Eccezioni di transazioneFonte: Cod. Civ. Articolo 1965
03 Aprile 2016
Inquadramento
L'eccezione di transazione introduce nel processo un evento di fatto, costituito dall'essere intervenuto un accordo tra le parti che ha risolto la controversia sottoposta alla cognizione del giudice. La deduzione avente ad oggetto questo intervenuto accordo fa valere nel giudizio un evento, in genere maturato al di fuori da esso, che si risolve nell'essere stati composti i contrastanti interessi delle parti, per effetto di una loro intesa, di natura sostanziale. La composizione extragiudiziale degli interessi litigiosi si ripercuote sul processo come causa della sua successiva inutilità. La transazione comporta la superfluità della prosecuzione del giudizio, per esser venuto meno il motivo del contendere: e l'eccezione di transazione ha lo scopo di far dichiarare dal giudice l'avvenuta cessazione della materia del contendere. La transazione oggetto di eccezione
La transazione è un contratto tipico, regolato dagli s. c.c. . Essa è detta conservativa se le parti si limitano a regolare il rapporto preesistente, mediante reciproche concessioni. È denominata novativa quando stabilisce, per le parti, obbligazioni totalmente nuove rispetto a quelle precedenti. Questa distinzione è indifferente ai fini dell'estinzione della lite in corso, essendo rilevante soltanto il dato costituito da una avvenuta regolazione della materia, oggetto di lite, che rende inutile la prosecuzione del processo. Una nozione ampia di “transazione”, caratterizzata da questo risultato, vi fa ricomprendere tutte le forme nelle quali la volontà delle parti conduce ad un accomodamento, dei loro rapporti, che viene a incidere sul processo pendente, nel senso di renderlo non più conforme ai loro interessi (ad esempio, per una conciliazione extragiudiziale oppure per espresso riconoscimento delle ragioni di controparte). Per transazione deve intendersi, dunque, qualsiasi atto stragiudiziale che pone termine alla lite (Cass. civ., sez. lav., 25 marzo 2010, n. 7185 ;Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2009, n. 12887 ).La cessazione della materia del contendere
A differenza dalla rinunzia agli atti del giudizio, la transazione incide sul diritto sostanziale che costituisce l'oggetto del processo. Il codice di procedura non disciplina espressamente questa situazione e la giurisprudenza ha in proposito creato una categoria concettuale che raccoglie le fattispecie nelle quali deve dichiararsi ormai definita, in via sostanziale, la controversia. Non essendo previste altre formule di pronuncia, si fa ricorso a quella di «cessazione della materia del contendere». L'avvenuta transazione tra le parti in lite non è che una fattispecie di questa categoria di definizione del giudizio. Come la rinunzia, anche la transazione conduce ad una conclusione del processo ma essa non ne cagiona l'estinzione, dal momento che non rientra nelle previsioni degli artt. 306 e307 c.p.c . . Essa opera come una causa che esclude l'interesse al processo e la pronuncia del giudice si limita a darne atto, con una decisione di natura processuale, inidonea al giudicato (Cass. civ., sez. III, 6 maggio 2010, n. 10960 ;Cass. civ., sez. lav., 25 marzo 2010, n. 7185 ;Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2009, n. 12887 ).La cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso. Se l'esistenza di una transazione è dedotta da una sola delle parti, in via di eccezione rispetto ad istanze sostenute ex adverso, si pone il problema, per il giudice, di accertare la verità del fatto allegato e di verificare se l'accordo abbia effettivamente risolto tutti i punti controversi della materia del decidere portata alla sua cognizione. Occorre stabilire se la situazione sopravvenuta soddisfi in modo pieno e irretrattabile il diritto esercitato nel giudizio, in modo che non residui alcuna utilità alla pronuncia di merito ( Cass. civ., sez. lav., 23 marzo 2009 ;Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2007, n. 4034 ). Il controllo, in proposito, costituisce un dovere, per il giudice, ed è tipicamente compito del giudice di merito (Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 2003, n. 2647 ).Eccezioni in senso lato ed eccezioni in senso stretto
c.p.c. pone la regola per cui il giudice non può pronunciare d'ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti. Su questa norma si fonda la distinzione tra eccezioni in senso stretto, appunto quelle che possono essere proposte soltanto dalle parti, ed eccezioni in senso lato, costituite dalle situazioni che possono essere conosciute e rilevate d'iniziativa dal giudice. A proposito di questa distinzione, si afferma, in dottrina, che l'eccezione in senso stretto può essere definita come il diritto, di colui che resiste alla domanda, ad ottenere che il provvedimento, sul merito di questa, tenga conto anche dei fatti impeditivi, modificativi, estintivi la cui allegazione è affidata soltanto alla sua disponibilità. Le eccezioni in senso lato si fanno coincidere con le semplici difese, le quali si risolvono in argomentazioni e non sono soggette al regime della tempestività della loro proposizione.
