Accesso a informazioni riguardanti l'origine dell'adottato
19 Luglio 2016
Inquadramento
Ai sensi dell'art. 28 della l. 4 maggio 1983, n. 184 (in seguito: l. ad.), l'accesso a informazioni che riguardano l'origine e l'identità dei genitori dell'adottato è consentito nei casi seguenti: a) Le informazioni concernenti l'identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la responsabilità genitoriale, su autorizzazione del T.M., a condizione che sussistano «gravi e comprovati motivi». b) Le informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e dell'urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore. c) L'accesso all'informazione su origine e identità dei propri genitori biologici è consentito all'adottato che abbia raggiunto l'età di 25 anni. In via di eccezione, l'accesso a tali informazioni è consentito all'adottato che abbia raggiunto la maggiore età qualora sussistano gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica e in ogni caso qualora i genitori adottivi siano deceduti o siano divenuti irreperibili. Ai sensi del comma 7 dell'art. 28 della l. 4 maggio 1983, n. 184, l'accesso alle informazioni non è (più esattamente: non era), invece, consentito nei confronti della madre che avesse dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell'art. 30, comma 1, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Ordinamento dello stato civile). Dando puntuale seguito alle pronunce della Corte EDU intervenute in argomento [tutte affermative del diritto della persona (definito come «un intérêt primordial») a conoscere le proprie origini – si vedano Grande Camera, 7 luglio 1989, n. 10454 – caso Gaskin c. Regno Unito; Sez. II, 25 settembre 2012, n. 33783 - caso Godelli c. Italia), con sentenza n. 278 del 18 novembre 2013, la Corte costituzionaleha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, comma 7, l. ad. in parte qua - v. il successivo paragrafo].
Le questioni giuridiche
Con la sentenza citata nel precedente paragrafo, la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 28, comma 7, l. ad., «nella parte in cui non prevede - attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza - la possibilità per il giudice di interpellare la madre - che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell'art. 30, comma 1, d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 - sulla richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione», statuendo che «sarà compito del legislatore introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all'anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo», agli effetti della pertinente verifica.
Subito dopo la pronuncia della Consulta sono state presentate varie proposte di legge, il cui testo unificato (C. 1983) è stato approvato dall'Assemblea della Camera dei Deputati il 18 giugno 2015 e subito trasmesso al Senato, ed ivi, assegnato (con l'identificativo S. 1978) alla competente Commissione, giace («non ancora iniziato l'esame») dal 3 luglio 2015. Sollecitudine si è manifestata, pertanto, soltanto nella prima ora. È sorto animato confronto tra i giudici minorili sul se e, in caso affermativo, sul che cosa fare quando un figlio chieda, in questa fase di attesa della disciplina positiva, di accedere ad informazioni sull'identità della madre. Da un lato, si sostiene che, giusta il chiaro disposto dell'arresto della Consulta (riportato sub i), occorre attendere che il legislatore introduca «apposite disposizioni». Da un altro lato, si opta per la tesi dell'immediata operatività dei disposti della sentenza della Consulta osservando, in primo luogo, che è stata positivamente riconosciuta l'esistenza nel nostro ordinamento del fondamentale «diritto del figlio a conoscere le proprie origini e ad accedere alla propria storia parentale»;che sono le modalità di esercizio di tale diritto a richiedere «un procedimento, stabilito dalla legge»; che, ove il silenzio del legislatore dovesse prolungarsi ingiustificatamente, non potrebbe negarsi che nell'ordinamento sia già rinvenibile tutto il necessario per evitare pronunce di reiezione (fondate su una pretesa lacuna legislativa) delle istanze degli interessati; che i giudici «devono riempire il vuoto legislativo» e, per farlo, hanno a disposizione una procedura già normata, quella di cui all'art. 28, comma 6, l. n. 184/1983, opportunamente adattata, nonché le «risorse» occorrenti, essendo in grado di dare corpo ad una ricerca rispettosa di tutte le posizioni coinvolte (madre di nascita, famiglia adottiva e figlio adottato).
