Il nuovo “processo accelerato” (e in unico grado) di protezione internazionale

Giuseppe Buffone
07 Marzo 2017

Il 17 febbraio è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.l. n. 13/2017 recante «Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale». A seguito della conversione in l. n. 46/2017 l'assetto normativo è rimasto pressoché integro, ma spiccano alcune novità.
Premessa

La protezione internazionale include lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria. Si tratta di una misura protettiva costituzionalmente imposta: infatti, ai sensi dell'art. 10 della Carta Costituzionale, «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge»:

  • per rifugiato, si intende il cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno (Art. 2, lett. e, d.lgs. n. 251/2007; Conv. Ginevra 1951, capo A, par. 2);
  • per beneficiario della protezione sussidiaria, si intende il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese (Art. 2, lett. g, d.lgs. n. 251/2007).

In entrambi i casi, il riconoscimento della misura protettiva comporta il conseguimento di uno status. Lo straniero o l'apolide che ha presentato domanda di protezione internazionale (ossia istanza diretta ad ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria) assume la qualifica di “richiedente”. Il percorso processuale che conduce il richiedente dalla presentazione della istanza al riconoscimento o non dello status richiesto appartiene alla potestà normativa dello Stato Membro: si tratta, però, di una potestà «vigilata» in quanto deve avvenire nel rispetto delle norme europee e compatibilmente con la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 che «costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati» (n.b. l'intera disciplina, inclusa quella europea, deve essere interpretata alla luce della medesima; così CGUE, 2 dicembre 2014, punto. 45).

Originariamente, il Legislatore italiano ha riservato alle controversie in materia di protezione internazionale il rito camerale pieno, con procedura accelerata, contraddistinta da una udienza riservata all'esame del richiedente. Tuttavia, nel 2011, il legislatore ha condotto queste controversie fuori dal rito camerale e, con l'art. 19, d.lgs. n. 150/2011, ne ha disposto la trattazione secondo il modello processuale del rito sommario di cognizione. Questa tipologia di rito, nel tempo, si è rivelata poco idonea a garantire tempi celeri di definizione, se non altro a causa dell'esponenziale ed eccezionale aumento di contenzioso nel tempo. Le domande di protezione internazionale sono state:

  • nel 2013, 26.620;
  • nel 2014, 63.456 (incremento del 143%);
  • nel 2015, 83.970 (incremento del 32,33%);
  • nel 2016, 123.600(incremento 47,20%).

Per far fronte a questo incremento “emergenziale” di contenzioso, il Legislatore, con la previsione contenuta nell'art. 18-ter, d.l. 83/2015 (conv. in l. 132/2105), ha prefigurato un piano straordinario per l'applicazione di magistrati presso i Tribunali italiani al fine di fronteggiare l'incremento del numero di procedimenti per protezione internazionale (da cui sono germinati, come noto, gli appositi provvedimenti del Consiglio Superiore della Magistratura).

Con la decretazione d'urgenza n. 13 del 17 febbraio 2017, il Legislatore – proseguendo su questa strada di interventi emergenziali – ha messo mano a modifiche processuali e, in particolare, melius re perpensa ha riportato le controversie de quibus nell'ambito del rito camerale; ciò, però, non senza alcune importantissime innovazioni: in primis, l'introduzione di un contraddittorio fondamentalmente scritto e «a udienza eventuale»; in secundis, l'introduzione di un unico grado di giudizio (di merito).

Il quadro normativo

La materia della protezione internazionale è regolata da diverse (e più importanti) fonti comunitarie. Quanto ai presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, va menzionata la Direttiva 2011/95, recepita con il d.lgs. 8/2014; questo provvedimento europeo ha, come noto, abrogato la Dir. 2004/83/CE del 29 aprile 2004, recepita in Italia con il d.lgs. 19 novembre 2007 n. 25. Quanto alla procedura per il riconoscimento, rileva la già dir. 2013/32/UE, che ha abrogato la dir. 2005/85/CE ed è stata trasposta in Italia attraverso il d.lgs. 142/2015, di modifica, tra l'altro, del d.lgs. n. 25/2008. Rileva infine la direttiva 2013/33/UE (in materia di accoglienza) e il Reg. UE n. 604/2013, in materia di giurisdizione.