La giurisprudenza ritiene che l'eccezione di transazione costituisce una fattispecie di eccezione in senso lato, come tale non riservata alla deduzione di parte ma rilevabile anche d'ufficio. Su questo punto esiste una sufficiente convergenza interpretativa. Si diverge, invece, in ordine alla individuazione delle condizioni alle quali sono subordinati il rilievo d'ufficio e la proposizione dell'eccezione di parte. Coerenza di principi vorrebbe che, se l'eccezione in argomento ha natura di eccezione in senso lato (e, dunque, di mera difesa), la transazione potesse essere rilevata anche senza che l'indicazione da farsi dalla parte debba rispettare, necessariamente, le preclusioni e le decadenze processuali imposte per l'esercizio delle attività delle parti. Proprio con riferimento all'eccezione di transazione questa coerenza è posta in crisi. Per alcune pronunce è sufficiente che il fatto transattivo risulti, comunque, dagli atti, sì che la relativa pronuncia è consentita in qualunque stato e grado del processo ( civ., sez. I, 24 ottobre 2012, n. 18195 ;Cass. civ., 20 settembre 2012, n. 15931 ;Cass. civ., 7 marzo 2006, n. 4883 ). Per altre decisioni il rilievo della transazione ad opera del giudice è possibile soltanto se i fatti sui quali deve essere fondato sono stati acquisiti al processo ritualmente: vale a dire, nel rispetto delle norme e dei tempi che regolano le allegazioni e le deduzioni delle parti (Cass. civ., sez. III, 18 ottobre 2012, n. 17896 ). Le decisioni in tal senso si inseriscono in un più ampio filone interpretativo che risale alla pronuncia delle sezioni Unite 3 febbraio 1998, n. 1099, per la quale la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi, configuranti eccezione, presuppone che essi risultino dal materiale probatorio legittimamente acquisito, nel rispetto delle preclusioni e decadenze previste a carico delle parti: e soltanto a queste condizioni può essere esercitato il potere di rilievo d'ufficio (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 4952 , in tema di nullità;Cass. civ., 7 aprile 2000, n. 4392 ;Cass. civ., 30 gennaio 2006, n. 2035 ).La conseguenza che deriva da questo indirizzo è rilevante, posto che, secondo questo modo di vedere, la parte interessata ha l'onere di proporre l'eccezione nella prima difesa utile; e, in ogni caso, con l'osservanza delle preclusioni e delle decadenze regolatrici delle attività dei contendenti nel giudizio.
Una regola suscettibile di giustificare il contrasto
Una non recente pronuncia della Corte di cassazione ( sez. III, 22 giugno 2007, n.14581 ) fornisce un criterio che verosimilmente può essere utilizzato per comprendere le ragioni del contrasto interpretativo relativo agli oneri facenti capo alla parte che intende far valere nel giudizio l'avvenuta composizione della lite, per effetto di una transazione. Secondo il principio affermato da questa decisione, occorre effettuare una distinzione:
La decisione citata si riferiva ad altra fattispecie, ma il principio enunciato può essere utilizzata nel caso dell'eccezione di transazione, per definizione rivolta a far constare nel processo un accordo tra le parti, esterno al giudizio, di avvenuta composizione dei loro privati interessi.
Eccezione di transazione nel giudizio di appello
s ez. III , s ent . 20 settembre 2012, n. 15931 ), l'estinzione dell'obbligazione per effetto di una transazione conclusa dopo l'introduzione del giudizio può essere rilevata anche d'ufficio ed anche per la prima volta in grado di appello, se risulti da prove ritualmente acquisite. La pronuncia si discosta dall'orientamento che vuole, invece, che l'eccezione sia proposta nel rispetto delle forme e dei tempi condizionanti le allegazioni e deduzioni delle parti.La giurisprudenza non ha pronunciato in modo concorde sugli effetti della transazione intervenuta nel giudizio di legittimità. Per le Sezioni Unite della Corte di cassazione ( sent. 18 maggio 2000, n. 368 ), la transazione (o altro fatto che determina la cessazione della materia del contendere) intervenuta nel corso del processo di legittimità fa venir meno l'interesse alla definizione del giudizio con una pronuncia sul merito: e il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Secondo una precedente decisione, il giudizio va definito con la formula della dichiarazione di improcedibilità del ricorso: questo non deve essere semplicemente rigettato, perché una pronuncia in tal senso non darebbe il dovuto rilievo al venir meno dell'interesse all'impugnazione (Cass. civ., sez. lav., 27 ottobre 1997, n. 10567 ). Più di recente si è affermato che le sentenze di merito, non passate in giudicato, devono essere cassate senza rinvio, con una pronuncia sulle spese, secondo una valutazione di soccombenza virtuale (Cass . civ., sez. I, 13 settembre 2007, n. 19160 ).
Gli effetti sulle spese processuali
Come si è accennato, la Corte di cassazione aveva con la sentenza , sez. I, 13 settembre 2007, n. 19160 ) affermato che la cassazione senza rinvio delle sentenze di merito, per l'intervenuta transazione, comportava una pronuncia di ripartizione delle spese, secondo un criterio di soccombenza virtuale. Sul punto si era in precedenza dichiarato che le spese processuali dovevano essere interamente compensate tra le parti (Cass. civ., sez. lav., 12 marzo 2002, n. 3645 ). Da ultimo si è affermato che la statuizione di cessazione della materia del contendere comporta l'obbligo per il giudice di provvedere sulle spese processuali dell'intero giudizio, salva, peraltro, la facoltà di disporne motivatamente la compensazione, totale o parziale, le cui ragioni possono essere esplicitate, in via integrativa, anche in sede di gravame (Cass. civ., sez. VI -lav., ord . 17 febbraio 2016, n. 3148 ).Riferimenti
A. R. BRIGUGLIO, Conciliazione giudiziale, in Dig. disc. giur. sez. civ., II, Torino, 1988, 203 ss.; NICOLETTI, La conciliazione nel processo civile, Milano, 1963; C. PUNZI, Conciliazione e arbitrato, in Riv. dir. proc., 1992, 1028 ss.; A. SCALA, nota in Foro it., 2001, I, 954 ss.; VIANELLO, nota in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, 685 ss.. Potrebbe interessarti |