Successione nel processo

Roberta Nardone
16 Marzo 2016

L'istituto della successione nel processo disciplina il subentro del successore nella posizione processuale del dante causa, in universum ius, ossia in tutti i diritti che appartenevano al soggetto defunto o estinto. L'art. 110 c.p.c individua, quali elementi costitutivi della fattispecie il «venir meno» della parte nel corso del processo «per morte» o «per altra causa» riferendosi, da un lato, alla estinzione della persona fisica, dall'altro, a quella dell'ente che è parte in causa e richiedendo, affinché l'evento abbia rilievo, che l'estinzione avvenga lite pendente.
Inquadramento

L'istituto della successione nel processo disciplina il subentro del successore nella posizione processuale del dante causa, in universum ius, ossia in tutti i diritti che appartenevano al soggetto defunto o estinto.

L'

art.

110

c.p.c

.

individua, quali elementi costitutivi della fattispecie il «venir meno» della parte nel corso del processo «per morte» o «per altra causa» riferendosi, da un lato, alla estinzione della persona fisica, dall'altro, a quella dell'ente che è parte in causa e richiedendo, affinché l'evento abbia rilievo, che l'estinzione avvenga lite pendente.

Lo scopo della norma è ricostituire la necessaria bilateralità del processo attraverso il meccanismo della prosecuzione di questo su iniziativa del successore universale «o in suo confronto».

La norma va letta in combinato disposto con le disposizioni in tema di interruzione del processo, le quali pongono le regole attraverso cui il processo supera la soluzione di continuità determinata dal «venir meno» della parte.

Nozione di successione nel processo

Il dibattito dottrinale, con conseguenze operative di rilievo, verte sulla nozione stessa di successione nel processo. Alcuni studiosi lo riconducono ad un fenomeno di diritto stanziale con ricadute processuali, mentre altri fanno riferimento ad un fenomeno esclusivamente processuale, non dipendente da mutamenti verificatisi sul piano sostanziale. A conforto di quest'ultima opinione, alcune pronunce della Suprema Corte collegano il trasferimento della legittimazione attiva e passiva agli eredi indipendentemente dalla successione nel diritto controverso al punto che la operatività dell'

a

rt. 110

c.p.c

sarebbe scollegata dal sostrato sostanziale della vicenda (cfr.

Cass

.

civ.,

n. 5169

/

1986

per la quale, nell'ipotesi di successione nel processo ai sensi dell'

a

rt.

110

c.p.c

.

, sussiste litisconsorzio necessario tra più eredi della parte defunta, indipendentemente dalla trasmissione, a taluno o all'altro di loro, della titolarità del bene cui si riferisce la domanda giudizialmente proposta).

Pertanto, sulla base di tale presupposto, gli eredi della parte deceduta nel corso del processo debbono tutti partecipare al giudizio, quali litisconsorti necessari, essendo irrilevante la trasmissione all'uno o all'altro di essi, per effetto di disposizioni testamentarie o di divisione, della titolarità del bene cui attiene la controversi: ne consegue che l'atto di prosecuzione volontaria, ancorché compiuto da alcuni soltanto degli eredi, è sufficiente a ricostituire il rapporto processuale, salvo l'obbligo del giudice di ordinare la integrazione del contraddittorio nei riguardi degli eredi che non abbiano proseguito volontariamente il processo e nei cui confronti non sia avvenuta la riassunzione (

C

ass.

civ.,

n.779/1997

).

Va precisato, poi, che il trasferimento inter vivos del diritto controverso determina, agli effetti dell'

art. 111

c.p.c.

, la prosecuzione del processo tra le parti originarie, non venendo meno la legittimatio ad causam della parte cedente. Quindi, in caso di decesso di quest'ultima, il rapporto processuale non subisce alterazioni, ma solo vicende interruttive, dal momento che la legittimazione ad agire o a resistere in giudizio si trasmette, in base all'

art. 110

c.p.c

.

