La qualità di erede riconosciuta all'esito di azione di petizione dell'eredità non può essere oggetto di riesame se non mediante l'azione di revocazione
12 Maggio 2017
Massima
L'azione di petizione dell'eredità è intesa, innanzitutto, al riconoscimento della qualità di erede, che, costituendo un prius autonomo facente parte del petitum dell'azione rispetto al diritto all'acquisto dell'universalità dei beni del de cuius o di una quota di essi, importa, come conseguenza, il formarsi, fra le parti, del giudicato sul punto, sicché la riconosciuta qualità di erede non può più essere rimessa in discussione da taluna di esse se non nei limiti in cui sia possibile la revocazione della sentenza. Riconosciuto – cioè – l'attore erede testamentario del de cuius, il ritrovamento di un successivo testamento, in tanto può operare fra le parti, in quanto il documento – evidentemente già esistente al momento del precedente giudizio – sia stato trovato dopo la sentenza e non sia stato potuto produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, così come richiede l'art. 395, n. 3, c.p.c.. Il caso
A., invocando il giudicato rappresentato dalla sentenza con la quale era stato dichiarato proprietario, giusta testamento olografo in data … , di un immobile appartenente al defunto genitore, illegittimamente detenuto dal fratello B., conveniva in giudizio quest'ultimo affinché fosse condannato al rilascio dell'immobile nonché al risarcimento del danno derivante dall'illegittima occupazione. Il Tribunale adito accoglieva la domanda attorea e disattendeva la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, volta all'accertamento della propria qualità di unico proprietario del bene oggetto di causa, sulla scorta di quanto emergeva da un successivo testamento olografo del de cuius, recante la data del …, pubblicato in data …, sul rilievo che il giudicato formatosi precludeva il riesame della questione concernente la qualità di erede in capo all'attore, potendosi dare spazio al testamento più recente solo mediante la proposizione della revocazione avverso la relativa pronuncia. Il Tribunale annotava che, comunque, non era emersa la prova della data del ritrovamento del secondo testamento né della ricorrenza di una causa di forza maggiore o del fatto della controparte che avessero impedito la produzione del documento nel precedente giudizio. B. appellava tale sentenza, chiedendone riforma. La Corte di merito respingeva il gravame, confermando le conclusioni cui era pervenuto il primo giudice in ordine alla rilevanza preclusiva del giudicato formatosi circa l'affermazione della qualità di erede in capo all'appellato, in assenza di qualsivoglia prova ad opera dell'originario convenuto in merito alla data del rinvenimento del testamento, i cui effetti lo stesso aveva invocato, e ciò anche a voler superare il profilo di carattere processuale relativo alla necessità di dover esperire il rimedio della revocazione ex art. 395 c.p.c.. B. proponeva ricorso per cassazione avverso tale pronuncia, chiedendone l'annullamento. La questione
La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di Cassazione e che interessa in questa sede è stata quella di stabilire se sia possibile dedurre in un giudizio diverso da quello di revocazione straordinaria, quale valido titolo acquisitivo della qualità di erede, testamento avente una data successiva rispetto a quello posto a fondamento della sentenza pronunciata in esito a pregresso giudizio di petizione dell'eredità, proposto da altra persona e definito, favorevolmente a quest'ultima, con sentenza passata in giudicato. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendo di dover dare piena adesione al pensiero già espresso sulla questione da Cass., sez. II, 15 giugno 1999, n. 5920, secondo cui l'azione di petizione dell'eredità è intesa, innanzitutto, al riconoscimento della qualità di erede, il che, «costituendo un prius autonomo facente parte del petitum dell'azione rispetto al diritto all'acquisto dell'universalità dei beni del de cuius o di una quota di essi, importa, come conseguenza, il formarsi, fra le parti, del giudicato sul punto»; sicché la riconosciuta qualità di erede non può più essere rimessa in discussione da taluna di esse se non nei limiti in cui sia possibile la revocazione della sentenza. La S.C. ha precisato che, laddove, come nel caso di specie, una persona sia stata riconosciuta erede testamentario del de cuius, il ritrovamento di un successivo testamento, in tanto può operare fra le parti, in quanto il documento sia stato trovato dopo la sentenza e non si sia potuto produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, così come richiede l'art. 395 n.3 c.p.c. e tali circostanze siano state evocate e adeguatamente provate. In assenza delle condizioni che avrebbero giustificato la proponibilità della revocazione ex art. 395 n. 3 c.p.c., id est delle condizioni che avrebbero potuto consentire di rimuovere l'efficacia preclusiva del giudicato, doveva ritenersi preclusa la deducibilità nel giudizio intentato al fine del rilascio del bene pervenuto iure successionis «all'intimato» (l'originario attore), dell'esistenza di un testamento di data successiva a quello che il giudicato aveva ritenuto regolasse la successione.
