L'art. 567, comma 2, c.p.c., nella sua attuale formulazione, prevede che nel termine di sessanta giorni dal deposito del ricorso il creditore che richiede la vendita deve allegare allo stesso l'estratto del catasto e i certificati delle iscrizioni e delle trascrizioni relative all'immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento ovvero, in alternativa, un certificato notarile sostitutivo attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari.
Inquadramento
IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE
L'art. 567, comma 2, c.p.c., nella sua attuale formulazione, prevede che nel termine di sessanta giorni dal deposito del ricorso il creditore che richiede la vendita deve allegare allo stesso l'estratto del catasto e i certificati delle iscrizioni e delle trascrizioni relative all'immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento ovvero, in alternativa, un certificato notarile sostitutivo attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari.
Detto termine, a norma del terzo comma, può essere prorogato una sola volta, su istanza dei creditori o dell'esecutato e per giusti motivi, per non più di sessanta giorni; lo stesso termine è poi assegnato al creditore dal giudice qualora quest'ultimo ritenga che la documentazione prodotta sia incompleta e debba perciò essere integrata.
Qualora la proroga non sia richiesta o concessa, oppure nel caso in cui la documentazione non venga integrata nel termine concesso, il giudice dell'esecuzione, anche d'ufficio e sentite le parti, dichiara con ordinanza l'inefficacia del pignoramento con riguardo all'immobile cui la carenza documentale si riferisce, ordinando al contempo la cancellazione della relativa trascrizione. Se non vi sono altri immobili pignorati, il giudice dichiara altresì l'estinzione del processo esecutivo.
L'attuale assetto normativo costituisce il punto di arrivo di una serie di interventi del legislatore – l'ultimo dei quali apportato con il d.l. n. 83/2015, conv. con modif. dalla l. n. 132/2015 – che hanno profondamente inciso sul contenuto dell'art. 567 c.p.c. e che hanno avuto il merito di sottrarre al ceto creditorio il potere di mantenere la procedura esecutiva in una situazione di stallo, non essendo in origine previsto alcun termine per il deposito della certificazione ipocatastale.
La giurisprudenza riteneva infatti che l'omesso deposito della documentazione in esame nel termine assegnato dall'art. 497 c.p.c. per il deposito dell'istanza di vendita dei beni pignorati non determinava, in mancanza di una espressa disposizione in tal senso, l'improcedibilità dell'esecuzione o l'estinzione del procedimento esecutivo, derivando questa per legge, e previa eccezione di parte, soltanto dalla rinuncia agli atti esecutivi (art. 629 c.p.c.), dalla inattività qualificata delle parti (art. 630 c.p.c.) o dalla mancata comparizione all'udienza (art. 631 c.p.c.) e non anche dal semplice decorso del tempo (Cass. civ., n. 12711/1992).
In altri termini, il giudice dell'esecuzione, rilevata la mancanza della documentazione, non poteva dichiarare l'improcedibilità o l'estinzione dell'esecuzione ma poteva soltanto porre la procedura in quiescenza, in attesa che il creditore provvedesse a depositare quanto necessario per dar corso all'istanza di vendita.
Le evidenti ricadute negative che tale quadro normativo aveva generato sul piano della gestione e della durata delle espropriazioni immobiliari portarono dunque alla introduzione, ad opera della l. n. 302/1998, di un termine perentorio di sessanta giorni entro cui il creditore avrebbe dovuto produrre l'estratto del catasto e delle mappe censuarie, il certificato di destinazione urbanistica e i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all'immobile eseguite nel ventennio anteriore alla trascrizione del pignoramento, con possibilità di produrre in sostituzione una relazione a tal fine predisposta da un notaio.
Le successive riforme hanno espunto l'estratto delle mappe censuarie e il certificato di destinazione urbanistica dal novero dei documenti da allegare all'istanza di vendita, circoscrivendo l'onere del creditore alla certificazione ipotecaria e all'estratto catastale.
La documentazione da produrre a norma dell'art. 567, comma 2, c.p.c.
Il creditore che richiede la vendita deve provvedere ad allegare al ricorso l'estratto del catasto nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all'immobile pignorato eseguite nel ventennio anteriore alla trascrizione del pignoramento.
Tali documenti consentono di accertare se l'esecutato risulta titolare del diritto reale oggetto di pignoramento e intestatario catastale dell'immobile pignorato, di verificare il rispetto del principio di continuità delle trascrizioni, essenziale per realizzare l'esigenza di stabilità dell'acquisto che informa l'intero sistema dell'espropriazione forzata, e di individuare gli atti (in particolare le ipoteche e i sequestri conservativi) trascritti o iscritti a carico del debitore nel ventennio antecedente la data di trascrizione del pignoramento, onde procedere agli avvisi prescritti dagli artt. 498 c.p.c. e 158 disp. att. c.p.c. a favore dei creditori che sui beni pignorati vantano un diritto di prelazione risultante dai pubblici registri immobiliari.
In particolare, il certificato delle iscrizioni e trascrizioni rilasciato dal Servizio di Pubblicità Immobiliare dell'Agenzia del Territorio (già Conservatoria dei Registri Immobiliari) riporta le iscrizioni dei diritti di prelazione risultanti dai pubblici registri, le ipoteche e le trascrizioni degli atti di trasferimento della proprietà, degli atti costitutivi di diritti a favore di terzi sul bene, dei pignoramenti precedenti. Esso consente di accertare la proprietà del bene (o meglio, come si dirà più avanti, la sussistenza di indici formali di appartenenza del bene ad un determinato soggetto), di individuare iscrizioni ipotecarie, contratti preliminari con privilegio sull'immobile exartt. 2645-bis e 2775-bis c.c., diritti di usufrutto, uso o abitazione successivi all'ipoteca del creditore procedente o intervenuto regolati dall'art. 2812 c.c. e di identificare gli eventuali comproprietari del bene.
