Esecutività dell’accordo (mediazione obbligatoria)

Fabio Valerini
21 Maggio 2016

L'art. 12 del d.lgs. n. 28 del 2010 riconosce all'accordo amichevole raggiunto all'esito del procedimento di mediazione, a certe condizioni, efficacia esecutiva.
Inquadramento

L'art. 12 del d.lgs. n. 28 del 2010 riconosce all'accordo amichevole raggiunto all'esito del procedimento di mediazione, a certe condizioni, efficacia esecutiva nel senso che esso «costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonche' per l'iscrizione di ipoteca giudiziale».

Si tratta, quindi, di un'efficacia esecutiva molto ampia rispetto alla quale dobbiamo analizzare le fonti (interne e comunitarie) di quella previsione, la ratio della stessa nonché le condizioni e le modalità affinché sia, in concreto, riconosciuta quell'efficacia esecutiva all'accordo amichevole raggiunto all'esito del procedimento di mediazione.

Come vedremo, infatti, il riconoscimento dell'efficacia esecutiva dell'accordo amichevole (che valorizza anche la presenza degli avvocati in mediazione) è funzionale a garantire alla mediazione civile e commerciale una sua attrattività anche nelle ipotesi in cui essa sia meramente facoltativa e, quindi, il ricorso ad essa sia esclusivamente su base volontaria.

Il riconoscimento dell'efficacia di titolo esecutivo al verbale di accordo

Il d. lgs. n. 28 del 2010 definisce la mediazione come «l'attività comunque denominata svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione della controversia».

Ecco allora che, il procedimento di mediazione raggiunge il suo scopo quando le parti raggiungono un accordo amichevole per la risoluzione della loro controversia così come previsto dall'art. 11 del d. lgs. n. 28 del 2010 in base al quale, in quel caso, «il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo».

Orbene, non vi è dubbio che l'accordo amichevole avrà la forma, generalmente, di una scrittura privata che, ex se, argomentando ex art.474 c.p.c., non ha nessuna efficacia esecutiva.

Senonché, il legislatore, ha espressamente previsto che all'accordo, proprio perché raggiunto all'esito del procedimento di mediazione, possa essere riconosciuta efficacia esecutiva.

Quel riconoscimento ha trovato la propria fonte normativa nel criterio direttivo contenuto nella lett. s) del comma 3 dell'art. 60 della l. n. 69 del 2009 in base al quale sarebbe stato necessario «prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale».

Del resto, la previsione che l'accordo amichevole possa rappresentare un valido ed efficace titolo esecutivo per ogni forma di esecuzione non è certamente incompatibile con l'idea che «gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente» come riconosciuto dalla stessa direttiva 2008/52/CE.

Ed infatti, da un lato, è vero che le parti sono generalmente propense a dare attuazione ad un regolamento contrattuale che loro stesse hanno autonomamente determinato come regolamento idoneo a soddisfare al meglio i propri interessi.

Dall'altro lato, però, il legislatore ha voluto prevedere un'ampia efficacia esecutiva al verbale che conclude positivamente il procedimento di mediazione, non tanto per esprimere una sorta di sfiducia del legislatore nell'esecuzione spontanea dell'accordo ad opera delle parti, bensì per prendere atto che, come in ogni rapporto contrattuale, sono frequenti i ripensamenti delle parti specialmente in ipotesi di conflittualità almeno nella fase iniziale.

Quel riconoscimento esprime, quindi, la consapevolezza del legislatore della necessità di prevede un sistema di enforcement del risultato finale dell'avvenuta risoluzione stragiudiziale di una controversia che prevenga un successivo comportamento non collaborativo della parte obbligata.

Ed infatti, «non v'è dubbio che la mancata efficacia esecutiva può costituire un non secondario inconveniente, tutte le volte in cui l'atto che risolve la controversia contempla, tra le regole di comportamento in esso contenute, anche obblighi ad effettuare una prestazione» (Luiso).

Ne deriva che nell'ipotesi in cui l'accordo preveda obblighi da eseguire successivamente o, magari, nel continuativamente nel tempo, se il legislatore non avesse attribuito efficacia esecutiva all'accordo conciliativo, nel caso di inadempimento, la parte adempiente avrebbe dovuto ricorrere ad un giudice (o ad un arbitro) per ottenere un titolo esecutivo giudiziale per poter procedee all'esecuzione forzata e/o per iscrivere ipoteca giudiziaria.

