Le modifiche della domanda ex art. 183 c.p.c. possono riguardare anche causa petendi e petitum
18 Ottobre 2016
Il caso
Nel caso di specie gli attori avevano chiesto l'emissione di una sentenza ex art. 2932 c.c., produttiva dell'effetto traslativo del diritto di proprietà su un terreno, che affermavano essere stato promesso in vendita dal convenuto; in seguito, nella memoria depositata nei primo dei termini accordati dal giudice ai sensi dell'art. 183 c.p.c., avevano modificato la domanda, chiedendo l'emissione di una sentenza dichiarativa dell'avvenuto trasferimento del diritto, sul rilievo che il negozio, sulla base del quale era stata inizialmente richiesta la pronuncia costituiva, dovesse in realtà qualificarsi come definitivo.
La questione
La Corte di Cassazione affronta, dandovi risposta positiva, la questione se sia legittimo il passaggio, effettuato dall'attore con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., dall'originaria domanda costitutiva diretta a conseguire la proprietà di un bene ex art. 2932 c.c. a quella di accertamento dell'avvenuta realizzazione dell'effetto traslativo sulla base del medesimo contratto. Viene così ribaltato il precedente orientamento maggioritario, avallato dalle stesse Sezioni Unite del 1996, che invece riteneva inammissibile una simile trasformazione, trattandosi di domande diverse per petitum e causa petendi. Le Soluzioni giuridiche
Il quesito non è certamente nuovo nella giurisprudenza, essendoci un cospicuo numero di pronunce che, nel corso del tempo, sono state investite della medesima questione; e neanche la soluzione (positiva) oggi data dalle Sezioni Unite con la pronuncia in esame può dirsi nuova, in quanto già in precedenza la Corte di cassazione aveva talvolta ritenuto ammissibile la trasformazione della domanda costitutiva ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento dell'avvenuto trasferimento del diritto (v. da ultimo Cass. civ., 3 settembre 2013, n. 20177; Cass. civ., 30 maggio 2001, n. 7383). Ciò che cambia, rispetto alla pronunce che si erano espresse in senso positivo sulla medesima questione, sono le ragioni giustificative del decisum. In considerazione di tale diversità la pronuncia in esame non si pone quale sigillo di un orientamento precedente, ma costituisce espressione di un orientamento nuovo ed inedito. In primo luogo sulla scia di rilievi fatti dai primi commentatori della sentenza (cfr. Cea, in Foro, it., 2016, fasc. 1, p . 255), occorre rilevare che la sentenza tace su una circostanza che, teoricamente, avrebbe potuto orientare in senso diverso la discussione. Infatti dalla motivazione non si capisce se la trasformazione dell'originaria domanda sia stata nella specie una conseguenza della strategia difensiva del convenuto, ovvero se l'attore si sia risolto diversamente sulla base di una sua propria valutazione non indotta dalle difese altrui. Nel primo caso, stante la chiara previsione dell'art. 183, comma 5, c.p.c., non si sarebbe potuto dubitare della facoltà dell'attore, persuaso che le repliche del convenuto avessero qualche fondamento, di correggere l'impostazione iniziale e si sarebbe posto soltanto il problema della tempestività della trasformazione dell'originaria domanda, essendo noto che la gran parte degli interpreti ritiene che l'attore, il quale intenda proporre nuove domande in replica a quanto fatto dal convenuto nella comparsa di costituzione e risposta, deve farlo a verbale nel corso della prima udienza di trattazione, non essendo consentito farlo nella prima delle memorie depositate ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.c. Se l'attore, “provocato” dalla difesa del convenuto, reagisce tempestivamente, la variazione della linea difensiva, anche se espressa nella proposizione di una domanda con causa petendi e petitum differenti rispetto a quella iniziale, è incondizionatamente ammissibile, a prescindere da qualsiasi indagine volta a indagare la relazione con la domanda iniziale. Simile indagine diviene invece imprescindibile se l'attore non assume l'iniziativa già nell'udienza di trattazione, ma attende per farlo la prima memoria ex art. 183, ponendosi in questo caso, in modo essenziale, il problema della entità della correzione apportata rispetto alla domanda iniziale, nell'alternativa fra correzione configurabile quale domanda nuova (inammissibile perché intempestiva) e correzione configurabile come semplice modifica, ammissibile anche se operata per la prima volta con la memoria. E' chiaro che l'ipotesi appena ventilata, dell'iniziativa intempestiva che si ponga come conseguenza delle difese altrui, è perfettamente sovrapponibile al caso in cui l'attore abbia avanzato la nuova richiesta senza essere a ciò sollecitato dal convenuto. Nell'uno e nell'altro caso il quesito è infatti sempre il medesimo: si è in presenza di una domanda nuova o di una mera modifica della medesima domanda? Mutatio o emendatio libelli secondo i consueti schemi che fino all'avvento della pronuncia in esame hanno condizionato la discussione?