Il diritto nazionale interno ha dato corpo alle richieste del legislatore UE prevedendo, in materia di protezione internazionale, una fase amministrativa – nell'ambito della quale un collegio di esperti esamina le domande, previa audizione del richiedente – e una fase giurisdizionale, ove il richiedente insoddisfatto contesta la decisione negativa dell'organo amministrativo. Nell'assetto antecedente alle modifiche apportate dal d.l. 13/2017, il rito applicabile è quello sommario di cognizione e l'intera procedura è enucleata nell'art. 19 d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150, nel testo risultante per effetto delle modifiche apportate dal dlgs 142 del 2015. In questo modulo processuale è previsto un contraddittorio scandito anche da una discussione davanti al giudice ma l'audizione del richiedente non è ritenuta essenziale o necessaria dalla giurisprudenza (v. Cass. civ., sez. VI-1, ord., 8 giugno 2016 n. 11754). In questo assetto, sul presupposto che sia possibile una sorta di decisione de plano (senza audizione o addirittura senza udienza), il Tribunale di Milano, come noto, (con ordinanza del 14 giugno 2016) ha sottoposto alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: se la direttiva 2013/32/UE (in particolare, artt. 12, 14, 31, 46) debba essere interpretata nel senso che essa ammetta una procedura in cui all'autorità giudiziaria adita dal richiedente asilo – la cui domanda, all'esito di esame completo con audizione, sia stata respinta dall'Autorità amministrativa incaricata di esaminare le richieste di asilo – è consentito di respingere il ricorso giurisdizionale de plano, senza dover procedere a nuovo ascolto del richiedente stesso, nel caso in cui la domanda giudiziale sia palesemente infondata e il diniego dell'autorità amministrativa sia quindi insuperabile. La questione è pendente dinanzi alla Corte di Lussemburgo ma torna quanto mai attuale: infatti, propone al giudice Europeo una quaestio iuris che, di fatto, riguarda ora con grande attualità il rito vigente dove, espressamente, come si vedrà, è prevista la possibilità della decisione de plano (adottata sulla scorta di un mero contraddittorio scritto ma senza audizione necessaria del richiedente). D'altro canto, l'indirizzo giurisprudenziale comunitario è in genere nel senso che l'audizione del richiedente asilo debba essere garantita nella fase di accesso al beneficio protettivo ma non necessariamente dal giudice. Ad ogni modo, in questo contesto normativo, si inseriscono gli innesti del d.l. 13/2017.

Videoregistrazione dell'audizione del richiedente

Il d.l. n. 13/2017 modifica – per quanto qui di interesse – l'art. 14, d.lgs. n. 25/2008: si tratta di una manipolazione che ha importanti effetti sul processo. Sulla scorta della nuova previsione normativa, il colloquio con il richiedente «è videoregistrato con mezzi audiovisivi»; copia informatica del file contenente la videoregistrazione è conservata in un apposito archivio informativo del Ministero dell'Interno. In sede di ricorso giurisdizionale avverso la decisione della Commissione territoriale, la videoregistrazione (unitamente al relativo verbale di trascrizione) è resa disponibile all'autorità giudiziaria (v. art. 35-bis comma 8, d.lgs. n. 25/2008). In questa modifica si scorge il riflesso processuale della videoregistrazione: il giudice investito del processo avverso la decisione della Commissione, infatti, potendo esaminare direttamente l'audizione del richiedente davanti all'organo amministrativo, non è più tenuto a celebrare apposita udienza per (ri)ascoltarlo.

Sorgono dubbi irrisolti expressis verbis dalla procedura. In primo luogo, non è ben chiaro cosa accada se il richiedente (per sua colpa o non) non sia stato ascoltato dalla Commissione. In questo caso, non sussistendo alcuna videoregistrazione o trascrizione dell'ascolto, dovrebbe ritenersi necessaria l'intervista in sede giudiziale.