Secondo l'attuale formulazione dell'art. 567 c.p.c., le ricerche devono estendersi ai venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento, al fine di individuare i creditori garantiti da ipoteche ancora efficaci exart. 2847 c.c. e di giungere alla presunzione di usucapione del bene in capo all'esecutato, presumendosi in sostanza che il possesso attuale da parte di quest'ultimo, sommato a quello dei suoi danti causa per come risultanti dalle trascrizioni riportate nei registri immobiliari, abbia determinato il perfezionamento della fattispecie di acquisto a titolo originario del diritto reale pignorato, con maggiori garanzie di stabilità per l'acquisto da parte dell'aggiudicatario.
Occorre peraltro osservare che la giurisprudenza, sebbene la norma non richieda espressamente il deposito del primo atto di acquisto anteriore al ventennio, ne ritiene tuttavia opportuna l'acquisizione proprio per consentire l'operare della presunzione dell'acquisto della proprietà a titolo originario per effetto dell'usucapione ordinaria: pertanto, se da un lato il mancato deposito di quell'atto nel termine perentorio di cui al secondo comma dell'art. 567 c.p.c. non può essere sanzionato con l'inefficacia del pignoramento o l'estinzione della procedura, nella prassi è frequente la sollecitazione a produrlo entro il termine ulteriore all'uopo concesso dal giudice ai sensi del terzo comma della stessa disposizione.
L'estratto del catasto permette invece la individuazione del bene immobile pignorato.
Sebbene la legge non prescriva l'obbligatorietà della produzione dell'estratto storico del catasto, è senz'altro opportuno che esso venga comunque acquisito agli atti della procedura, allo scopo di meglio individuare la consistenza catastale del bene nell'ipotesi in cui lo stesso sia stato soggetto a variazioni nel tempo; poiché, però, l'estratto storico non è un documento espressamente indicato dalla norma (che si limita a richiedere semplicemente l'estratto del catasto), si ritiene che in sua mancanza il giudice dell'esecuzione non possa dichiarare l'inefficacia del pignoramento o l'estinzione della procedura, ma debba al più concedere il termine per l'integrazione della documentazione.
Qualora il debitore esecutato non risulti intestatario dell'immobile, il giudice dell'esecuzione deve dichiarare l'improcedibilità del processo esecutivo o, forse, più correttamente, della domanda di espropriazione proposta con l'istanza di vendita.
La l. n. 263/2005, recependo e codificando i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza 7 ottobre 2005, n. 379, ha eliminato l'obbligo di produzione dell'estratto delle mappe censuarie e del certificato di destinazione urbanistica, tenuto conto della funzione sussidiaria delle prime (ben potendo la rappresentazione grafica del bene sul territorio esser demandato all'attività dell'esperto) e alla sostanziale inutilità della acquisizione del secondo nella fase iniziale della procedura, anche in ragione della sua limitata validità temporale (un anno dalla data di rilascio) e della coeva introduzione di un obbligo di acquisizione del certificato da parte dell'esperto stimatore a norma dell'art. 173-bis, comma 1, n. 6) disp. att. c.p.c. e di trascrizione del suo contenuto nell'avviso di vendita da parte del professionista per le procedure delegate a norma dell'art. 591-bis c.p.c. (art. 173-quater, comma 1, disp. att. c.p.c.).
L'art. 567 c.p.c. prevede che, in luogo dell'estratto del catasto e dei certificati ipotecari, il creditore possa depositare un certificato notarile sostitutivo, attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari: questa, pertanto, deve contenere una completa indicazione degli estremi identificativi di tutte le iscrizioni e trascrizioni effettuate nel ventennio anteriore alla trascrizione del pignoramento nonché delle risultanze del catasto e, al pari della documentazione che surroga, deve far emergere la natura e la misura del diritto spettante all'esecutato sul bene, l'esistenza di diritti reali o personali di godimento a favore di terzi e la presenza e identità di eventuali comproprietari.
La certificazione notarile sostitutiva, dunque, presenta oggi un contenuto esattamente corrispondente ai documenti da produrre; essa, ad ogni modo, è priva dell'efficacia probatoria privilegiata propria dell'atto pubblico, in quanto attesta fatti o atti dei quali il notaio ha acquisito conoscenza indiretta attraverso la consultazione dei registri immobiliari e catastali (Petrelli, Profili di disciplina delle certificazioni sostitutive ex art. 567 c.p.c., in VN, 1998, 1901; cfr. anche Cass. pen., sez. V, 20 marzo 2007, n. 31435), così come irrilevante è l'eventuale attività valutativa compiuta dal notaio nell'esaminare le risultanze delle ispezioni, non richiesta dalla norma e che tuttavia può essere contenuta nella relazione depositata.
La perfetta simmetria tra il contenuto della relazione sostitutiva e la certificazione ipocatastale fa sì che il notaio debba fare riferimento all'atto di acquisto ultraventennale o, quantomeno, indicare il nominativo del proprietario al ventennio anteriore al pignoramento.
Il termine per il deposito della certificazione
Con la l. n. 132/2015 il termine per il deposito della documentazione ipocatastale o della certificazione notarile sostitutiva, esteso con la l. n. 80/2005 a centoventi giorni, è stato riportato a sessanta giorni, decorrenti dalla data di deposito dell'istanza di vendita e prorogabili una sola volta per ulteriori sessanta giorni, su richiesta dei creditori o dell'esecutato, in presenza di “giusti motivi”.
Per effetto della disposizione transitoria contenuta nell'art. 23, comma 6, d.l. n. 83/2015, la novella si applica esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto (27 giugno 2015).
Il termine, da computarsi tenendo conto della sospensione feriale prevista dall'art. 1 della l. n. 742/1969, va considerato perentorio in ragione della precisa regolamentazione delle ipotesi di prorogabilità stabilite dal terzo comma dell'art. 567 c.p.c. e della sanzione processuale dell'inefficacia del pignoramento che la legge espressamente ricollega alla sua inosservanza.
