Pregiudizialità e sospensione necessaria del processo

Francesco Bartolini
19 Luglio 2017

In tema di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., se nel giudizio pregiudicato si pone una questione pregiudiziale di rito idonea alla sua definizione, il giudice di tale giudizio non può adottare il provvedimento di sospensione senza avere prima esaminato e deciso tale questione.
Massima

In tema di sospensione del giudizio per pregiudizialità ex art. 295 c.p.c., se nel giudizio pregiudicato si pone una questione pregiudiziale di rito idonea alla sua definizione, il giudice di tale giudizio non può adottare il provvedimento di sospensione senza avere prima esaminato e deciso tale questione, poiché la sua eventuale fondatezza rende irrilevante il vincolo di pregiudizialità, né rileva, in contrario, la possibilità, prevista dall'art. 187, comma 3, c.p.c., di definirla unitamente al merito, atteso che il principio della cd. ragionevole durata del processo preclude che possa esercitarsi tale potere e nel contempo farsi luogo alla sospensione per la pregiudizialità dell'altro procedimento.

Il caso

Con l'appello avverso la sentenza pronunciata in un giudizio di opposizione ex art. 619 c.p.c., la convenuta eccepì di non avere ricevuto la notifica dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado e propose querela di falso in via incidentale in relazione sia all'avviso di ricevimento della comunicazione informativa di cui all'art. 140 c.p.c. che alla distinta di recapito per il portalettere. La controparte si costituì nel processo ed eccepì, a sua volta, preliminarmente l'improcedibilità dell'appello per la mancata costituzione dell'appellante entro il termine (abbreviato) di cinque giorni dalla notifica dell'atto introduttivo.

La Corte di appello respinse l'istanza di sospensione di cui all'art. 355 (per la proposizione del giudizio sulla querela di falso), sull'assunto secondo cui doveva escludersi «la potenziale attitudine dell'atto impugnato ad incidere sulla pronuncia nel merito delle censure mosse alle statuizioni del giudice di prime cure». Ma dispose, poi, la sospensione del giudizio di appello, ex art. 295 c.p.c., quando l'appellante documentò di avere proposto querela di falso in via principale avverso l'avviso di ricevimento della raccomandata di cui all'art. 140 c.p.c., in relazione alla citazione a comparire in primo grado. In proposito la Corte affermò che sussisteva il presupposto della pregiudizialità «atteso che l'eventuale accertata inesistenza della notificazione del giudizio introduttivo di primo grado per falsità della firma relativa all'avviso di ricevimento della raccomandata ex art. 140 c.p.c. sarebbe destinata a produrre effetto nel giudizio in esame con conseguente operatività dell'art. 354 c.p.c.».

L'ordinanza di sospensione è stata impugnata ai sensi dell'art. 42 c.p.c. (con regolamento di competenza). La convenuta in appello ha dedotto in proposito un avvenuto error in procedendo, per violazione degli artt. 295 e 276, comma 2, c.p.c., con riferimento all'art. 360, primo comma, n. 4; nonché l'insussistenza dei presupposti per la concessione della sospensione necessaria, per carenza della pregiudizialità giuridica, e la violazione del prevalente principio costituzionale della ragionevole durata del processo.

La Corte di cassazione si è pronunciata con motivazione semplificata.

La questione

La ricorrente ha lamentato «il sovvertimento da parte della Corte territoriale dell'ordine logico e giuridico della trattazione delle questioni devolute, non avendo pronunciato sulla dedotta improcedibilità, invece idonea, ove accolta, a definire in rito il giudizio di gravame e così a rendere irrilevante e comunque a sopprimere ogni effetto eventualmente pregiudicante del giudizio di falso civile, appena in fase embrionale». Con il gravame si osserva che la Corte di merito ha condotto il suo esame su una questione cautelare la cui trattazione era per contro necessariamente subordinata alla risoluzione della questione di procedibilità dell'appello.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha applicato il principio espresso nella pronuncia Cass. n. 7410/2007, al quale ha inteso adeguarsi. La decisione richiamata aveva affermato che «in tema di sospensione del giudizio per pregiudizialità ai sensi dell'art. 295 c.p.c., allorquando il giudizio pregiudicato presenti una questione pregiudiziale di rito idonea alla sua definizione, il giudice di tale giudizio non può adottare il provvedimento di sospensione senza avere prima esaminato e deciso tale questione, poiché l'eventuale fondatezza di essa rende irrilevante il vincolo di pregiudizialità, impedendo che la questione oggetto del giudizio pregiudicante possa essere decisa». Al riguardo, si è escluso che possa rilevare – in senso contrario – l'esercizio del potere, previsto dal terzo comma dell'art. 187 c.p.c., conferito al giudice di disporre la decisione della questione pregiudiziale di rito unitamente al merito, «atteso che il principio della c.d. ragionevole durata del processo preclude che possa esercitarsi tale potere e nel contempo farsi luogo alla sospensione per la pregiudizialità dell'altro procedimento».

