FestivitàFonte: L. 27 maggio 1949 n. 260
07 Marzo 2024
Inquadramento Il lavoratore ha diritto di astenersi dalla prestazione di lavoro durante i giorni festivi individuati dalla legge e dai contratti collettivi, mentre in relazione alle giornate originariamente qualificate dalla legge come festive e successivamente abolite (c.d. ex festività), la contrattazione collettiva ha generalmente previsto una forma di compensazione a favore dei lavoratori mediante il riconoscimento di riposi compensativi pari a n. 32 ore annue. In materia di festività, se è pacifico che il datore di lavoro non possa unilateralmente e arbitrariamente imporre la prestazione di lavoro al dipendente durante i giorni festivi, è, invece, oggetto di discussione se la contrattazione collettiva possa introdurre specifiche eccezioni al diritto del lavoratore di astenersi dalla prestazione lavorativa nei giorni festivi, qualora ricorrano esigenze di servizio. In ogni caso, la legge prevede una specifica e puntuale disciplina del trattamento economico dei giorni festivi, distinguendo il trattamento economico previsto per i lavoratori retribuiti in maniera fissa da quello stabilito per i dipendenti retribuiti a ore. Disciplina legislativa e natura giuridica Sono festività civili e religiose, ai sensi dell'articolo 2, L. 27 maggio 1949, n. 260, come modificato e integrato dalla L. 5 marzo 1977, n. 54 e dal DPR 28 dicembre 1985, n. 792, nonché ai sensi dell'art. 1, L. 20 novembre 2000, n. 336:
I contratti collettivi possono integrare ed ampliare il precedente elenco delle festività civili e religiose. A questo proposito, nell'elencazione dei giorni festivi è – generalmente – ricompreso il giorno di calendario dedicato alla festività del Santo Patrono del luogo ove si trova la sede di lavoro o lo stabilimento. In altri casi, i contratti collettivi prevedono che siano considerati festivi, in alternativa alle domeniche, i giorni di riposo compensativo di cui godono i lavoratori qualora il contratto collettivo preveda la possibilità da parte del datore di lavoro di richiedere la prestazione lavorativa anche nella giornata di domenica. Ai sensi dell'art. 9, D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, infatti, il lavoratore ha diritto ad un riposo settimanale di almeno 24 ore, di regola in coincidenza con la domenica. La stessa disposizione normativa prevede, tuttavia, la possibilità di far fruire il riposo settimanale in altro giorno della settimana diverso dalla domenica. Sulla base di tale disposizione normativa, dunque, si giustificano le previsioni di diversi contratti collettivi che inseriscono nel novero dei giorni festivi anche i giorni della settimana previsti come riposo compensativo in sostituzione della domenica.
Nei giorni festivi il lavoratore ha diritto di astenersi dalla prestazione lavorativa. La qualificazione come “diritto” della possibilità del lavoratore di astenersi dalla prestazione lavorativa durante i giorni festivi è ricavabile, a parere della consolidata giurisprudenza di legittimità, dal tenore letterale dell'articolo 2, l. n. 260/1949 e, in particolare, dall'espressione “Sono considerati giorni festivi, agli effetti della osservanza del completo orario festivo […]”. Osserva la giurisprudenza di legittimità, a questo proposito, che l'utilizzo da parte del legislatore della citata espressione non può che dimostrare la volontà di attribuire al lavoratore uno specifico diritto, ossia, giustappunto, quello di astenersi dal lavoro nelle giornate stabilite dalla legge.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il diritto del dipendente di astenersi dalla prestazione lavorativa nelle giornate festive, in quanto pieno e a carattere generale, può trovare un'eccezione esclusivamente in caso di accordo tra datore di lavoro e lavoratore e non può, invece, venire meno per effetto di una unilaterale ed esclusiva determinazione né del datore di lavoro, né del lavoratore (Cass. sez. lav., 8 agosto 2005, n. 16634; Cass. sez. lav., 23 settembre 1986, n. 5712). Del resto, a tale conclusione è pervenuto anche il Ministero del Lavoro che, con Interpello 10 luglio 2009, n. 60, in merito alla possibilità di richiedere lo svolgimento dell'attività lavorativa nei giorni previsti come festività, ha precisato che “deve escludersi che il suddetto diritto [n.d.r. il diritto di astensione dalla prestazione lavorativa nei giorni previsti come festività] possa essere posto nel nulla unilateralmente dal datore di lavoro, essendo la relativa rinunciabilità rimessa esclusivamente all'accordo tra il datore di lavoro e lavoratore”. Aggiunge il Ministero che l'accordo avente ad oggetto la rinuncia all'astensione dalla prestazione lavorativa nei giorni festivi potrebbe essere raggiunto anche in sede di contrattazione collettiva. Negli stessi termini si è espressa anche una parte della giurisprudenza della Cassazione, la quale ha affermato che il contratto collettivo può introdurre eccezioni al diritto del dipendente di astenersi dalla prestazione lavorativa nei giorni festivi. In particolare, il diritto all'astensione dal lavoro per festività soccombe, se ciò sia previsto dalla disciplina contrattuale collettiva, in ipotesi di sussistenza di comprovate esigenze tecnico-produttive dell'impresa, in presenza delle quali si espande nuovamente l'obbligo del prestatore di lavoro di svolgere l'attività lavorativa.