Sul piano della legittimazione al deposito, si discute se siano abilitati anche creditori diversi rispetto a quello che ha presentato istanza di vendita.
Va premesso che l'attuale secondo comma dell'art. 567 c.p.c. stabilisce che al deposito della documentazione debba provvedere il «creditore che richiede la vendita», laddove il vecchio testo, anteriore alla riforma del 2005, estendeva tale possibilità ai soli creditori intervenuti in forza di titolo esecutivo.
Accanto ad un'interpretazione restrittiva, contraria ad ammettere un ampliamento del novero dei soggetti abilitati in ragione del dato letterale e storico-evolutivo, si registra una diversa opinione che riconosce tale potere anche ai creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo, sul presupposto della loro legittimazione a compiere atti d'impulso della procedura e della previsione, contenuta nel primo comma dell'art. 567 c.p.c., che continua a prevedere la legittimazione di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo a presentare istanza di vendita.
Altri autori, invece, ritengono che l'allegazione dei documenti possa essere fatta indistintamente da tutti i creditori intervenuti, muniti o meno di titolo esecutivo, proprio in ragione della abrogazione della norma che circoscriveva ai soli creditori titolati il potere di depositare la certificazione ipocatastale e alla stregua dalla previsione, contenuta nel terzo comma dell'art. 567 c.p.c., che (come si dirà tra breve) riconosce a tutti i creditori, oltre che al debitore, la facoltà di chiedere una proroga del termine per il deposito.
La proroga del termine di deposito su istanza della parte e l'assegnazione da parte del giudice di un termine per integrare la documentazione
La possibilità di prorogare il termine per una sola volta e per non oltre sessanta giorni, come visto, è condizionata ad un'apposita istanza dei creditori o del debitore esecutato e alla sussistenza di giusti motivi.
Si tratta di una possibilità senz'altro opportuna, stante la difficoltà spesso incontrata dagli uffici pubblici nel riscontrare in modo tempestivo le richieste di rilascio della documentazione avanzate dai soggetti interessati.
In linea generale, si ritiene che ricadano nella categoria dei giusti motivi tutti quei fatti, indipendenti dalla volontà dei creditori, che rendano impossibile o particolarmente gravosa la produzione dei documenti nei tempi previsti, come ad esempio i ritardi comprovati degli uffici competenti al rilascio dei certificati ipotecari e dell'estratto catastale, la difficoltà legata all'elevato numero di documenti da reperire, la rinuncia del creditore procedente che impedisce al creditore intervenuto munito di titolo esecutivo di surrogarsi e provvedere tempestivamente al deposito.
La proroga, ovviamente, deve essere chiesta prima della scadenza del termine, poiché il suo decorso determina l'immediata e automatica inefficacia del pignoramento: la norma, infatti, è esplicita nell'attribuire all'ordinanza estintiva del giudice una funzione meramente ricognitiva e dichiarativa di un effetto già verificatosi.
Ne consegue, quindi, la diversità tra questo istituto e quello della rimessione in termini, oggi disciplinato in via generale dall'art. 153, comma 2, c.p.c., che, al contrario, presuppone l'allegazione e prova di una causa non imputabile che abbia impedito alla parte di depositare la documentazione nel termine originario o di presentare una tempestiva istanza di proroga.
La legittimazione a chiedere la proroga, come già detto, viene espressamente riconosciuta a tutti i creditori e al debitore. Come per la legittimazione al deposito della documentazione ipocatastale, o della certificazione notarile sostitutiva, anche per la proroga si discute se il potere spetti a tutti i creditori indifferentemente, come parrebbe suggerire la norma, o soltanto a quelli che possono dare impulso all'esecuzione, vale a dire al creditore pignorante e a quelli intervenuti con titolo esecutivo.
Accanto alla proroga del termine su richiesta della parte, il terzo comma dell'art. 567 c.p.c. prevede il potere del giudice dell'esecuzione di assegnare al creditore procedente un termine di sessanta giorni quando ritiene che la documentazione depositata sia incompleta e debba perciò essere integrata.
Sul punto, va osservato che la collocazione sistematica di tale previsione dopo quella relativa alla eventuale richiesta di proroga ha condotto la dottrina alla elaborazione di due teorie sui rapporti tra le stesse.
Secondo una prima tesi, il giudice sarebbe tenuto a concedere il termine in ogni caso di incompletezza della documentazione già prodotta nel termine originario o in quello prorogato su istanza di parte, essendo sufficiente la verifica del deposito di almeno uno dei documenti (estratto del catasto e certificazioni ipotecarie) necessari a norma dell'art. 567, comma 2, c.p.c..
Secondo altro orientamento, invece, con il potere di sollecitare officiosamente la parte a “completare” la documentazione già acquisita il giudice non potrebbe porre rimedio ad una deficienza della documentazione meritevole della sanzione di inefficacia, ma soltanto consentire una integrazione del contenuto della stessa documentazione, già tempestivamente prodotta, mediante acquisizione di elementi ulteriori, utili per il completamento dell'indagine ancorché non espressamente richiesti dalla legge. In tale prospettiva, dunque, la norma non perseguirebbe la finalità di sanare le ipotesi di omesso o tardivo deposito della documentazione (avendo il legislatore già previsto la possibilità di una proroga del termine per il creditore), ma sarebbe piuttosto volta a consentire al giudice di esaminare la documentazione e verificare se sia carente di informazioni ed elementi che, pur non dovendo essere acquisiti a pena di inefficacia a norma dell'art. 567, comma 2, c.p.c., siano tuttavia giudicati rilevanti ai fini della decisione sull'istanza di vendita (si pensi, in particolare, all'omesso deposito dell'estratto storico del catasto o del primo atto di acquisto anteriore al ventennio, di cui si è già detto, o ancora alla opportunità di acquisire l'estratto per riassunto degli atti di matrimonio per verificare il regime patrimoniale del debitore esecutato).
