Eccezioni di inadempimentoFonte: Cod. Civ. Articolo 1460
22 Febbraio 2016
Inquadramento
L'eccezione di inadempimento (exceptio non adimpleti contractus) è la facoltà della parte contrattuale di sospendere l'adempimento se l'altra parte non esegue o non offre di eseguire la controprestazione (art. 1460, comma 1, c.c.). Viene così recepito il brocardo di epoca romana «inadimplenti non est adimplendum». Presupposti dell'eccezione sono la corrispettività delle prestazioni e l'inadempimento della controprestazione. La Dottrina tende a collocare l'exceptio ex art. 1460 c.c. nell'ambito degli strumenti di autotutela negoziale poiché il “provvedimento” rimediale è assunto direttamente dal contraente senza necessità di ricorrere al giudice. La “reazione” della parte negoziale è giustificata dal suo interesse a non privarsi della prestazione senza avere il vantaggio della controprestazione quanto a dire – secondo un'espressione invalsa in dottrina - «a non essere messa in una situazione di diseguaglianza rispetto alla controparte». Queste considerazioni lumeggiano la funzione dell'istituto, ossia garantire l'eguaglianza delle posizioni delle parti nell'esecuzione del contratto. L'art. 1460 comma 2 c.c. limita, espressamente, l'operatività dell'istituto là dove il rifiuto a eseguire la prestazione sia contrario a buona fede, tenuto conto delle circostanze rebus sic stantibus. In linea di principio, l'eccezione è contraria al criterio della correttezza nel caso in cui provochi per il debitore delle conseguenze eccessivamente onerose. L'eccezione di inadempimento è pure contraria a buona fede quando pregiudica un diritto fondamentale della persona. In ogni caso, non può essere esperita l'autotutela a fronte di un inadempimento di scarsa rilevanza e, quindi, di lieve importanza. Giova ricordare che la disciplina prevista dall'art. 1460 c.c., implicando la sospensione della prestazione della parte non inadempiente, presuppone un contratto non ancora risolto; pertanto, nel caso in cui il negozio sia sciolto, l'istituto non è applicabile (Cass. civ., sent., 6 marzo 2015 n. 4616).
Le "difese" sono, in generale, le posizioni assunte dal convenuto per contrapporsi alla domanda. Possono consistere nella esposizione di ragioni giuridiche o in prese di posizione rispetto ai fatti prospettati dall'attore. Queste ultime potranno, a loro volta, consistere in prese di posizione che si limitano a negare l'esistenza di fatti costitutivi del diritto («mere difese»), oppure nella contrapposizione di altri fatti che privano di efficacia i fatti costitutivi, o modificano o estinguono il diritto. Il codice civile, all'art. 2697, comma 2, definisce questa seconda operazione difensiva introducendo il termine «eccezione» e pone l'onere della prova dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi oggetto delle eccezioni a carico del convenuto. All'interno della categoria generale delle eccezioni, si delinea poi la sottocategoria delle «eccezioni in senso stretto», che presenta un regime giuridico peculiare. Rilevano a tal fine la norma per cui «(il giudice) non può pronunciare d'ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti» (art. 112, seconda parte, c.p.c.), alla quale si ricollega la previsione per cui il convenuto, nella comparsa di risposta «a pena di decadenza deve proporre le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio» (art. 167, comma 2, c.p.c.). Sul piano pratico la distinzione che più conta non è tanto quella tra mere difese ed eccezioni, quanto quella che isola le eccezioni in senso stretto, soggette a decadenza, se non vengono tempestivamente proposte, e non rilevabili d'ufficio (Cass. civ., sez. un., sent., 16 febbraio 2016 n. 2951). L'eccezione in senso stretto corrisponde all'esercizio di un diritto potestativo da parte del convenuto, il cui utilizzo in giudizio da parte del titolare è necessario perché si verifichi il mutamento della situazione giuridica. In questi casi la manifestazione della volontà dell'interessato come elemento integrativo della fattispecie difensiva esclude che, pur acquisita al processo la conoscenza di fatti rilevanti, possa il giudice desumerne l'effetto senza l'apposita istanza di parte (Cass. civ., sez. U., sent., 3 febbraio 