Espropriazione forzata dell'immobile di provenienza ereditaria: quali limiti alla tutela del creditore?
05 Giugno 2017
Breve premessa
Nel processo esecutivo spetta al giudice dell'esecuzione verificare, d'ufficio, la titolarità, in capo al debitore esecutato, del diritto reale pignorato sul bene immobile, mediante l'esame della documentazione depositata dal creditore ovvero integrata - ai sensi dell'art. 567 c.p.c. - per ordine dello stesso giudice. Ed infatti proprio dalla documentazione ipocatastale deve risultare la trascrizione di un titolo di acquisto in favore del debitore e la continuità delle trascrizioni nel ventennio anteriore al pignoramento; con la precisazione che nel caso di accertata carenza di titolo idoneo a coprire il ventennio è necessario risalire a ritroso al primo titolo utile anteriore al ventennio. Per questa ragione, l'accettazione tacita dell'eredità non è sufficiente a giustificare l'esercizio dell'azione esecutiva sul bene del debitore-erede, posto che l'accettazione deve essere anche trascritta. Con la precisazione che se l'immobile pignorato non è formalmente di proprietà del debitore cui è pervenuto mortis causa, rimane di fatto sottratto all'azione esecutiva dei creditori. Per chiarire meglio la questione, va evidenziato che laddove la procedura esecutiva proseguisse, pur in difetto della trascrizione dell'accettazione dell'eredità, l'eventuale acquisto dell'aggiudicatario finirebbe per essere privo di effetti. Ed infatti, in forza di quanto stabilisce l'art. 2650, primo comma, c.c., «Nei casi in cui (…) un atto di acquisto è soggetto a trascrizione, le successive trascrizioni o iscrizioni a carico dell'acquirente non producono effetto, se non è stato trascritto l'atto anteriore di acquisto». In altre parole: l'effetto derivativo che caratterizza la posizione dell'aggiudicatario il quale, a norma dell'art. 2921 c.c., “acquista” la titolarità del diritto reale del debitore, è garantito dalla corretta applicazione del principio della continuità delle trascrizioni. Si aggiunga che, per ovviare alla mancata della trascrizione dell'accettazione dell'eredità, non potrebbe invocarsi l'operatività dell'art. 485 c.c. (in forza del quale il chiamato all'eredità che è nel possesso di beniè considerato erede puro e semplice qualora non abbia fatto l'inventario o la dichiarazione a norma dell'art. 484 c.c. per deliberare se accetta o rinunzia all'eredità nei termini normativamente stabiliti) e/o dell'art. 527 c.c. (per il quale i chiamati all'eredità, che hanno sottratto o nascosto beni spettanti all'eredità stessa, decadono dalla facoltà di rinunziarvi e si considerano eredi puri e semplici, nonostante la loro rinunzia). Né in favore dell'aggiudicatario (e dei creditori) potrebbe operare l'art. 534 c.c. che regola l'acquisto dall'erede apparente, la cui operatività è subordinata alla circostanza che tale soggetto abbia trascritto l'accettazione dell'eredità. In definitiva: ove non sia stata effettuata la trascrizione dell'acquisto mortis causa, le trascrizioni e iscrizioni successive, compresa la trascrizione del pignoramento, non producono effetto a carico dell'acquirente successivo, ai sensi dell'art. 2650, primo comma, c.c. Rimane da dire che il bene può essere trasferito al terzo acquirente in vendita forzata qualora, ai sensi dell'art. 2650, secondo comma, c.c. la continuità venga ripristinata, poiché le successive trascrizioni ed iscrizioni producono effetto secondo il loro ordine rispettivo (salvo il disposto dell'art. 2644 c.c.). L'aggiudicazione del bene ereditario in capo al terzo è, pertanto, fatta salva solo se prima di tale momento sia sopraggiunta la trascrizione dell'accettazione dell'eredità. La provenienza ereditaria del bene rappresenta un ostacolo concreto alla effettiva tutela esecutiva del creditore nei confronti del debitore erede: spesso manca un atto espresso di acquisto di quest'ultimo che possa essere trascritto. I casi di accettazione espressa sono, difatti, abbastanza sporadici; solitamente gli eredi non compiono alcun atto di accettazione perché intenzionati ad effettuare un atto di disposizione del bene ereditato che determina accettazione c.d. tacita dell'eredità. Per chiarire meglio il rapporto complesso tra mancata trascrizione dell'accettazione dell'eredità e tutela del creditore occorre esaminare i risultati raggiunti al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità. Due le conclusioni raggiunte sul punto dalla Suprema Corte:
Questa interpretazione esclude, inoltre, chela dichiarazione di successione intesa come mero adempimento di natura tributaria, posto a carico del chiamato all'eredità e del legatario (ex art. 28, comma 2, D. Lgs. n. 346 del 1990) possa considerarsi un equipollente della accettazione e della sua trascrizione. Di qui l'affermazione che sono irrilevanti tutti quegli atti che sono inidonei, per natura e finalità, ad esprimere in modo certol'intenzione univoca di assunzione della qualità di erede. Oltre alla denuncia di successione, il riferimento è:
Trattandosi di adempimenti di prevalente contenuto fiscale, caratterizzati da scopi conservativi, legittimamente il giudice del merito, a cui compete il relativo accertamento, può escludere che tali atti individuino in maniera univoca il proposito di accettare l'eredità. Siffatto accertamento non può, difatti, limitarsi all'esecuzione di tali incombenze, ma deve estendersi al complessivo comportamento dell'erede potenziale, ed all'eventuale possesso e gestione anche solo parziale dell'eredità. (Così, ex multis, Cass., sez. II., 29 luglio 2004, n. 14395; Cass. sez. V,12 maggio 2003, n. 7252; Cass., sez. V, 9 aprile 2003, n. 5597; Cass., sez. II, 8 novembre 2002, n. 15716, in Il fall., 2003, 1260). Al medesimo rigoroso indirizzo va ricondotta anche altra pronuncia della giurisprudenza di legittimità che ha escluso, in caso di pignoramentodella quota di un bene caduto in successione, la possibilità di provare l'assunzione della qualità di erede in capo al debitore esecutato attraverso la proposizione di un'actio interrogatoria ex art. 481 c.c. Tale disposizione riconosce, infatti, ai chiamati all'eredità in subordine il diritto di chiedere all'autorità giudiziaria la fissazione di un termine entro il quale il chiamato dichiari se intende accettare o meno l'eredità. Anche in questa fattispecie, la Suprema Corte ha affermatoche la prova della qualità di erede può essere fornita esclusivamente attraverso una sentenza che accerti detta qualità, una scrittura privata (autenticata riconosciuta o verificata) o un atto pubblico che confermi l'assunzione di detta qualità in capo al soggetto esecutato (Cass., III sez., 3 aprile 2015, n. 6833, in Guida dir., 2015, 43, con nota di Sacchettini, Esaltato il principio della conservazione del documento).
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