Compensazione delle spese processuali e tipizzazione delle cause giustificative

28 Aprile 2017

In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
Massima

In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, sicché esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso di altri giusti motivi.

Il caso

Il ricorrente, a seguito di un lungo iter processuale diretto alla liquidazione delle somme necessarie per ristorarlo del pregiudizio derivante dalla irragionevole durata di un giudizio, nel quale vi era stato l'annullamento da parte della Corte di Cassazione della prima decisione di improponibilità della domanda di equa riparazione e conseguente rinvio al giudice di merito per un nuovo esame – impugnava in sede di legittimità il decreto della Corte di Appello con il quale era stato riconosciuto il suo diritto all'equa riparazione per eccessiva durata del processo, ma erano state compensate le spese relative al giudizio di cassazione e al giudizio conclusosi con il decreto cassato stante la novità della questione.

La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, rigetta il ricorso ricordando i casi tipizzati dalla giurisprudenza in presenza dei quali è legittima la compensazione delle spese processuali.

La questione

La questione in esame è la seguente: in quali casi è legittima la compensazione delle spese processuali?

Le soluzioni giuridiche

L'art. 24Cost., in ossequio al principio di uguaglianza ed al fine di impedire che i singoli si facciano giustizia da sé, riconosce a tutti la possibilità di ricorrere al sistema giudiziario a tutela delle proprie ragioni. L'accesso alla giustizia per la difesa delle posizioni giuridiche soggettive è un diritto fondamentale di ciascun individuo, riconosciuto sia dalla Carta Costituzionale sia dall'art. 6 Cedu. L'art. 24 Cost. è correlato all'art. 111 Cost., il quale, al 1° comma, dispone che: «La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata». In tale contesto, la condanna alle spese non ha natura sanzionatoria in quanto non è conseguenza del compimento di un fatto illecito. Il comportamento di chi ha agito o resistito in giudizio ed è rimasto soccombente, infatti, non può considerarsi come antigiuridico: è esercizio della tutela giurisdizionale dei diritti, che è inviolabile e costituzionalmente garantita (art. 24 Cost.), a prescindere dall'eventuale esito sfavorevole del processo.

In origine il principio victus victori era derogabile per «giusti motivi»; nel 2006 una prima riforma ha previsto che i giusti motivi fossero «esplicitamente indicati nella motivazione»; nel 2009 i giusti motivi sono stati sostituiti con le «gravi ed eccezionali ragioni»; da ultimo, come visto, il legislatore ha ridotto l'applicabilità dell'istituto a soli due casi, quello dell'«assoluta novità della questione trattata» e quello del «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti», peraltro già da tempo indicati da dottrina e giurisprudenza (sulla compensazione delle spese per la novità della questione trattata v. Cass. n. 9597/1994).

L'art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo introdotto dall'art. 2, l. 28 dicembre 2005, n. 263 e successivamente modificato dalla l. n. 69/2009, dispone che il giudice può compensare le spese, in tutto o in parte, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre «gravi ed eccezionali ragioni», esplicitamente indicate nella motivazione.

Secondo il disposto dell'art. 92 c.p.c. la compensazione può essere utilizzata dal giudice (previa debita motivazione) laddove vi sia soccombenza reciproca oppure la questione sia di assoluta novità o presenti un mutamento nell'orientamento giurisprudenziale rispetto alle questioni dirimenti. Il giudice dunque può ricorrere alla compensazione delle spese in casi gravi ed eccezionali e, deve comunque argomentare in ordine alle ragioni che lo hanno indotto ad assumere detta decisione.

La Corte di Cassazione ha a più riprese affermato che ai fini della compensazione di rilievo è l'obbligo di motivazione poiché: «ai fini della compensazione delle spese, i giusti motivi - che, nei procedimenti instaurati dopo il 1 marzo 2006, devono essere esplicitamente indicati in motivazione - possono, per colmare il tenore della pronuncia di primo grado, essere integrati, anche d'ufficio, in sede di appello, dal giudice chiamato a valutare la correttezza della statuizione sulle spese» (Cass. n. 20094/2015). In un ulteriore e noto precedente la Corte afferma che «può essere disposta la compensazione totale o parziale delle spese, in assenza di reciproca soccombenza, soltanto in presenza di "gravi ed eccezionali ragioni", aggiungendo nel prosieguo della motivazione che dette ragioni devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa che il Giudice è tenuto ad indicare esplicitamente e specificamente nella motivazione della sentenza» (Cass. n. 21083/2015).

La compensazione delle spese è dunque subordinata alla presenza di gravi ed eccezionali ragioni e tale esigenza non è soddisfatta quando il giudice abbia compensato le spese "per motivi di equità", non altrimenti specificati.

Ad ogni modo, per motivare sufficientemente la statuizione di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi non è necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito). Da ciò deriva che deve ritenersi assolto l'obbligo del giudice anche allorché le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in sé considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come a titolo meramente esemplificativo nel caso in cui si dà atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti.