, dal "de cuius" agli eredi, i quali vengono pertanto a trovarsi, per l'intera durata del processo, in una situazione di litisconsorzio necessario, senza che abbia rilievo che il diritto controverso non fosse più nel patrimonio del de cuius al momento dell'apertura della successione (

Cass.

civ.,

n. 11507/2014

).

Poiché pertanto l'

art. 110

c.p.c.

, esaurisce i propri effetti nella sfera processuale e non si estende fino alla creazione di una legittimazione sostanziale esclusa dalla specifica disciplina del rapporto in contestazione, nel caso in cui si controverta di diritti intrasmissibili non vi sarebbe luogo all'applicazione della norma.

In tema di azione di divorzio, ad esempio, il decesso di uno dei coniugi, sopravvenuto nel corso del relativo processo, determina lo scioglimento del matrimonio per altra causa, precludendo il diritto ad ottenere il bene della vita richiesto in via giudiziale (cessazione degli effetti civili del matrimonio). La norma in esame non vale infatti a radicare la legitimatio ad processum del successore a titolo universale nei confronti del coniuge superstite, non verificandosi alcuna successione nel diritto e nel rapporto per l'intrinseca intrasmissibilità della situazione soggettiva correlativa (

Cass. civ.,

25 giugno 2003, n. 10065

).

Invece, secondo quella parte della dottrina che ritiene applicabile l'

art. 110

c.p.c.

soltanto in caso di successione dell'erede nel rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, la disposizione sarebbe diretta proprio ad individuare i soggetti che hanno il potere di contraddire sul piano del diritto sostanziale.

Modalità di successione nel processo

Le modalità con cui avviene la successione nel processo si diversificano a seconda della tipologia.

Se si tratta di processo esecutivo, la successione si verifica in maniera automatica, senza formalità.

Diversamente, nel processo di cognizione la norma in esame va integrata con la disciplina dell'interruzione del processo di cui agli

artt.

299

c.p.c.

e ss., che postula, per la parte costituita a mezzo di procuratore, una rilevanza dell'evento nel corso del giudizio subordinata ad una dichiarazione del difensore avente valenza interruttiva.

Nel giudizio di cassazione, in considerazione della sua particolare struttura e disciplina, non è applicabile l'istituto dell'interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, né consente agli eredi di tale parte l'ingresso nel processo (

Cass.

civ.,

29 gennaio

2016, n. 1757

).

Invece in caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado, la sua legittimazione attiva e passiva si trasmette agli eredi, i quali vengono a trovarsi, per tutta l'ulteriore durata del processo, in una situazione di litisconsorzio necessario di ordine processuale, sicché, ove l'impugnazione sia stata proposta nei confronti di uno soltanto degli eredi della parte deceduta, il giudice d'appello deve ordinare, anche d'ufficio ed a pena di nullità, l'integrazione del contraddittorio.

La prosecuzione del processo da parte del successore universale non presuppone necessariamente l'interruzione, giacché è possibile la volontaria costituzione di uno o più eredi della parte defunta; ciò preclude l'effetto interruttivo che comporta la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri eredi non costituitisi.

Qualora vi sia stata interruzione del processo, se nei tre mesi successivi non si sia fatto avanti il successore universale della parte venuta meno, il processo può continuare nei confronti dei chiamati all'eredità oppure del curatore dell'eredità giacente.

Il successore a titolo universale, che riassuma il processo a seguito della morte della parte, subentra nella stessa posizione del de cuius. Pertanto la controparte di questi non può, a seguito di riassunzione della causa da parte dell'erede, proporre domanda riconvenzionale fondata su un rapporto diretto con quest'ultimo, autonomo rispetto a quello oggetto di lite. Nella successione universale ex parte actoris è consentito introdurre domande nuove.

Successione della persona fisica

Il “venir meno” della persona fisica si identifica con la morte verificatasi in pendenza del processo. Ad essa va equiparata la dichiarazione di morte presunta si sensi degli

artt. 63

e

729 c.c.