Ad oggi, stando a ciò che consta da pronunce edite e pronunce diffuse nella mailinglist dell'AIMMF, le Corti di Appello – sez. minorenni di Milano e di Bologna, rispettivamente con decreto del 5 febbraio 2015 e con decreto del 15 ottobre 2015, e il T.M. di Catania con decreto del 26 marzo 2015 (in Minorigiustizia 2015, 3, 221) hanno respinto il ricorso del figlio proprio in considerazione del mancato avvento della disciplina positiva. Viceversa, La Corte di Appello – sez. minorenni di Catania e il T.M. di Trieste sono andati di contrario avviso con decisioni rispettivamente prese il 5 dicembre 2014 (in Foro it. 2015, 2, 697) e l'8 maggio 2015 (in Minorigiustizia 2013, 3, 223), in quest'ultimo caso ammettendo la Sig.ra Anita Godelli (la medesima che aveva proposto ricorso, ottenendo ragione, innanzi alla Corte EDU - § 1, punto ii) ad accedere alle informazioni relative all'identità della propria madre biologica. Non constano pronunce più recenti. Conclusioni
Nel nuovo testo dell'art. 28, l. ad. approvato dalla Camera dei Deputati, è disposto, in estrema sintesi, ciò che segue: a) L'adottato o il figlio non riconosciuto da una donna che abbia manifestato la volontà di non volere essere nominata ex art. 30, comma 1, d.P.R. n. 396 del 2000, raggiunta la maggiore età, può chiedere di avere accesso a informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei propri genitori biologici. L'istanza deve essere presentata al T.M. del luogo di residenza (comma 5). b) L'accesso alle informazioni è consentito nei confronti della madre che, avendo dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, abbia successivamente revocato tale dichiarazione (mediante dichiarazione autenticata dall'ufficiale di stato civile, con le indicazioni che consentano di risalire al luogo e alla data del parto nonché all'identità della persona nata; con obbligo per il ricevente di trasmettere senza ritardo la dichiarazione di revoca al T.M. del luogo di nascita), ovvero sia deceduta (comma 7). c) In caso di mancata revoca della suddetta dichiarazione ad iniziativa della madre, i soggetti legittimati ad accedere alle informazioni possono proporre (per una sola volta) istanza di accesso. Il T.M. del luogo di residenza del figlio, con modalità che assicurino la massima riservatezza, «avvalendosi preferibilmente del personale dei servizi sociali», contatta la madre per verificare se intenda mantenere l'anonimato. Onde assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della madre, il T.M. deve tenere conto, in particolare, dell'età e dello stato di salute psico-fisica della medesima, nonché delle sue condizioni familiari, sociali e ambientali. Ove la madre confermi di voler mantenere l'anonimato, il T.M., su specifica istanza dei legittimati, autorizza l'accesso alle sole informazioni di carattere sanitario, riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all'eventuale presenza di malattie ereditarie trasmissibili. Chiunque partecipi al procedimento è tenuto al segreto sulle informazioni raccolte nei relativi ambiti. (commi 7-bis e 7-ter) Da quanto sopra si estrae che il T.M., allo stato del testo normativo, non ha margini di discrezionalità: ricevuta l'istanza del soggetto legittimato a proporla, deve, previa identificazione ed individuazione, «contattare» la madre, a tal fine avvalendosi «preferibilmente» dei Servizi sociali, con possibilità, pertanto, di fruire all'uopo di altri operatori. Nonostante la non felicissima dizione della norma, è da ritenere che il «contatto» fra T.M. e madre debba (necessariamente) essere diretto. La vicenda si dovrà svolgere in due fasi, la prima dedicata all'individuazione della persona ed alla verifica della situazione in cui la medesima si trova (le relative incombenze potranno essere demandate ai Servizi sociali o ad altri operatori), la seconda dedicata al «contatto» (da cui parrebbe – giusta l'uso del «presente imperativo» - che non ci si possa esonerare) T.M./madre in senso proprio. Nella prima fase, le difficoltà saranno quelle che si incontrano in qualsiasi indagine. È a chiunque evidente che difficoltà di spessore assai maggiore verranno (o potranno venire) a manifestarsi nella seconda fase, ma qualunque T.M. è sicuramente provvisto delle risorse occorrenti per farvi fronte. La soluzione finale, che dipenderà dall'esito del «contatto», sarà, per gli aspetti di natura istituzionale, il momento più agevole.
Nell'attesa dell'avvento della disciplina positiva, utili indicazioni sul se e sul che cosa fare potranno essere tratte dalla pronuncia che le Sezioni Unite della Suprema Corte provvederanno in tempi certamente brevi ad emanare a seguito del ricorso proposto, ex art. 363 c.p.c., dal P.G. presso la stessa Corte onde ottenere, nell'interesse della legge, l'enunciazione di un principio di diritto sui seguenti oggetti: «sentenza C. cost. n. 278 del 2013– effetti della declaratoria di incostituzionalità – necessità di attesa dell'intervento integrativo del legislatore – regolamentazione delle modalità a mezzo della giurisprudenza per l'ipotesi di inerzia del legislatore». Ed ancor prima si potrebbe fruire al bisogno di autorevole parere redatto da Presidente Emerito della Consulta a richiesta della presidenza del T.M. toscano, diffuso sulla mailinglist dell'AIMMF. Ci si limita a riportarne i punti più salienti: a) La sentenza della Consulta n. 278 del 2013 è di tipo «additivo», con l'effetto che dalla dichiarazione di incostituzionalità la norma (art. 28, comma 7, l. ad.) «vive nell'ordinamento - e dunque deve essere applicata - come integrata dalla "addizione" operata dalla Corte». b) Più propriamente, la sentenza è qualificabile come «additiva di principio», vale a dire come una sentenza «che introduce in via di addizione un principio (opposto a quello che si ricavava dalla norma preesistente, dichiarata incostituzionale), lasciandone relativamente indeterminate le modalità procedimentali di attuazione, rimesse al legislatore e, fino a quando questi non intervenga, al giudice». c) «La dichiarazione di illegittimità costituzionale di una omissione legislativa - com'è quella ravvisata nell'ipotesi di mancata previsione, da parte della norma di legge regolatrice di un diritto costituzionalmente garantito, di un meccanismo idoneo ad assicurare l'effettività di questo - mentre lascia al legislatore, riconoscendone l'innegabile competenza, di introdurre e di disciplinare anche retroattivamente tale meccanismo in via di normazione astratta, somministra essa stessa un principio cui il giudice comune è abilitato a fare riferimento per porre frattanto rimedio all'omissione in via di individuazione della regola del caso concreto … Ciò significa che, anche prima che il legislatore intervenga a colmare la lacuna in conformità al principio affermato dalla Corte, spetta al giudice il potere e l'obbligo di decidere il caso a lui sottoposto in conformità allo stesso principio, traendo dal sistema le regole più idonee». Né potrebbe obiettarsi che «in tal modo il procedimento seguito non sarebbe "stabilito dalla legge", come richiesto dalla Corte. Infatti la legge, così come integrata dalla "addizione" apportata dalla pronuncia costituzionale, regola già, in via di principio, il procedimento, stabilendone i requisiti essenziali: e cioè stabilendo che esso deve essere conforme ai precisi requisiti indicati dalla Corte».
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