Il mancato riconoscimento di un'ampia efficacia esecutiva all'accordo amichevole avrebbe, quindi, avuto l'effetto di disegnare un procedimento di mediazione rappresentante «un'alternativa deteriore al procedimento giudiziario nel senso che il rispetto degli accordi delle mediazione [sarebbe dipeso] dalla buona volontà delle parti».

Questa è la ragione per la quale l'articolo 6 della direttiva europea sulla mediazione, seppur con riferimento alle controversie transfrontaliere, prevede che «gli stati membri assicurano che le parti, o una di esse con l'esplicito consenso delle altre, abbiano la possibilità di chiedere che il contenuto di un accordo scritto risultante da una mediazione sia reso esecutivo».

L'art. 12 prevede due distinte modalità attraverso le quali l'accordo può acquisire efficacia esecutiva:

  • la prima prevede che l'efficacia esecutiva può essere la conseguenza della scelta degli avvocati che hanno assistito le parti in mediazione di sottoscrivere il verbale certificando la non contrarietà all'ordine pubblico e alle norme imperative di quell'accordo;
  • la seconda prevede che l'efficacia esecutiva sia il risultato di un procedimento giurisdizionale (rectius di volontaria giurisdizione) volto al riconoscimento dell'omologazione dell'accordo di mediazione previa verifica della regolarità formale del verbale e della non contrarietà all'ordine pubblico e alle norme imperative.
L'efficacia esecutiva per effetto della sottoscrizione degli avvocati

Iniziamo, quindi, dalla prima modalità introdotta nel corpo del d.lgs. n. 28/2010 dall'art. 84, comma 1, lett. m) del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (che aveva re introdotto l'obbligatorietà della mediazione per le materia di cui all'art. 5, comma 1-bis riconoscendo un ruolo importante nel procedimento di mediazione agli avvocati).

Il primo periodo dell'art. 12 prevede che «ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonche' per l'iscrizione di ipoteca giudiziale».

Sebbene l'espressione «ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato» possa generare qualche perplessità, essa deve essere letta nel complesso del d.lgs. n. 28/2010. Ed infatti, con riferimento alla mediazione obbligatoria (per legge o perché demandata dal giudice), l'assistenza dell'avvocato in mediazione è obbligatoria. Viceversa, per le ipotesi di mediazione volontaria, quell'assistenza non è affatto prevista come necessaria.

Ecco allora che, essendo l'esecutività dell'accordo un predicato possibile, sia per la mediazione obbligatoria che per quella facoltativa, la dizione si spiega agevolmente con la costatazione che per il legislatore, in ogni caso (e, cioè, sia per la mediazione obbligatoria che per quella facoltativa), è necessaria la presenza di un avvocato per parte affinchè l'accordo di mediazione possa acquisire efficacia esecutiva secondo le modalità di cui al primo periodo del primo comma dell'art 12 (ferma restando la possibilità di omologazione e, in ogni caso, la validità ed efficacia di diritto sostanziale dell'accordo comunque raggiunto).

Occorre, però, precisare che non è sufficiente la sola sottoscrizione degli avvocati, ma è necessario un quid pluris: il legislatore ha infatti previsto che «gli avvocati attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico».

Ovviamente, quell'attestazione e certificazione – fonte di possibile responsabilità per l'avvocato – non preclude (né potrebbe mai precludere) la possibilità che una delle parti possa impugnare l'accordo ovvero contestarne l'efficacia esecutiva ex art. 615 c.p.c. in sede di opposizione all'esecuzione, ad esempio, rilevando la nullità dell'accordo per violazione delle norme di ordine pubblico.

Per effetto della sottoscrizione degli avvocati (e delle parti) dell'accordo nonché della attestazione e certificazione dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico l'accordo diviene titolo esecutivo che «deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell'art. 480, comma 2, c.p.c.» come previsto dal d.l. n. 132/2014.

L'efficacia esecutiva a seguito di omologazione

Laddove le parti non siano assistite dai rispettivi avvocati, ovvero nell'ipotesi in cui gli avvocati non intendano sottoscrivere l'accordo ai sensi e per gli effetti del primo periodo del comma 1 dell'art. 12, l'accordo amichevole può comunque acquistare efficacia esecutiva, attraverso l'omologazione dell'accordo ad opera del giudice.

Ed infatti, il comma 1 dell'art. 12 prevede espressamente che «in tutti gli altri casi l'accordo allegato al verbale e' omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico».