Quest'ultima conclusione non trova l'avallo di altra parte della giurisprudenza di legittimità, la quale osserva che la clausola del contratto collettivo che impone al lavoratore di prestare la propria attività lavorativa durante i giorni festivi infrasettimanali è nulla, in quanto incide su un diritto non disponibile per le organizzazioni sindacali. Le conclusioni di segno contrario si affidano alla convinzione di poter applicare analogicamente all'istituto delle festività la disciplina della derogabilità del riposo settimanale nella giornata di domenica di cui all'art. 9, D.lgs. 8 aprile 2003, n. 66. Il riferimento alla citata disciplina legislativa non appare, tuttavia, convincente, in quanto bisogna tenere distinta l'ipotesi della prestazione di lavoro domenicale dalladiversa ipotesi della prestazione lavorativa resa in un giorno festivo non coincidente con la domenica. Solo nel primo caso, infatti, il legislatore, attraverso la disciplina dell'art. 9, D.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, ha introdotto la possibilità per i contratti collettivi di derogare al riposo settimanale normalmente coincidente con la domenica e di prevedere la possibilità del riposo compensativo in altro giorno della settimana. Nel caso della disciplina delle festività infrasettimanali, invece, non esiste analoga previsione normativa, né è possibile applicare la medesima disciplina facendo ricorso all'analogia, atteso che non sussistono i requisiti del vuoto normativo e della identità di fattispecie che legittimerebbero il ricorso all'istituto de quo. Ne consegue che la contrattazione collettiva non pare poter introdurre una deroga al diritto di astenersi dalla prestazione lavorativa nei giorni festivi infrasettimanali, facendo riaffiorare l'obbligo in capo al dipendente di rendere la prestazione lavorativa.
Se, dunque, il prestatore di lavoro ha diritto di astenersi dalla prestazione lavorativa nei giorni festivi (in particolari, quelli infrasettimanali) e se, di conseguenza, il datore di lavoro non può imporre unilateralmente l'obbligo di lavorare nei citati giorni, neppure in forza di una previsione del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro, va da sé che l'eventuale rifiuto del lavoratore di svolgere attività lavorativa in occasione delle festività infrasettimanali è legittimo e l'eventuale e conseguente provvedimento disciplinare adottato dal datore di lavoro deve essere annullato (Trib. Rovereto, sez. lav., 8 marzo 2016). L'unica eccezione normativa al diritto di astensione dalla prestazione lavorativa nei giorni festivi è prevista nel caso dei dipendenti delle istituzioni sanitarie pubbliche e private, i quali sono obbligati a prestare attività lavorativa anche in caso di festività, qualora ciò sia richiesto da ragioni di servizio. Sul punto, è chiara la disposizione legislativa di cui all'articolo unico della L. 23 aprile 1952, n. 520, ai sensi della quale “Il personale che per ragioni inerenti all'esercizio deve tuttavia prestare la propria opera nelle suddette giornate, ha diritto ad un corrispondente riposo da godere, compatibilmente con le esigenze di servizio, entro trenta giorni dalla data della festa infrasettimanale non fruita. Nel caso che l'esigenza del servizio non permetta tale riposo, le Amministrazioni sono tenute al pagamento doppio della giornata festiva”. Ex-festività Talune delle festività originariamente previste dall'articolo 2, L. n. 260/1949 sono state successivamente soppresse e, dunque, in occasione di tali giornate, il lavoratore non vanta alcun diritto all'astensione dalla prestazione lavorativa. Le festività abolite sono:
Il giorno 29 giugno, ricorrenza di SS. Pietro e Paolo, sebbene escluso dal novero delle festività civili e religiose nazionali, continua ad essere considerato festivo, per effetto delle previsioni contrattuali collettive, per il Comune di Roma, in quanto giornata di celebrazione della ricorrenza del Santo Patrono. Le giornate di festività abolite continuano ad avere una loro rilevanza per i prestatori di lavoro, atteso che i contratti collettivi prevedono, generalmente, che ai lavoratori venga riconosciuta una forma di compensazione a fronte della mancata fruizione della festività. I contratti collettivi prevedono, in particolare, che le quattro festività abolite vengano compensate attraverso il riconoscimento di permessi individuali di lavoro pari ad un totale di 32 ore annue. In materia di permessi per ex festività, il Ministero del Lavoro ha affermato, con Nota 3 giugno 2011, n. 9044, che questi hanno natura contrattuale al pari dei permessi per riduzione di orario (R.O.L.) e che, pertanto, i requisiti e le modalità di fruizione possono essere liberamente determinati dai contratti collettivi aziendali o da accordi individuali tra datore di lavoro e lavoratore, anche in deroga alle previsioni dei contratti collettivi nazionali. L'individuazione del termine entro il quale fruire dei permessi retribuiti per le festività abolite è di particolare importanza, atteso che, in caso di mancata fruizione dei permessi, questi dovranno essere monetizzati e, dunque, dalla scadenza di tale termine sorgerà anche la relativa obbligazione contributiva.