Per i fautori di questa impostazione, maggiormente accreditata in dottrina, il potere del giudice dell'esecuzione di chiedere documentazione a completamento non riguarderebbe allora la documentazione che deve essere necessariamente prodotta a norma del secondo comma dell'art. 567 c.p.c..
Occorre tuttavia segnalare che la Cassazione, con ordinanza n. 10009/2014, parrebbe aver aderito alla prima tesi, ammettendo che il giudice dell'esecuzione debba in ogni caso concedere il termine in esame anche per far integrare la documentazione espressamente prescritta dall'art. 567 c.p.c.: affermando che «la fissazione di un termine per integrare la documentazione ipocatastale secondo il "novellato" art. 567 c.p.c. non è subordinato al preventivo vaglio dei giusti motivi da parte del G.E. (la norma prevede, infatti, che un termine è inoltre assegnato al creditore quando lo stesso ritiene che la documentazione da questi depositata debba essere completata)» e che «la concessione (non già di una proroga), bensì di un nuovo termine per l'integrazione della documentazione ipocatastale postula all'evidenza che si sia già "consumato" il termine per il deposito della documentazione», la Corte non sembrerebbe infatti aver individuato differenze tre i due istituti sotto il profilo dell'oggetto ma soltanto sul piano dei presupposti, distinguendo in sostanza tra omesso deposito, per cui il creditore può ottenere una proroga solo per giusti motivi, e integrazione iussu iudicis della documentazione ipocatastale, che il giudice può sempre far completare assegnando il termine di sessanta giorni.
La mancata produzione della documentazione: inefficacia del pignoramento ed estinzione della procedura esecutiva
Equiparando la mancata produzione della documentazione alla omessa integrazione nel termine concesso dal giudice, il legislatore della riforma ha stabilito che con ordinanza emessa anche d'ufficio il pignoramento deve essere dichiarato inefficace limitatamente all'immobile per il quale la documentazione risulta carente; se non vi sono altri immobili pignorati, va dichiarata estinta l'intera procedura esecutiva.
La declaratoria di inefficacia del pignoramento, al pari della estinzione dell'esecuzione, impone l'emissione dell'ordine di cancellazione della formalità e presuppone quindi che le parti siano previamente sentite, ciò desumendosi non solo dal tenore della norma, ma anche dalla previsione generale di cui all'art. 172 disp. att. c.p.c..
Quanto alla legittimazione a eccepire il mancato rispetto dei termini di deposito o di integrazione e a sollecitare l'esercizio del potere officioso del giudice, si registra la tendenza a riconoscerla non solo al soggetto che subisce l'espropriazione ma a tutti coloro che dall'anticipata conclusione del procedimento esecutivo possano trarre una qualunque utilità: si afferma, infatti, che «poiché l'estinzione del processo esecutivo per omesso deposito della documentazione di cui all'art. 567, comma 2, c.p.c. (ovvero del certificato notarile sostitutivo) può essere dichiarata anche d'ufficio, la relativa statuizione può essere sollecitata non solo dalle parti in senso stretto del giudizio, ma anche da chiunque possa trarne un vantaggio: e quindi sia dal terzo acquirente del bene pignorato, sia dal debitore esecutato, a nulla rilevando né che quest'ultimo sia stato dichiarato fallito, né che vi sia l'opposizione del curatore» (Cass. civ., n. 5539/2012).
Si è poi posto il problema di stabilire quale sia il termine ultimo per dichiarare l'inefficacia del pignoramento a seguito dell'omesso deposito della documentazione.
Dopo la riscrittura dell'art. 630 c.p.c. ad opera dell'art. 49 della l. n. 69/2009 e l'introduzione del principio per il quale l'estinzione «opera di diritto ed è dichiarata, anche d'ufficio […] non oltre la prima udienza successiva al verificarsi della stessa», si è fatta strada la tesi secondo cui il termine ultimo per dichiarare l'inefficacia del pignoramento, ed eventualmente l'estinzione della procedura esecutiva, per omesso deposito della documentazione è da individuarsi nella prima udienza di comparizione delle parti exart. 569 c.p.c. o, comunque, in un momento anteriore all'emissione dell'ordinanza di vendita.
Tale tesi è stata di recente avallata dalla giurisprudenza che ha ritenuto che le questioni afferenti l'omessa, tardiva o incompleta produzione della documentazione ipocatastale, non fatte valere entro venti giorni dalla notificazione dell'ordinanza di vendita mediante opposizione exart. 617 c.p.c., non possono più essere dedotte impugnando il decreto di trasferimento (Cass. civ., n. 26202/2011).
Pertanto, l'inutile decorso del termine perentorio previsto per impugnare con l'opposizione agli atti esecutivi l'ordinanza di vendita dovrebbe produrre la sanatoria dei vizi inerenti la documentazione ipocatastale.
Parte della dottrina ha tuttavia espresso perplessità in merito ad una siffatta limitazione temporale, quantomeno nei casi di omesso deposito della documentazione.
Si è infatti osservato che, siccome la documentazione in esame è necessaria per individuare compiutamente il bene e la sua intestazione catastale, per verificare la titolarità del diritto pignorato in capo all'esecutato e l'esistenza di eventuali atti trascritti o iscritti a carico di quest'ultimo, la sua radicale mancanza impedirebbe al processo esecutivo di proseguire e di concludersi regolarmente, con la conseguenza che l'esigenza di garantire la stabilità degli atti a seguito della chiusura della fase, insita nella stessa struttura del processo esecutivo, dovrebbe cedere il passo dinanzi ad un vizio della sequenza così grave da impedire che il processo consegua il risultato che ne costituisce lo scopo.
Di qui l'affermazione che la suddetta carenza potrebbe essere rilevata d'ufficio dal giudice anche dopo l'emissione dell'ordinanza di vendita, purché prima dell'aggiudicazione del bene, dovendosi in ogni caso far salvi i diritti acquisiti dall'aggiudicatario a norma dell'art. 187-bis disp. att. c.p.c..