Altra ipotesi – pur presa di mira dalla nuova normativa – è quella in cui non sia disponibile una videoregistrazione ma solo la trascrizione del colloquio. In questo caso, la nuova normativa prevede espressamente che l'udienza debba essere tenuta ma non è espressamente previsto che essa debba ospitare un nuovo ascolto. Quest'assetto è rimasto essenzialmente “integro” nonostante le modifiche apportate, in sede di conversione del d.l. n. 13/2017, dalla legge 46/2017. Spicca, tra le novità, l'art. 14 comma 6-bis, d.lgs. n. 25/2008: «in sede di colloquio il richiedente può formulare istanza motivata di non avvalersi del supporto della videoregistrazione. Sull'istanza decide la Commissione territoriale con provvedimento non impugnabile». In questo modo, viene (correttamente) introdotta una facoltà, per il richiedente, di opporsi alla videoripresa nelle ipotesi in cui questa possa arrecargli un grave pregiudizio: si pensi ai timori legati alla diffusione del video, in caso di gravi persecuzioni politiche o alla sussistenza di particolari condizioni di vulnerabilità che pregiudicano la capacità del richiedente di esprimersi liberamente durante il colloquio.

Il nuovo modello processuale: le nuove sezioni specializzate

La principale novità introdotta dal d.l. n. 13/2017 è in materia di competenza: vengono, infatti, istituite delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea. Il dl 13/2017 prevedeva che i tribunali distrettuali sede delle sezioni specializzate fossero i seguenti: Roma, Catanzaro, Bari, Catania, Palermo, Venezia, Firenze, Milano, Napoli, Bologna, Torino, Cagliari, Brescia e Lecce. La l. n. 46/2017 ha mutato questa scelta disponendo l'istituzione delle sezioni specializzate presso ogni tribunale ordinario del luogo ove ha sede la Corte di Appello (senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica né incrementi di dotazioni organiche): si passa, così, da 14 sezioni a 26. Quanto alla competenza territoriale, è competente territorialmente la sezione specializzata nella cui circoscrizione ha sede l'autorità che ha adottato il provvedimento impugnato.

Il CSM provvede alla organizzazione delle sezioni specializzate, con sua delibera da adottarsi entro il 17 agosto 2017 (180 giorni dall'entrata in vigore). Nelle more, però, l'organo di autogoverno ha già provveduto ad emanare “linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi alla protezione internazionale” con cui il CSM delibera di offrire agli Uffici giudiziari le seguenti indicazioni:

  1. costituzione di sezioni o gruppi che assicurino il principio di specializzazione nella trattazione degli affari in materia di protezione internazionale, riservando alla valutazione del dirigente l'individuazione delle materie aggiuntive da attribuirsi;
  2. istituzione presso la sezione specializzata dell'ufficio per il processo dell'immigrazione, con la previsione dei compiti attribuiti ai giudici onorari e ai tirocinanti;
  3. favorire la coassegnazione alle sezioni specializzate dei magistrati di altre sezioni dell'ufficio, anche per lo smaltimento dell'arretrato, con fissazione di obiettivi ed esonero parziale dalle assegnazioni nell'originaria posizione tabellare;
  4. favorire le applicazioni endodistrettuali su base volontaria.

Al contempo, il CSM programma di invitare la Scuola Superiore della Magistratura a predisporre percorsi di formazione entro il mese di settembre 2017 per i magistrati competenti nella materia della protezione internazionale, per i magistrati applicati e per quanti intendono concorrere per le future applicazioni, nonché per i Giudici onorari di primo e secondo grado, i tirocinanti assegnati alle sezioni, ai gruppi di lavoro o all'Ufficio del Processo per l'Immigrazione; programma anche di mettere a disposizione le COI (Country of Origin Information), nell'area <Giustizia e protezione internazionale> del sito consiliare, grazie al protocollo da stipularsi con il Ministero dell'Interno, per consentire in forma riservata l'accesso da parte dei giudici e dei pubblici ministeri della protezione internazionale.