È bene mettere in evidenza come sebbene l'omologazione sia tecnicamente un onere a carico della parte, non costitusce un requisito indispensabile affinché l'accordo produca i propri effetti, ovvero affinché l'accordo (previa autentica delle relative sottoscrizioni) possa essere trascritto.

Distinzione tra controversie nazionali e transfrontaliere

In via preliminare, occorre distinguere tra controversie meramente interne ovvero transfrontaliere. con «transfrontaliera» si intende, ai sensi dell'art. 2 della dir. 2008/52/CE, una controversia «in cui almeno una delle parti è domiciliata o risiede abitualmente in uno Stato membro diverso da quello di qualsiasi altra parte».

Ed infatti, quella distinzione rileva sotto diversi profili.

  • La competenza per il giudizio di omologazione

In primo luogo, con riferimento alle controversie nazionali, la competenza ad omologare il verbale di accordo spetta al Presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo presso il quale si è svolto il procedimento di mediazione.

Con riferimento, invece, alle controversie transfrontaliere, la competenza ad omologare il verbale di accordo spetta al presidente del tribunale nel cui circondario l'accordo deve avere esecuzione.

  • Il procedimento di omologazione - In secondo luogo, la distinzione rileva con riferimento al procedimento di omologazione del verbale di accordo.

Ed infatti, se la controversia conciliata è nazionalel'omologazione del verbale di accordo può essere richiesta, more solito, «su istanza di parte» (e non dell'Organismo) e, quindi, senza necessità di ottenere l'accordo della controparte.

Viceversa, se la controversia conciliata è transfrontaliera l'omologazione del verbale di accordo può essere richiesta, in base all'art. 6 della direttiva 2008/52/CE, da tutte le «parti, o una di esse con l'esplicito consenso delle altre».

Quanto al procedimento, il presidente del tribunale dovrà seguire le norme relative al procedimento in camera di consiglio unilaterale (e, cioè, senza necessità di convocare la controparte) riconoscendo alla parte istante che si sia vista rigettare la richiesta di omologazione la legittimazione a proporre reclamo alla Corte di appello per effetto di un'applicazione analogica dell'art. 825 c.p.c.. in materia di exequatur del lodo arbitrale.

  • La cognizione del giudice dell'omologazione

Individuato il giudice competente e il rito applicabile, dobbiamo ora esaminare in che cosa consiste l'omologazione del verbale di accordo e quale sia la sua efficacia.

Orbene, il Presidente del tribunale omologherà l'accordo previo «accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico».

Non vi è dubbio che sarà proprio nell'ambito di questo sindacato che il giudice dovrà, se del caso, rilevare che la materia oggetto dell'accordo amichevole ha come oggetto diritti indisponibili.

Peraltro, occorre mettere in evidenza che l'omologazione ha ad oggetto il verbale di accordo (e, cioè, il verbale positivo di mediazione e dell'allegato accordo amichevole) mentre l'efficacia esecutiva sarà propriamente e più correttamente dell'accordo.
Ecco allora che mentre la verifica della regolarità formale avrà ad oggetto il «verbale», la verifica del rispetto delle norme di ordine pubblico e delle norme imperative (e perché no quelle del buon costume) avrà ad oggetto l' «accordo amichevole».

Quanto alla «regolarità formale del verbale» la giurisprudenza (prima della riforma di cui al d.l. 69/2013) ha avuto modo di precisare che quel controllo si sostanzia nella verifica:

1) della sottoscrizione delle parti e del mediatore;

2) della dichiarata titolarità del sottoscrittore mediatore del suo legittimo status quale soggetto incluso nei ruoli di un organismo di conciliazione regolarmente registrato presso il Ministero della Giustizia;

3) della provenienza del verbale da un organismo iscritto nel registro ex artt. 3 e 4 d.m. n. 180 del 2010;

4) dell'inserimento nel verbale degli estremi di tale iscrizione al registro;

5) della riconducibilità dell'accordo all'ambito della mediazione ex art. 2 e cioè l'appartenenza dell'accordo alla materia civile e commerciale (cfr. Trib. Modica, 9 dicembre 2011).

Quanto al «merito» dell'accordo la giurisprudenza ha chiarito che «per procedere all'omologazione dell'accordo è necessario accertarne la regolarità formale e la conformità "all'ordine pubblico o a norme imperative" per cui la stessa va rigettata quando nel verbale manca totalmente l'indicazione del titolo posto a base dell'accordo o meglio la causa delle pretese creditorie e, data la natura del tutto astratta e non titolata dell'accordo, non è possibile accertarlo diversamente» (cfr. Trib. Firenze, 2 luglio 2015).