L'ordinanza del giudice dell'esecuzione che dichiara l'estinzione è poi reclamabile in applicazione delle regole generali, e segnatamente in forza del combinato disposto degli artt. 630, ultimo comma, e 562 c.p.c..
Malgrado in dottrina non vi sia uniformità di vedute, deve ritenersi parimenti reclamabile (e non impugnabile con opposizione agli atti esecutivi exart. 617 c.p.c.) anche l'ordinanza di inefficacia parziale del pignoramento, la quale, comportando necessariamente la cancellazione della trascrizione del vincolo, equivale nella sostanza ad un'estinzione parziale (in questi termini, in giurisprudenza, Cass. civ., n. 9624/2003).
Il sistema delle trascrizioni e l'accertamento della titolarità del diritto reale espropriato
Al di fuori dei casi in cui l'espropriazione forzata si dirige contro il terzo proprietario non debitore (art. 602 c.p.c.), il principio della responsabilità patrimoniale stabilito dall'art. 2740 c.c. presuppone che i beni aggrediti in sede esecutiva appartengano al debitore.
Il giudice dell'esecuzione è dunque chiamato a verificare d'ufficio la titolarità, in capo all'esecutato, del diritto reale sul bene immobile oggetto di pignoramento attraverso l'esame della documentazione prodotta dal creditore procedente ai sensi dell'art. 567, comma 2, c.p.c. ovvero allo scopo integrata ai sensi del terzo comma della medesima disposizione.
Il controllo sulla titolarità dell'immobile staggito, come si è visto, viene condotta sulla scorta dei certificati delle trascrizioni a favore e a carico dell'esecutato: in questa prospettiva, è sufficiente che dalla documentazione emerga la trascrizione di un titolo di acquisto a favore del debitore esecutato e l'assenza di successive trascrizioni, a carico dello stesso, relative ad atti di disposizione del bene compiuti in epoca antecedente la trascrizione del pignoramento.
È evidente che si tratta di una verifica di carattere formale, basata cioè su indici di appartenenza del bene desumibili dalle risultanze dei registri immobiliari, e non sostanziale, se è vero che la trascrizione immobiliare in sé considerata, avendo natura meramente dichiarativa, non attribuisce la titolarità del diritto reale in capo al soggetto a cui favore risulta presa.
Tale rilievo ha condotto la migliore dottrina ad affermare che non è l'esistenza del diritto, ma il dato formale connesso al sistema della pubblicità immobiliare ad assumere rilevanza nel processo esecutivo e che la titolarità del diritto sul bene immobile pignorato in capo all'esecutato, di conseguenza, non è un presupposto dell'espropriazione immobiliare, atteso che «la legge processuale, richiedendo solo che il diritto espropriando appaia dalle trascrizioni, si accontenta di un indizio di appartenenza, che ben potrà essere dimostrato infondato nel processo iniziato dal terzo in via di opposizione o, successivamente alla vendita, contro l'acquirente» (Tarzia, L'oggetto del processo di espropriazione, Milano, 1961, pag. 358)
Analogamente, la Corte di cassazione ha riconosciuto che, sebbene il controllo della documentazione richiesta dall'art. 567 c.p.c. serva ad acclarare che dai registri immobiliari risulti trascritto l'acquisto del bene a favore dell'esecutato e non risultino contro di lui trascrizioni successive, anteriori al pignoramento, relative ad atti che abbiano comportato la dismissione del diritto assoggettato ad espropriazione, né l'ordinanza di vendita né il decreto di trasferimento contengono però un accertamento in ordine all'appartenenza del bene al soggetto in confronto del quale l'esecuzione è stata intrapresa, posto che all'accertamento della (non) appartenenza del bene all'esecutato è preordinato, nel corso del processo di esecuzione, il rimedio dell'opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. (Cass. civ., n. 11090/1993).
L'accoglimento di una simile impostazione ricostruttiva dovrebbe coerentemente portare ad escludere che la prova dell'appartenenza del bene all'esecutato possa essere fornita dal creditore con mezzi diversi e alternativi rispetto a quello della trascrizione: come si avrà modo di dire più avanti, nella prassi giudiziaria si sono però delineate posizioni non sempre omogenee sul piano della individuazione delle concrete modalità attraverso le quali la suddetta prova deve essere veicolata all'interno del processo esecutivo.
La trascrizione degli acquisti per successione mortis causa
Si è detto che nel processo esecutivo spetta al giudice dell'esecuzione verificare d'ufficio la titolarità, in capo al debitore esecutato, del diritto reale pignorato sul bene immobile attraverso l'esame della certificazione ipotecaria acquisita agli atti della procedura, dalla quale deve risultare la trascrizione di un titolo di acquisto in suo favore.
Nel caso, non infrequente, in cui sia sottoposto a pignoramento un bene immobile del quale il creditore procedente assuma la titolarità in capo al debitore esecutato per acquisto fattone in qualità di erede, poiché l'eredità si acquista con l'accettazione (art. 459 c.c.), la verifica del giudice ha ad oggetto la trascrizione dell'accettazione espressa o tacita dell'eredità.
Il codice civile prevede la trascrizione degli acquisti a causa di morte all'art. 2648 c.c.: in caso di accettazione espressa dell'eredità, il titolo da trascrivere è rappresentato dall'atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata contenente la dichiarazione di accettazione (secondo comma); in caso di accettazione tacita dell'eredità, che si verifica quando il chiamato compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettazione e che non avrebbe il diritto di compiere se non nella qualità di erede, la trascrizione può essere richiesta sulla base dell'atto che importa accettazione, sempre che esso risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (terzo comma).
È appena il caso di notare che l'acquisto della qualità di erede prescinde dalla trascrizione eseguita a norma dell'art. 2648 c.c., così come da questa prescinde l'individuazione del vero erede, posto che la trascrizione dell'acquisto mortis causa non vale a dirimere il conflitto tra più aventi causa dallo stesso autore ai sensi dell'art. 2644 c.c., non potendosi configurare alcun conflitto tra due acquirenti mortis causa dal medesimo de cuius, dato che almeno uno sarà privo di titolo valido ed efficace.
