Anche nella vendita forzata mobiliare l’incanto diviene residuale

13 Luglio 2016

L'art. 4, comma 1, lettera b), d.l. 3 maggio 2016 n. 59, conv., con modif., in l. 30 giugno 2016, n. 119, ha modificato l'art. 503 c.p.c., che stabilisce i modi della vendita forzata, la quale può essere eseguita con o senza incanto. Dando seguito ad un precedente intervento normativo, che aveva limitato l'esperimento dell'incanto al caso che il giudice ritenga probabile la realizzazione di un prezzo superiore della metà rispetto al valore di stima, l'ultima riforma ha esteso tale congegno anche alla vendita mobiliare.
L'esecuzione forzata e le forme della vendita

Colui che ha visto riconosciuto (a volte dopo un lungo e faticoso iter giudiziario) il proprio diritto deve quasi sempre — per ottenere in concreto il soddisfacimento di quanto gli spetta — continuare a frequentare le aule di giustizia iniziando un nuovo procedimento perché il suo diritto si realizzi concretamente (sono rari i casi nei quali il “condannato” esegue spontaneamente la propria condanna).

Si tratta dei portare a compimento il comando del giudice: operativamente occorre una serie di atti procedimentali, nel corso dei quali possono verificarsi iniziative e atteggiamenti finalizzati a ritardare la conclusione della vicenda come pure la constatazione che in realtà il patrimonio dello “sconfitto” non ha alcun valore o, comunque, non è appetibile, con la conseguenza che il procedimento si snoda in una serie di tappe » del tutto inutili che appesantiscono il lavoro degli uffici giudiziari e non soddisfano il (pur riconosciuto) diritto del creditore.

L'ordinamento cerca di continuo strumenti per adattare il procedimento esecutivo a nuove esigenze - prima fra tutte quella dell'effettività della resa di giustizia - rendendo maggiormente agile tradizionali meccanismi ed eliminando talune pause rituali.

Nell'originario disegno del codice di rito, quando il procedimento esecutivo si avviava verso la conclusione, era centrale la vendita (dei beni del debitore pignorati) con incanto. Si tratta di un'asta pubblica alla quale, in una sala aperta al pubblico, partecipano coloro che si sono “prenotati” (depositando una cauzione) e in esito alla quale – dopo una eventuale gara (attraverso continui rilanci rispetto al prezzo-base indicato dal giudice nell'ordinanza di vendita) — il bene è assegnato provvisoriamente a colui che ha fatto l'ultima (e più alta) offerta. Resta tuttavia la possibilità per chiunque (anche non partecipante all'asta) di presentare (entro dieci giorni) una nuova offerta aumentata di un sesto rispetto, nel qual caso si svolge una nuova gara (ovviamente in una nuova udienza) tra il nuovo offerente, l'assegnatario provvisorio e tutti coloro che aveva partecipato alla precedente gara.

La preferenza per la vendita senza incanto

Nella tendenza acceleratrice e semplificatrice alla quale si è fatto cenno, gli ultimi interventi mostrano di prediligere la meno “burocratica” vendita effettuata senza incanto, e hanno inserito all'art. 503 c.p.c. un secondo comma in forza del quale «l'incanto può essere disposto solo quando il giudice ritiene probabile che la vendita con tale modalità abbia luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene, determinato a norma dell'articolo 568» (art. 19, lett. d-bis), l. n. 132 del 2014 conv. in l. n. 162 del 2014).

Il richiamo all'art. 568 c.p.c. veniva letto – almeno da una parte dell'interpretazione teorica e pratica – come limitazione alla espropriazione immobiliare della «preferenza» per tale metodo di vendita. Reputando, comunque, opportuno fare applicazione del medesimo principio anche alla espropriazione mobiliare, un ultimissimo intervento lo stabilisce normativamente (art. 4, n. 1, lett. b), d.l. n. 59 del 2016, conv., con mod., in l. 30 giugno 2016 n. 119) aggiungendo al sopra riportato art. 503, comma 2, le parole «nonché, nel caso di beni mobili, degli articoli 518 e 540-bis»).

L'apporto dell'ultima novella

La “novità”, tuttavia, appare dettata da esigenza di simmetria rituale piuttosto che da concrete esigenze operative in quanto la gestione di tale momento esecutivo risulta già affidata al giudice dell'esecuzione il quale può disporre (senza obbligo di motivare tale scelta) la vendita senza incanto affidandone il compito all'I.V.G. (in qualità di commissionario) oppure (anche se in tale evenienza deve motivare il provvedimento) ad altro soggetto specializzato.