Ne deriva che «ai fini dell'omologazione ex art. 12 d.lg. n. 28/2010 è necessario mettere il giudice in grado di effettuare le valutazioni di sua competenza con la sintetica indicazione del titolo sottostante alle pretese creditorie».

  • L'impugnazione dell'accordo omologato

L'omologazione dell'accordo, infine, non preclude il diritto della parte nei cui confronti il titolo viene azionato di impugnare il verbale amichevole secondo e nei limiti consentiti dalle impugnative proprie del negozio giuridico (nullità, annullamento, risoluzione anche per inadempimento).

Quell'impugnazione potrà essere proposta, oltre che in via autonoma, anche nella sede dell'opposizione all'esecuzione nel caso in cui l'accordo omologato dovesse essere utilizzato come titolo esecutivo.

In quella sede, secondo le consuete regole che valgono quando il creditore agisce in via esecutiva sulla base di un titolo esecutivo stragiudiziale, il debitore esecutato potrà far valere gli eventuali vizi dell'«accordo amichevole».

Quanto ai vizi deducibili occorre, però, svolgere due precisazioni.

La prima precisazione è che i vizi deducibili comprendono anche la nullità dell'accordo amichevole per contrarietà all'ordine pubblico o a norme imperative, poiché a ciò non osta che l'accordo sia stato omologato ai fini esecutivi (né, per completezza, che sia stato certificato dagli avvocati che hanno assistito le parti in mediazione).

Ed infatti, la delibazione degli stessi profili in sede di emanazione del decreto di concessione dell'exequatur non è idonea ad impedire una nuova, o diversa, valutazione del giudice dell'impugnazione con riferimento alla questione della contrarietà dell'accordo all'ordine pubblico ovvero alle norme imperative.

Ed infatti, il giudizio di omologazione deve essere inquadrato nell'ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione e non già nell'ambito dei procedimenti di cognizione (piena ed esauriente oppure sommaria) aventi ad oggetto la validità dell'accordo amichevole con la conseguenza che il decreto è idoneo a formare il giudicato sulla questione della validità dell'accordo e, quindi, non può pregiudicare la valutazione del giudice dinnanzi al quale l'accordo sarà eventualmente impugnato.

Irrilevanza degli errores in procedendo del procedimento di mediazione

La seconda precisazione che è necessario svolgere con riferimento ai vizi denunciabili in sede di impugnazione dell'accordo (questa volta non necessariamente omologato) riguarda la violazione nel corso del procedimento di mediazione di alcune regole procedimentali.

Orbene, una volta che le parti hanno raggiunto un accordo amichevole, ed hanno, quindi, prestato il loro consenso a risolvere la lite attraverso una certa regolamentazione dei loro interessi, le modalità con le quali quell'accordo è stato raggiunto non rilevano sul piano della validità dell'accordo stesso a meno che esse non abbiano inciso sulla libera determinazione delle parti (si pensi, ad esempio, all'errore, violenza e dolo pur nei limiti in cui rilevano nelle varie tipologie di accordo).

In altri termini, non vi potrà essere spazio per impugnative negoziali con le quali si denuncino semplicemente errorer in procedendo commessi nel corso del procedimento di mediazione (ad esempio, l'incompetenza territoriale dell'organismo di mediazione o la conclusione del procedimento oltre il termine di tre mesi).

L'accordo nel quale una parte si obbliga ad una prestazione infungibile

Con riferimento all'efficacia esecutiva e all'esecutività dell'accordo occorre svolgere un cenno al tema dell'accordo conciliativo che preveda il futuro adempimento di obblighi infungibili.

Ed infatti, in quel caso, sarà opportuno che nella redazione dell'accordo amichevole si tenga a mente quanto previsto dal comma 3 dell'art. 11 e, cioè, che «l'accordo raggiunto […] può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento».

Ciò ovviamente nel senso che, sebbene quella previsione operi con riferimento a tutte le obbligazioni, per le obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni infungibili quella rimane – seppur impropriamente così definita - l'unica forma di tutela esecutiva indiretta (sul modello dell'art. 614-bis c.p.c. oggi, peraltro, a seguito del d.l. 83/2015, generalizzato a tutti gli obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro).

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