Osservazioni
1) La petizione di eredità, accanto alla funzione recuperatoria del bene, implica anche la necessità dell'accertamento della qualità di erede (Cass., sez. II, 31 gennaio 2014, n. 2148; Cass., sez. II, 15 marzo 2004, n. 5252). Ciò stante, è consequenziale che, laddove, come nel caso in esame, risulti essersi già formato il giudicato sul detto accertamento, il giudice investito della domanda ai sensi dell'art. 533 c.c. sia vincolato al precedente accertamento, senza che possa nuovamente ridiscutersi dell'effettiva spettanza della qualità necessaria per l'esperimento della relativa azione recuperatoria in capo all'attore (nella specie: il convenuto in via riconvenzionale). 2) Nel caso di specie, il solo mezzo fruibile per far valere l'asserita qualità di erede dal parte del ricorrente sarebbe dovuta essere l'azione di revocazione «straordinaria» ai sensi dell'art. 395 n. 3 c.p.c.. 3) Quand'anche l'azione proposta dall'originario convenuto con la domanda riconvenzionale si fosse potuta qualificare (come nei poteri del primo giudice – v., da ultimo, Cass., sez. III, 22 giugno 2016, n. 12872 -, ove coincidente con quello autore della sentenza pronunciata in esito al giudizio di petizione dell'eredità) come azione di revocazione, l'azione medesima, così come annotato da entrambi i giudici di merito, non si sarebbe palesata meritevole di accoglimento, in difetto delle relative le condizioni legittimanti. 4) Ammessane la qualificabilità siccome domanda di revocazione, la domanda (riconvenzionale, nel caso) proposta dall'originario convenuto avrebbe dovuto indicare, a pena di inammissibilità, il motivo della revocazione e le prove relative alla dimostrazione dei fatti di cui al numero 3 dell'art. 395 c.p.c., vale a dire del ritrovamento del testamento successivamente al giudizio di riferimento e dell'impossibilità produrlo in tale sede per causa di forza maggiore o per il fatto della controparte. Inoltre, la domanda si sarebbe dovuta proporre, ai sensi dell'art. 326, primo comma, c.p.c., entro il perentorio termine di trenta giorni dal giorno del ritrovamento del documento. Si vedano, nel senso del testo, ex multis, Cass., sez. II, 11 maggio 2016, n. 9652 e Cass., sez. L, 20 ottobre 2014, n. 22159. 5)Fra i motivi di revocazione straordinaria è compreso quello del ritrovamento, dopo la sentenza, di «documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio conclusosi con la pronuncia della sentenza impugnata per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario». Secondo la giurisprudenza, la categoria di documenti rilevante nel caso di specie si identifica non con quella delle scritture private, direttamente rappresentative dei fatti dedotti in causa, «bensì con quella ampia e generica elaborata in sede di teoria generale del diritto, che fa riferimento a qualsiasi oggetto idoneo e destinato a fissare in qualsiasi forma, anche non grafica, la percezione di un fatto storico al fine di rappresentarlo in avvenire», e che trova compiuta regolamentazione nel capo II del titolo II e del libro VI del codice civile, intitolato alla «prova documentale» (Cass., sez. I, 8 marzo 1990, n. 1838; trattasi di pronuncia risalente, ma il principio affermato non risulta essere stato mai messo in discussione –n.d.r.). Deve trattarsi di documenti decisivi, cioè astrattamente idonei, se acquisiti agli atti, a formare un diverso convincimento del giudice, e perciò a condurre ad una decisione diversa da quella revocanda (favorevole alla parte che chiede la revocazione), attenendo a circostanze di fatto risolutive che il giudice non abbia potuto esaminare. Deve trattarsi di documenti preesistenti alla decisione impugnata, non prodotti a suo tempo per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario e recuperati solo successivamente a tale decisione (Cass., sez. VI, 13 ottobre 2015, n. 20587). Ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione, è necessario che la parte soccombente si sia trovata nell'impossibilità, non dovuta a suo comportamento negligente, ma dipesa da avvenimento straordinario (circostanza obiettiva, tale da rendere manifestamente impossibile la produzione in giudizio dei documenti ritenuti decisivi), di produrre i documenti in oggetto in tutte le fasi del precedente giudizio di merito, su di essa incombendo l'onere di dare dimostrazione che l'ignoranza dell'esistenza degli stessi o del luogo ove essi si trovavano fino al momento dell'assegnazione della causa a sentenza non sia dipesa da sua colpa o negligenza, ma da fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore. A pena di inammissibilità, l'impugnazione deve essere proposta entro il termine per l'impugnazione stabilito dall'art. 326 c.p.c. (trenta giorni). Tale termine decorre dal giorno della scoperta dei documenti assunti come decisivi. L'onere della prova dell'osservanza del termine, e quindi della tempestività e dell'ammissibilità dell'impugnazione, incombe sulla parte impugnante, la quale deve indicare in citazione, a pena d'inammissibilità della revocazione, le prove di tali circostanze, nonché del giorno della scoperta o del ritrovamento del documento (Cass., sez. II, 11 maggio 2016, n. 9652; Cass., sez. L, 20 ottobre 2014, n. 22159). In particolare, la parte deve indicare sia le ragioni che hanno impedito all'istante di produrre i documenti rinvenuti in ritardo sia quelle relative alla decisività dei documenti stessi, incombendo sulla parte che si sia trovata nell'impossibilità di produrre i documenti asseritamente decisivi nel giudizio di merito, l'onere di provare che l'ignoranza dell'esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava non sia dipesa da suo comportamento negligente. 6) Con riguardo al caso sottoposto all'esame della S.C., quale che possa essere l'opinione da accogliere, se sia stata o meno proposta domanda di revocazione, ogni problema dovrebbe ritenersi «pregiudizialmente» risolto sul rilievo che nessuna doglianza risulta essere stata esposta dall'interessato in ordine all'eventualmente erronea qualificazione della domanda, non constando che sia stata denunciata nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 112 c.p.c., né in sede di gravame di merito né in sede di legittimità, con la conseguente formazione del giudicato sul punto (Cass., sez. II, 1 agosto 2013, n. 18427). |