Conseguentemente, la Corte ha disposto la prosecuzione del giudizio (senza un espresso provvedimento di revoca o di annullamento dell'ordinanza impugnata); ed ha rimesso all'esito del processo il regolamento delle spese di lite.

Osservazioni

L'ordinanza che si annota contiene due proposizioni (trascritte dalla pronuncia del 2007). L'una riguarda la precedenza che deve darsi all'esame della questione in rito, idonea a definire il giudizio, pur quando sussistano ragioni di sospensione necessaria del giudizio per la pregiudizialità giuridica determinata dall'esistenza di un altro processo, tra le stesse parti, dalla cui definizione dipende la decisione di quello trattato. L'altra concerne l'applicazione dell'art. 187, terzo comma, che conferisce al giudice il potere discrezionale di rimettere al collegio per la decisione (o, se è giudice che decide in composizione monocratica, di decidere direttamente) le questioni pregiudiziali oppure di rimandarle alla decisione unita al merito. La seconda proposizione è la più significativa ed attira maggiormente l'interesse dell'interprete.

L'art. 187 lascia libero il giudice istruttore di valutare se deferire al collegio la separata decisione di una questione preliminare o pregiudiziale oppure se mantenere l'unità della materia su cui deliberare. La disposizione vale anche per il caso in cui il giudice istruttore sia lo stesso giudice che deve poi pronunciare la decisione, nella sua veste di organo monocratico. Il principio che viene ravvisato in questa disposizione è enunciato chiaramente da Cass. 9742/2005: l'eccezione in rito (nella specie, di incompetenza) «…non comporta per il giudice l'obbligo di promuoverne la decisione separata ed immediata, ai sensi degli artt. 187, secondo e terzo comma, 189 e 281 quater c.p.c., potendo egli differirne la decisione ad un momento successivo o addirittura – specie se ritenga infondata prima facie l'eccezione – all'esito dell'istruzione, disponendo la definizione congiunta della questione e del merito…».

Nella sua applicazione pratica, la norma citata ha evidenziato due aspetti che nella situazione concreta possono servire da guida per l'esercizio del potere discrezionale di scelta alternativa rimesso al giudice. L'eccezione che pone la questione preliminare o pregiudiziale può rivelarsi infondata a prima vista e, come cosa che non ha influenza, essere trascurata sino alla conclusione dell'istruzione probatoria. O, al contrario, essa può porsi con tutta la forza della sua apparente fondatezza e imporre di seguire la strada della decisione anticipata e risolutiva. In questo ambito tradizionale si inserisce attualmente il principio costituzionale ricordato dall'ordinanza della Corte suprema che si annota: occorre tener conto dell'esigenza di salvaguardare la ragionevole durata del processo. Se esiste un modo per non prolungarne il corso e giungere subito ad una pronuncia conclusiva del giudizio, il giudice non ha, in realtà, una vera e propria scelta. Il contenimento dei tempi processuali costituisce un bene di rilevanza preponderante, tale da indurre il giudice a interpretare il disposto di cui al terzo comma dell'art. 187 (e secondo comma, per le questioni preliminari) in un modo che considera un valore l'anticipazione della decisione.

Il disposto dell'art. 187 c.p.c. deve dunque essere letto con le limitazioni che conseguono al giusto processo ed alla regola della ragionevole durata del processo. E' compito del giudice assicurare sia il giusto processo che il contenimento in termini accettabili della durata del giudizio. L'obbligo che ne deriva condiziona le scelte discrezionali e le libertà di valutazione attribuite dalle singole norme di diritto ordinario. Se inteso in senso rigoroso, l'inosservanza di questo obbligo può determinare conseguenze risarcitorie e punitive sotto il profilo dell'equo compenso per l'eccessiva durata dei giudizi e delle responsabilità disciplinari. Spetta, allora, al giudice, un compito in parte diverso da quello che gli era demandato in origine.

Non possono essere rimandate al proseguo le questioni la cui soluzione appare idonea a comportare la definizione del giudizio. Il protrarsi delle attività processuali sarebbe contrario al principio costituzionale della loro ragionevole durata. Tocca al giudice sceverare dalle questioni proposte quelle che, portate in decisione, risolverebbero il processo da quelle che, se portate a decisione separata, non farebbero che prolungare i tempi del processo perché manifestamente infondate o non risolutive. E si pone, quindi, al giudice il delicato compito di apprezzare quando sia il caso di dirigere il giudizio verso una decisione parziale, ma dirimente, in ossequio ad un principio di ordine vincolante; e quando, invece, trattenere la materia del decidere, ai sensi dell'art. 187, sino all'esaurimento delle fasi di trattazione e di istruzione, senza, con ciò, rendersi inosservante di una regola di applicazione doverosa.