Osservazioni
Con specifico riferimento alla questione di cui sono state investite le Sezioni Unite (trasformazione della domanda costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c. in domanda di accertamento dell'effetto traslativo già prodotto dalla scrittura inizialmente fatta valere come contratto preliminare), è stato anticipato che la giurisprudenza si è pronunciata in passato sia in senso positivo e sia, prevalentemente, in senso negativo. Le due divergenti soluzioni, però, condividevano il principio teorico secondo cui non è possibile introdurre nel processo modifiche di domande che comportino l'introduzione di una causa petendi o di un petitum diversi da quelli iniziali, se non nel caso previsto dall'art. 183 c.c., quando cioè la variazione sia giustificata dalla impostazione difensiva del convenuto. Ma se ambedue gli orientamenti condividevano e facevano propria la regola del divieto di mutamento della domanda come si giustifica la diversità di soluzione? Questa può spiegarsi perché chi ammetteva, come oggi le Sezioni Unite, la trasformazione dell'iniziale domanda costitutiva ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento negava, attraverso richiami incerti e opinabili (di volta in volta all'essenza della domanda, al contenuto sostanziale, alla sostanza del rapporto e alla realtà dei fatti, all'ambito della lite ecc.), che la variazione comportasse un effettivo e sostanziale mutamento degli elementi costitutivi della stessa domanda, tradizionalmente identificati nei soggetti, petitum e causa petendi. Diversamente le Sezioni Unite ammettono senza mezzi termini che la trasformazione, nel caso di specie, implica modifica sia del petitum e sia della causa petendi; nondimeno la ritengono ugualmente ammissibile perché la modifica consentita ai sensi dell'art. 183, comma 5 (nella prima memoria per intenderci), immutati per definizione i soggetti, include anche la modifica degli elementi di identificazione oggettivi della domanda, pure qualora sia il frutto dello ius poenitendi dell'attore. Ma se nell'esercizio della facoltà di modifica è consentito mutare uno o l'altro degli elementi che identificano la domanda, quale è la differenza fra la «domanda modificata», proponibile dall'attore ad libitum fino alla prima memoria, e la «nuova domanda» proponibile solo a verbale nella prima udienza di trattazione e in presenza delle condizioni più volte richiamate? La risposta delle Sezioni Unite è chiara e logicamente ineccepibile: le domanda nuove, consentite nei limiti previsti dall'art. 183, comma 5, c.c., sono tali perché si aggiungono alla domanda iniziale, sono «altro» da quella domanda, perché con essa convivono, mentre le domande «modificate» non si aggiungono alla domanda iniziale, non convivono con essa, ma la sostituiscono ponendosi rispetto a questa in rapporto di alternatività. In altre parole, la «domanda modificata», qualificata secondo il tradizionale binomio mutatio o emendatio libelli, potrà pure considerarsi mutatio, tuttavia non incorre nel divieto di domande nuove, perché, sempre secondo le Sezioni Unite, tale divieto, nel giudizio di primo grado, è implicitamente circoscritto a quelle sole domande che abbiano caratteristiche di novità corrispondenti a quelle domande nuove che il 5° comma ammette in quanto conseguenza delle difese del convenuto.
