalità di cui all'art. 534 c.p.c. o all'art. 576 ss. c.p.c.; c) la vendita immobiliare in sede di esecuzione esattoriale, che deve avvenire ai sensi degli artt. 78 ss. del d.P.R. n. 602 del 1973. Di qui la conclusione che al di fuori dei casi ora indicati, ovvero in mancanza di una specifica motivazione basata su elementi concreti della singola fattispecie, il provvedimento di vendita ai pubblici incanti è censurabile ai sensi dell'art. 617 c.p.c. Preferenza del legislatore per la vendita forzata senza incanto
La scelta tra vendita con o senza incanto era rimessa dal codice del 1942 alla discrezionalità del giudice. Tuttavia, nonostante la preferenza del legislatore per la vendita senza incanto, i giudici solitamente liquidavano il bene, avvalendosi del meccanismo dei pubblici incanti, sul presupposto che la gara in aumento di sesto (oggi di quinto) avrebbe assicurato un prezzo più elevato di quello conseguibile con le modalità di cui agli artt. 571 ss. c.p.c.
Preso atto che la trasparenza ed il carattere pubblico delle offerte, elementi tipici della vendita all'incanto, avevano esposto – in più occasioni – gli offerenti al rischio concreto di turbative d'asta, già il legislatore della riforma del 2005-2006 aveva privilegiato il sistema delle offerte a busta chiusa. Le indicazioni provenienti dalle prassi virtuose hanno confermato che la vendita senza incanto, basata sull'irrevocabilità dell'offerta e sulla stabilità dell'aggiudicazione, assicura valori di realizzo più elevati rispetto alla vendita con incanto. Senza trascurare che il carattere irrevocabile dell'offerta, tipico della vendita senza incanto, esclude che gli offerenti partecipino alla vendita per fini meramente speculativi o esplorativi. Notevoli benefici derivano, inoltre, dall'introduzione del principio della definitività dell'aggiudicazione: ad eccezione dell'ipotesi in cui il giudice inviti gli offerenti ad una gara sull'offerta più alta ex art. 573 c.p.c., non è consentito rilanciare, né offrire in aumento; pertanto l'immobile viene aggiudicato, in via definitiva, al soggetto che ha proposto l'offerta più vantaggiosa. Questo meccanismo induce il soggetto interessato all'acquisto ad offrire, sin da subito, il prezzo più elevato possibile, secondo le proprie disponibilità economico-finanziarie. In tal modo il giudice (o il professionista delegato) ha immediata contezza dell'importo che può essere effettivamente realizzato dalla vendita dell'immobile. Non solo: le modalità di cui agli artt. 571 ss. c.p.c. (e, in particolare, la segretezza delle offerte), pongono l'aggiudicatario al riparo da eventuali richieste di pagamento di somme di danaro, estorte con la minaccia di un'ipotetica offerta in aumento e (più in generale) da indebite pressioni. Il legislatore del 2014 è quindi giunto alla determinazione di confinare in un ruolo assolutamente marginale la vendita ai pubblici incanti, sia nella espropriazione mobiliare (diretta o presso il terzo debitore ex art. 552 c.p.c.), sia in quella immobiliare, come riprova il nuovo comma 2 dell'art. 503 c.p.c. Cessazione della vendita forzata
Discorso particolare deve essere fatto per l'ipotesi di frazionamento della vendita in più lotti. Rientra nel potere del giudice dell'esecuzione, il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità, stabilire se due beni debbano essere, o meno, messi in vendita separatamente, non rilevando che il consulente tecnico, pur avendo valutato i due beni in modo distinto, non li abbia formalmente considerati come lotti a se stanti (Cass. sez. III, 18 febbraio 1975, n. 636). Quando l'azione esecutiva si esercita in concreto mediante una pluralità di vendite coattive, indipendenti tra loro, le operazioni di liquidazione debbono arrestarsi, a norma dell'art. 504 c.p.c., se dalla vendita del primo lotto è stato ricavato un importo tale da soddisfare integralmente tutti i creditori e coprire le spese. Nel tentativo di chiarire l'ambito di applicazione della norma, si è precisato che l'art. 504 c.p.c. consacra la ovvia corrispondenza tra espropriazione forzata e garanzia patrimoniale. La funzione di tale disposizione non è quella di contenere l'eccessiva azione esecutiva intrapresa dal creditore, né rimediare ad eventuali errori dell'ufficiale giudiziario nel pignorare beni di valore sproporzionato rispetto al credito portato dal titolo esecutivo, quanto di evitare un ingiusto sacrificio del debitore laddove il primo lotto sia stato aggiudicato per un importo così elevato da rendere inutile la vendita successiva. Di qui il dovere del giudice di disporre, anche d'ufficio, la cessazione delle operazioni relative al secondo lotto. Qualora poi la vendita sia stata delegata ad un professionista, sembra necessario che il giudice dell'esecuzione lo abbia preventivamente informato dell'importo sino alla concorrenza del quale egli può procedere alla liquidazione del secondo lotto. Da queste brevi considerazioni emerge la differente funzione svolta dagli artt. 483 e 496 rispetto a quella propria dell'art. 504 c.p.c., nonostante il parere diverso della giurisprudenza ante riforma del 2005.