La trascrizione dell'accettazione dell'eredità assicura però il rispetto del principio della continuità delle trascrizioni di cui all'art. 2650 c.c., attribuendo efficacia alle successive trascrizioni o iscrizioni eseguite a carico dell'erede e relative a beni dell'eredità (in questi termini, Cass. civ., n. 11638/2014 che richiama Cass. civ., n. 1048/1995). In questo modo, il legislatore ha inteso conferire certezza e stabilità agli acquisiti da parte di terzi di beni aventi provenienza successoria, analogamente a ciò che avviene per la trascrizione degli acquisiti tra vivi a titolo derivativo: pertanto, qualora l'erede non abbia curato la trascrizione a proprio favore dell'acquisto successorio, le successive trascrizioni riguardanti gli atti di disposizione dei beni ereditari posti in essere a favore di terzi rimarranno inefficaci fino a che non si sia provveduto a ripristinare la continuità delle trascrizioni a norma dell'art. 2648 c.c..
Si è peraltro posto il problema se il principio di continuità delle trascrizioni, espresso dall'art. 2650 c.c. e ritenuto pacificamente applicabile anche con riferimento al decreto di trasferimento emesso dal giudice dell'esecuzione a norma dell'art. 586 c.p.c. (in quanto atto che determina il trasferimento della titolarità del diritto reale sul bene staggito), trovi applicazione anche rispetto alla trascrizione del pignoramento, e dunque se l'omessa trascrizione dell'acquisto mortis causa a favore dell'esecutato possa rendere inefficace il vincolo di indisponibilità sui suoi beni, almeno fino alla regolarizzazione della sequenza delle trascrizioni.
Se il dibattito in dottrina non può dirsi ancora sopito, in giurisprudenza si ritiene oramai che l'art. 2650 c.c. operi anche con riferimento al pignoramento: pertanto, «se la trascrizione dell'acquisto mortis causa non è effettuata, le trascrizioni ed iscrizioni successive, compresa la trascrizione del pignoramento, non producono effetto a carico dell'acquirente successivo, ai sensi dell'art. 2650, comma 1; ma se, ai sensi dell'art. 2650, comma 2, la continuità viene ripristinata, le successive trascrizioni ed iscrizioni producono effetto secondo il loro ordine rispettivo», salvo che non vi siano trascrizioni o iscrizioni intermedie e non operi dunque l'art. 2644 c.c. (cfr. Cass. civ., n. 11638/2014 cit.).
Ne consegue che, trascritta l'accettazione dell'eredità e ripristinata la continuità delle trascrizioni pur dopo la trascrizione del pignoramento, quest'ultimo mantiene i suoi effetti e la trascrizione del successivo decreto di trasferimento avrà, a sua volta, effetto contro coloro che abbiano iscritto o trascritto diritti in epoca successiva alla trascrizione del pignoramento, in forza dell'effetto prenotativo da quest'ultima garantito ai sensi dell'art. 2919 c.c..
(Segue) gli orientamenti interpretativi formatisi in seno alla giurisprudenza di merito
Nelle ipotesi di pignoramento eseguito su beni di provenienza ereditaria, la prassi ha individuato soluzioni assai diverse con riferimento al caso in cui non risulti trascritto a favore dell'esecutato l'acquisto a titolo successorio: e infatti, i giudici delle esecuzioni a volte hanno immediatamente dichiarato estinta la procedura ordinando la cancellazione della trascrizione del pignoramento, altre volte, in presenza di diversi indizi di appartenenza, hanno richiesto al creditore procedente di eseguire la trascrizione prima di ordinare la vendita, altre volte ancora hanno consentito di sanare il difetto di trascrizione ripristinando la continuità anche dopo l'istanza di vendita ma prima del trasferimento del diritto sul bene subastato, con onere a carico del creditore o del professionista delegato alle vendite.
Secondo una prima impostazione, quando dalla documentazione ipocatastale depositata a corredo dell'istanza di vendita non emerge un'accettazione espressa o tacita dell'eredità ovvero manca un atto o una sentenza da cui risulti accertato l'acquisto anche ex lege della qualità di erede, la procedura esecutiva va dichiarata estinta (o, più correttamente, improcedibile) e va ordinata la cancellazione della trascrizione del pignoramento.
Più in particolare, occorre distinguere tra due fattispecie.
Nel caso di accettazione espressa o di accettazione tacita che risulti da atto pubblico o scrittura privata autenticata o da sentenza non trascritte, il giudice ne richiede la trascrizione ai sensi dell'art. 2648 c.c., da eseguirsi anche dopo la trascrizione del pignoramento, poiché tale formalità è richiesta non al fine di dirimere i conflitti tra più aventi causa dal medesimo autore (art. 2644 c.c.), bensì per assicurare la continuità delle trascrizioni, che per legge può essere sanata ex post in virtù dell'effetto prenotativo di cui all'art. 2650 c.c..
La trascrizione va curata dal creditore procedente o da altro creditore intervenuto, non essendovi alcuna ragione per porre l'incombente a carico dell'ufficio esecutivo o del professionista delegato a norma dell'art. 591-bis c.p.c..
Se invece non vi sono atti di accettazione espressa o tacita dell'eredità, il creditore procedente deve prima procurarsi il titolo da trascrivere a favore del debitore, esperendo l'actio interrogatoria ex art.481 c.c. o l'ordinaria azione di accertamento (eventualmente con le forme previste dall'art. 702-bis e ss. c.p.c.), e soltanto dopo potrà agire esecutivamente contro l'erede.