1998 n.1099). Ebbene, in questa cornice di principi e regole, l'autotutela ex art. 1460 c.c. costituisce una eccezione in senso stretto, come tale non rilevabile d'ufficio, come hanno avuto modo di chiarire espressamente le Sezioni Unite (v. obiter dictum in Cass. civ., sez. U., sent., 27 luglio 2005 n. 15661). In particolare, secondo la giurisprudenza di legittimità, il giudice non ha il potere di rilevare d'ufficio l'eccezione di inadempimento in assenza di un'attività di impulso (tempestiva) della parte (Cass. civ., sez. II, sent., 16 marzo 2011 n. 6168). Questo orientamento – da ritenersi del tutto consolidato – non convince parte della Dottrina là dove afferma che il giudice avrebbe il potere di dichiarare legittimo il comportamento della controparte anche quando l'inadempimento soltanto risulti dagli atti. L'indirizzo della giurisprudenza è, in parte, mitigato là dove afferma che l'eccezione ex art. 1460 c.c. non richiede l'adozione di forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà della parte di sollevarla (onde paralizzare l'avversa domanda di adempimento) sia desumibile, in modo non equivoco, dall'insieme delle sue difese e, più in generale, dalla sua condotta processuale (Cass. civ., sez. II, sent., 5 agosto 2002 n. 11728).
La giurisprudenza fa sovente ricorso all'eccezione di inadempimento, ricollegandone l'operatività ai requisiti costitutivi generali (corrispettività delle prestazioni e inadempimento). Un settore in cui l'exceptio non rite adimpleti contractus è ricorrente, è quello giuslavoristico, ritenendo la giurisprudenza (condivisibilmente) che l'istituto ex art. 1460 c.c. sia applicabile anche nel contratto di lavoro. In particolare, la Suprema Corte è tetragona nell'affermare che una condotta datoriale illecita giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore in attuazione di un'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c..; così, ad esempio, si è ritenuto legittimo il rifiuto del lavoratore di raggiungere un'altra sede ove trasferito dal datore con provvedimento illegittimo (Cass. civ., sez. lav., sent., 3 novembre 2015 n. 22421).
Secondo una giurisprudenza che appariva consolidata, il fondamento dell'eccezione di inadempimento non dovrebbe essere provato dall'eccipiente convenuto in adempimento; dovrebbe, invece, essere l'attore a dare prova del proprio diritto alla prestazione anticipata oppure la prova di avere già adempiuto, o di essere pronto ad adempiere (Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1998 n. 5306; Cass. civ., sez.III, 7 maggio 1994 n. 2204; Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1992 n. 13445), salvo che il convenuto eccepisca non l'inadempimento (exceptio non adimpleti contractus), bensì l'inesattezza dell'adempimento (exceptio non rite adimpleti contractus), nel qual caso graverebbe sull'eccipiente l'onere di dimostrare tale inesattezza (Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2000 n. 1457; Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1996 n. 9825). La materia è stata, però, diversamente regolata dalle Sezioni Unite: secondo il giudice della nomofilachia, il creditore, sia che agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l'inadempimento della controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento. Eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile nel caso in cui il debitore, convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno da inadempimento, si avvalga dell'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c. per paralizzare la pretesa dell'attore (Cass. civ., sez. un., sent., 30 ottobre 2011 n. 13533) risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione (Cass. civ., sez. III, sent., 12 febbraio 2010 n. 3373).
Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, è sufficiente al creditore della prestazione la mera allegazione dell'inesattezza della prestazione, gravando sul debitore l'onere della prova contraria (Cass. civ., sez. U., sent., 30 ottobre 2011 n. 13533): il principio non trova deroga nel caso in cui l'inesatto adempimento sia posto a fondamento dell'eccezione di cui all'art. 1460, c.c. (cfr. Cass. civ., sez. I, 13 giugno 2006, n. 13674; Cass. civ., sez. V, 9 febbraio 2004, n. 2387).