Secondo le Sezioni Unite la soluzione proposta avrebbe il pregio di concentrare nello stesso processo le controversie relative alla medesima vicenda sostanziale, senza nel contempo correre il rischio di allungarne i tempi o pregiudicare le facoltà difensive del convenuto, posto che la correzione deve collocarsi pur sempre nella prima fase della lite, quando il giudice non ha ancora deciso sulle istanze di prova. Non si corre neanche il rischio - continua sempre la pronuncia - di dare ingresso nel processo a tutte le possibili ragioni di lite fra i medesimi litiganti, in quanto la domanda iniziale e la domanda modificata nella causa petendi o nel petitum o in entrambi tali elementi, hanno come punto di riferimento la medesima vicenda sostanziale. D'altra parte, conclude la corte, una volta chiarito che l'art. 183 prevede, accanto alle «domande nuove», le «domande modificate», poiché «risulta veramente difficile immaginare una modifica della domanda che non si risolva in una mera precisazione e neppure incida sui suddetti elementi identificativi», è gioco forza dedurne, se non si vuole svuotare la norma di uno dei suoi significati, che le modifiche della domanda iniziale sono consentite anche se comportano mutamento degli elementi fondamentali. I primi commentatori della sentenza non hanno mancato di rilevare che, sebbene le Sezioni Unite mostrino di concepire la «domanda modificata» come domanda che sostituisce la domanda originaria, il nuovo corso di giurisprudenza dovrebbe avere una portata più ampia, dovendosi annoverare fra le facoltà accordate all'attore dall'art. 183 c.p.c. anche la possibilità che la domanda in rapporto di alternatività con la domanda originaria si aggiunga a questa, invece che solo sostituirla. Non è questa la sede per verificare l'impatto del nuovo corso della giurisprudenza sui grandi temi del processo civile (identificazione della domanda, oggetto del processo, ecc.). E' tuttavia legittimo il dubbio che il principio cardine della sentenza, che può essere compendiato nella regola che la modifica della domanda, nella identica della vicenda sostanziale dedotta in giudizio, include anche la variazione del petitum e causa petendi, seppure abbia semplificato e razionalizzato la lettura dell'art. 183, non abbia del tutto eliminato le difficoltà che si pongono all'interprete nell'applicazione della norma. Se è vero che la domanda originaria e la «domanda modificata» dovranno pur sempre avere quale punto di riferimento comune la «medesima vicenda sostanziale ed esistenziale», è ragionevole attendersi che il tema del dibattito, fino ad oggi appuntato sulla continuità del petitum e della causa petendi, si trasferirà sul limite di compatibilità della «modifica» in concreto attuata in rapporto all'identità e ampiezza della vicenda sostanziale dedotta in lite. È noto che la ratio del divieto della mutuatio libelli (la cui validità la Corte non ha ovviamente ripudiato) è solitamente ravvisata dalla giurisprudenza nel fatto che attraverso la modificazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell'azione, si introduce nel processo «un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell'atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio (Cass. civ., 28 gennaio 2015, n. 1585)». Al riguardo Sezioni Unite sostengono che il nuovo orientamento inaugurato dalla sentenza non comporta alcun vulnus rispetto ai valori che il divieto di domande nuove intende proteggere, in quanto «la parte sa che una simile modifica potrebbe intervenire a norma della disciplina processuale vigente, sicché non si trova rispetto ad essa come dinanzi alla domanda iniziale; alla suddetta parte è in ogni caso assegnato un congruo termine per potersi difendere e contro dedurre anche sul piano probatorio». Prendendo ad esempio la vicenda concreta sottoposta all'esame della Corte (la trasformazione della domanda costitutiva ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento del già avvenuto effetto traslativo), il fatto storico, inteso come la stipulazione di un certo contratto, è certamente il medesimo, tuttavia è difficile negare che quel convenuto, il quale non avesse obiettato alcunché sulla natura obbligatoria del contratto e magari l'avesse anche esplicitamente condivisa, rimarrà “sorpreso” nell'apprendere, leggendo la prima memoria altrui, che l'attore non gli chiede più nulla, ritenendosi già titolare del diritto oggetto del negozio. Ed è altrettanto vero che in conseguenza della unilaterale ripensamento dell'attore, egli sarà costretto a rivedere con la seconda memoria ex art. 183 l'impostazione difensiva seguita nella comparsa di risposta, laddove quella stessa memoria, se non vi sono domande autenticamente nuove (ma in questo caso la novità sarebbe stata indotta da lui stesso), non dovrebbero avere una funzione processuale assimilabile a quello dello scritto difensivo iniziale.
CEA, Tra «mutatio» ed «emendatio libelli»: per una diversa interpretazione dell'art. 183, comma 5 cpc, in Foro it., 2016, fasc. 1, I, p. 255; CONSOLO, Le S.U. aprono alle domande “complanari”: ammissibili in primo grado, in Corriere giur. 2015, p. 968; MOTTO, Le sezioni unite sulle modificazione della domanda giudiziale, in Foro it. , 2015, I, p. 3190; PALAZZETTI, Ammissibilità dei nova ex art. 183, comma 5, in Giur. it., 2015, fasc. 10, p. 2103. |