In caso di morte della persona fisica, legittimato a succedere nel processo alla parte venuta meno è esclusivamente il successore a titolo universale, ovvero l'erede.

L'assenza di detta qualità esclude la legittimatio ad causam, la cui mancanza è rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità (

C

ass.

civ., n.

14266

/

2006

).

Pertanto il fenomeno successorio di cui all'

a

rt.110

c.p.c.

non ha luogo nei confronti del semplice chiamato all'eredità

, bensì dell'erede, tale per effetto di accettazione, espressa o tacita, del compendio ereditario. Infatti la semplice delazione, conseguente alla successione, non può considerarsi presupposto sufficiente per l'acquisto di tale qualità, nemmeno nell'ipotesi in cui il destinatario della riassunzione del procedimento rivesta la qualifica di erede necessario del "de cuius", occorrendone la materiale accettazione, anche tacita

(artt. 476

e

485,

comma 2

,

c.c

.

) (

Cass. civ., n.22870/2015 e Cass. civ., 31 marzo 2011, n. 7517

)

.

È stato tuttavia precisato (

Cass.

civ., n.

21227

/2014

), che «il ricorso per riassunzione ad opera della parte non colpita dall'evento interruttivo, notificato individualmente nei confronti dei chiamati all' eredità (

art. 486

c.p.c

.

), è idoneo ad instaurare validamente il rapporto processuale tra notificante e destinatario della notifica se questi riveste la qualità di successore universale della parte deceduta

ex

art. 110

c.p.c..

In tal caso, la parte che procede alla riassunzione, ha l'onere di individuare i chiamati all'eredità rispetto ai quali sussistono, in tesi se non dispone di precisi riscontri documentali, le condizioni legittimanti l'accettazione dell' eredità.» Ne consegue che, pur non assumendo i chiamati all'eredità la qualità di erede, per il solo fatto di aver ricevuto ed accettato la predetta notifica, hanno l'onere di contestare, costituendosi in giudizio, l'effettiva assunzione di tale qualità ed il conseguente difetto di "legitimatio ad causam", così da escludere la condizione di fatto che ha giustificato la predetta riassunzione.

Pertanto in caso di riassunzione del processo dopo la morte della parte, la legittimazione passiva può essere individuata allo stato degli atti, cioè nei confronti dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta o conoscibile con l'ordinaria diligenza alcuna circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto a mancare (rinuncia, indegnità, premorienza, ecc.).

La funzione dell'atto di riassunzione è, infatti, quella di proseguire il giudizio, mettendo controinteressati in condizione di venire a conoscenza della lite e di svolgervi le proprie difese, ivi inclusa quella avente ad oggetto l'eventuale sopravvenuta carenza della loro legittimazione o del loro interesse a contraddire. Allorché il venir meno del titolo successorio non risulti da atti o fatti agevolmente conoscibili dai terzi (registro delle successioni, trascrizioni nei registri immobiliari, ecc.), ma da cause o da eventi non ancora verificatisi alla data della notificazione dell'atto, la riassunzione è da ritenersi regolare qualora la legittimazione passiva sussista con riferimento a quanto legalmente risulta allo stato degli atti (

Cass.

civ., n.

13738/2005

), anche alla luce di una interpretazione dell'art. 303.

Non rileva, poi, ai fini della successione nel processo, la morte verificatasi anteriormente all'introduzione del giudizio. Ciò impedisce che il rapporto processuale possa costituirsi e determina l'estinzione del mandato, eventualmente conferito al difensore secondo la regola generale dell'

a

rt.1722 n.4 c.c.

.

Da ultimo si ricorda che la notificazione della citazione introduttiva del giudizio di primo grado effettuata ad una persona già deceduta deve considerarsi giuridicamente inesistente (

Cass.

civ.,

n. 14360/2013

).

Successione della persona giuridica privata

L'estinzione della persona giuridica dà ugualmente luogo ad una successione a titolo universale; un'ipotesi particolare è rappresentata dalla fusione tra società ai sensi dell'

art.