La «novità» in discorso, invece, appare limitare la scelta del giudice dell'esecuzione il quale deve ricorrere all'incanto solo di fronte alla «probabilità» di spuntare, con tale sistema di vendita, un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene determinato «approssimativamente e presumibilmente» dall'ufficiale giudiziario (art. 518, comma 1, c.p.c.).

Va tuttavia osservato che anche il legislatore del 2016 è rimasto decisamente ancorato a criteri che presentano, per alcuni versi, una certa obsolescenza. Per taluni dei beni mobili il “valore” è esclusivamente quello che si riesce a realizzare in concreto: si pensi ad oggetti di ultima generazione (telefonini, macchine fotografiche, computer, capi di moda, ecc.) l'interesse verso i quali crolla il giorno successivo all'entrata in campo di una nuovissima generazione e la platea di possibili acquirenti, già molto ridotta, scompare se vi è un prezzo base determinato a suo tempo. Da ciò le tante vendite che vanno deserte.

Quante vendite? e a quale prezzo?

Il codice di rito, nel prendere in considerazione tale evenienza e immaginando che, alla fine, dopo un innumerevole numero di tentativi, qualcosa poteva venirne fuori, disponeva che il giudice dell'esecuzione dovesse fissare almeno tre (e, quindi, tendenzialmente anche un numero superiore) esperimenti di vendita: il tutto articolando le vendite nello spazio temporale non inferiore a sei mesi e non superiore a un anno, alla scadenza del quale gli atti dal soggetto incaricato della vendita erano restituiti alla cancelleria. In mancanza di nuove iniziative del creditore dirette a una integrazione del pignoramento (art. 540-bis c.p.c.). il giudice – dice la norma — «dispone la chiusura anticipata del processo esecutivo», a prescindere dall'astratta possibilità di spuntare qualcosa, cioè senza obbligo di considerare il rapporto costi-benefici che in via generale, è invece preteso dall'art. 164-bis disp. att. c.p.c.).-

Per “togliersi dai piedi” un procedimento rivelatosi sostanzialmente inutile, la normativa in discorso accelera i tempi e – intervenendo sul secondo comma dell'art. 532 c.p.c. (art. 4, n. 1, lett. c), d.l. n. 59 del 2016) –- riduce a due il numero minimo degli esperimenti di vendita (parlando di «numero complessivo» il giudice non può, quindi, fissarne uno solo) e ne indica, invece, il limite massimo (non più di tre). La norma riduce poi il termine (da un anno a sei mesi) entro il quale gli atti devono essere restituiti alla cancelleria

Come curiosità sistematica si può osservare che la norma in ultimo richiamata sostituisce anche la seconda proposizione del secondo comma dell'art. 532 c.p.c. riproponendola però negli identici termini dell'originario testo.

In conclusione

L'intervento normativo costituisce certamente un “pannicello caldo” ma non coglie certi atteggiamenti che oggi caratterizzano le vendite della oggettistica meno preziosa. Si vuol dire che i meccanismi attuali del processo esecutivo del quale si discorre necessitano di una agilità e rispondenza al mercato che si incentra, quando si tratta di beni mobili che non hanno una loro «specifica personalità»:

a) nella valorizzazione di un sistema che non abbia necessità di alcuna preventiva operazione formale;

b) nel preferire commissionari che siano in grado di gestire una continua asta telematica alla quale chiunque può partecipare – in qualunque momento – operando online;

c) nel determinare il prezzo-base solo eccezionalmente (se il giudice non reputi, in questa evenienza, di preferire la vendita senza coinvolgere il commissionario) lasciando libera la prima offerta. È, insomma, anacronistico il disposto dell'art. 532 c.p.c. che pretende la fissazione da parte del giudice del «prezzo minimo della vendita»;

d) nell'evitare le vendite in blocco di oggetti che singolarmente possono avere un mercato: da es., si riscontra a volte che un blocco di 1000 CD al prezzo – base di 5000 euro, difficilmente può essere appetibile (anche per un commerciante di tale genere) mentre venduti singolarmente (a 5 euro ciascuno) trovano un certo numero di persone interessate al singolo CD e comportano un qualche introito.

Sono considerazioni facilmente riscontrabili cliccando, ad es., sul sito dell'IVG. In altri siti, che operano con modalità differenti (ad es., ebay), è possibile per l'interessato cliccare sulla categoria di un oggetto che sta cercando (macchine fotografiche), individuare quella che lo interessa, constare la data e l'ora stabilita per la chiusura dei rilanci e fare, se reputa l'affare conveniente, l'ultima offerta.

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