Secondo tale impostazione, quindi, l'accertamento della qualità di erede in capo al debitore esecutato (o ai suoi danti causa) mediante la trascrizione di un atto di accettazione, espressa o tacita, dell'eredità deve necessariamente precedere, e non seguire, il pignoramento, poiché solo in questo caso il processo esecutivo può dirsi validamente instaurato nei confronti del debitore e può ritenersi, al contempo, pienamente assicurata la continuità delle trascrizioni e la legittimità ed efficacia del trasferimento forzato del diritto reale immobiliare a norma dell'art. 2650 c.c..
La procedura esecutiva avviata su beni di provenienza ereditaria in assenza di una trascrizione a favore dell'esecutato, non potendo essere sanata dal successivo accertamento del titolo di acquisto, non potrebbe allora che essere dichiarata improcedibile.
Accanto a questa prima tesi, particolarmente rigorosa e da molti ritenuta penalizzante per le ragioni dei creditori, si sono venute delineando posizioni meno rigide, maggiormente inclini ad ammettere – a determinate condizioni e secondo modalità procedimentali talvolta differenti – la possibilità per il creditore di ripristinare a posteriori, ossia dopo il pignoramento, la sequenza delle trascrizioni.
Alcuni tribunali, muovendo dall'assunto che la trascrizione dell'acquisto a causa di morte in favore del debitore esecutato o dei suoi danti causa può essere eseguita anche dopo la trascrizione del pignoramento, sanando ex post la continuità delle trascrizioni (art. 2650, comma 2, c.c.), e che lo stesso creditore può curare la trascrizione del titolo ai sensi dell'art. 2666 c.c., hanno perciò ritenuto di poter concedere al creditore procedente o ad altro creditore intervenuto un termine, eventualmente ai sensi dell'art. 567, comma 3, c.p.c., per trascrivere un qualsivoglia atto pubblico, scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente ovvero sentenza contenenti una dichiarazione o un atto che importi accettazione dell'eredità devoluta al debitore esecutato a norma dell'art. 2648, comma 3, c.c..
In questa prospettiva, la trascrizione del titolo di acquisto iure successionis in capo al debitore esecutato viene a configurare un onere a carico del creditore, da assolvere anche in pendenza di procedura purché prima della autorizzazione della vendita exart. 569 c.p.c..
Una variante applicativa della prassi appena descritta è quella che prevede che il giudice dell'esecuzione, rilevato il difetto di continuità nella sequenza delle trascrizioni emergente dalla documentazione ipocatastale depositata dal creditore, assegni a quest'ultimo termine perentorio ai sensi dell'art. 567, comma 3, c.p.c. per integrare la documentazione sotto il profilo della provenienza del bene, sul presupposto che l'art. 567 c.p.c., pur non imponendo al creditore la regolarizzazione della continuità in sostituzione del debitore, certamente gli crea un onere in tal senso ove sia interessato a procedere alla vendita forzata; onere che consiste non solo nel dare la prova dell'avvenuta regolarizzazione, ma anche della sua idoneità ad assicurare gli effetti della continuità. Nel termine concesso, però, il creditore non è tenuto a trascrivere il titolo a favore dell'esecutato ma può anche limitarsi a dar prova di essersi attivato per conseguirlo, producendo la nota di trascrizione della domanda giudiziale volta all'accertamento della qualità di erede del debitore: in tal caso il giudice, se da un lato non può ancora dar corso all'istanza di vendita, dall'altro non può neppure rigettarla ed estinguere (o comunque chiudere anticipatamente) la procedura esecutiva, ma dovrà piuttosto sospendere il procedimento o concedere uno o più rinvii d'udienza in attesa della definizione del giudizio di accertamento.
Altri tribunali hanno invece riconosciuto al creditore la possibilità di regolarizzare la continuità delle trascrizioni, ove possibile, anche dopo l'ordinanza di vendita, purché prima della emissione del decreto di trasferimento, al dichiarato scopo di rendere la procedura funzionale e idonea al raggiungimento delle finalità di tutela del credito sottese al processo esecutivo.
Va infine segnalata la posizione, nettamente minoritaria nella prassi giurisprudenziale ancorché sostenuta da autorevole dottrina, secondo la quale la presenza di prove “liquide” della qualità di erede in capo all'esecutato (quali, ad esempio, la segnalazione nella perizia di stima che il chiamato è nel possesso dei beni ereditari e non ha redatto l'inventario, situazione che integra l'ipotesi di acquisto ope legis dei beni ereditari prevista dall'art. 485 c.c.) consentirebbe al giudice dell'esecuzione di disporre la vendita del compendio pignorato a prescindere dall'assenza della trascrizione e all'esito di un accertamento incidentale degli elementi costitutivi del titolo di acquisto, dovendosi semplicemente evidenziare tale mancanza nell'avviso di vendita al fine di assicurare una corretta informazione a beneficio degli interessati all'acquisto.
(Segue) la posizione della giurisprudenza di legittimità
A dirimere la questione insorta nella giurisprudenza di merito è intervenuta la Suprema Corte con la sentenza 26 maggio 2014, n. 11638, confermata dalla successiva sentenza 3 aprile 2015, n. 6833, in cui si afferma espressamente che la trascrizione dell'atto di acquisto mortis causa non è un presupposto processuale che deve esistere nel momento dell'avvio dell'azione esecutiva, potendo anche intervenire dopo la trascrizione del pignoramento, purché prima della vendita coattiva.
Il punto di partenza del ragionamento della Corte è il riconoscimento che la funzione principale che la trascrizione dell'acquisto mortis causa a favore dell'esecutato assolve nell'espropriazione immobiliare riguardante i beni di provenienza successoria non è tanto quella, pur importante, di fornire un riscontro formale in ordine all'appartenenza del bene al soggetto passivo dell'esecuzione, né è quella di risolvere i conflitti tra più aventi causa dalla stesso autore, secondo il principio enunciato dall'art. 2644 c.c.: la sua funzione, piuttosto, è di tutelare l'acquisto dell'aggiudicatario, garantendone la stabilità in caso di conflitto con gli aventi causa dall'erede apparente (nel caso in cui l'esecutato sia il vero erede) o dall'erede vero (nel caso in cui l'esecutato sia erede apparente) in base agli artt. 534 e 2652 n. 7 c.c.. Dal combinato disposto degli articoli appena richiamati si ricava infatti che il diritto acquistato dall'avente causa dall'erede apparente in buona fede prevale sul diritto vantato dall'erede vero o dal suo avente causa ove l'erede vero non abbia trascritto, in epoca antecedente alla trascrizione dell'acquirente a non domino, l'accettazione espressa o tacita dell'eredità o una domanda giudiziale di petizione dell'eredità.
