Presupposti di applicazione e formalità della dichiarazione di mancato accordo nella negoziazione assistita
09 Giugno 2016
Il quadro normativo
L'art. 4 del d.l. 132/2014 nei primi due commi definisce i requisiti di forma e di contenuto dell'invito a concludere la convenzione di negoziazione assistita mentre nell'ultimo comma prevede che «La dichiarazione di mancato accordo è certificata dagli avvocati designati». Orbene, per quanto la prima parte della disposizione si applichi ad entrambe le forme di negoziazione assistita introdotte nel nostro ordinamento con il d.l. 132/2014, vale a dire quella volontaria e quella obbligatoria, secondo la tesi prevalente in dottrina l'adempimento in esame è richiesto solo per i casi in cui la domanda è soggetta a negoziazione assistita obbligatoria (si tratta oltre che delle controversie di cui all'art. 3, comma 1, d.l. 132 di quelle in tema di contratto di trasporto e sub-trasporto di cose di cui all'art. 1, comma 249, della legge di stabilità 2015). Tale conclusione pare trovare conferma nella considerazione che la norma ricalca il penultimo comma dell'art. 5 del d.lgs. 28/2010 (norma relativa mediazione obbligatoria), a mente del quale «Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo». A ben vedere però quest'ultima diposizione ricalca a sua volta l'art. 40, comma 4, del d. lgs. 5/2003 in tema di procedimento di conciliazione delle controversie societarie, abrogato dalla legge 69/2009, che pacificamente poteva avere carattere volontario. Del resto anche l'altra disposizione del d.l. 132/2014 che menziona la dichiarazione di mancato accordo è di carattere generale e quindi ben può applicarsi alla negoziazione facoltativa. Si tratta dell'art. 8, secondo periodo, che include l'adempimento tra le ipotesi che determinano il nuovo decorso del termine di decadenza dell'azione interrotto dalla comunicazione dell'invito a concludere la convenzione di negoziazione (o dalla sottoscrizione della convenzione di negoziazione assistita qualora l'invito non vi sia stato). Gli ulteriori dubbi
Una volta chiarito, in via di prima approssimazione, che l'istituto può trovare applicazione anche nell'ambito della negoziazione assistita volontaria occorre sottoporre a verifica la tesi, invero prevalente, secondo cui, sul presupposto che si tratti di formalità richiesta nella negoziazione assistita obbligatoria, essa vada osservata ogni volta che la negoziazione assistita obbligatoria non abbia avuto un esito conciliativo ed in particolare dopo che essa si sia svolta, a seguito di eccezione di parte o rilievo ufficioso del giudice, dopo l'inizio del giudizio. Secondo tale ricostruzione l'adempimento soddisferebbe l'esigenza di far constare la realizzazione della condizione di procedibilità e consentire la prosecuzione del giudizio. La risposta all'interrogativo posto non può però prescindere da un esame dettagliato dell'iter del giudizio in cui venga riscontrato il mancato esperimento della negoziazione. Innanzitutto è opportuno chiarire che si può parlare di mancato svolgimento della negoziazione quando: 1) la negoziazione si sia svolta senza assistenza di un difensore o con l'assistenza di un avvocato privo dei requisiti di legge, o su oggetto o su un titolo diversi da quelli sul quale verte il giudizio; 2) quando, in difetto della stipula della convenzione di negoziazione assistita, non sia stato comunicato nessun invito o questo sia privo dei requisiti di forma o di contenuto di cui agli artt. 2 e 4 d.l. 132/2014. Orbene in tali ipotesi, al termine della udienza ex art. 183 c.p.c., il giudice assegnerà “alle parti” il termine di quindici giorni per la comunicazione dell'invito a stipulare la convenzione e, contestualmente, fisserà la successiva udienza, tenendo conto della possibilità che le parti, dopo aver concluso la convenzione, utilizzino per intero il termine massimo legge (tre mesi oltre alla proroga di trenta giorni), per lo svolgimento della procedura. Nel termine assegnato dal giudice poi la parte interessata (generalmente si tratterà dell'attore) dovrà inviare l'invito a concludere la convenzione (non è quindi necessario che esso sia anche ricevuto in tale spazio di tempo) sottoscritto per autentica dal suo difensore. Il legislatore ha poi considerato (comma 2 dell'art. 3 d.l. 12 settembre 2014 n.132) che alla nuova udienza si riscontri che la procedura è sì iniziata ma non ha avuto un esito conciliativo, vuoi perché all'invito non è seguita adesione entro trenta giorni dal suo ricevimento, vuoi perché all'invito è seguito il rifiuto entro il predetto termine; vuoi infine, perché, stipulata la convenzione di negoziazione assistita, è decorso il periodo di tempo di cui all'art. 2, comma 2 lett. a), vale a dire quello concordato dalle parti per l'espletamento della procedura o, in difetto, quello di legge (pari a tre mesi). Orbene in tutti questi casi, la norma appena citata, prevede espressamente, che «la condizione di procedibilità si considera realizzata», con la conseguenza che il giudizio può proseguire. È evidente, quindi, alla luce del succitato disposto normativo, come la mancanza di un accordo non debba constare dalla dichiarazione, certificata dagli avvocati delle parti. Come si è visto infatti, se l'invito non è stato accettato nel termine di trenta giorni dal suo ricevimento o se è decorso il termine pattuito dalle parti nella convenzione il giudizio può proseguire. Non convince nemmeno la tesi secondo la quale le parti possano ricorrere a tale formalità quando intendano concludere la negoziazione prima del termine fissato nella convenzione poiché, data l'incertezza sul tempo a tal fine occorrente e sulla disponibilità di controparte a collaborare, può essere più agevole attendere la naturale scadenza di detto termine.