La composizione delle nuove sezioni è regolata dal principio di specializzazione: i giudici che compongono le sezioni specializzate devono essere scelti tra magistrati dotati di specifiche competenze e sono tenuti a uno speciale percorso di formazione, curato dalla Scuola superiore della Magistratura. Dalla normativa non emerge, in modo chiaro, se le sezioni specializzate possano ospitare giudici in regime di co-assegnazione, ossia destinati anche alla trattazione di affari diversi: su questi profili, comunque, ha ormai fatto chiarezza il Consiglio Superiore della Magistratura, prevedendo che il principio che governa le nuove sezioni specializzate è quello della “non escusività”. Il d.l. n. 13/2017 individua, in modo da ritenersi tassativo, la nuova competenza delle sezioni specializzate assegnando a questi nuovi plessi giudiziari le controversie:

  1. in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e dei loro familiari, di cui all'articolo 16 d.lgs. n. 150/2011. Si tratta dei ricorsi contro tutti quei provvedimenti che possono comportare la negazione del diritto di soggiorno in Italia per i cittadini europei, senza che sia comminata la sanzione più grave dell'allontanamento;
  2. in materia di allontanamento dei cittadini europei e dei loro familiari per motivi di pubblica sicurezza, per motivi imperativi di pubblica sicurezza e nel caso in cui vengano a cessare le condizioni che avevano determinato il diritto di soggiorno, regolate dall'articolo 17 del citato d.lgs. n. 150/2011, nonché per i procedimenti di convalida dei provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale adottati nei confronti di cittadini europei, di cui all'art. 20-ter del d.lgs. n. 30/2007;
  3. in materia di riconoscimento della protezione internazionale, nonché per i procedi-menti per la convalida del provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale, nonché per la convalida dei provvedimenti di cui all'articolo 14, comma 6, del d.lgs. n. 142/2015;
  4. in materia di riconoscimento della protezione umanitaria nei casi di cui all'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo n. 28 del 2005, e cioè a seguito di uno specifico accertamento valutativo vincolante della Commissione territoriale, attratte, per pacifica giurisprudenza di legittimità, nella giurisdizione ordinaria, stante la sussistenza di una situazione giuridica di diritto soggettivo in capo al richiedente (si vedano, tra le tante, le sentenze della Corte di cassazione n. 26481/2011 e n. 11535/2009);
  5. in materia di diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché contro gli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare;
  6. in materia di accertamento dello stato di apolidia, pacificamente compresa, per diritto vivente, nella giurisdizione ordinaria. La legge 46/2017 ha ampliato queste competenze aggiungendo:
  7. le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti adottati dall'autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale, in applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013;
  8. l'impugnazione delle decisioni di trasferimento adottate ai sensi dell'articolo 3, comma 3-bis d.lgs. 25/2008;
  9. le controversie per l'accertamento dello stato di cittadinanza italiana (v. nuovo art. 19-bis dlgs. 150 del 2011).

Il decreto 13/2017 prevede espressamente che, pur trattandosi di una sezione specializzata, non opera il disposto dell'art. 50-bis c.p.c. – che include nell'elenco delle cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale quelle devolute alle sezioni specializzate – e il tribunale giudica le controversie di competenza delle istituende sezioni in composizione monocratica. Questa regola ha subito una eccezione a seguito della conversione del dl: le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale di cui all'art. 35 d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, e quelle aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti adottati dall'autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale sono decise dal tribunale in composizione collegiale. Per la trattazione della controversia è designato dal presidente della sezione specializzata un componente del collegio. Il collegio decide in camera di consiglio sul merito della controversia quando ritiene che non sia necessaria ulteriore istruzione.

L'articolo 5 d.l. n. 13/2017 prevede espressamente, sul modello delle sezioni specializzate in materia di impresa di cui al d.lgs. n. 168/2003, che nelle materie devolute alle sezioni specializzate le competenze che la legge riserva al presidente del tribunale spettano al presidente delle rispettive sezioni specializzate.