Diversa è l'ipotesi della ricorrenza della festa dell'Unità nazionale del 4 novembre, atteso che la citata festività, pur non essendo stata abolita, non rientra neppure nell'attuale elenco delle festività civili e religiose in conseguenza delle quali sorge il diritto del dipendente all'astensione dalla prestazione lavorativa. Per disposizione legislativa (art. 1, L. 5 marzo 1977, n. 54) la celebrazione della festa dell'unità nazionale ha luogo la prima domenica di novembre, mentre i contratti collettivi indicano il trattamento economico da riconoscere per il mancato godimento della festività. Taluni contratti collettivi – tra i quali, ad esempio, i CCNL Metalmeccanici e Commercio – prevedono che al dipendente, per il mancato godimento della festività del 4 novembre, debba essere corrisposto il trattamento economico previsto per le festività coincidenti con la domenica. Trattamento economico L'art. 5, L. 27 maggio 1949, n. 260 e gli articoli 2 e 3, L. 31 marzo 1954, n. 90 stabiliscono quale sia il trattamento economico da riconoscere ai dipendente durante i giorni festivi. L'art. 2, L. 31 marzo 1954, n. 90 stabilisce, inoltre, che il trattamento economico per le festività infrasettimanali spetti al lavoratore anche se quest'ultimo risulti assente per:
Il legislatore prevede un diverso trattamento economico dei giorni festivi per i lavoratori retribuiti a ore e per quelli retribuiti in misura fissa:
Ciò che il lavoratore percepisce a titolo di compenso per festività coincidente con la domenica ha pacificamente natura retributiva e, pertanto, tali crediti sono soggetti alla prescrizione quinquennale dei crediti di lavoro (Cass. sez. lav., 22 luglio 2009, n. 17114; Tribunale di Milano 6 maggio 2015). Salvo diversa previsione contrattuale collettiva, non può considerarsi festivo il sabato. Pertanto, nell'ipotesi in cui l'orario di lavoro sia distribuito su cinque giorni alla settimana, la festività che cade nel giorno di sabato non lavorativo non comporta il diritto del prestatore di lavoro al trattamento economico previsto dalla legge in caso di festività coincidente con la domenica. Tale conclusione è avallata dal Ministero del Lavoro, il quale ha evidenziato che, se l'orario di lavoro è distribuito normalmente su 5 giorni alla settimana, il sabato è semplicemente un giorno non lavorativo e non festivo.
L'art. 1, comma 224, L. 23 dicembre 2005, n. 266 stabilisce che la disposizione normativa in materia di retribuzione delle festività civili nazionali ricadenti di domenica (ossia, art. 5, comma 3, L. 260/1949) non trova applicazione ai rapporti di lavoro del pubblico impiego privatizzato dopo la stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, con la sola eccezione dei giudicati già formatisi alla data di entrata in vigore della norma medesima. Sul punto, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale con specifico riferimento alla portata retroattiva della norma per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 6 della Convezione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). La Corte Costituzionale ha evidenziato che la norma de qua si pone in linea con la ratio del legislatore, il quale, con la riforma della privatizzazione del pubblico impiego, ha inteso rimettere alla contrattazione collettiva l'intera definizione del trattamento economico, eliminando progressivamente tutte le voci extra ordinem. In questo senso, l'art. 1, comma 224, L. n. 266/2005, laddove chiarisce che il trattamento retributivo per le festività civili coincidenti con la domenica non spetta ai dipendenti della Pubblica Amministrazione a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, è norma di interpretazione autentica. In quest'ottica, conclude il Giudice delle Leggi, non è irragionevole la retroattività della disposizione normativa, risultando la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 224, L. n. 226/2005 infondata nei termini in cui è stata posta.
Riferimenti Normativi
Prassi
Giurisprudenza Per i recenti orientamenti sul tema, v. Trib. Salerno, 7 marzo 2024, n. 472
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