Se la limitazione dei mezzi di espropriazione e la riduzione del pignoramento sono rimedi che caratterizzano le prime fasi dell'espropriazione e consentono al debitore di reagire, fino alla pronuncia dell'ordinanza di vendita, ad un'esecuzione potenzialmente eccessiva, l'art. 504 postula la concreta inutilità della seconda vendita, inutilità che può palesarsi solo dopo l'aggiudicazione del primo lotto. L'art. 504 c.p.c. trova applicazione quando il prezzo base fissato per il primo lotto è insufficiente a garantire la soddisfazione dei creditori ed il pagamento delle spese, ma in sede di aggiudicazione si è raggiunto un importo talmente elevato da non giustificare il sacrificio del debitore e, dunque, la vendita del lotto successivo. Di contro, a ritenere che il giudice debba disporre la cessazione della vendita anche in caso di azione esecutiva ab origine eccessiva, come affermato dalla giurisprudenza, si finirebbe per rimettere nei termini l'esecutato per la proposizione di un'opposizione ex art. 496 c.p.c. Senza trascurare che verrebbero disattese le esigenze di tutela dei terzi che hanno confidato sull'attendibilità dell'ordinanza di autorizzazione ex art. 569 c.p.c. e che hanno partecipato alle operazioni di vendita, tutela sancita dall'art. 2929 c.c. e dall'art. 187-bis disp.att. Se queste brevi considerazioni sono corrette, deve concludersi che la cessazione della vendita non rappresenta un diritto per il debitore, né la continuazione della vendita oltre l'ammontare dei crediti costituisce ragione di danno per il debitore che non abbia fatto tempestiva istanza. Il debitore, in caso di violazione dell'art. 504 c.p.c., può contestare l'aggiudicazione del secondo lotto nelle forme e nei termini di cui all'art. 617 c.p.c. solo se l'eccesso di somme è conseguenza di un valore di aggiudicazione particolarmente elevato e non si configurava affatto, prima della vendita; con la conseguenza che, prima di tale momento, il debitore si trovava nell'impossibilità di reagire ad un eccesso che non era ancora concreto. Di contro l'acquisto dell'aggiudicatario viene fatto salvo ogni volta che il debitore avrebbe potuto avvalersi della riduzione del pignoramento ma ciò non ha fatto, legittimando con il suo comportamento l'affidamento dei terzi sulla stabilità dell'ordinanza di cui all'art. 569 c.p.c. e della successiva vendita forzata. Supera così la tradizionale impostazione dell'art. 504 c.p.c. fornita dalla giurisprudenza di legittimità prima dell'introduzione dell'art. 187-bis disp. att.
Effetti sostanziali della vendita forzata.