Il nuovo modello processuale: le nuove norme di procedura

Il rito processuale che assiste le controversie in materia di protezione internazionale viene riscritto dal d.l. 13/2017 e trasposto dall'art. 19 d.lgs. 150/2011 all'art. 35-bis d.lgs. n. 25/2008. Un altro “colpo” al TU delle leggi processuali in materia civile (per l'appunto, il citato d.lgs. 150/2011) atteso che il Legislatore, venendo meno agli impegni assunti nel 2011, disattende il principio di concentrazione delle fonti di cognizione e “sparpaglia” ancora una volta, in giro per l'Ordinamento, norme di diritto processuale. Peraltro, con questa scelta, non risolve (come pur avrebbe potuto) il problema dell'applicabilità dell'art. 4 d.lgs. 150/2011 (mutamento del rito in caso di scelta sbagliata della parta attrice /ricorrente) in caso di riti diversi da quello sommario, ordinario, lavoro (la giurisprudenza prevalente ammette, ad esempio, che si possa trasformare il rito camerale in ordinario e viceversa; v. Trib. Milano, 20 settembre 2013, est. Gloria Servetti che ha mutato il rito, in caso di dichiarazione giudiziale di paternità, da camerale a ordinario). Cosa dovrà quindi fare il giudice nel caso in cui il richiedente, ad esempio, introduca per errore il rito nelle forme sommarie anziché camerali? In punto di tempestività, non cambia molto perché, in entrambi i casi, il deposito del ricorso interrompe il decorso del termine di decadenza. Dovrebbe propendersi per l'applicabilità del mutamento del rito, favorendo così una decisione nel merito ed evitando pronunce di mero rito. Tuttavia, come noto, certa giurisprudenza nega la possibilità del mutamento del rito se non espressamente previsto dalla Legge (v. Cass. civ., sez. VI-II, ord., 27 giugno 2013 n. 16202). Giova comunque ricordare che il mutamento del rito, previsto dall'art. 4 d.lgs. 150/2011, può operare limitatamente al primo grado, non applicandosi al giudizio di appello (Cass. civ. 18 agosto 2016 n. 17192).

Il Legislatore opta per il rito camerale al fine di ridurre i tempi di definizione delle procedure: modifica, inoltre, il tempo di chiusura del processo da sei mesi a quattro mesi. Secondo il legislatore, dunque, passando dal rito sommario al rito camerale dovrebbe essere possibile definire le controversie con un terzo di tempo in meno. Ciò, ben inteso, con flussi in ingresso invariati e l'esponenziale aumento del contenzioso inalterato; ciò, inoltre, dando atto – nella relazione illustrativa – che, in genere, già solo il tempus compreso tra deposito del ricorso e fissazione dell'udienza è, oggi, in media, di dodici mesi. Con queste premesse, il decreto d'urgenza può inscriversi a pieno titolo nella “fantascienza” atteso che la istituzione delle Sezioni Specializzate avviene «senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica né incrementi di dotazioni organiche». Il decreto d'urgenza intende “accorciare” i tempi di definizione prevedendo che l'udienza sia fissata non in ogni caso ma esclusivamente quando è necessario procedere a specifici adempimenti. Nella relazione illustrativa si specifica che “ciò è possibile valorizzando la fase amministrativa innanzi alle Commissioni territoriali e, in particolare, il colloquio con il richiedente protezione, prevedendo che si proceda sempre e obbligatoriamente alla videoregistrazione del medesimo, con obbligo a carico della Commissione convenuta di depositare in cancelleria, entro venti giorni dalla notificazione del ricorso, copia del file contenente la videoregistrazione”. L'idea del legislatore è, dunque, nel senso che l'udienza sia eccezionale e comunque episodica. Ciò nondimeno, il nuovo art. 35-bis d.lgs. n. 25/2008, nei suoi commi 10 e 11, prevede un regime derogatorio alla decisione de plano. Al comma 10, pervede ipotesi di udienza “discrezionalmente” fissata dal giudice; al comma 11 – come introdotto dalla legge n. 46/2017 – prevede ipotesi di udienza obbligatoria. L'udienza è fissata discrezionalmente per decisione del giudice nelle seguenti ipotesi:

  • Il giudice visionata la videoregistrazione ritiene necessario disporre l'audizione dell'interessato;
  • il giudice ritiene indispensabile richiedere chiarimenti alle parti;
  • il giudice dispone consulenza tecnica ovvero, anche d'ufficio, l'assunzione di mezzi di prova.