Una fattispecie che può dirsi esemplare delle conseguenze che si traggono dalla pronuncia in esame è proprio quella che di tale pronuncia costituiva l'oggetto.

Nella vicenda cui si riferisce l'ordinanza della Corte di cassazione, si presentavano alla cognizione del giudice di merito due situazioni da risolvere. L'appellante aveva proposto una autonoma causa per querela di falso ed essa aveva carattere logicamente rilevante per il processo in corso, in quanto riguardava la notifica dell'atto di citazione al convenuto a comparire, in primo grado, in tale processo pendente. Si poneva, in proposito, una questione di pregiudizialità necessaria, ex art. 295 c.p.c.. Inoltre, parte convenuta in appello aveva eccepito l'improcedibilità del gravame per la ritardata costituzione in giudizio dell'appellante: e si poneva, pertanto, una questione in rito suscettibile di concludere il giudizio di impugnazione, se riconosciuta fondata. La Corte territoriale ha sospeso il processo, applicando l'art. 295; e ha dimenticato di valutare l'eventuale prevalenza da assegnare alla definizione della questione di improcedibilità del gravame.

Ad entrambe le questioni era comune il carattere pregiudiziale: quella per dipendenza della decisione della causa dalla definizione della querela di falso derivava il suo connotato di priorità logico-giuridica dal contenuto stesso della possibile decisione, idonea a porre nel nulla, radicalmente e sin dall'inizio, il processo pregiudicato. Del resto, un riconoscimento della pregiudizialità nel senso richiesto, in linea generale, dall'art. 295 per legittimare la sospensione del processo, lo si desume dal testo dell'art. 355 c.p.c. che, se la proposizione della querela è effettuata in appello, prevede espressamente la sospensione nell'attesa della pronuncia del tribunale. Per l'altra questione, la pregiudizialità era in re ipsa. Il giudizio di appello era stato iniziato, si affermava, con un vizio di origine che ne poneva in dubbio la procedibilità. Si trattava, in proposito, di accertare il fondamento dell'eccezione che allegava il fatto cagionante l'asserita improcedibilità (la tardiva costituzione in giudizio dell'appellante: una verifica di date).

La Corte di appello avrebbe dovuto porsi il problema della scelta tra le due questioni. A quale di esse dare la precedenza? Preferire quella dell'attesa della definizione dell'altro giudizio, che avrebbe potuto dichiarare inesistente la notificazione al convenuto della citazione in primo grado, con le ricadute di inesistenza di tutti gli atti compiuti, conseguenti a questa affermazione? Oppure invitare le parti a concludere sull'eccezione di improcedibilità dell'appello, dalla cui dichiarazione sarebbe derivato il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado? La scelta era gravida di effetti, come può constatarsi; e poteva mutare completamente le sorti del processo per le parti. In realtà, la scelta non era tale, in quanto la risposta ai quesiti era vincolata.

Veniva per prima, in ordine logico, la questione di ritualità dell'impugnazione, la cui decisione era sufficiente, da sola, a definire il giudizio. Non avrebbe potuto adottarsi un qualche provvedimento, quale quello di sospensione, se non in un giudizio di gravame che fosse risultato ritualmente ed efficacemente aperto e intrapreso. Tralasciare l'esame della questione di procedibilità per l'attesa dell'esito della querela di falso significava portare avanti un processo di appello minato alla base da un possibile, e già denunciato, vizio di improcedibilità: qualunque fosse il risultato della querela di falso. Come ha osservato la Suprema Corte, la non percorribilità dell'appello avrebbe reso irrilevante il vincolo di pregiudizialità.

Può darsi che la Corte territoriale si sia indotta a preferire l'opzione della sospensione del processo per non privare di utilità il giudizio sul falso nel frattempo intrapreso in via principale, avente ad oggetto le formalità di notificazione della citazione in primo grado. Considerazioni sul merito possono avere distolto l'attenzione dal rigore del rito. In ogni caso, ove fosse dichiarata nella vicenda di specie, a processo proseguito, l'improcedibilità dell'appello, il contrasto tra la sentenza del tribunale passata in giudicato e la decisione sulla querela di falso sarà da comporre nei limiti in cui ricorrono i presupposti della revocazione di cui all'art. 395 c.p.c..