2501

ss. c.c.

.

L'

art. 2504-

bis

c.c.

, introdotto dalla riforma del diritto societario di cui al

D.Lgs.

n. 6/2003

, è stato interpretato nel senso che la fusione non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l'estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell'ipotesi di fusione paritaria. Attua invece l'unificazione mediante l'integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutiva, modificativa dello stesso soggetto giuridico che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto giuridico. Di conseguenza non si determina alcuna interruzione del processo

ex

art.300

c.p.c.

(

C

ass.

civ., Sez. Un.,

n.2637/2006

e

C

ass.

civ., Sez. Un., n.

10653/2010

).

Sono ancora una volta le

Se

zioni Unite (

Cass. civ., Sez. Un., n. 27183/2007) a precisare che la disposizione della riforma del diritto societario, avendo natura innovativa, non può considerarsi norma retroattiva, sicché non si applica alle fusioni compiute anteriormente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2004).

Pertanto, la fusione per incorporazione di società, perfezionatasi prima dell'entrata in vigore dell'

art. 2504-

bis

c.c.

nella sua nuova versione codicistica, non determina l'applicazione della disciplina dell'interruzione del processo di cui all'

art. 299

c.p.c.

e ss., stante la diversa formulazione letterale dell'

art. 110

c.p.c.

rispetto a quella dell'

art. 299

c.p.c.

e ss.. La società incorporata a seguito della volontaria fusione non subisce quindi alcun pregiudizio dalla continuazione di un processo di cui era perfettamente edotta e, parimenti, nessun nocumento soffre la società incorporante o risultante dalla fusione, la quale ben può intervenire nel processo e impugnare la decisione sfavorevole (

Cass. civ., Sez. Un

., 17 settembre 2010, n. 19698

;

contra

Cass.

civ.,

24 marzo 2006, n. 6686

).

Con riferimento alla scissione, il nuovo

art.

2506 c.c.

prevede che con la scissione una società «assegni» l'intero suo patrimonio, o parte dello stesso, a più società preesistenti o di nuova costituzione; si ritiene che detto fenomeno non produca alcun effetto traslativo, ma determini solo un mutamento organizzativo.

Lo scioglimento delle società era in precedenza disciplinato dall'

art. 2448 c.c.

, il quale nulla stabiliva poiché si riteneva che, nonostante la cancellazione, la legittimazione processuale della società permanesse fino a che non si fossero esauriti i rapporti giuridici ad esso relativi.

La materia oggi è regolata dall'

art. 2484 c.c.

, che stabilisce che lo scioglimento si determina con l'iscrizione presso il registro delle imprese; la norma deve essere letta in combinato con l'

art. 2495 c.c.

in tema di cancellazione delle società, che conferisce efficacia estintiva alla cancellazione della persona giuridica dal registro delle imprese. Una volta cancellata la società, gli ex soci non possono assumere iniziative giudiziarie che sarebbero spettate al soggetto ormai estinto (

C

ass.

civ., n.

25974/2015

).

Nell'ambito, poi, delle vicende relative all'esistenza della persona giuridica, la cessione dell'azienda, il conferimento di azienda in una società di capitali o la devoluzione dei beni ai sensi degli

artt.

31

e

32

c.c.

non rientrano nelle ipotesi di successione a titolo universale, bensì di successione a titolo particolare di cui all'

art. 111 del

c.p.c

.

.

Parimenti, nella fase liquidatoria di una società, non opera la norma sulla successione nel processo, poichè la messa in liquidazione non determina un mutamento della personalità giuridica della stessa, né tantomeno la sostituzione di un oggetto ad un altro ma semplicemente la modifica dell'oggetto sociale che, per effetto della liquidazione, diventa finalizzato alla ripartizione dell'attivo tra i soci, previa soddisfazione dei creditori sociali (

C

ass.

civ., n.

29776/2008

).