In conclusione
A ben vedere allora la funzione che il legislatore ha attribuito alla dichiarazione di mancato accordo è quella evincibile dall'art. 8, secondo periodo, del d.l. 132/2014 che stabilisce che da essa deve essere calcolato il termine di decadenza per la proposizione della domanda giudiziale, interrotto dall'avvio della procedura ovvero dalla conclusione della convenzione di negoziazione, se ad essa si sia giunti senza la necessità di invito. L'ambito di impiego del documento è quindi alquanto limitato, riguardando il caso in cui, nella sola negoziazione assistita volontaria, dopo la conclusione della convenzione di negoziazione assistita (recte dopo la scadenza del termine in essa previsto o del termine di legge), non sia stato raggiunto un accordo transattivo e la domanda, non ancora proposta in giudizio (se il giudizio fosse pendente la decadenza sarebbe stata impedita ab origine), sia soggetta a termine di decadenza. In tale ipotesi la dichiarazione di mancato accordo serve a determinare il dies a quo per il calcolo del termine decadenziale. Peraltro qualora la domanda dovesse riguardare una controversia soggetta a mediazione obbligatoria (si pensi ad esempio ad una impugnativa di delibera di assemblea condominiale connessa ad una domanda risarcitoria) la disciplina del d. lgs. 28/2010 prevarrà.
I requisiti formali Quanto poi alle modalità della sua stesura, non può accedersi alla tesi di chi ha sostenuto che essa possa essere resa anche dall'avvocato di una sola delle parti (in generale si tratterebbe dell'avvocato dell'invitante), pure quando ciascuna delle parti sia assistita da un proprio difensore. A tale conclusione osta la duplice considerazione che, da un lato, l'utilizzo del plurale per indicare gli autori della dichiarazione allude ad un atto plurilaterale, e, dall'altro, che, se la formalità fosse compiuta da un solo difensore (generalmente quello della parte invitante), non aggiungerebbe nulla, sotto il profilo probatorio, al dato negativo della mancanza di accordo. Non può negarsi che, così interpretata, la norma può risultare di difficile attuazione, poiché postula la necessaria collaborazione dell'avvocato della parte invitata, sebbene essa potrebbe mancare, nel momento in cui l'altra parte dovesse avere interesse a non consentire l'interruzione del termine di decadenza. D'altro canto non pare poter costituire garanzia sufficiente di un simile apporto la previsione dell'obbligo di lealtà a carico dell'avvocato di cui all'art. 9, comma 2, del d.l. o quella della sua obbligatorietà in sede di convenzione, con la conseguenza che la parte invitante si trova esposta al rischio elevato di non riuscire a dimostrare l'intervenuta interruzione del termine di decadenza. Alla luce di tali considerazioni, e riprendendo il raffronto con la disciplina in tema di mediazione, è evidente come la dichiarazione di mancato accordo non assolva ad una funzione analoga a quella che, nel procedimento di mediazione, ha il processo verbale che il mediatore forma in caso di mancata conciliazione o di mancata partecipazione di una delle parti alla mediazione, poiché il mediatore è tenuto a tale adempimento, esso consente di far risultare il fallimento del tentativo di conciliazione. DOSI, La negoziazione assistita da avvocati, Torino, 2014, 64; BONA, La negoziazione assistita nei sinistri stradali, Santarcangelo di Romagna, 2015, 44, nota 58, e p. 53; NANNELLI, La negoziazione assistita in alcune sue parti. L'invito, la redazione della convenzione di negoziazione, il programma, le sedute, la durata e gli effetti sulla prescrizione e sulla decadenza, il fallimento della negoziazione, in www.fondazioneforensefirenze.it; GRADI, Inefficienza della giustizia civile e “fuga dal processo”, Commento del decreto legge n. 132/2014, convertito in legge n. 162/2014, in www.judicium.it, 98; LUPOI, Separazione e divorzio Separazione e divorzio all'epoca della degiurisdizionalizzazione, in www.accadeimaedu.it, p.10. |