La disciplina degli effetti sostanziali della vendita forzata è contenuta negli artt. 2919 ss. c.c. Con particolare riferimento all'art. 2919 c.c. va segnalato che è proprio questa disposizione ad attribuire all'aggiudicatario lo stesso diritto che aveva il debitore sul bene pignorato. La tutela dei diritti di terzi sul medesimo bene si realizza anche mediante l'opposizione all'esecuzione forzata, ex art. 615 c.p.c., per far accertare che il bene non apparteneva (o non del tutto) all'esecutato ma, in forza di titolo opponibile al creditore pignorante e agli intervenuti, apparteneva per intero o pro quota all'opponente (Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2011, n. 517). Ad un tempo va segnalato che l'art. 2919 c.c. patisce due significativi limiti. Il primo va individuato nella salvezza, a favore dell'acquirente, degli effetti del possesso di buona fede in ordine ai mobili non registrati, attuando di fatto il principio contenuto nell'art. 1153 c.c., secondo il quale possesso vale titolo. Il secondo deriva dal collegamento con l'art. 2913 c.c. , in forza del quale non sono opponibili all'acquirente gli atti di disposizione inopponibili ai creditori concorrenti. Sempre dall'art. 2919 deriva il trasferimento all'acquirente del bene aggiudicato libero da ogni vincolo pregiudizievole (pignoramenti e diritti di prelazione). Di qui l'affermazione che la vendita forzata determini un effetto purgativo, stante la necessità di rendere appetibile l'acquisto del bene. Per consentire tale effetto, gli artt. 498 c.p.c. e 158 disp. att. c.p.c. impongono la notifica di un avviso sulla pendenza della procedura esecutiva a favore dei creditori titolari di prelazione iscritta sul bene ovvero ai creditori sequestranti: in mancanza della prova di tale notifica, il giudice non può provvedere sull'istanza di assegnazione o di vendita. Per completezza va aggiunto che l'effetto purgativo opera anche in relazione ai beni mobili gravati da pegno o privilegio speciale iscritto. Gli artt. 2920 e 2921 c.c. disciplinano la vendita forzata compiuta a non domino. Quanto ai mobili l'art. 2920 c.c. assicura la stabilità degli effetti della vendita come della distribuzione del ricavato. Quindi i terzi che vantino diritti di proprietà sulla cosa mobile non registrata possono opporsi ex art. 619 c.p.c. prima della vendita. Se chi aveva la proprietà o altri diritti reali sulla cosa mobile non ha fatto valere le proprie ragioni sulla somma ricavata dall'esecuzione, può agire contro il creditore procedente di mala fede per i danni e per le spese, solo se questi abbia avuto la conoscenza certa, nel momento in cui ha proceduto in executivis, dell'alienità della cosa assoggettata ad espropriazione forzata. Con la precisazione che l'onere della prova di tale conoscenza grava sul terzo che agisce per fare valere la responsabilità sancita dall'ult. comma dell'art. 2920 c.c. (Cass. civ., sez. III, 28 marzo 1983, 2223). In riferimento all'atteggiamento psicologico dell'aggiudicatario, la Suprema Corte è dell'avviso che la buona fede debba sussistere non solo al momento dell'aggiudicazione, e che sia esclusa in presenza di un semplice dubbio sulla sussistenza di un diritto altrui anche al momento della consegna (Cass. civ., sez. I, 10 novembre 1971, n. 3195). La dottrina riconosce, inoltre, pur in mancanza di un'espressa previsione, al terzo ex proprietario la legittimazione ad agire per indebito arricchimento nei confronti del terzo esecutato; con la precisazione che tale determinazione dipende dalla effettiva titolarità di altri beni, utilmente aggredibili, in capo al debitore. La disciplina dell'evizione, contenuta nell'art. 2921 c.c., appresta tre diverse tipologie di rimedi:
Di qui il rilievo che si tratti di un regime diverso rispetto a quello stabilito dall'art. 1483 c.c., regime che costituisce diretta applicazione del principio della ripetizione d'indebito di cui all'art. 2033 c.c. I creditori, pertanto, sono tenuti a restituire quanto hanno ricevuto, dedotte le spese ed il debitore l'eventuale residuo. L'ultimo comma dell'art. 2921 c.c. esclude il diritto di ripetizione nei confronti dei creditori privilegiati ai quali la causa di evizione era inopponibile. In tal caso, la dottrina ritiene che l'aggiudicatario evitto possa agire per ingiustificato arricchimento nei confronti del debitore e del terzo proprietario. Per assicurare la massima stabilità alla vendita forzata, l'art. 2922 c.c. nega possa essere impugnata per lesione come l'operatività della garanzia per i vizi; la natura coattiva del trasferimento esclude l'imputabilità del trasferimento all'alienante e, conseguentemente, l'actio redhibitoria, di risoluzione del contratto, l'actio quanti minoris, di riduzione del prezzo (art. 1492 c.c.)e di lesione (art. 1448 c.c.), nonché quella di risarcimento del danno (art. 1494 c.c.). La dottrina non è giunta a risultati omogenei riguardo alla garanzia per mancanza di qualità essenziali e di quella per vendita di aliud pro alio, affermando che:
Per la giurisprudenza l'acquirente risulta tutelato quando il bene oggetto dell'ordinanza di vendita non coincide con quello trasferito, sia laddove si tratti di bene del tutto diverso da quello riportato nell'ordinanza, sia qualora difetti delle qualità indispensabili per assolvere la sua funzione economico-sociale, sia quando risulti compromessa la destinazione del bene all'uso indicato nell'ordinanza di vendita quale elemento decisivo per la determinazione ad offrire (Cass. civ., 21 dicembre 1994, n. 11018). In tutte queste ipotesi viene a mancare l'oggetto stesso della vendita forzata, sul quale si fondava l'offerta dell'aggiudicatario ed il provvedimento dell'organo giurisdizionale, determinando la nullità della vendita ed il diritto dell'aggiudicatario a ripetere ciò che ha ingiustificatamente versato, sempre che l'errore non sia stato cagionato da una condotta colposa di quest'ultimo, ma dipenda dagli atti della procedura espropriativa. Con la precisazione che tale regime opera per ogni tipo di vendita coattiva, in sede di esecuzione singolare o concorsuale, mobiliare e immobiliare (Cass. civ., 25 febbraio 2005, n. 4085; Trib. Torino 24 maggio 2002, in GI, 2003, 525).
L'art. 2923 c.c. attua il coordinamento tra la posizione dell'acquirente in vendita forzata e i terzi titolari di diritti fondati su un rapporto di locazione e recepisce il principio emptio non tollit locatum, sempre che le locazioni siano state concluse prima del pignoramento. In particolare vengono stabiliti tre diversi criteri:
In nessun caso la locazione è opponibile se a canone vile o inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni (Cass. civ., sez. IV, ord., 1 ottobre 2012, n. 16718).
L'art. 2924 c.c. sancisce l'inopponibilità all'aggiudicatario delle liberazioni e cessioni di pigioni e fitti non ancora scaduti compiute dall'esecutato, salvo siano eccedenti il triennio e trascritte anteriormente al pignoramento o siano anticipazioni conformi agli usi locali (Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 1976, n. 102). In realtà l'anticipazione dei canoni futuri può costituire un utilizzo fraudolento della locazione nel tentativo di svilire l'immobile e protrarne indefinitamente la perdita per il tramite della vendita forzata. Per questa ragione il legislatore si preoccupa di regolare (art. 2812 c.c.) l'opponibilità al creditore ipotecario, al creditore pignorante (art. 2918 c.c.) e infine all'aggiudicatario (art. 2924 c.c.). Per vero se il patto non è opponibile all'avente causa del locatore, perché infratriennale e trascritto dopo il pignoramento, l'eventuale pagamento del conduttore a favore del debitore non ha efficacia liberatoria. Il conduttore è quindi tenuto ad adempiere di nuovo nei confronti dell'aggiudicatario.
Riferimenti
ASTUNI, Vincoli opponibili nelle procedure esecutive: la locazione di immobili, in REF, 2011, 613 ss.; BARLETTA, La stabilità della vendita forzata,Napoli 2002, 60 ss.;Capponi, Manuale di diritto dell'esecuzione civile4, Torino 2015, 324 ss.; CERINO CANOVA, Vendita forzata ed effetto traslativo, in Studi in memoria di Salvatore Satta, Padova 1982, I, 275; FARINA, L'aggiudicazione nel sistema delle vendite forzate, Napoli 2012, 19 ss.; PUGLIATTI, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano 1935, 256 ss.; SALETTI, Cumulo ed eccesso di espropriazione forzata, in Riv. dir. proc., 1984, 506 ss.; SATTA, La rivendita forzata, Milano 1933, 42 ss.; SATTA, L'esecuzione forzata, Milano 1937, 186 ss.
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