Da quanto detto consegue che il processo esecutivo potrebbe astrattamente svolgersi anche se l'acquisto mortis causa non sia stato trascritto a favore del chiamato che risulti erede, ma la trascrizione, quand'anche non indispensabile ai fini dell'art. 2650 c.c. (potendo la continuità essere ripristinata, con efficacia retroattiva, da chiunque vi abbia interesse senza alcun limite temporale), è comunque fondamentale per garantire la stabilità della vendita coattiva e la tutela dell'aggiudicatario dal rischio di evizione.
Può allora affermarsi che la trascrizione dell'acquisto ereditario non costituisce un presupposto processuale che deve esistere nel momento di avvio dell'azione esecutiva, ma può anche intervenire in un momento successivo al pignoramento, purché prima della vendita coattiva; con l'ulteriore precisazione che, in mancanza della trascrizione, la vendita, una volta che il processo esecutivo si sia concluso, non sarà né invalida né inefficace ma solo assoggettabile ad evizione, con gli effetti di cui all'art. 2921 c.c. e fatta sempre salva la possibilità di ripristinare la continuità delle trascrizioni con effetto retroattivo ai sensi dell'art. 2650, comma 2, c.c. senza alcun limite temporale.
Nell'ipotesi in cui l'accettazione dell'eredità non sia stata trascritta a cura dell'erede, occorre verificare se dalla documentazione ipocatastale emergano trascrizioni “utili” che dimostrino l'intervenuto acquisto mortis causa.
In concreto, viene a prospettarsi la seguente alternativa:
a) se il chiamato all'eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita dell'eredità, il creditore procedente può richiedere, a sua cura e spese, la trascrizione sulla base di quell'atto, qualora esso risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente, anche dopo la trascrizione del pignoramento, ripristinando così la continuità delle trascrizioni ai sensi e per gli effetti dell'art. 2650, comma 2, c.c., purché prima dell'autorizzazione alla vendita ai sensi dell'art. 569 c.p.c.;
b) se invece il chiamato all'eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita dell'eredità ma questo non sia trascrivibile, perché non risulta da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, ovvero se si assume che l'acquisto della qualità di erede sia seguito ex lege ai fatti di cui agli artt. 485 o 527 c.c., non risultando questo acquisto dai pubblici registri, la vendita coattiva del bene pignorato ai danni del chiamato presuppone che la qualità di erede sia accertata con sentenza.
Con specifico riferimento alla seconda ipotesi (l'unica realmente problematica), deve rammentarsi che alcuni interpreti sostengono che il giudice dell'esecuzione potrebbe delibare incidentalmente, ai soli fini del processo esecutivo, l'acquisto della qualità di erede e dei beni ereditari (in questi compreso il bene pignorato) da parte del chiamato all'eredità assoggettato ad espropriazione immobiliare, quantomeno nelle ipotesi in cui vi siano indici documentali in tal senso risultanti dalla documentazione prodotta exart. 567 c.p.c. (come, ad esempio, in presenza di una denuncia di successione trascritta o di voltura catastale), eventualmente abbinati a dati di fatto significativi (come il possesso dei beni ereditari al momento dell'apertura della successione).
In senso contrario si è però osservato che un simile accertamento, in quanto compiuto in sede esecutiva, non solo non sarebbe idoneo al giudicato, ma nemmeno consentirebbe di rispettare il principio della continuità delle trascrizioni, rendendo possibile, per un verso, la sopravvenienza di una rinuncia all'eredità da parte dell'esecutato e, per altro verso, il rischio di evizione dell'aggiudicatario.
E d'altro canto, poiché al giudice dell'esecuzione è precluso l'accertamento, sia pure incidentale, della titolarità del diritto reale sul bene pignorato in capo all'esecutato per acquisto inter vivos, qualora questo non risulti dai pubblici registri, non risulterebbe coerente, sul piano sistematico, ipotizzare una deroga in presenza di acquisti mortis causa.
E allora, muovendo da tutte le considerazioni sin qui svolte, deve ritenersi che, quando non sia trascritto l'acquisto mortis causa e non ricorrano le condizioni per trascrivere l'accettazione tacita dell'eredità in virtù di un atto avente la forma prescritta dall'art. 2648 c.c., il giudice dovrà concedere ai creditori interessati un termine perentorio per integrare la documentazione ipocatastale ai sensi dell'art. 567, comma 3, c.p.c..
Riferimenti
Astuni, Il deposito della documentazione, in Demarchi, Il nuovo rito civile: le esecuzioni, Milano, 2006;
Montanaro, Art. 567 c.p.c. – istanza di vendita, in AA.VV., Commentario alle riforme del processo civile- Processo di esecuzione, a cura di Briguglio e Capponi, Padova, 2007, II, pp. 297 ss.;
Rizzi, La vendita e l'assegnazione (Artt. 567-569), in Arieta – De Santis – Didone (a cura di), Codice commentato delle esecuzioni civili, Milano, 2016, pp. 1235 ss.;
Saija, La certificazione ipocatastale (art. 567 c.p.c.). La continuità delle trascrizioni (art. 2650 c.c.). Il titolo di provenienza ereditario, in Fontana-Romeo (a cura di), Il nuovo processo di esecuzione, Padova, 2015, pp. 596 ss.;
Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova, ultima ed., pp. 795 ss..