L'udienza è prevista obbligatoriamente per previsione normativa nei seguenti casi:

  • la videoregistrazione non è disponibile;
  • l'interessato ne abbia fatto motivata richiesta nel ricorso introduttivo e il giudice, sulla base delle motivazioni esposte dal ricorrente, ritenga la trattazione del procedimento in udienza essenziale ai fini della decisione;
  • l'impugnazione si fonda su elementi di fatto non dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado.

In questo modo, nel nuovo modello processuale – almeno in astratto - viene introdotto un «rito camerale scritto a udienza eventuale»:il Legislatore conferma il nuovo trend legislativo nel senso di ridurre i tempi processuali mediante la creazione di forme di contraddittorio esclusivamente scritto (v. in argomento, anche la nuova modalità di trattazione dei ricorsi civili in Cassazione ex art. 380-bis c.p.c., come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modifiche in Legge 25 ottobre 2016, n. 197; ritenuto, in tempi recenti, compatibile con i principi costituzionali, v. Cass. civ., sez. VI-3, ord., 10 gennaio 2017 n. 395). I compilatori della Relazione Illustrativa ritengono il nuovo procedimento di protezione internazionale non censurabile per contrasto con le fonti costituzionali e convenzionali vigenti. Sul punto, in effetti, occorre osservare che il principio di pubblicità dell'udienza - di rilevanza costituzionale in quanto, seppur non esplicitato dalla Carta Fondamentale, è connaturato ad un ordinamento democratico e previsto, tra gli altri strumenti internazionali, segnatamente dall'art. 6 CEDU - non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di "particolari ragioni giustificative", ove "obiettive e razionali" (Corte cost., sent. n. 80/2011); una siffatta deroga - anche alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza della Corte EDU (tra le tante e più di recente, sentenza 21 giugno 2016, Tato Marinho c. Portogallo), seguiti da un costante orientamento della Corte di Cassazione (tra le altre, Cass., 18 luglio 2008, n. 19947; Cass., 16 marzo 2012, n. 4268; Cass., 9 ottobre 2015, n. 20282; Cass., 5 maggio 2016, n. 9041) - è consentita in ragione della conformazione complessiva del procedimento, là dove, a fronte della pubblicità del giudizio assicurata in prima o seconda istanza, una tale esigenza non si manifesti comunque più necessaria per la struttura e funzione dell'ulteriore istanza, il cui rito sia volto, eminentemente, a risolvere questioni di diritto o comunque non "di fatto", tramite una trattazione rapida dell'affare, non rivestente peculiare complessità. A ben vedere, questi principi rischiano invero di non collimare del tutto con il nuovo rito ex art. 35-bis d.lgs. 25/2008: infatti, il grado di merito celebrato davanti al tribunale è ora l'unico e anche in Cassazione, ex art. 380-bis c.p.c., è possibile una forma di contraddittorio solo scritto.

Il contraddittorio tra le parti si declina per iscritto anche nel subprocedimento per la sospensione del provvedimento impugnato, nel quale si procede alla fissazione dell'udienza quando ricorrono i presupposti già descritti. Si mantiene la regola attualmente prevista dagli articoli 19 e 5 d.lgs. n. 150/2011, relativa alla non impugnabilità del provvedimento che decide sull'istanza di sospensione e, dunque, la non sua reclamabilità ex art. 669-terdecies c.p.c..

Il decreto che definisce il procedimento di protezione internazionale è comunicato dalla cancelleria e non è impugnabile dinanzi alla Corte di Appello ma esclusivamente ricorribile per cassazione entro il termine ordinario, che decorre sempre dal momento della comunicazione del provvedimento. Quanto al giudizio di legittimità, la l. n. 46/2017 introduce una importante addenda nel comma 13 dell'articolo 35-bis: «la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima».