In tale direzione, la Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice può compensare le spese legali quando sulla materia sussistono delle oscillazioni giurisprudenziali o quando il caso presenta particolari difficoltà (Cass. n. 29720/2011).

La Corte di Cassazione ha evidenziato, inoltre, che l'art. 92 c.p.c., costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico, sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili "a priori", ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche, pure aggiungendosi che le "gravi ed eccezionali ragioni', da indicarsi esplicitamente nella motivazione, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (Cass. n. 10917/2016)

La Cassazione evidenzia di aver precisato, di recente, che in tema di compensazione delle spese giudiziali, la sussistenza di un imprecisato contrasto nella giurisprudenza di merito, rispetto a soluzioni interpretative non ancora passate al vaglio di legittimità, non può essere ricondotta alla nozione di "gravi ed eccezionali ragioni" di cui all'art. 92, comma 2, c.p.c., nella formulazione introdotta dalla l. n 69/2009 applicabile ratione temporis, trattandosi di circostanza non idonea ad accreditare un ragionevole affidamento della parte sulla fondatezza delle proprie ragioni.

La Corte di Cassazione ha inoltre precisato che se sulla materia del contendere c'è un contrasto di giurisprudenza, il giudice può decidere di compensare le spese di lite nel decidere la causa: l'assenza di risposte univoche sulla questione controversa rappresenta infatti una seria ed eccezionale ragione che consente di derogare al principio della soccombenza, che resta il criterio-guida per il giudice nella liquidazione (Cass. n. 24489/2015, nel caso in esame è stata esclusa la violazione dell'articolo 92 c.p.c. perché il giudice del merito aveva deciso di compensare le spese sul rilievo che la questione sull'impugnabilità degli estratti di ruolo ha trovato soluzioni contrastanti anche nella stessa giurisprudenza di legittimità, che nel volgere di breve tempo ha concluso sia per l'ammissibilità sia per l'inammissibilità).

Osservazioni

Non è certo una novità che la compensazione delle spese di lite sia uno degli strumenti utilizzati dal legislatore delle numerose riforme succedutesi negli ultimi anni per dissuadere iniziative volte all'esercizio del diritto di difesa; come altrettanto noto è che la giurisprudenza ha affermato in più occasioni la conformità alla Costituzione della norma in esame nelle sue varie stesure, ancorché focalizzandosi o sull'obbligo del giudice di motivare ex art. 111 Cost. la decisione di compensare, in tutto o in parte, le spese, oppure sulla compatibilità dell'istituto con l'art. 24 Cost. (Cass. n. 2397/2008).

Quanto alle questioni nuove, posto che il legislatore non specifica quale sia la «questione trattata» che giustifica la compensazione, è verosimile ritenere che l'espressione si riferisca al caso in cui, ad esempio, sia dedotta in giudizio una qualunque quaestio (sostanziale o processuale, fattuale o di diritto) mai vagliata dai giudici di merito e di legittimità; secondo alcuni, è sussumibile pure ogni questione che riguardi una norma dichiarata incostituzionale in pendenza del processo, a cui conseguirebbe la reviviscenza della precedente regola da considerare, pertanto, «nuova» per il giudizio.

A tal fine non può essere obliterata la circostanza che in numerose pronunce i termini «novità» e «complessità» sono impiegati in maniera indifferente, e quindi includere quelle ipotesi in cui sulla questione, benché non ignota alla giurisprudenza, non sia ancora intervenuto un arresto delle S.U. ;(Cass. n. 9597/1994), ovvero manchi un orientamento giurisprudenziale di legittimità ; (Cass. n. 1521/2016); oppure nel caso in cui la questione si concretizzi nell'incertezza applicativa della norma ; (Cass. n. 8715/2004).

Non meno problemi comporta l'esegesi della condizione del «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti», finalizzata a tutelare la parte che abbia agito o resistito in giudizio facendo (legittimo) affidamento su un consolidato orientamento giurisprudenziale.

È fuor di dubbio che la compensazione delle spese è ammessa in tutti i casi di revirement ; (Cass. n. 20598/2008), su questioni sostanziali o processuali ; (Cass. n. 19246/2010), e che lo scostamento debba riguardare vuoi la decisione assunta dal giudice adito ;, anche là dove prospetti una propria interpretazione alternativa a quelle esistenti, vuoi una pronuncia (esterna, preferibilmente delle S.U.) intervenuta a processo avviato.

Peraltro, occorre tener conto che l'art. 92, secondo comma, c.p.c., nella formulazione attuale, successiva al d.l. 132/2014, consente, invece, la compensazione delle spese processuali soltanto per ragioni “tipizzate”, la cui portata concreta resta tuttavia oggetto di differenti opinioni in dottrina.

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