Eccezioni di inadempimento e processo
Proposte domanda di adempimento ed eccezione d'inadempimento, il giudice può emettere una sentenza condizionata, condannando il convenuto all'adempimento, subordinatamente a quello dell'attore (Cass. civ., n. 774 del 1965). Taluni, in dottrina, criticano una siffatta soluzione contestando, invero, la stessa legittimità delle pronunce condizionali. Vi è, però, che per il principio di economia dei giudizi, sono ammesse nel nostro ordinamento le sentenze nelle quali l'efficacia della condanna è subordinata al determinarsi di un determinato evento futuro ed incerto o al sopravvenire di un termine o all'adempimento di una controprestazione, in quanto con esse non si pronuncia una condanna da valere per il futuro se e in quanto sia giudizialmente accertato il verificarsi di un evento, ma si accerta l'esistenza attuale dell'obbligo di eseguire una determinata prestazione ed il condizionamento pure attuale di tale obbligo al verificarsi di una circostanza ulteriore il cui avveramento si presenta differito ed incerto, purché il verificarsi di tale circostanza non debba essere il frutto di altri accertamenti di merito da svolgersi in un ulteriore giudizio di cognizione ma possa essere semplicemente fatto valere in sede esecutiva mediante opposizione all'esecuzione (così, Cass. civ., 13 aprile 2000 n. 4809; Cass. civ., 9 luglio 2009 n. 16135; Trib. Lamezia, 1 marzo 2013; Trib. Catanzaro, sez. II, sent., 13 ottobre 2015, est. L. Nania). È possibile che, nel medesimo processo, entrambe le parti abbiano sollevato l'eccezione di inadempimento: in questo caso il giudice deve procedere a un giudizio comparativo di carattere oggettivo (Cass. civ., n. 4457 del 1982) accertando quale sia il contraente che, con il proprio comportamento prevalente, ha alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell'altra parte (Cass. civ., sez. II, sent., 11 giugno 2013 n. 14648). L'eccezione ex art. 1460 c.c. può essere sollevata anche nel processo instaurato per la risoluzione del contratto, al fine di paralizzarla. Sono, però, necessarie delle precisazioni. Nei contratti a prestazioni corrispettive, la pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, facendo venir meno la causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta l'insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell'obbligo di restituzione della prestazione ricevuta, indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempimento, con un effetto liberatorio ex nunc rispetto alle prestazioni da eseguire ed un effetto recuperatorio ex tunc rispetto alle prestazioni eseguite. Ne consegue che l'eccezione “inadimplenti non est adimplendum” può paralizzare la richiesta della controprestazione relativa alla prestazione già eseguita, ma non quella relativa alla parte della prestazione che non sia stata restituita né offerta in restituzione (Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2014 n. 4442). La giurisprudenza ha anche delineato i rapporti tra clausola risolutiva espressa ed eccezione ex art. 1460 c.c. Secondo la Suprema Corte, anche quando la parte interessata abbia manifestato la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa, il giudice deve valutare l'eccezione di inadempimento proposta dall'altra parte, attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all'avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell'art. 1456 c.c., dall'accertamento di un inadempimento colpevole (Cass. civ., sez. II, sent., 16 settembre 2013 n. 21115). Riferimenti
BIANCA C.M., Eccezione di inadempimento e buona fede in Realtà sociale ed effettività della norma, II, 2, Milano, 2002; BIANCA C.M., Istituzioni di Diritto privato, Milano, 2014, 541; BIGLIAZZI GERI, Eccezione d'inadempimento in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., VII, 331; CIAN, TRABUCCHI (a cura di), Commentario breve al codice civile, Torino, 2011; PERSICO, L'eccezione d'inadempimento, Milano, 1955; SANFILIPPO C., Istituzioni di diritto romano, Rubettino Ed., 1996, 330. Bussole di inquadramento |