Successione tra enti pubblici

La successione fra enti pubblici è astrattamente configurabile, oltre che nei casi in cui in tal senso abbia disposto una legge od un provvedimento amministrativo, nell'ipotesi in cui l'estinzione di un ente sia disposta al fine di trasferire la sua struttura organizzativa ed i suoi compiti istituzionali ad un altro ente, permanendo, in capo al nuovo soggetto, gli scopi perseguiti da quello soppresso.

In caso di soppressione di enti pubblici, il fenomeno successorio si attua in maniera diversa a seconda che la legge o l'atto amministrativo che lo ha disposto:

  • abbia considerato il permanere delle finalità dell'ente soppresso ed il loro trasferimento ad altro ente, unitamente al passaggio delle strutture e delle posizioni giuridiche facenti capo al primo (In questo caso si ha successione nell'universum ius con applicazione dell'

    art.110

    c.p.c.

    )
  • abbia disposto la soppressione, previa liquidazione (si ha successione a titolo particolare ai sensi dell'art.111, con riferimento ai soli beni che residuano alla

Alcune ipotesi particolari hanno riguardato:

  1. la successione delle ASL nelle attribuzioni istituzionali delle USL. La questione dell'inquadramento del passaggio predetto resta ancora dibattuta in giurisprudenza nell'alternativa tra l'ipotesi di successione a titolo particolare

    ex

    art.111

    c

    .p.c.

    e quella di successione a titolo universale

    ex

    art.110

    c.p.c..

  2. l'istituzione dell'ente Ferrovie dello Stato con il subentro nei rapporti attivi e passivi dell'Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato che ha comportato la successione ex lege nella titolarità dei rapporti pendenti senza carattere universale essendo mancata la integrale devoluzione al nuovo ente degli scopi pubblici dello Stato nel settore;
  3. in tema di contenzioso tributario, a seguito della istituzione, operata dal capo II del titolo V del

    D.Lgs.

    30 luglio 1999, n. 300

    , delle agenzie fiscali (Agenzia delle entrate, delle dogane, del territorio e del demanio), divenute operative a partire dal 1.1.2001, ex art. 1, D.M. 28 dicembre 2000, le quali gestiscono le funzioni già esercitate dai vari dipartimenti ed uffici del Ministero delle finanze, ora confluito nel Ministero dell'economia e delle finanze (al quale rimangono le sole «funzioni statali» elencate nell'art. 56), hanno personalità giuridica di diritto pubblico (art. 61), sono rappresentate dai rispettivi direttori (art. 68), e possono avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato (art. 72).

Si è ritenuto che il ricorso per Cassazione del contribuente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, pronunciata nell'ambito di un procedimento in corso al momento dell'esecutività delle agenzie fiscali predette, è ammissibile sia che venga proposto nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze (che conserva la qualità di parte), sia che venga proposto nei confronti dell'Agenzia delle entrate. Ciò in quanto il trasferimento dei rapporti inerenti le entrate tributarie all'Agenzia delle entrate (ove non assegnati ad altre agenzie, enti od organi), in assenza di diverse previsioni legislative, non costituisce una ipotesi di successione nel processo ai sensi dell'

art. 110

c.p.c.

(circoscrivibile al «venir meno della parte per morte o per altra causa», con subingresso nel rapporto sostanziale di un successore a titolo universale), quanto una successione a titolo particolare nel diritto controverso, ai sensi dell'

art. 111

c.p.c.

, essendo l'Agenzia delle entrate destinataria del trasferimento di posizioni attive e passive specificamente determinate. Tutto ciò, fermo rimanendo che la facoltà di chiamare in causa il successore a titolo particolare può essere esercitata con l'atto di impugnazione e, per la prima volta, anche nella fase di legittimità (

Cass.

civ., Sez. Un

., 5 maggio 2003, n. 6774

;

conforme

Cass.

civ., Sez. Un

., 29 aprile 2003, n. 6633

).

Riferimenti

C. Andrioli, A. Carratta , Diritto processuale civile I e II, Torino, 2015;

C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, Vol. II, Torino, 2015.

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