Se la decisione della Commissione territoriale impugnata ha rigettato la domanda di protezione internazionale perché inammissibile o manifestamente infondata, il giudice, ove il ricorso sia integralmente respinto, nel liquidare il compenso del difensore deve sempre motivare espressamente in ordine alla sussistenza dei requisiti per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato; con ciò, in buona sostanza, si vuole sollecitare il potere del giudice di applicare l'art. 136, d.P.R. 115/2002 che consente anche la revoca del beneficio erariale in caso di domanda presentata in modo non fondato con colpa grave. Il concetto di “colpa grave” può essere definito nei contenuti apprezzando la giurisprudenza di legittimità formatasi attorno all'art. 96 c.p.c. che proprio la colpa grave nell'agire o resistere prende di mira. Ebbene, secondo tali direttive ermeneutiche, la colpa grave sussiste quando la parte omette di osservare la benché minima diligenza nella verificazione dei necessari presupposti per la proposizione della domanda giudiziale ovvero per la difesa in giudizio. Diligenza che consente di avvedersi dell'infondatezza della propria pretesa e di prevedere le conseguenze dei propri atti. In estrema sintesi, l'esercizio dell'azione è stato gravemente “imprudente”. Ai sensi dell'art. 136, comma II, T.U. spese di Giustizia (d.P.R. 115/2002), si tratta di una revoca del gratuito patrocinio ex officio (v. Cass. civ., sez. I, sent., 30 maggio 2008, n. 14594).

Minori stranieri non accompagnati

La l. 46/2017 introduce, nel d.l. 13/2017, il nuovo articolo 19-bis in virtù del quale, le cennate disposizioni del d.l. 13 del 2017 «non si applicano ai minori stranieri non accompagnati» (MSNA). Questa norma è giustificata dalla coeva legislazione appena approvata. La l. 7 aprile 2017 n. 47 recante “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”, in GU n.93 del 21 aprile 2017.

In conclusione

La nuova normativa processuale costituisce, ancora una volta, una risposta emergenziale del legislatore a un problema di buon funzionamento del Servizio Pubblico di Giustizia: ancora una volta, i flussi in eccesso (sproporzionati rispetto all'organico della magistratura) provocano un saggio di legificazione di riscrittura di disposizioni processuali. Il trend legislativo degli ultimi anni è sempre più nel senso di ridurre l'accesso al grado di appello (si pensi al cd. filtro ex artt. 348-bis e ss c.p.c.) e a quello di Cassazione (v. il nuovo art. 380-bis c.p.c.) e nel senso di “sfoltire” gli adempimenti del giudice di primo grado anche con un più cospicuo ricorso alla magistratura onoraria (si pensi ai giudici cd. ausiliari in appello) o a forme di giurisdizione condizionata (v. mediazione civile obbligatoria e negoziazione assistita obbligatoria). Si tratta realmente di interventi necessari, per la contingente situazione dell'arretrato civile; tuttavia, considerati nel loro complesso, questi interventi stanno gradualmente conducendo a un processo civile italiano più veloce ma di minor qualità (quanto al tasso di protezione giuridica offerto); infatti, per accelerare la tutela delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte, il legislatore, di fatto, le limita. Al cospetto di una situazione emergenziale nel settore civile, forse, a questo punto, il Legislatore – sulla scorta degli esempi provenienti da alcuni altri Stati Membri dell'UE – potrebbe pensare a introdurre, almeno per alcuni settori di contenzioso, delle forme di accesso standardizzate (cd. moduli o formulari) e delle corrispondenti forme standardizzate di decisione, lasciando inalterate le garanzie processuali e il diritto al dialogo orale in udienza. Ben inteso: con il coinvolgimento e il benestare degli operatori coinvolti (Avvocatura e Magistratura).

Guida all'approfondimento

In dottrina sul tema:

  • Acierno M., Il diritto del cittadino straniero alla protezione internazionale: condizione attuale e prospettive in Morozzo della Rocca P., Manuale breve di diritto dell'immigrazione, Santarcangelo di Romagna, 2013;
  • Benvenuti M., La Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati", in Pineschi U., (a cura di), La tutela internazionale dei diritti umani, Giuffrè, Milano, 2006;
  • Rescigno F., Il diritto d'asilo, Carrocci, Roma, 2011;
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